Mentre ascoltavo, ieri sera, Daniela Barcellona Vitiello ed il di lei pianista e consorte ho riflettuto che altra e meritamente celebre coppia della lirica ossia dame Joan e Mr Bonynge, mai si sia esibita in un concerto di canto in Scala. E sì che, come abbiamo scritto sul blog, dame Joan è stata una delle concertiste più varie ed interessanti, grazie alle scelte eleganti e raffinite del marito. Non solo ho, poi, lasciato viaggiare la mia mente nelle grandi concertiste assenti in Scala e quando mi sono venute innanzi Madga Olivero, Grace Bumbry e Leontyne Price ne ho ricavato che, pure nei concerti di canto, il teatro milanese ha quasi più brillato per assenze che per presenze.
Questo trasmigrare di pensieri può nascere dall’incipiente senescenza o dall’interesse davvero scarso che la cantante triestina e consorte hanno suscitato. Quando ho pensato a talune presenze scaligere concertistiche in chiave di mezzo (Horne, Verrett e Berganza) ho concluso che la cagione andasse ricercata nella prestazione cui andavo assistendo.
Quel che penso della signora Barcellona l’ho scritto tali e tante volte che ripeterlo diviene puro esercizio accademico, noia assoluta.
Ma qui la modestia tecnica, l’ostentazione del cosiddetto affondo (tipico dei tenori imitatori di Del Monaco, secondo la deviata idea della tecnica del tenore propagandata dalla di lui defunta consorte Rina ed adepti) hanno prodotto una voce ormai limitata ed asciugata nell’ampiezza, corta in alto e faticosa in basso, pur evitate pagine di contralto autentico, esecuzioni della agilità al di sotto del minimo sindacale, fraseggio assolutamente scolastico. Né le doti di attrice sovvengono e suppliscono né quelle della dicitrice, perché la dicitrice in chiave musicale ha quale punto di partenza il perfetto controllo del suono. In difetto non è una dicitrice, ma una commediante. Tanto per scendere negli esempi l’aria cosiddetta di paragone del Giulio Cesare ( pessima scelta perché il piano, ancorchè suonato alla perfezione, non può supplire lo strumento obbligato) è stata trasformata, al di la della grottesca esecuzione degli staccati, nella scena di un saccente mezzana come la Celestina o le nutrici del dramma veneziano; tralasciamole innegabili difficoltà della scrittura da vero Falcon di Leonora de Guznam (priva del da capo) e non pensiamo all’imminente debutto della signora in Eboli e riflettiamo, invece, che i doppi sensi delle canzoni di de Falla o la retorica fin de siècle delle canzoni di Amaranta sparivano nella dizione confusa, nella difficoltà vocale sopra un mi acuto.
Dobbiamo forse consolarci pensando che, per educare il proprio plaudente pubblico ( il Signore li fa poi li accoppia) nel primo tempo – dove il tema comune alle arie era che si trattasse di eroi en travesti- la signora fosse in pantaloni e nel secondo le pagine di seduzione (maschile per tradizione, però, quella di Amaranta) imponessero, invece, l’esibizione del decolté o preferire il ricordo grato, struggente ed appagante – mente e cuore- di tante prime donne, che hanno quali concertiste calcato il palcoscenico ossia esecuzioni di altre ugole delle pagine prescelte da Daniela Barcellona. Personalmente non posso avere dubbi! Il ricordo, l’onesta professionalità, la grandezza, tutte assenti ier sera.
Domenico Donzelli
“Art of singing/art of expressing”: thus could be epitomized the recital held by Daniela Barcellona at La Scala yesterday evening. The first part, devoted to Baroque composers and Rossini, was supposed to emphasize the “virtuoso” abilities of Signora Barcellona, while the second one, focused on De Falla and Tosti, should have revealed the genuine Italianate fraseggio of the Triestine mezzo. The perfect synthesis of these two aspects of vocal art was to culminate at the end of this not-so-long evening in the great scene from Donizetti’s La Favorite. Too bad, that the actual quality of the concert was not on the level one could and should expect from such a program and even more so from an opera singer of a certain reputation and a “certified” Rossini specialist. Grotesque chest notes, which result heavy and engulfed instead of sounding dark and “poitriné” (for instance in De Falla’s Seven popular songs) and yet are barely audible when the stiff and mechanical piano accompaniment by the singer’s husband, Maestro Alessandro Vitiello, goes anywhere near “mezzoforte” (e.g. in Tosti’s Songs of Amaranta), combined with a constantly “woofy” top, where the voice is completely out of control. The voice goes systematically out of focus and off pitch in the notes preceding the central C (Gluck’s Orpheus), especially when the singer tries adventurous “messe di voce”, which regularly crack, for instance in the Scarlatti aria from Tigrane and in the recitative of Tancredi. Moreover, it is rather bewildering that a so-called virtuoso singer offers no more than moderate variations in the music of the Baroque composers such as Handel (Rinaldo and, even more, Giulio Cesare, whose aria was sung like it was a comedy rather than an opera seria) and Scarlatti, this last aria sounding like it came directly from the well-known Parisotti albums. Even worse was the second half of the concert, where one could hardly understand a word of the poetical text displayed by such a badly articulating singer, lacking “legato” and any possible charm: this was particularly evident in the first two encores, the Habanera from Bizet’s Carmen and “Connais-tu le pays” from Thomas’ Mignon. Perhaps the best comment on this unfortunate concert came during the intermission from a member of the audience (not one of the ‘infamous’ protesters of the Grisi “clan”), who declared that it was impossible to tolerate such “disrupted phrasing in the higher register” (slegature in alto). He added that he better had gone to the movies, instead of spending the evening at La Scala. A lot of people actually might have done so, since at least 30 boxes remained deserted (the so called “forni”).
Antonio Tamburini
Recensione a più voci, dunque. Un po’ come iersera, in occasione di un concerto che non poteva prescindere da un ascolto condiviso, da metabolizzare con l’antica saggezza del “mal comune…”. In realtà, a voler elevare la scelta dei bis – esecuzione a parte – a indicatore dello stato vocale della signora Barcellona, non fatichiamo a comprendere come già la stessa cantante abbia abdicato alla rendita del suo potente medium, mai educato al Canto. Perché un recital dev’essere l’apoteosi delle peculiarità dell’artista. Lo deve esaltare e far trionfare, tra assi nelle maniche e cavalli di battaglia. E chiuderlo con l’”Habanera”, l’assolo della Mignon e il terzo pezzo della Regata veneziana – arie che una Horne avrebbe vocalizzato in camerino per scaldare la voce – è sintomo dello stato dell’arte. Prova ne sono le incursioni operistiche del concerto, risolte al solito con pochezza d’accento, linea frammentata e becere spoggiature tra centro e primi acuti (esemplari in “Va’ tacito e nascosto” dal Giulio Cesare); le stonature in zona centrale nella cavatina del Tancredi; il fraseggio tirato via come oggi va per la maggiore, ossia spacciando un volgare affievolimento della spinta per una smorzatura; gli acuti a piena gola nella grande aria di Leonore della Favorite, presentata senza da capo (dov’è la virtuosa??) e conclusa con un si naturale preso da sotto i piedi tale da far gridare “Daniela, sei super!” a una mano spellata in platea, con conseguente risata da parte di un loggionista dai timpani ancora saldi. Sarebbe infine irrilevante – in altro contesto vocale – fare il pelo al portamento scenico. Ma si sa: quando non c’è nulla da sentire, ci si mette a guardare. E quel che abbiam visto è una signora che canta Orfeo e Leonore con l’abusato stereotipo delle braccia conserte, postura che dovrebbe forse evocare chissà quale struggimento mentre, in realtà, non è altro che l’immagine di un coprispalle buono per tutte le stagioni. Ma d’altra parte il “maglioncino” la sera, sul lungomare, perché “fa freschino”, non lo si può negare a nessuno. E allora, pieno successo!
Carlotta Marchisio
In un altro senso la Signora Marchisio ha sommato tutto il guaio del cosidetto “regietheater”: “quando non c’è nulla da sentire, ci si mette a guardare.” . . .
Effettivamente la Barcellona ha deluso un po’ nell’aria della Favorite: la conclusione non è stata brillantissima: la voce è risultata un po’ forzata, schiacciata in alto e imprecisa nell’intonazione. Però ad es. nel bis da Mignon di Thomas e nella Regata Veneziana di Rossini non l’ho trovata così terribile come pure in Tosti (fa riflettere semmai che i bis siano stati migliori delle arie previste nel programma: un’altra cantante poco furba nella scelta del programma, al pari di Mariella Devia).
Anche l’accompagnamento del Maesto Vitiello mi è sembrato all’altezza: ha una bella dinamica e dei bei piano.
Caro Luigi, riformulo quello che ho già scritto: un conto è cantare l’Habanera (stonata), un altro è eseguire come si deve il Tancredi o la Favorita!
Un regalo per i fan della signora (visti i vuoti in teatro l’altra sera, dubito fossero tutti presenti all’appuntamento): http://www.youtube.com/watch?v=iydqPwAloDg
Tamburini, sappi che per colpa tua stanotte avrò gli incubi.
perchè Joan Sutherland è scomparsa dalla SCALA il 30 aprile 1966 dopo il DON GIOVANNI? Semplice. Joan pretendeva e giustamente di cantare diretta dal marito come faceva in tutto il mondo. Ma la Scala ha preferito i Gracis e bacchette del genere rinunciando alla Sutherland per non accettare Bonynge sul podio della Scala. Ovviamente non è piu’ tornata nemmeno per un concerto. Concerto eseguito invece con grandissimo successo a Firenze e poi a Roma ed infine a Venezia. Orgoglio scaligero? No, stupidità illimitata. Oggi ci si accontenta della Barcellona.
E questo è uno dei limiti più grossi della Joan: verrò fucilato – e me ne frego – ma ritengo Bonynge un marito fortunato, un presunto conoscitore di voci e un assai discutibile musicista.
verrò fucilato anche io-e me ne frego come sopra-ma concordo in pieno con Duprez. Credo che se non avesse sposato la Joan non avrebbe fatto la carriera che si è procurato.
Caro Domenico,
Siamo nel 2012, e qui’ si dovrebbe argomentare sulla deludente prova della Barcellona….Tutti abbiamo, (spero!), nel cuore l’amata Joan, ma ci narri fatti successi nel 66, e nel 66 la Signora Daniela probabilmente non era ancora nata. La Signora ha delle difficolta’ che non sono legate alla permanenza o meno di Joan Sutherland alla Scala. Sai benissimo che su questo “suolo” ci scappa sempre il fuoriprogramma (Kg della Netrebko, situazione degli Atenei, , discendenti di Bach, osservazioni antipatiche sull’uso della grammatica e della sintassi italiane da parte di altri, filosofia, letteratura… e chi piu’ ne ha, piu’ ne metta) il che e’ non e’ male no? Piuttosto democratico direi, visto che qui’, e giustamente, nessuno viene bannato come invece e’ avvenuto su altri “suoli” da quanto ho appreso proprio pochi giorni or sono, per semplice incompatibilita di giudizio su un celebre, e non per questo grande, falsettista francese! Bene, parliam di tutto…ma cosa c’entra Joan Sutherland, che Dio l’habbia in gloria, con il fatto che la Signora Barcellona abbia deluso? Ciao. PS; (se devi rispondere, rispondi cliccando foyer, qui’ nella prima pagina sono tematici)
all’epoca della Joan la Barcellona o avrebbe cantato diversamente o non avrebbe cantato proprio. e sono per la prima ipotesi…..il sistema aveva molte più vie ( persone competenti) per non perdere le doti e i talenti….>Diversamente non avrebbemai potuto cantre da solista con questo imposto..
Dimentichi che con la Joan cantava gente come Huguette Tourangeau…
e non solo…il “serraglio” che abitualmente predisponeva il marito è, ahimé, assai variegato e numeroso…
Cara Giulia sai per me qual’è il problema odierno? il repertorio di questi cantanti: a meno che tu non sia la Callas (cito lei poichè la più nota, ma potrei citarne altre 10 almeno), E’ D’OBBLIGO che ti crei un repertorio; mi spiego: oggi abbiamo cantanti piuttosto mediocri che, solo perchè sono osannati dal grande pubblico, cantanto tutto; ne è esempio la Netrebko, che manca solo che canti Wagner e Salieri ed ha provato (con scarsi risultati) a cantare tutto. Un’altra è la Damrau, che canta Europa così come Olympia così come Violetta così come Rosina. Ora poniamoci una domanda: se neanche le più greandi dive del canto (tu e la pasta in primis) hanno avuto un repertorio comprendente TUTTI i grandi compositori e di conseguenza tutti i seguenti stili musicali, come possono questi signori non rendersi conto che neanche a loro è concesso? perchè mi risulta strano che la Netrebko (per ricitarla, ma come tante/i altre/i) abbia una voce così fluida e così flessibile da poter passare brillantemente da Mozart a Donizetti o a Verdi, poichè è matematicamente impossibile. Una voce viene creata per un certo tipo di canto. Certo, non in maniera così rigida da impedirne totalmente il passaggio da uno all’altro, ma credo che se si mirasse più ad un repertorio un tantino più ristretto le voci migliorerebbero, perchè a “loro agio”, e molti cantanti non si distruggerebbero il diaframma per un risultato mediocre, perchè la Netrebko è bellissima, ma la voce non c’è, e siccome di mestiere fa la cantante e non la modella…fammi sapere che ne pensi!
Carissimo,
purtroppo per i cantanti di oggi la parola repertorio significa solo “catalogo dei ruoli che riesco più o meno a portare a casa senza troppi danni”.
Quanto a madame Anna, dopo l’ ennesima mediocrissima prestazione ascoltata ieri sera, credo che si possa smetterla di concedere prove d’ appello.
Saluti e Buona Pasqua a tutti!
Purtroppo hai pienamente ragione, oggi molti cantanti lavorano “per il sei in tutto il repertorio, ma forse non sanno che non è un’insieme di mediocrità a fare l’eccellenza.
Dame Joan aveva un solo complesso, quello della stazza. Pensava quindi che circondandosi in scena di artisti molto voluminosi lei sarebbe apparsa di dimensioni fisiche, diciamo, più ragionevoli
La verità è che spesso lo spettatore – per altro prontissimo ad accettare LEI per quello che era – restava interdetto davanti a un fatto visivo di carattere brobdignacchiano. Senza contare che quel suo criterio di scelta, applicato a coprotagonisti e comprimari, abbassava inevitabilmente la qualità vocale dell’insieme.
Io Bonynge l’ ho ascoltato dal vivo sia come direttore che come accompagnatore al pianoforte e non mi è mai sembrato scandaloso.
Tenendo conto che in quegli anni lavoravano alla Scala bacchette del livello di Gracis, Gatto, Gusella, Giovaninetti e Zoltan Pesko, non penso che una sua presenza sul podio milanese avrebbe disonorato il teatro.
http://www.youtube.com/watch?v=ARV9eSSHdt0
eccola, una magnifica esecuzione rossiniana in chiave di mezzo acuto. Meglio, molto meglio anche della Horne, senza gigionismi, con fraseggio elettrizzante e vero appoggio (e non inutile affondo)