Commento di Giambattista Mancini
Completiamo la pubblicazione del trattato di Hipolito Lazaro con le ultime due lezioni, riguardanti due abbellimenti tipici delle voci femminili ed in particolare dei soprani leggeri, ossia il picchettato ed il trillo. L’epoca di Lazaro non è più quella barocca, in cui il trillo costituiva “sostegno, decoro e vita del canto” (Mancini), tuttavia non mancano documentazioni fonografiche di pregevoli esecuzioni di tale abbellimento, anche in corda di basso, baritono e tenore.
Il picchettato invece è una soluzione virtuosistica propria del soprano di coloratura, ma può rivelarsi un esercizio assai utile per disciplinare il fiato ad alimentare correttamente l’emissione, in tutti i tipi di voce.
LEZIONE 11. STACCATO.
Per imparare a fare lo staccato devi impostare perfettamente il fiato nell’arco armonico, come ti ho già detto svariate volte: è molto facile, in questa circostanza, emettere suoni ingolati, ossia col fiato bloccato nella laringe. In tal modo fare lo staccato sarebbe impossibile.
Ricordati, nell’esercitarti, di pensare sempre alla vocale O, affinché la voce possa mantenere sempre il suo colore scuro.
E’ significativo osservare come in tutte le lezioni del trattato venga ribadito il principio fondamentale del corretto imposto vocale, ossia il posizionamento del suono sull’ “arco armonico”, ben aderente al palato. Il difetto più grave ripudiato da ogni scuola di canto fin dall’antichità è quello derivante dallo scivolamento del suono in posizione bassa e posteriore, ossia in bocca ed in gola. Molti obietteranno che la gola e la bocca costituiscono invero le due reali cavità di risonanza dello strumento vocale: giusto, ma questo non significa che il suono lì debba battere ed appoggiarsi, ossia incagliarsi!
Molto sensato anche il suggerimento di educare la voce sulla vocale O, che tiene il fiato raccolto e ben appoggiato sul diaframma. E‘ fondamentale infatti fare sempre attenzione a non spingere ed allargare mai il suono.
Chiariti questi fondamentali aspetti, inizierai a esercitarti col primo esercizio musicale della lezione: piccole scale ascendenti e discendenti (dal Do al Sol) in staccato. All’inizio eseguirai queste note lentamente, finché non avrai preso sicurezza e dimestichezza. Solo in un secondo momento inizierai affrettando, poco alla volta, facendo moltissima attenzione all’intonazione.
Quando sarai riuscito a farli a quel tempo, avrai imparato i picchettati.
Il punto sotto la nota indica le notte staccate e cioè significa che queste note debbono staccarsi con forza ed essere attaccate a tempo, con incisività.
Fai le note il più morbido possibile con l’obbiettivo di farle sembrare flautate: in certe cadenze, infatti, la voce assume il colore di questo strumento. Impostando bene il fiato nel ponte riuscirai a dare alla tua voce un colore vellutato e morbido, di straordinaria dolcezza e soprattutto di grande effetto per gli spettatori.
Ti capiterà di sentire alcune colleghe che ti diranno di fare i picchettati con la A, E ed I: vedrai come gorgheggiano con la voce chioccia! Queste sono artiste che non vanno oltre la mediocrità.
Se vuoi un buon esempio, ascolta qualche disco di Maria Barrientos, e capirai come dev’essere impostata la voce, ed eseguiti i picchettati e l’intonazione con assoluta perfezione: per questi ed altri motivi è stata una delle più grandi soprani leggeri della sua epoca.
Se hai costanza, segui il suo esempio!
LEZIONE 12 TRILLO.
Anche se oggi, nella musica contemporanea, non è molto usato, il trillo dev’essere tuttavia studiato e praticato a lungo per riuscire a farlo in modo chiaro e pulito.
Il trillo è composto da tre momenti diversi: la preparazione, il battito e la conclusione.
La spiegazione che segue mi pare piuttosto confusa e contraddittoria. In ogni caso l’aspetto fondamentale è sempre il corretto posizionamento del fiato nell’arco armonico.
Per poterlo eseguire alla perfezione devi appoggiare la prima nota nel ponte, la seconda un po’ più bassa, non però nella laringe! Com’è ovvio, la seconda nota ha la tendenza a restare più indietro: devi sempre sostenere e appoggiare bene il fiato affinché ciò non accada. Non dovrebbe esserti difficile: a questo punto dovresti già avere un controllo totale del tuo canto.
Inizierai con le note do-re-do-re-do-re per poi passare a re-mi-re-mi-re-mi-re. Ricordati di accentuarle per assicurarti della corretta impostazione di queste. Una volta raggiunta una sicurezza nel ritmo, non dovrai più farlo. Potrai dunque fare il trillo con più scioltezza, liberta e sicurezza: brillante nel movimento veloce e dolce in quello lento.
I soprani leggeri lo troveranno con più frequenza rispetto alle altre voci: la maggior parte degli artisti non hanno il coraggio di farlo poiché hanno paura, dopo averlo imparato ed eseguito, che la voce tremi: ciò è dovuto ad una scorretta impostazione del fiato. Altrimenti, credimi, riuscirebbero a farlo senza problemi.
E’ sempre il fiato, e non muscoli, tendini e cartilagini, il motore che produce e regola il giusto funzionamento dell’organo vocale. La corretta riuscita del trillo richiede pertanto sia una fluida libertà nel moto della laringe, sia una costante fermezza di appoggio, in difetto del quale si rischierà di indurre pericolose oscillazioni nell’emissione.
I trilli si trovano in numerosissime opere e per tutte le voci: si astengono dal farlo perché, come ho detto, incapaci. Ad esempio: nel Rigoletto di Verdi vi è nel primo atto un trillo nella frase “qual vi piglia or delirio a tutte l’ore”. Posso testimoniare, io che ho cantato con alcuni dei più grandi baritoni nei più grandi teatri, il trillo non veniva eseguito.
Dopo esserti esercitato, ripasserai gli esercizi della terza lezione (il passaggio di voce): se per caso hai ancora qualche difetto di laringe, questo studio ti servirà per correggere ogni difetto.
L’aneddoto che segue è assai interessante per capire quanto in un secolo siano mutati i costumi del pubblico e soprattutto le ragioni dell’andare a teatro e gli argomenti di discussione sull’opera.
Per farti capire meglio l’importanza che ha il trillo nella nostra carriera ti racconto un aneddoto che rafforza tutto quello che ti ho detto.
Nell’anno 1914, si rappresentò in Scala il Mosé di Rossini: tutti gli artisti, me compreso, presenti in città corsero subito per ascoltare il grande basso D’Angelis che in questa opera faceva un trillo straordinario tale da svegliare l’ammirazione di tutti i colleghi e melomani. In tutta Milano si parlava dello spettacolo come un grandissimo evento.
Finalmente è finito 😀 Ora potrò andare in fotocopisteria a stamparmi tutto il trattato “by Grisi Ltd” hahaha
Volevo fare due apppunti:
1) vorrei chiederti Mancini da dove deriva il termine “imposto vocale” ossia se presente in letterattura o in qualche autore, oppure se è un termine creato ad hoc da lui stesso: secondo il mio personalissimo sentire (per quanto possa interessare), lo trovo un termine brutto che sostituisce male il bellissimo termine “impostazione vocale”; senza contare che “imposto” non esiste in italiano quale sostantivo – ma visti i miei previ errori, accetto smentita;
2) concordo con Mancini sul fatto che Lazaro non sia chiarissimo nella sua descrizione del trillo. Lazaro sembra tendere a metà tra due linee didattiche di insegnamento del trillo: quella che consiglia di prendere due note e di pensare di andare da una all’altra accelerando (come scrive Jenny Lind nel suo trattato – maestra ispiratrice della Sutherland) e quella invece di pensare piuttosto alla mobilità della laringe (e il velo palatino – o palato molle – come riportano la Sutherland e la Horne). Questa seconda tendenza discende dal Garcia, che nel suo trattato scrive 4 cose assolutamente precise: a) “è molto diffuso il pregiudizio che il trillo sia un dono della natura e che la voce, se priva di questa grazia del canto, debba rinunciarvi. Nulla è più sbagliato di questa convinzione”; b) “il trillo non si realizza articolando e accelerando due note fino alla massima velocità [n.b. come dice la Lind]”; c) “il trillo è una oscillazione regolare che riceve la laringe da basso verso l’alto e viceversa.” d) “agli allievi dotati di normali requisiti, sarà suficiente qualche mese di studio”. (Prima parte del trattato del Garcia, edito e tradotto da Zedde). Un richiamo storico che rinfocola ma anche smentisce la leggenda del trillo naturale è Giuditta Pasta, che impiegò una decina di anni per imparare a trillare!
Quindi, pur nella confusione, Lazaro ha il buon senso di non cadere, se non altro, nel luogo comune 😀
Concordo perfettamente con la definizione dà il Garçia! Il trillo talora è effettivamente un dono naturale (alcuni riescono a trillare senza mai aver studiato), ma credo anche io che con lo studio chiunque possa raggiungere buoni risultati.
Quanto alla prima domanda, “impostazione” a me non piace molto, mi comunica rigidità e mancanza di naturalezza. Comunque non è cambi poi molto.
*la definizione CHE dà il Garçia
*non è CHE cambi poi molto.
Devo essere stordito quest’oggi!
Ti sto contagiando! XD
Finalmente è finito 😀 Ora potrò andare in fotocopisteria a stamparmi tutto il trattato tradotto da Garcia e prodotto dalla“Grisi’s Ltd” hahaha
Volevo fare due apppunti:
1) vorrei chiederti, Mancini, da dove deriva il termine “imposto vocale” ossia se presente in letterattura o in qualche autore, oppure se è un termine creato ad hoc da te stesso: secondo il mio personalissimo sentire (per quanto possa interessare), lo trovo un termine brutto che sostituisce male il bellissimo termine “impostazione vocale”; senza contare che “imposto” non esiste in italiano quale sostantivo – ma visti i miei previ errori, accetto smentita;
2) concordo con Mancini sul fatto che Lazaro non sia chiarissimo nella sua descrizione del trillo. Lazaro sembra tendere a metà tra due linee didattiche di insegnamento del trillo: quella che consiglia di prendere due note e di pensare di andare da una all’altra accelerando (come scrive Jenny Lind nel suo trattato – maestra ispiratrice della Sutherland) e quella invece di pensare piuttosto alla mobilità della laringe (e il velo palatino – o palato molle – come riportano la Sutherland e la Horne). Questa seconda tendenza discende dal Garcia, che nel suo trattato scrive 4 cose assolutamente precise: a) “è molto diffuso il pregiudizio che il trillo sia un dono della natura e che la voce, se priva di questa grazia del canto, debba rinunciarvi. Nulla è più sbagliato di questa convinzione”; b) “il trillo non si realizza articolando e accelerando due note fino alla massima velocità [n.b. come dice la Lind]“; c) “il trillo è una oscillazione regolare che riceve la laringe da basso verso l’alto e viceversa.” d) “agli allievi dotati di normali requisiti, sarà sufficiente qualche mese di studio”. (Prima parte del trattato del Garcia, edito e tradotto da Zedde). Un richiamo storico che rinfocola ma anche smentisce la leggenda del trillo “naturale” è Giuditta Pasta, che impiegò una decina di anni per imparare a trillare!
Quindi, pur nella confusione, Lazaro ha il buon senso di non cadere, se non altro, nel luogo comune 😀
Finalmente si parla del trillo. Colgo l’occasione per chiedere a voi appassionati (e non sempre equilibrati..) ammiratori della Cerquetti come mai questa grandissima cantante non sapesse trillare (nonostante si incaponisse a intrepretare un repertorio nel quale i trilli sono di primaria importanza espressiva, vedi Norma, Ernani ecc)
I trilli sono di primaria importanza anche nel repertorio abitualmente frequentato da una Devia, tanto per fare un altro esempio di cantante incapace di trillare. La ragione va cercata in ciò che dice Lazaro: taluni sono portati a ritenere pericoloso per la fermezza dell’appoggio affrontare l’agilità o un abbellimento come il trillo a gola sciolta, e credo che questo sia pure il caso della Devia, cantante sempre controllatissima, incapace di vero abbandono e slancio virtuosistico. Le sue agilità non hanno mai mordente, velocità e fluidità. Sta sempre lì a computare tutte le note, non è in grado di lasciar scorrere libera la voce…
La Cerquetti poi aveva materiale vocale di tutt’altro peso e spessore…
il trillo è fondamentale non solo perché i trilli son prescritti e vanno fatti, ma perché come dice anche il Celletti (forse non per sua diretta esperienza ma perché qualche saggio interprete glielo disse e lui saggiamente ci credette) il trillo è la prova del nove della corretta impostazione, così come il picchettato e soprattutto la messa di voce. Ma torniamo al trillo: sono sicuro al 100 per 100 che trillo e canto sul fiato si basano sullo stesso principio, perché implicano entrambi una mobilità della laringe (o meglio della muscolatura che la circonda), solo che il trillo, rispetto all’appoggio, sviluppa tale appoggio del fiato su due note che vanno fatte sentire molto bene distinte, tutto qui: è difficile da raggiungere, ma ci si arriva solo a patto di aver capito il canto sul fiato, sennò si fanno i trilli in falsetto. Ecco perché, a mio giudizio, il trillo deve essere molto “largo” di posizione, cioè sulla stessa gola aperta del canto spianato. Volete sentire dei trilli bellissimi? Quelli della Callas dal vivo nell’aria di Margherita di Boito, li sapeva addirittura diminuire, cioè faceva messa di voce sul trillo, e tout se tient! perché è la stessa posizione del canto SUL fiato, cioè del suono appoggiato sulla colonna di fiato, e tenuto ovviamente ampio e leggero di modo che si raccolga in maschera, cioè che RISUONI libero nelle cavità facciali. La SONORITA’ vera e propria, invece, va cercata nelle corde, cioè sul “fiato” (= colonna d’aria sostenuta), oltre le quali corde non può più avvenire assolutamente nulla. Tutto qui, invece gli altri discorsi sulla O (e se uno “trova” meglio l’appoggio sulla E, che è più “stretta” e facile quindi da sostenere?), sul palato molle, sull’arco sonoro, io proprio non li capisco, ma sarà un limite mio.
postilla: la mia paura è che proprio l’aspetto prescrittivo (se fai la O imposti meglio, per migliorare l’impostazione ti consiglio, cioè di ordino, di fare i picchettati ecc.) dei metodi otto-novecenteschi abbia rovinato un sacco di gente. Al canto sul fiato si arriva, se ci si vuole arrivare, perché è una questione di habitus mentale, di estetica, di gusto musicale, attraverso tremila stimoli (anche guardando cantare un fringuello); se invece non ci si vuole arrivare, perché siamo sordi e supponenti, hai voglia di far picchettati, ti troverai con gli edemi alle corde vocali (e darai la colpa al reflusso!!! l’ultima c…a)
Concordo, fabrizio: dalla mia piccola esperienza, il trillo ed il pichettato sono la prova del pieno controllo del fiato perché bisogna calibrare al massimo il fiato per non far sentire il trillo come un serie di onde ribattute (trillo bartolino) od il pichettato come una pentola che sfiata (sempre la bartoli). Messa di voce poi è la prova suprema 😀
Cmq, anche la Dessay fa i trilli con messa di voce 4:11 e 4:45 (anche se poi lo perde nel finale).
esatto, il picchettato consente il controllo del fiato: se ne esce troppo, il suono è spinto e ci ammazza, se ne esce poco, non suona la nota, questo volevo dire!! ma ovviamente (si fa per dire) bisogna farli con consapevolezza muscolare e laringea
La prova del nove della corretta emissione è quanto la voce spande in teatro… Un trillo, una messa di voce, un’agilità, qualsiasi cosa può essere fatta anche con la voce inchiodata in gola, vedi ad esempio quel fenomeno da baraccone farlocco chiamato Cecilia Bartoli. Il trillo è un effetto che si studia, c’è chi lo sa eseguire e chi no. E’ questione di abilità, ma non ne farei una condizione necessaria per stabilire la correttezza di una emissione. Altrimenti dovremmo concludere che cantanti come De Lucia o Battistini, che nei dischi non esibiscono mai questo abbellimento, avessero una emissione scadente.
Ci andrei piano poi a parlare di “larghezza di posizione”… “Parole piccole”, diceva Schipa… il suono deve stare piccolo e raccolto altrimenti diventa sguaiato e distorto. Allargare il suono è una pratica pericolosissima che rischia di compromettere la fusione dei registri, oltre a distorcere la pronuncia delle vocali.
Il discorso che fai sulla “vera sonorità” che andrebbe cercata “sulle corde” è piuttosto confuso e per me da respingere fermamente.
Il fiato deve percorrere l’arco formato dal sollevamento del velo palatino, e arrivare a battere contro il palato duro, se no il suono cade in gola o finisce nel naso diamine! E le vocali vanno fatte tutte. La O è utile perché se ben pronunziata fa sì che il suono non si allarghi e rimanga ben calibrato. C’è pieno di cantanti, anche antichi, che cantano tutto spalancato e soprattutto salendo verso l’alto non riescono a pronunciare una vera O piccola e “coperta”. Così finisce che tutto diventa A.
lo so che vanno fatte tutte, ma ritengo che ciascuno debba sentirsi libero di trovare la sensazione di suono appoggiato sul fiato a partire da quella che vuole (per Kraus è la I che apre la gola, e mi trova d’accordo, su un piano pratico e teorico, perché la I essendo stretta, piccola, ha bisogno di minor sostegno, specie quando non si è ancora ben scaldati). Ma al di là di ciò, ho l’impressione che una posizione larga favorisca lo studio del trillo perché ne è un po’ la naturale evoluzione in senso virtuosistico-musicale. Per “larga”, voglio precisare, io intendo una posizione di partenza sulla ampiezza maggiore della propria voce, il che significa suono piccolo, penetrante, raccolto, come punto di partenza (infatti la A e la O a mio giudizio vanno proprio “infilate” dove è la I e la E) ma ampio come sviluppo di armonici e sempre ben vibrato al massimo perché ben sostenuto. Il problema della Bartoli risiede un po’ nel suo mezzo limitato di natura, un po’ nel suo gusto discutibile, non nella sua tecnica di canto sul fiato, che all’inizio era giusta. Il discorso del suono in teatro come verifica mi trova d’accordo ma fino a un certo punto, perché ci sono voci che imbrigliate nella tecnica diventano piuttosto piccole e insignificanti, specie in certe opere, oppure inespressive. Ma per “trovare” la tecnica, sono effettivamente necessari il trillo e la messa di voce, anche se non sono d’accordo sugli esercizi che prescrive Lazaro per farli.
Certamente, tutte le vocali vanno “infilate” nello stesso posto, di qui la possibilità di rendere il suono omogeneo e di legare! Il che non significa, sia chiaro, che le vocali debbano essere tutte uguali…
Quanto alla Bartoli, non ha mai appoggiato una sola nota in vita sua.
e va bene, per certi aspetti anche Lazaro ha ragione: il suono se vogliamo “batte” sul palato (ho verificato), ma sarà poi effettivamente vero? No, non può essere, perché il suono ha origine in un punto molto molto più basso del palato. Tutto quello che avviene al di sopra di quel punto è ormai fuori dalla nostra capacità di controllo, e allora perché fantasticare su quelle zone, con alate (e non sempre) metafore, col rischio di confondere le idee? e poi: come si concilia il picchettato col palato? male, e non vorrei che pensando al palato anche nel fare il picchettato, si chiuda la gola, come molti soprani fanno (la Dessay assai spesso per esempio), spingendo il suono. Pochi, e non certo Lazaro perché anche sentendo le sue registrazioni è facilmente avvertibile un vibrato insano e una salita agli acuti avventurosa, si concentrano su tutto ciò che è invece controllabile mentalmente, e che avviene dal diaframma alle corde, e non oltre.
Ma semmai è il contrario, è proprio ciò che sta al di sopra delle corde vocali che noi possiamo riuscire a controllare, a partire dalla bocca e dalla lingua! La vibrazione è prodotta dalle corde vocali, certo, ma poi il suono si modula e si amplifica nelle cavità soprastanti. Ed il flusso sonoro per mantenersi alto e leggero deve aderire al palato e appoggiarsi contro gli incisivi superiori. Nei cordofoni la vibrazione prodotta dalla corda si amplifica nella cassa armonica passando attraverso il ponticello, e lo stesso avviene nella voce mediante l’arco del palato. E poi cosa vorrebbe dire che “il picchettato non si concilia col palato”?! E quali sarebbero quei pochi che per te si concentrano sulle cose giuste? La Bartoli forse?!?!
Se non erro, Horne ha sempre detto che ha studiato per il “suo” trillo….
Si, la Horne ha fatto come la Lind: due note, prese piano piano, e poi accelerando!
Andrebbe forse poi sottolineato, visto che nella storia del melodramma non esistono solo Bellini, Rossini e Donizetti, che un discorso a parte andrebbe anche riservato per il trillo “ribattutto” , fondamentale per eseguire Monteverdi.
http://www.youtube.com/watch?v=oUQS-awLNeE
Eheh billy XD come dice il caro Tosi, amico del Mancini, ci sono 7 tipi di trilli 😉
Il trillo ribattuto si chiama anche trillo “cacciniano”, dal Caccini che fu il primo a menzionarlo nelle sue “Nuove Musiche”, sebbene molte partiture di Monteverdi lo contengano scritto per esteso!
sì hai ragione, i trilli nascono anche dalle cosiddette ribattiture di gola tanto care al Monteverdi. Il cantante da te postato ha una buona padronanza della posizione, tanto che fa le ribattiture in modo corretto, tuttavia l’appoggio è minimo, se non inesistente. In pratica canta come dovrebbe cantare un bravo di musica leggera. I suoni sono quindi tutti aperti, non raccolti in maschera, a causa del mancato appoggio. Ora, per fare Monteverdi, tra stile ede estensione richiesti, può andare, ma se già lo metti su Haendel…