Recital di Mariella Devia in Scala

La signora Mariella Devia si è presentata, lunedi sera, in Scala nell’ambito dei concerti di canto dopo le trionfali apparizioni in Anna Bolena a Firenze. Mi domando se questa presenza debba ritenersi e per l’età della cantante e per la strada intrapresa dalla direzione artistica scaligera l’addio della Devia al pubblico milanese.

Sull’arte e sul mestiere di Mariella Devia molto è stato detto e scritto anche qui, sicchè le riflessioni sul concerto milanese debbono, per forza di cose, trascendere la normale critica. Non perché nei confronti di una cantante che si è guadagnata grande fama non debba essere esercitata la critica, che si esercita nei confronti delle altre, ma perché per parlare di Mariella Devia si deve fare un’operazione da macchina del tempo. Deve essere chiaro che Mariella Devia con poche altre (una è la coetanea e di fatto rivale Edita Gruberova) è una cantante sopravvissuta alla falcidie del mestiere e della professionalità del canto posta in essere, a questo punto credo scientemente, da agenti, direttori di teatro e critici.

Quindi è ovvio che si debbono rilevare quelli che da sempre sono i limiti della Devia ossia prima ottava sempre piuttosto vuota (e non credo per il solo limite vocale, ma per l’imposto da soprano leggero stile Toti e Pagliughi) rispetto alla seconda  oggi anche a  rischio intonazione, qualche fissità di suono quando si presentino note di lunga durata, accorciamento della gamma sovracuta (che non ha esibito ieri sera), difficoltà a scaldare la voce ( quanto all’esecuzione delle prime due mazurke si aveva il fondato dubbio che la cantante non manovrasse agevolmente la respirazione), legato difficile in zona centrale (ed è indiscusso che i brani da salotto quella zona battono). Si deve, però, aggiungere che, con pochissime eccezioni, le cantanti under quaranta  abbiano la cognizione ed il controllo tecnico della over sessanta Mariella Devia e questa qualità consente alla signora di stare una spanna sopra le colleghe in carriera internazionale e beneficiarie delle registrazioni delle grandi case discografiche, di esibire in brani come Casta diva (primo bis, con chiaro carattere di propaganda, atteso che si parla di un prossimo debutto) la cadenza finale con una sola presa di fiato o nei due bis pucciniani filature e messe di voce distribuite a man bassa.

Ma tutto questo fa di Mariella Devia una controllata esecutrice, una esimia vocalista e null’altro. Tutto questo dimostra perché la fama di Mariella Devia sia arrivata in fase avanzata della carriera e quando le più autentiche concorrenti fossero impegnate in altri teatri, differenti dagli italiani (che sono quelli che hanno dato vera fama alla signora), dedite ad altri repertori, provate da onerosa carriera. Che oggi la Devia canti Anna Bolena, che predisponga un
programma da concerto, che soprattutto in Ravel e Liszt richieda interpreti capaci di dire (tanto per esemplificare una Vallin, una Berganza e forse anche una Crespin) è un comportamento che evidenzia i limiti dell’artista. Altri sono da sempre i repertori, che ai soprani cosiddetti leggeri (tale è e tale rimane la Devia, anche se la prima ad essere insoddisfatta sembra proprio lei) convengono e il principio che “si deve seguire la voce”,  che “sia la voce a dettare il repertorio” vale sempre e per tutti. Soprattutto per una Mariella Devia, che appartiene all’epoca in cui tale principio era indiscutibile. Esemplare, sotto questo profilo, Norma, ultimo “desiderata” della diva. Per Mariella Devia il titolo belliniano inizia e finisce con la Casta diva. Il resto a partire da “sediziose voci” per finire con “i romani a cento a cento” competa ad altre voci ad altre interpreti. Il commentino musicale è scelto ad esemplificare il principio! Un’ultima chiosasi dice che Mariella Devia sia un’eccellente cuoca. Allora se devo dirla tutta sul concerto di ier sera, con un esempio gasronomico, la mano del cuoco è espertissima, gli ingredienti di grande qualità, ma il  sapore sempre e solo lo stesso.

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41 pensieri su “Recital di Mariella Devia in Scala

    • La corsa ad un suono orchestrale sempre più brillante e conseguentemente ad un diapason sempre più alto è stata davvero deleteria, sia per il canto sia per la musica in genere. Sarebbe davvero buona cosa tornare al diapason antico. La Tebaldi comunque non fu la sola a pronunciarsi in tal senso su questa questione, lo fecero prima di lei anche altri importantissimi cantanti, tra cui la più grande diva a cavaliere tra Ottocento e Novecento, comunemente riconosciuta come la voce più perfetta mai registrata su disco: Dame Nellie Melba.

      • il mito dell’acuto nelle donne e della potenza negli uomini: non ci si è ancora spostati da questa estetica (?) sessista e parasportiva che con il dramma musicale romantico e preromantico non ha nulla a che vedere. Così nessun soprano osa portare una canna ampia anche in alto, e nessun tenore osa cantare sul fiato gli svolazzi. Bolena, Norma: lì la coloratura, l’acuto, è uno sfogo allegorico di concetti sempre espressi nei centri e ribaditi nei gravi.

      • Sono d’accordissimo con Mancini! La corsa al suono brillante ha provocato danni enormi, anche perché mentre gli strumenti possono essere modificati attraverso accorgimenti tecnici, la voce dell’uomo ha limiti naturali. La questione del diapason è fondamentale, soprattutto quando si cantano certi repertori, o certi ruoli che insistono sul passaggio di registro: e non è questione liquidabile – come spesso si dice – con considerazioni tipo “cosa contano mezzi toni o quarti di tono”…perché in quella particolare zona – su cui sono costruite intere scritture – anche un terzo di tono può segnare il discrimine tra naturalezza e sforzo.

        Aldilà di quanto scrive wikipedia (che non è certo fonte autorevole) la questione non è affatto così “semplice”. Il diapason variava da città a città, da stato a stato e persino da genere a genere. Si sa, ad esempio, che intorno al 1830, in molte piazze europee, il la era a 430 Hz, o che il diapason nella Vienna di Mozart era sui 420 Hz. Addirittura in Francia venne fissato per legge a 435 Hz per contenere la folle corsa verso l’alto. Verdi stesso lottò per abbassare il diapason. Nel periodo barocco, poi, le cose erano ancora più complesse: a Roma il diapason era bassissimo (390 Hz), a Venezia, invece, era assai più alto (460 o 470 Hz). Tutto ciò, ovviamente, si riflette nelle composizioni dell’epoca…e solo la scarsa sensibilità di una mera ricerca d’effetto sottovaluta questi aspetti fondamentali: il risultato è che certi ruoli diventano più scomodi di quel che sono e altri vengono abbordati da chi non dovrebbe.

        A mio giudizio andrebbe ridotto a 430 Hz per le opere dell’800, per salire a 440 Hz per le composizioni scritte in vigenza di tale intonazione. Naturalmente applicando per Mozart e Handel i corretti 420 Hz e per Monteverdi e Vivaldi salire a 450/60 Hz.

        Contemporaneamente andrebbero rivisti gli organici orchestrali per certe opere e riequilibrati il rapporto archi/fiato.

        I grandi direttori (del presente e del passato) hanno ben presente il problema e, spesso, hanno “modificato” le dinamiche (riducendo il forte in mezzo forte) per contrastare l’eccessiva brillantezza di ottoni e archi con le corde in metallo…

  1. Grazie della recensione, io volevo andarla a sentire, ma quando poi ho saputo il programma me ne sono ben guardato…in ogni caso credo che la Devia sia una delle poche cantanti perlomeno accettabili che abbiamo ancora ai nostri giorni, il che non è da poco. Certamente non si è fatta un favore con il programma, che a mio avviso è noioso e poco attraente a sentirla.

  2. che la Devia grazie alla sua tecnica e bravura cerchi continui stimoli per prolungare la carriera è leggittimo,ma come sempre vale il detto meglio farsi “rimpiangere che compiangere”
    stesso discorso per la Gruberova

  3. Magari compiangere nel caso della Devia è un po’ troppo.
    Sicuramente, lunedì, non era nella sua forma migliore e non ha scelto un repertorio adatto. E non s’è sforzata neanche più di tanto con i bis. Non aveva voglia. Ma ho ancora nella mente il concerto della Gherghiou e allora… 😀
    In questo caso ha proprio sbagliato.

    Non parliamo della pianista su cui stenderei un pietoso velo.

    • Condivido, invece, il “compiangere” di Donzelli (e la Devia è in ottima compagnia)… Però, Lucar, neppure si può giudicare sempre con la logica del “meglio lei di altre”: io quando ascolto un cantante o uno strumentista o un direttore non penso ad altre esecuzioni…poco mi importa se sono state più scadenti, e, certamente non giustificano la prestazione mediocre. Insomma, la legge è uguale per tutti, e ciò che vale per la Netrebko, vale per la Devia.

  4. Dell’arte della signora Devia sono sempre stato grande ammiratore, ben felice di applaudire Mariellissima intenta a stupire il suo pubblico da grande cantante quale di fatto è. Trovo però che negli ultimi 5 anni almeno il successo e il plauso siano di fatti elargiti più per meriti di longevità vocale e per comparazione col deserto vocale odierno che per veri risultati artistici. La sua ultima Lucia in Scala fu accolta da un vero e più che meritato trionfo, non solo perchè quella serie di recite coincideva con l’addio al ruolo, ma soprattutto perchè la Devia mostrava al suo arco tante e tali frecce da non far capire al pubblico le ragioni di tale addio se non, ovviamente, per il fatto di averlo cantato in tutti i teatri del mondo per quasi 30 anni. Incredibile era la freschezza mostrata recita dopo recita, culmine l’ultima in cui, a fronte di un Edgardo stremato e malconcio, si mostrava salda e sicura in tutta la gamma della voce, capace di un legato più che mai perfetto (Verranno a te sull’aure un vero capolavoro), di sovracuti sonori e brillanti, di un’espressività semplice e di matrice belcantista che a ragione fecero scatenare il pubblico della Scala in un vero e assoluto trionfo.
    Dopo di allora personalmente io ricordo solo Il pirata e probabilmente Stuarda come prova interessante (sempre che la memoria non mi tradisca), per il resto tante Traviate in cui fatico a ricordare la Devia come Violetta memorabile e tante Anne Bolene prive della cifra stilistica e vocale fin dalla prima sera in quel di Verona fino all’ultima trionfale fiorentina. La signora Devia può togliersi lo sfizio di cantare anche Norma Aida e Gioconda, il suo vero pubblico però non si farà ingannare da ciò che ascolta e applaudirà annoiato il professionismo (o la memoria di quello passato), il pubblico più ingenuo crederà che Norma debba avere lo stesso volume e fraseggio della Serpina pergolesiana ma in nessun caso saremo, in questi scenari, spettatori d’Arte di qualsiasi genere.

    • E’ esattamente questo che dici alla fine, Nourrit, che a me sconsola: pensare che le giovani generazioni ergano a loro idolo una cantante in fine carriera che ha cantato FUORI REPERTORIO (quindi corrompendo un gusto musicale quanto mai corrotto) ma apprezzata per la penuria dei tempi. Una cosa di una tristezza unica!

      • Temo che le giovani generazioni non ci pensino proprio ad ergere a loro idolo la Devia (e se lo facessero ne sarei felice): normalmente idolatrano personaggi ben più corrivi. Nei confronti di una grande cantante a fine carriera – se non cialtroneggia ( e la Devia non lo fa di certo ) – si può essere indulgenti. Il suo concerto alla Scala non è stato trascendentale e del resto quel repertorio cameristico non le si addiceva particolarmente. E i (pochi) bis erano esplorazioni fuori dal territorio d’elezione: bene sentirla anche lì, anche se non c’era da aspettarsi nulla di trascendentale. Per i recital di canto alla Devia manca ( ed è sempre mancato ) quel magnetismo e quella comunicativa che rendeva i recital ad esempio delle Gencer , Kabaivanska , Norman, Horne, Berganza degli eventi indimenticabili. Ma detto questo e condividendo le osservazioni tecniche di Donzelli aggiungerò che l’ho applaudita con piacere e convintamente. Per la classe che ha pur sempre esibito anche l’altra sera e per tutto quello che ha saputo dare nel corso di una carriera comunque straordinaria.

        • vedi caro gianmario anche io devo obtorto collo applaudirla quando penso anche ad alcune sue coetanee, ma devo applaudirla a piene mani (lo dico in italiano per non dare a marco ninci il piacere di eccepire alcunchè sul mio latino) quando la paragonassi alle attuali calcatrici di palcoscenico. Utilizzo il condizionale perchè fra mariella devia e le attuali (salvo un paio di eccezioni) non c’è congruenza sono assolutamente imparagonabili. Esercitano diverse professioni. Poi se paragono la devia a tante coetanee mi tengo le sue coetanee, ma questo è altro discorso

    • La forma riflessiva sarebbe “mi sconsolo”, non “mi sconsola”, che è ancora transitivo: qui “mi” sta per “me”, ed è l’oggetto che subisce la sconsolazione operata dal soggetto.

      • Ho riletto con calma tutto: mi correggo e accetto le critiche di Mancini.
        Un sardismo e/o ispanismo l’aver messo “questo mi sconsola” come “questo a me sconsola” (Custu mi dispraxidi a mei – Esto a mi me molesta).
        Grazie Mancini, e visto che mi sono reimbarcato in un ripasso della lingua italiana, che mi giovi!

    • dal Dizionario Garzanti della Lingua Italiana:
      sconsolare, v. tr. [io sconsolo, etc] togliere ogni consolazione, conforto o speranza – SIN. sconfortare || sconsolarsi, v. intr. pron. perdere ogni speranza, disanimarsi.
      Quindi il verbo sconsolarsi può essere anche intransitivo.
      Come sempre, caro Marco, un commento che c’entra molto con il post! Complimenti per la scarsa attenzione al tema.
      Non mi sembra che la mia vita personale debba riguardarti, né tantomeno quel che faccio nella mia vita generale, gentile Marco, in quanto tu sei una nullità nella presente e in quanto nullità non influisci in essa. Ti consiglio quindi di FARTI GLI AFFARI TUOI e di pensare al tuo vocabolario, declinato per dire sempre le stesse cose, ossia niente.
      Ricambiando il più sentito aborrimento ed i miei più provati disapprezzamenti per la cialtroneria
      Cordiali Saluti

  5. Io non ammiro la Devia perchè oggi non c’è niente di meglio. A me piace (nel suo repertorio) e non condivido queste ultime virate nè mi scapicollo per andarla a sentire in Bolena.
    Però preferisco sentire lei anche in un repertorio non adatto che certe … che spopolano nei teatri. Capisco che sia un accontentarsi ma, purtroppo di questi tempi, di Gencer, Scotto, Sills, etc. non ne vedo all’orizzonte.

  6. caro lucar con un genere musicale che si avvia al tramonto chi sono quei giovani che veramente si vogliono impegnare in un futuro in una professione molto faticosa e piena di sacrifici come quella del cantante lirico,compensi sempre più modesti anche i grandi nomi che sembrano prendere dei grandi compensi ,al confronto dei big della musica leggere sono dei compensi miserabili,temo che le grandi voci si potranno ascoltare in futuro solo sui dischi..

  7. Ho sempre riconosciuto grandi meriti alla sig. Devia vocalista, ma l’interprete è sempre stata modesta; Adina, Norina, Linda, forse la Giulietta di Bellini, ma niente di più; lasciamo stare Violetta e le regine delle quali al massimo può essere la dama di compagnia.

    • Caro ratcliff ( spero che il tuo sia un omaggio alla ingiustamente negletta opera mascagnana ) io – che pure non ho seguito tutto quello che la Devia ha fatto, aggiungerei almeno Leila, Elvira, la Borgia, Lodoiska, Fiorilla, Elena e Gilda. Comincia a essere una lista di tutto rispetto, mi sembra.

    • elvira dei puritani è il capolavoro vocale ed interpretativo della devia. Ci sarebbe anche una splendida lakmè cantata in provincia e poi lucia. Nel resto la vocalista è notevole l’ interprete assai meno

      • La modestia dell’ “interprete” – con disgusto uso questo termine, che non ha niente a che vedere con la musica né con l’arte in generale – deriva invero dai limiti della vocalista: la “tecnica” nella Devia è sempre e solo uno strumento fine a se stesso, che non riesce mai a sublimarsi in spontaneità e libertà, in verità artistica. E’ un po’ come un bambino che non riesce ad andare in bicicletta senza fare a meno delle rotelle…

        Questa concezione della musica e del canto “a compartimenti stagni”, secondo cui da una parte sta la “tecnica” e dall’altra sta la “interpretazione”, deve essere superata al più presto.

        Condivido poi l’intervento di Duprez: andare a teatro e giudicare seguendo la logica del “meglio lei di altre” non ha invero un gran significato…

  8. Ho ascoltato la signora Devia alla Scala e al di là del repertorio molto “difficile” e poco comune, mi è piaciuta molto. A differenza di altri colleghi più scaltri, non ha fatto la furbata di scegliere le arie note al grande pubblico e che l’hanno resa famosa ovunque.
    Vorrei aggiungere solo che il suo “Signore ascolta” mi ha emozionato e sono andato con la memorie alle Liù della produzione scaligera dello scorso anno (non ne ricordo il nome): avere la signora Devia in quella produzione sarebbe stato veramente un lusso e invece la direzione ha compiuto una scelta artistica a dir poco discutibile. Stando a quanto si legge qua e là la dirigenza del Carlo Felice di Genova ha deciso proprio di scritturare la signora Devia per la prossima Turandot con l’attesissimo debutto di Daniela Dessì nel ruolo della principessa di gelo. Due fuoriclasse così cui si aggiunge Fabio Armiliato (uno straordinario trio di liguri) nel titolo pucciniano non possono che dare vita ad un successo!

  9. Ler critiche di Mancini sono esasttamente identiche alle mie, com’è facile accorgersi da quanto ho scritto sinteticamente. Certo, “sconsolarsi” come verbo intransitivo è una connotazione abbastanza comica.
    Ciao
    Marco Ninci

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