Quando, assuefatti alle continue delusioni operistiche, canore e ora pure sinfoniche che Mamma Scala è solita offrirci, ci rassegniamo a vedere un bicchiere costantemente vuoto nel panorama musicale milanese, passare una serata al Conservatorio per sentire un concerto della storica società del Quartetto di Milano può farci tirare un lungo e piacevole sospiro di sollievo.
Nel panorama dei musicisti infatti, la categoria dei pianisti è ancora capace di generarne di ottimi, non tanto perché, ottusamente definiti “geni precoci”, essi vengono sponsorizzati e portati alla ribalta dalle grandi etichette discografiche, quanto piuttosto perché con passione e dedizione, giorno dopo giorno, alcuni di loro si impegnano ad affinare la propria tecnica senza mai dimenticare che un pianista degno di questo nome non può limitarsi solo ad essa, ma deve anche arricchirsi di esperienza per migliorare ad ogni esecuzione la propria interpretazione: insomma, come ci insegnavano il primo giorno di ginnasio “Nulla dies sine linea”.
A queste positive riflessioni siamo giunti dopo un grande recital pianistico di Rafal Blechacz al Conservatorio di Milano. Per la cronaca, si tratta del pianista polacco che nel 2005 si è aggiudicato il prestigioso concorso Chopin, inducendo addirittura i giudici a non assegnare secondi premi tanto era il divario fra questi e gli altri partecipanti, aveva vent’anni. Ma noi del Corriere se non sentiamo non crediamo!
Il giovane polacco ha affrontato un programma estremamente difficile, spaziando attraverso due secoli di composizioni per tastiera: ha cominciato con Bach, Partita n.3 in La min. La maggior parte del pubblico in sala, compreso il sottoscritto, aspettava che il pianista si esibisse sul compositore che l’ha portato al successo, Chopin, e questa “sottovalutazione” ha reso ancora più gradita l’esecuzione della Partita. Suoni nitidi e brillanti, mai eccessivamente baroccheggiante, preciso e deciso: insomma tutte quelle qualità che servono a suonare un Bach molto “didattico” egli le ha esibite, senza risparmiarsi un pizzico di originalità e di genio nell’interpretazione, senza la quale si avrebbe una semplice dimostrazione di freddo virtuosismo, ma abusando la quale si arriverebbe all’eccessivo stravolgimento del compositore e del brano in questione, ottenendo l’effetto contrario. In una due parole equilibrio e grazia.
Si è passati poi al Beethoven giovane degli ultimi anni del ‘700, quel Beethoven già geniale anticipatore del Romanticismo, con l’esecuzione della Sonata n.7 in Re magg. Anche qui con un incredibile duttilità il Blechacz si è calato nel giusto spirito musicale, coerente con l’autore, dando una brillante esecuzione ancora prova della sua abilità tecnica che si realizza in un’originale interpretazione, a tratti estremamente toccante, come nel Largo, movimento che lascia presagire i futuri sviluppi della vena più poetica dell’allora giovane compositore di Bonn e col quale il pianista ha saputo veramente stregare la Sala Verdi, lasciandola immobile nel piacevole stupore alla sua conclusione, e a tratti estremamente energico e trasportante.
Ma l’apice della serata, come prevedibile, è arrivato dopo il primo intervallo: Chopin. La famosa prima Ballata, in sol min. I tempi di questa composizione, già di per sè complessa e virtuosa, sono stati accelerati dal pianista, rispetto alle solite esecuzioni del brano. Ciò nonostante la nitidezza e la precisione del suono non è mai venuta meno, la carica di nostalgia, mista ad eroismo dello Chopin più tipico si è incarnata alla perfezione nel pianista polacco, portandolo ad un’originale, oltre che perfetta, esecuzione. Piacevolissima anche la sua performance sulle due Polacche op.26, che fanno facilmente comprendere al pubblico come mai egli nel 2005 vinse, contestualmente all’ambito premio Chopin, anche numerosi premi speciali fra cui appunto quello per la miglior esecuzione delle mazurke e delle polacche.
Le mie scarse competenze in fatto di musica pianistica del Novecento non mi permettono di commentare adeguatamente l’ultimo brano del concerto, la Sonata n.1 di Szymanovski, che ha comunque anch’essa trascinato in un grande applauso finale la sala intera.
Un pianista del genere, che oltre alle qualità già elencate non è mai esuberante nei movimenti del corpo durante il concerto, accoglie con un sobrio e modesto inchino i calorosi applausi del pubblico, non cerca di colpire il pubblico con stravaganti atteggiamenti, bensì con la tecnica e con la vera e pura passione, avrebbe molto da insegnare al suo quasi coetaneo pagliaccio orientale (con tutto il rispetto per i clown), che in compenso è regolarmente invitato oltre che ad eseguire svariati concerti, a tenere “illuminate” lezioni ai giovani presso il Teatro alla Scala.
I giovani per appassionarsi al mondo pianistico, ovvero alla musica in generale, non hanno bisogno che il Lang Lang di turno, spacciato per bambino prodigio e sopravvalutato dai soliti giornalisti compiacenti, si presenti nella sala da concerto con delle Nike Air Max per potersi immedesimare in lui, hanno bisogno di esempi a cui ispirarsi, come Rafal Blechacz, che con passione e sincero amore per la musica rende bella la sua stessa essenza.
Napoleone Moriani
Ho sentito Blechacz diverse volte qui in Germania. Sottoscrivo tutta la recensione, in particolare la chiusa. Si tratta di un musicista di altissimo livello anche se poco mediatico.
Comunque ultimamente i concerti sono una vera consolazione per i melomani. Niente bonazze e fustacchioni con voci da ranocchie, niente registi scassac… e intellettualoidi, solo bella musica eseguita da gente professionalmente preparata.
Viva i concerti!
beh mozart fossero ancora bonazze,spesso nemmeno quello
Sottoscrivo. Bella recensione e giusto quello che dice anche mozart…