“Hommage an Giuditta Pasta” con Majella Cullagh e Claudia Mahnke, 18/03/12, Liederhalle, Stoccarda

Nell’ambito di un weekend belliniano, il 18 marzo la Staatsoper di Stoccarda ha organizzato un concerto di canto in omaggio all’Arte di Giuditta Pasta. I partecipanti sono stati il soprano Majella Cullagh, il mezzosoprano Claudia Mahnke e la Staatsorchester Stuttgart sotto la guida di Giuliano Carella. Il programma, costituito da arie e duetti dal repertorio della grande diva, alternava brani più celebri con quelli meno noti per un pubblico molto indirettamente e parzialmente avvezzo al belcanto come quello tedesco.

Prima di analizzare le prestazioni delle cantanti, due parole sul direttore e l’orchestra. Pur non trattandosi di un grande complesso, il suono dell’orchestra nella Mozartsaal della Liederhalle destinata di solito alla musica da camera è stato perennemente troppo forte. E’ evidente che un tal evento non poteva riunire un pubblico più numeroso di quello che ha appena riempito la Mozartsaal. Quindi, la possibilità di fare questo concerto nella grande Beethovensaal (dove ha avuto luogo la Missa solemnis recensita tre settimane fa) era escluso per ragioni pratiche.  Ma bisogna dire che è anche per colpa del direttore che all’orchestra non è stato impedito di creare un basilare disequilibrio tra complesso strumentale e cantanti. La direzione di Carella si è in genere dimostrata sistematicamente rigida nel trattamento della materia orchestrale, evidente soprattutto nell’accompagnamento secco ed aggressivo della Canzone del Salice dall’Otello rossiniano dove i diversi strumenti solistici non riuscivano a creare un ambiente di fluidità e d’intimità. Ci sono inoltre state parecchie inesattezze nella sintonia.

Di questo problematico accompagnamento orchestrale ha dovuto soffrire soprattutto il soprano Majella Cullagh che, pur essendoci sembrata in forma inimmaginabilmente migliore rispetto all’irrecensibile Maria di Rohan bergamasca, è spesso stata assolutamente inudibile sia a causa del volume dell’orchestra che dei sistematici difetti della sua vocalità, esemplarmente nel “Quelle tenere pupille” da Gli Orazi e i Curiazi di Cimarosa. La voce è priva di qualsiasi sonorità estroversa in specie al centro e nei gravi dove fa sentire solo suoni secchi ed ingolati. Nel centro-acuto e sui primi acuti la voce risulta piuttosto sonora se il soprano canta senza spingere, ma il suono rimane sempre tubato. Nelle numerose cadenze e puntature (sempre molto approssimative) verso gli estremi acuti il suono non prendeva mai un vero corpo e spesso spariva sotto la sonorità dell’orchestra o della voce della collega tedesca. L’intonazione era spesso molto incerta e “vagabonda”. In genere, il soprano ha le migliori intenzioni e volendosi affermare quale competente belcantista ha cercato di aggiungere cadenze, variazioni, di variare la dinamica delle frasi. Apprezzabile in questo senso i lungi piani e pianissimi che tenta pur con una voce intubata, specie in “Al dolce guidami”. Nel caso del “Miseri pargoletti” dalla Medea in Corinto è inoltre sicuramente un suo merito di aver coraggiosamente affrontato la versione più complessa (probabilmente quella eseguita dalla Colbran alla prima assoluta dell’opera) rispetto aq quella eseguita di solito (cf. le esecuzioni di Marisa Galvany, Leyla Gencer o Nadja Michael). Ma rimane il fatto che tutte queste intenzioni vengono alla fine realizzate con troppa approssimazione, e che i fondamenti della vocalità di Majella Cullagh sono assolutamente estranei a quello che si chiama (ancora) il belcanto. E le ragioni per questa estraneità sono come sempre non qualcosa che si sia misticamente rivelata ai soli grisini, ma esclusivamente e semplicemente materiali, penalizzando l’effettiva realizzazione delle pur molto “belcantistiche” intenzioni del soprano in questione.

Accanto a lei, una bella prova ci ha regalata Claudia Mahnke. Questo mezzosoprano tedesco mi aveva impressionato già due anni fa quale Oktavian in un bel Rosenkavalier all’Opera di Colonia. In carriera da almeno 15 anni, prima membro fisso dell’ensemble della Staatsoper di Stoccarda per 10 anni e adesso membro fisso dell’opera di Francoforte, Claudia Mahnke è forse la migliore cantante fra tutti gli artisti lirici contemporanei provenienti dai paesi germanofoni. Possiede uno strumento dall’emissione alta, morbida ed omogenea in tutti i registri; non emette mai un suono a caso; e può essere un’ottima musicista quando lo vuole. In realtà, la sua non è una voce da autentico mezzosoprano. In tutta la gamma la parte meno dotata è proprio il centro. O è un soprano corto o una voce ambigua come quella di Frederica von Stade. Non è per niente un Falcon, perché pur essendo molto luminosa e risonante in acuto, non ha un mezzo che sarebbe adatto ad una Valentine od una Eboli. I gravi sono ben timbrati, dotati di una risonanza molto estroversa e correttamente collegati alla parte superiore della voce.

Insomma, un miracolo?

No. Le prime esibizioni di Claudia Mahnke, ovvero “Il mio ben quando verrà” dalla Nina di Paisiello, “Ombra adorata” di Girolamo Crescentini composta per l’opera Giulietta e Romeo di Zingarelli, oppure il “Di tanti palpiti” del Tancredi e “Resta in pace” da Gli Orazi sono state penalizzate dall’assenza di un vero legato. L’unico elemento che ha garantito una stabile piacevolezza di queste esecuzioni è stata la qualità e facilità sonora della sua voce la cui ottima proiezione la proteggeva dalla totale sparizione sotto il suono quasi wagneriano del orchestra (pure in un semplice accompagnamento come quello dell’aria di Nina). Dubito che questa imperfezione dimostrata nella prima parte del concerto sia dovuta al fatto che la voce abbia messo tempo per “scaldarsi”, perché il legato ed un accento lacerante era presente già nel “Nessun maggior dolore” che precedeva la Canzone del Salice e che, assieme al ruolo di Emilia, è stata affidata alla cantante tedesca. Che nel suo caso questo difetto sia causato piuttosto da una scelta stilistica e da una generale mancanza di familiarità con la vocalità del Settecento napoletano o del Rossini classico (il che vuol anche dire l’assenza di persone competenti che le darebbero qualche utile consiglio) e non da un limite tecnico, si è affermato nei due ampi duetti romantici in chiusura del concerto, ossia quello di Anna Bolena e Giovanna Seymour e quello di Romeo e Giulietta da I Capuleti e i Montecchi di Bellini. Qui Claudia Mahnke ha sfogato un legato ornato da innumerevoli morbidissime smorzature e portato da un commovente slancio passionale, espressività e dinamica sempre giuste nel dire le frasi di una Seymour disperata o di un Romeo fervido, ed una coordinazione perfetta nella difficile stretta del duetto di Anna Bolena, da una parte, accentando solidamente e, d’altronde, piazzando, ad esempio, un’impressionante messa di voce nel centro-acuto durante la ripresa. Personalmente considero Claudia Mahnke la migliore Oktavian in attività oggi (con buona pace delle varie Koch e DiDonato e delle loro voci gonfiate e scurite). La sua Seymour (che ha già cantato a Francoforte) farebbe sembrare la Bolena di una Netrebko una prestazione dilettantesca (il ché non è sempre abbastanza evidente, quando accanto a lei cantano dive della mediocrità come la Garanca o la Gubanova). Non so se faccia Romeo in teatro (sono in genere poche le cose che si sanno di questa cantante), ma se lo facesse, non avrebbe molta concorrenza. Essendo apparentemente molto (forse troppo??) prudente e stilisticamente limitata nella scelta dei ruoli, accanto ai ruoli da mezzosoprano sintomaticamente sopranili, come Judith dal Barbablù, Brangaene, Komponist, Oktavian o la stessa Seymour, Frau Mahnke potrebbe anche essere una convincente Desdemona rossiniana od una Elena da La donna del lago, magari anche una Maria Stuarda. Possedendo una tecnica molto sana, ci sarebbe ancora tempo per lei di familiarizzarsi con questo repertorio. Ovviamente, se a qualcuno – soprattutto in Italia dove voci cosi ben messe, cosi “italiane” possono ancora essere valorizzate – viene in mente di farle l’offerta giusta e garantire un rete artistico che aiuterebbe al completo sviluppo delle capacità belcantistiche del (mezzo)soprano tedesco. Fino lì, il prossimo appuntamento importante è l’Adriano nel Rienzi a Madrid. Mi aspetto un’ennesima resa perlomeno professionale, il ché significa già molto per i nostri tempi magri.

 

 

Am 18. März fand im Mozartsaal der Liederhalle in Stuttgart ein der großen Giuditta Pasta gewidmetes Konzert statt, in dem die Sopranistin Majella Cullagh und die Mezzosopranistin Claudia Mahnke unter der Leitung von Giuliano Carella Arien und Duette aus dem Repetoire der legendären italienischen Diva vortrugen. Wir resümieren kurz die weniger beeindruckenden Aspekte des Konzerts um uns dann der Analyse des eigentlichen, positiven Elementes des Ereignisses zu widmen.

Es ist verständlich, dass man für ein solches Konzert mit keinem allzu großem Publikum rechnen durfte und deswegen ein volles Stimm- und Orchesterkonzert in einen eher der Kammermusik gewidmeten Saal verlegen musste. Dennoch erwies sich das Staatsorchester Stuttgart durchgehend als zu laut. Auch Giuliano Carella seinerseits hat wenig dafür getan, den Sound des (nicht allzu großen) Orchesters zu mäßigen, hat auch ansonsten ziemlich rigide dirigiert und konnte in gewissen Momenten nicht einmal das Orchester zusammenhalten.

Majella Cullagh zählt in gewissen Kreisen als eine Belcanto-„Spezialistin“ und die Vielfalt an Variationen und Kadenzen, die sie überall einzufügen sucht, sprechen auch von einer gewissen Kompetenz. Es ist aber das System ihrer Vokalität selber, das leider dem Belcanto völlig fremd bleibt. Die Stimme ist in allen Registern äußerst guttural und deswegen oft, auch wegen des Orchesters, schlicht unhörbar. Obwohl ihr hier und da einige solide Piani und Pianissimi gelingen, ist die Intonation nicht immer sicher und die Koloraturen und Kadenzen bleiben eher bemühte Absichten als mit belcantomäßiger Klarheit ausgeführte Verzierungen. Man muss aber zugeben, dass sie sich  in diesem Konzert in weitaus besserer Form präsentierte, als letztes Jahr in der in jeglicher Hinsicht peinlichen „Maria di Rohan“ von Donizetti in Bergamo.

Und nun kommen wir zum eigentlichen Punkt und Grund dieser deutschen Zusammenfassung: Claudia Mahnke.

Diese Sängerin hatte mich schon vor zwei Jahren als Oktavian in einem sehr schönen Rosenkavalier in Köln beeindruckt. Während ihrer mindestens 15-jährigen Karriere war sie festes und hochgeschätztes Mitglied der Staatsoper Stuttgart und ist jetzt Mitglied des Opernensembles in Frankfurt am Main. Es wäre nicht übertrieben zu sagen, dass Claudia Mahnke zurzeit die vielleicht beste Sängerin im deutschsprachigen Raum ist, was in erster Linie heißt: sie ist ein Profi. Sie besitzt eine „hoch“ angesetzte, weiche und völlig homogene Stimme, produziert keinen einzigen unwillkürlichen Ton und ist eine hervorragende, fesselnde Künstlerin, wenn sie sich voll engagiert. In Wirklichkeit ist sie kein authentischer Mezzosopran, sondern eher einer „kurzer“ Sopran oder eine zweideutige Stimme, wie die der Frederica von Stade. Gerade in der Mittellage scheint sie von Natur aus am Wenigsten gesegnet zu sein, aber im Gegensatz zu den ihr stimmlich ähnlichen Superstar-Kolleginnen, wie Joyce DiDonato oder Sophie Koch, singt Claudia Mahnke stets mit ihrer eigenen Stimme und greift zu keiner künstlichen Verdunkelung und tiefen Positionierung der Stimme, um sich als Mezzo geltend zu machen. Sie ist auch keine „Falcon“; auch wenn ihr oberes Register äußerst luminös und resonant ist, ist ihre Stimme überhaupt nicht für Rollen wie die Valentine der „Hugenotten“ oder die Eboli im „Don Carlo“ geeignet. Ihre Bruststimme ist gut timbriert, hat eine sehr extrovertierte Resonanz und ist generell sehr geschickt mit den übrigen der Stimm-Registern verbunden.

Das einzige große Problem ist eher stilistischer als technischer Natur. Die ersten Arien, die sie im Konzert gesungen hat, d.h. Paisiellos Nina, Crescentinis „Ombra adorata“, „Di tanti palpiti“ aus Tancredi und „Resta in pace“ aus Cimarosas Gli Orazi e i Curiazi weisen eine gewisse Stilfremdheit mit dem Neapelschen 17. Jahrhundert und der Rossini’schen Klassik auf. Es werden keine Variationen eingebettet, und was noch bedeutender ist, es wird keine echte Legatolinie produziert. Das, was diesen Nummern ihre professionelle Qualität verleiht, ist eher die ausgezeichnete Projektion, die gegenüber einem überlauten Orchester noch mehr an Wert gewinnt und deren einziger Grund in der Anwendung einer „hohen“ Stimmpositionierung und einer korrekten Atemtechnik ist. Es sind die letzten beiden großen romantischen Duette aus Donizettis „Anna Bolena“ und Bellinis „I Capuleti e i Montecchi“, wo Claudia Mahnke ihrem ganzen Talent freien Lauf lässt. Eine dynamisch und akustisch äußerst vielfältige Legatolinie, rührende (aber nie vulgäre) Leidenschaftlichkeit, immer ein richtiger Ausdruck für Seymours Verzweiflung oder für Romeos Liebesfieber, perfekte Koordination in der schwierigen Stretta des Duetts aus „Anna Bolena“, wo sie einerseits mit einem soliden „accento“ singt, andererseits aber noch genug Kraft und Können findet, um eine faszinierende messa di voce während der Wiederholung der Stretta zu produzieren.

Ich halte Claudia Mahnke für den momentan besten Oktavian. Ihre Seymour (die sie schon mal in Frankfurt gesungen hat) hätte einer Netrebko, der es in ihrer Mittelmäßigkeit zu leicht gemacht wird, wenn sie mit einer Garanca oder Gubanova duettieren muss, letztendlich den Stempel eines kompletten Belcanto-Dilettantismus aufgedrückt. Ich weiß nicht, ob sie im Theater Romeo singt, aber wenn sie das tun würde, hätte sie fast keine Konkurrenz. Sie scheint äußerst (vielleicht auch zu sehr) vorsichtig und stilistisch begrenzt in ihrer Rollenwahl zu sein. Neben den ausdrücklich eher sopranmäßigen Mezzo-Rollen, wie der Judith Bartoks, Brangäne, dem Komponisten, Oktavian oder auch Seymour, könnte Frau Mahnke auch eine überzeugende Desdemona von Rossini oder Elena in „La donna del lago“ desselben sein; warum auch nicht eine Maria Stuarda. Ihre Technik ist gesund genug, um ihr noch viel Zeit für eine bessere Bekanntschaft mit dem Belcanto-Fach und den entsprechenden stilistischen und technischen Anforderungen zu gönnen. Natürlich hängt Alles davon ab, ob jemand – besonders in Italien, wo so gut geführte, so „italienische“ Stimmen noch geschätzt werden– auf die Idee kommen wird, unserer Sängerin das Richtige anzubieten und ein künstlerisches Netzwerk aufzubauen, das ihr bei der Entwicklung ihrer Belcanto-Fähigkeiten verhelfen würde. Bis dahin warten wir gespannt auf das nächste wichtige Engagement, den Adriano in Rienzi, der bald in Madrid aufgeführt wird. Ich erwarte nichts Geringeres, als eine professionelle Leistung – was in unseren gesanglich äußerst mageren Zeiten schon viel ist.

 

Giovanni Paisiello

»IL MIO BEN QUANDO VERRÀ«

ARIE DER NINA AUS: NINA, O SIA LA PAZZA PER AMORE (1789)

 

Domenico Cimarosa

»ED A UN TAL PATTO SOLO … QUELLE PUPILLE TENERE«

REZITATIV UND ARIE DES CURIAZIO AUS: GLI ORAZI E I CURIAZI (1796)

 

Girolamo Crescentini

»OMBRA ADORATA, ASPETTA«

RONDO DES ROMEO FÜR NICOLA ZINGARELLIS GIULIETTA E ROMEO (1796)

 

Gioacchino Rossini

»NESSUN MAGGIOR DOLORE … ASSISA A PIè DʼUN SALICE«

CANZONE UND PREGHIERA DER DESDEMONA AUS: OTELLO (1816)

 

»TU CHE ACCENDI … DI TANTI PALPITI«

CAVATINA DES TANCREDI AUS: TANCREDI (1813)

 

Simon Mayr

»ISMENE, O CARA ISMENE … AH, CHE TENTO? … MISERI PARGOLETTI …«

SZENE UND RONDO DER MEDEA AUS: MEDEA IN CORINTO (1813)

 

Domenico Cimarosa

»RESTA IN PACE, IDOLO MIO«

ARIE DES CURIAZIO AUS: GLI ORAZI E I CURIAZI (1796)

 

Gaetano Donizetti

»DIO CHE MI VEDI IN CORE … SUL SUO CAPO AGGRAVI UN DIO«

SZENE UND DUETT DER ANNA UND GIOVANNA AUS: ANNA BOLENA (1830)

 

»PIANGETE VOI? … AL DOLCE GUIDAMI«

SZENE UND ARIA FINALE DER ANNA AUS: ANNA BOLENA (1830)

 

Vincenzo Bellini

»AH! MIA GIULIETTA! … SÌ, FUGGIRE … AH! CRUDEL, DʼONOR RAGIONI«

DUETT DES ROMEO UND DER GIULIETTA AUS: I CAPULETI E I MONTECCHI (1830)

 

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