Il 26 febbraio nella Liederhalle di Stoccarda ha avuto luogo l’esecuzione della Missa solemnis di Beethoven con la Radio-Sinfonieorchester Stuttgart des SWR ed il celebre coro della Gächinger Kantorei Stuttgart sotto la direzione del rinomato bachiano Helmuth Rilling. L’esecuzione è stata preceduta da un appello al pubblico da parte degli orchestrali a partecipare alla discussione pubblica circa – e protestare contro – i tagli che il nuovo governo del Land vorrebbe applicare al finanziamento delle sue orchestre. Appello salutato da una generale indignazione la cui sincerità e vigore per me è divenuta perfettamente comprensibile dopo l’esecuzione dal livello altissimo che i musicisti ci hanno regalato di uno dei pezzi più difficili e geniali in assoluto di tutta la letteratura musicale dell’Occidente. Pur essendo considerata una delle massime creazioni di Beethoven, fino ad oggi la Missa fatica a diventare un pezzo più popolare presso il pubblico ed uno spartito abbordato più spesso dai direttori d’orchestra e dai gruppi corali. Chiamata non per caso il “capolavoro straniato” (“verfremdetes Hauptwerk”, come scrive giustamente Adorno) od anche la “bizzarra sorella” della Nona Sinfonia, la Missa solemnis rappresenta già per sé un punto interrogativo in molti sensi. La sua creazione non risale ad una commissione da parte dei protettori di scrivere una messa né potrebbe avere per motivo la religiosità di Beethoven, una religiosità che infatti lui non aveva. La Missa solemnis si dimostra alla fine un gigantesco pezzo per coro, solisti ed orchestra che farebbe molta fatica a stare in un ufficio religioso sia per le sue dimensioni spaziali e temporali che per il pathos stranamente eretico o agnostico che irraggia dai passaggi più decisivi per la certezza della dottrina cristiana che ovviamente una messa dovrebbe trasmettere. Invece, Adorno nota che i momenti più tesi od ambigui della musica coincidono con i passaggi dove il testo attesta una fede irremovibile. E’ cosi che nel terzo movimento i gridi di “Credo! credo!” si moltiplicano e disperdono con un’isteria sempre crescente. La fine dell’Agnus Dei è non solo una domanda nel senso di una preghiera, ma anche una domanda, un vero punto interrogativo, una questione aperta che la Missa non vuole e non può chiudere. L’unico messaggio certo di Beethoven è una fede nell’umanità, nell’universalità sia del male e della sofferenza umani sia del profondissimo bisogno di pace. Irripetibile e strano per lo stile del tardo Beethoven è per giunta l’assenza della variazione sui temi musicali introdotti, la struttura della Missa risultando per questo piuttosto un continuo narrativo di materia sempre nuova che nel suo flusso aggressivo e qualche volta impersonale nella sua monumentalità vuole (consciamente od inconsciamente) rispondere ad una varietà di “idiomi” sacrali della tradizione musicale dell’Occidente, da Josquin Desprez fino a Bach e da Handel fino a Haydn e Mozart. Di qui, ad esempio, i vasti passaggi fugati soprattutto alla fine di Gloria e Credo. Quanto è problematico il messaggio religioso della Missa, tanto è complessa e spesso spinta al limite la sua organizzazione musicale che non raramente diventa la ragione dell’evasione di molti musicisti davanti a questo pezzo e lo rende “inadatto” non solo per la chiesa ma anche per la secolare sala di concerto. A causa dell’inaudita complessità concettuale e musicale è particolarmente arduo non fare dissolvere le gigantesche masse orchestrali e corali in una pasta indistinta e demagogica nel mero insistere sul lato orizzontale del pezzo senza lavorare sulla verticalità del suo intricato tessuto polifonico, trasformando la Missa solemnis in un’opera dal dubbio gusto religioso e musicale. In questo senso è ancora più apprezzabile l’approccio analitico e moderato di Rilling che è stato quello di un vero veterano bachiano le cui letture del Kantor di Lipsia si distinguevano, oltre che per la bellezza del suono, soprattutto per la chiarezza dell’esegesi del contrappunto. E’ stato letteralmente scioccante la naturalezza e facilità con cui Rilling ha fatto passare le mostruose fuge “In gloria Dei Patris” e “Et vitam venturi saeculi”, in specie la seconda toccando spesso, anche presso ai più grandi direttori, il limite dell’eseguibile. Il secondo grande pregio dell’esecuzione è stato lo stile molto contenuto che ha marcato i passaggi più enfatici della Missa, come la sezione centrale del Kyrie “Christe eleison” o il “Crucifixus”. Il perfetto equilibrio tra la tensione drammatica ed il fondamentale accademismo del complesso guidato da Rilling ha trovato un’esemplare culminazione nel Benedictus ed Agnus Dei. Impressionante la sintesi di tenebrosità, pienezza e trasparenza del suono degli archi nell’introduzione orchestrale che precede immediatamente il Benedictus dominato dal violino solo. Una menzione particolare va alla violinista Mila Georgieva la quale con il suo suono morbido, la purezza del legato ed il “fraseggio” molto eloquente e variato, senza mai cedere ai potenziali eccessi “tardo-romantici”, ha apportato un nuovo tocco di freschezza, di intimità e di autentica commozione dopo i pesanti corali delle precedenti tre parti della Missa. Massima coerenza e sobrietà da parte di Rilling anche nell’interludio bellico di Agnus Dei e nella gestione delle fervide preghiere per la pace da parte di coro e solisti. L’esperienza di un grande bachista di Rilling si dimostra anche nel modo in cui manipola il quartetto dei solisti, voci sostanzialmente “tedesche” per tecnica ed emissione, trasformate dal maestro in veri “strumenti”, al pari della caraterizzazione che ha dato Wagner della scrittura per le voci solistiche nella Missa. La migliore in campo è la solista della Staatsoper di Stoccarda, il soprano Simone Schneider che nonostante un’emissione abbastanza bassa e, di conseguenza, un legato non sempre facile, dimostra una certa saldezza nel suo sistema di canto e risulta sonora e precisa, seguendo con la massima spontaneità i salti dinamici che opera Rilling in specie alla fine del Gloria. L’esecuzione della coloratura essenzialmente di forza è forse la più precisa ed espressiva fra le interpretazioni del solo sopranile sentite negli ultimi anni. Garbata, ma spesso al limite dell’udibile il contralto Anke Vondung. Il tenore Dominik Wortig che ha sostituito l’ammalato Burkhard Fritz è stato l’anello più debole della catena solistica, con una voce bella di natura ma tutta indietro e, per conseguenza, poco sonoro in specie nella zona superiore. Il basso Ivan Garcia dimostra una notevole dote naturale da autentico basso, ma il canto è abbastanza grezzo e basato su nient’altro che la medesima generosa natura (temporanea). Per sintetizzare la reazione finale del pubblico: dopo gli ultimi accordi del travolgente appello di pace dell’Agnus Dei si è tenuto un lunghissimo silenzio totale – il miglior modo per rispecchiare che in quell’ora e mezza la musica era veramente andata, come soprascritto da Beethoven stesso nello spartito, “dal cuore al cuore”.
2 pensieri su “Beethoven: Missa solemnis – Rilling – Stuttgart 26.II.2012”
Lascia un commento
Devi essere connesso per pubblicare un commento.
Brava Judy, abbiamo assistito a una vera grande serata ed era giusto che anche tu ne parlassi!
Grazie e Complimenti per l’acuta analisi ! Rilling e’ fuori dallo star-system, e quindi un grandissimo musicista.Indimenticabile una sua esecuzione della Messa di Bach ad una Sagra Musicale Umbra,quando in Italia si poteva ancora ascoltare vera Musica.La Missa Solemnis e’ un vero rebus musicale : vedi le ultime ,enigmatiche battute. Klemperer le rendeva omogenee a quanto precedeva,offrendo una lettura granitica ed apodittica dell’intera partitura.Karajan ,al contrario, in una della sue ultime esibizioni berlinesi cui assistetti,fece precedere il finale da una lunga pausa,con continui rallentando .Mi sembrava un grande punto interrogativo che metteva in discussione quanto ascoltato prima , tanto che ebbi l’impressione di avere ascoltato una Grande Messa composta da un……ateo. Che sia proprio cosi ?