Elias è l’ultimo lavoro di grande respiro scritto da Mendelssohn. L’oratorio, progettato già nel 1836 – all’indomani del Paulus, l’altro grande affresco sinfonico-corale – venne composto nel 1846 per il Festival di Birmingham, un anno prima della morte dell’autore. La narrazione si ispira all’Antico Testamento e, più del prercedente Paulus, ricalca la grande tradizione luterana. La scelta della forma dell’oratorio sacro, in pieno romanticismo, non deve stupire: si deve proprio a Mendelssohn, infatti, la riscoperta delle opere corali di Bach, restituite dopo un lungo oblio a partire dalla prima esecuzione moderna della Passione secondo Matteo (in uno storico concerto dato a Berlino il 10 marzo del 1829), senza dimenticare le riscritture degli oratori handeliani per il Festival della Bassa Renania. Uomo di grande sensibilità musicale e cultura filosofica (frequentò i corsi di estetica di Hegel e affascinò il vecchio Goethe, presso cui fu introdotto da un amico comune), non si limitò a riprodurre la formula barocca dell’oratorio, ma la reinterpretò in chiave profondamente romantica. Il procedere di Mendelssohn – al contrario del modello handeliano – parte dal dettaglio della miniatura che si sviluppa sino ad occupare gli spazi di un’epopea smisurata: non è mera grandiosità barocca (come il Messiah), ma una più complessa operazione di conquista. Per realizzare tutto questo l’autore si dà dei confini ben precisi nel testo e nel linguaggio: l’Antico Testamento (i due Libri dei Re) e il corale luterano. Su di essi sviluppa una struttura drammatica complessa e musicalmente eclettica che richiama stili e suggestioni passate, tradotte nelle più impegnative forme del sinfonismo classico attraverso lo studio del dettaglio orchestrale e la progressiva espansione e fusione del singolo episodio nell’architettura generalmente compresa e sviluppata per stratificazioni. Spesso – proprio considerando i lavori sinfonici corali – Mendelssohn venne tacciato di eccessivo passatismo, fraintendendo il suo “culto del passato” con semplice manierismo reazionario. In realtà esso è l’incarnazione più pura del “sentire romantico”, analogamente alle riscoperte dell’antichità e del medioevo gotico di Friedrich e di Schinkel in cui il “recupero” non è mai distaccato dalla consapevolezza del tempo trascorso (il gusto per la rovina e per le antiche vestigia) e dell’accumulo storico-culturale, gettando così una sfumatura di malinconico abbandono che innerva l’esteriore perfezione delle forme. Tutta la carriera di Mendelssohn è testimone di questa ambivalenza: la felicità esteriore di forme perfette e apolinee accanto all’improvvisa apertura ad abissi di nostalgia lacerante (a volte colti in piccoli dettagli, in sfumature che disegnano un’ombra in un quadro che – a prima vista – parrebbe illuminato dal sole più limpido): in tal senso si ascoltino le ouverture da concerto (Die Hebriden, Ein Sommernachtstraum, Meerstille un glückliche Fahrt). Ben presto, oltre alle accuse di ecclettismo, si aggiunsero gli attacchi più o meno sprezzanti dell’antisemitismo emergente in Europa: dalle infami parole di Wagner (la cui umana bassezza non può essere riscattata neppure dal suo genio) sino alle più violente reazioni della Germania nazionalsocialista (dove la musica di Mendelssohn venne bandita e la sua memoria distrutta). Compositore in parte sottovalutato, dunque, e costretto a pochi lavori sinfonici, ma guardato con un certo sospetto per la presunta ingenuità così lontana dall’immagine letteraria della vulgata romantica. Un plauso, dunque, va tributato all’Auditorium di Milano che – nell’ambito della sua eccellente stagione di concerti – ha offerto la possibilità dell’ascolto integrale di Elias (opera che, nonostante il successo e la fama, in Italia è frequentata molto raramente). Alla guida della sempre ottima Orchestra Verdi (davvero ammirevole nell’esecuzione di una partitura dalle così vaste proporzioni e che richiede sia la compattezza degli insiemi sia la precisione dei solisti) il veterano Helmuth Rilling che Mendelssohn ha frequentato e frequenta assiduamente. Rilling – che non a caso è specialista nella musica di Bach (ha fondato nel 1981 l’Internationale Bachakademie di Stoccarda e ha inciso la monumentale edizione dell’opera omnia dell’autore) – impone un’esecuzione serrata e severa, ma ricchissima di sfumature e screziata di quella malinconia romantica che è cifra fondamentale della musica di Mendelssohn. Nella concertazione di Rilling gli episodi si susseguono senza soluzione di continuità: corali, recitativi, arie, pezzi d’insieme che inchiodano l’ascoltatore senza dargli respiro (nessun applauso tra un numero e l’altro disturba l’esecuzione musicale) in una tensione che sfocia nei grandi finali della prima e della seconda parte. Un risultato del genere si ottiene solo con un profondo lavoro comune, una fatica quotidiana di prove e studio per costruire un’identità di suono: merito della professionalità dell’orchestra (e dei suoi solisti a cominciare dal primo violino di Luca Santaniello) e dell’impegno del coro (preparato con cura da Erina Gambarini, alle prese con una partitura complessa e faticosa). Molto buoni i solisti, a cominciare dallo straordinario baritono Markus Eiche (che cantava le parti di Elia): il recitativo con cui si apre la partitura è un misto di solennità e morbidezza. Eiche accentua ogni sfumatura rendendo le valenze drammatiche del testo, cesellando ogni parola evitando ogni leziosità intellettualistica. La linea vocale è calda, sicura e ben proiettata, l’uso del legato perfetto, in un’interpretazione che cresce nel corso dello spettacolo e che ha il suo picco nella splendida aria con violoncello obbligato nella seconda parte. Qualche problema in più l’ha mostrato il tenore Dominic Wortig in alcuni passaggi scomodi in acuto, ma ha mantenuto comunque un’ottima prestazione. Buona anche Kismara Pessatti, contralto solido e dalla voce corposa. Qualche difficoltà, invece, per il soprano Simone Easthope per volume e registro acuto (in particolare quando si è trovata a cantare dalla balconata dell’auditorium in un effetto non particolarmente riuscito di “musica distante” a rappresentare un fanciullo in cima ad una torre). Al termine applausi e chiamate continue per direttore e solisti. Un successo pieno che fa piacere e che conferma – come già ho scritto – che a Milano vi sono molti luoghi dove ascoltare ottima musica, a parte la Scala.
4 pensieri su “Elias di Mendelssohn: uno spettacolo da ricordare!”
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Duprez, se ti interessa aggiungo che Rilling lo scorso novembre ha ricevuto l’ Herbert von Karajan Preis, assegnatogli dalla Fondazione del Festspielhaus di Baden Baden. Le stagioni della Bachakademie sono uno dei punti salienti della vita musicale qui a Stoccarda. Il 25 febbraio il Maestro dirigerà la Missa Solemnis di Beethoven e in marzo la Messa in si minore di Bach durante la Bachwoche, una rassegna che ogni anno, a cavallo dell’ anniversario bachiano del 22 marzo, propone una settimana di eventi dedicati a un lavoro del repertorio corale del compositore, con seminari, conferenze e Gesprächskonzerte, una specie di prove aperte nelle quali Rilling illustra le varie parti dell’ opera e poi le esegue. La serata finale è dedicata all’ esecuzione completa del lavoro scelto. Una splendida iniziativa, che io seguo da anni regolarmente.
Non sempre Wagner l’ha pensata così su Mendelssohn. Ci sono testimonianze sui suoi ultimi anni, durante i quali Wagner citava Mendelssohn comne esempio di straordinaria musica romantica, penetrata di poesia e misura. Del resto, l’inizio dell’Ouverture “Die schoene Melusine” è citato alla lettera da Wagner al principio del “Rheingold”. Il “Giudaismo in musica” è da inserire nel più grande fenomeno dell’antisemitismo ottocentesco e non merita gli si dia troppa importanza. Per quanto riguarda l’immagine esclusivamente apollinea di Mendelssohn, è tramandata da tempo e nessuno più la ripropone seriamente da molti anni.
Marco Ninci
Marco Ninci
Che si sia ispirato a Mendelssohn e Meyerbeer non c’è alcun dubbio (solo i wagneriani più fanatici sostengono, ancora, che Wagner spuntò dal nulla nella storia del mondo per offrirci la “musica dell’avvenire”), ma questo rende ancora più esecrabile il suo aderire ad un antisemitismo che non fu fisiologico nell’800, ma patologico e foriero di sviluppi drammatici.
L’emancipazione di Mendelssohn da una visione apollinea e rassicurante è conquista abbastanza recente, comunque nel mio rapido excursus mi riferivo alla generale percezione dell’autore.
Non dimenticate l’amore di Wagner per le opere da Bellini a Verdi…
Non è nemmeno nato stto un cavolo.
Mi sono SEMPRE chiesto perchè la grande Scala (o Scalà) non toccasse mai questo repertorio sinfonico stupendo e meraviglioso.