Nessun applauso alla fine del primo atto. Imbarazzo generale. Facce da funerale degli appassionati della Scala che però l’iniziativa di applaudire non l’hanno presa. Pochi applausi dopo le più bieche strombazzate al finale secondo (quello del trionfo) un battibecco platea – loggione, e differenti opinioni in loggione al principio del terzo atto. Aspetto questo più stimolante della serata. Ancora anoressici applausi alla fine del terzo atto. Qualche timida approvazione dopo la scena del giudizio e tre uscite finali due delle quali quelle con il signor Omer Wellber salutata da fischi.
Questa la cronaca relativa all’Aida della Scala, che riproponeva, un poco riveduto e corretto l’allestimento di Zeffirelli de Nobili del 1963. Diremo, poi, che questo è il solo motivo, soprattutto per gli under 40, di sprecare la serata nel “massimo teatro milanese”.
Potremmo anche fare una classifica con recensione in due o tre parole dedicate a ciascuno degli interpreti. Tanto non ne merita di più questa produzione scaligera.
Ma questa ripresa di Aida dimostra come chi dovrebbe programmare ed allestire sia incapace di adempiere l’incarico professionale conferitogli. E sarebbe questo il vero destinatario di riprovazioni da parte del pubblico e rimozione da parte degli organi a ciò preposti.
Basta pensare che dopo le pesanti e costanti contestazioni di Pagliacci e Tosca la dirigenza scaligera irrispettosa del pubblico, indifferente ed incurante ha Oksana Dyka nel ruolo di Aida.
Per farla breve la cantante regge cantando solo forte e mezzo forte il primo atto, comincia a mostrare segni di cedimento alla seconda parte del duetto con Amneris, intensifica timbro sgradevole e inesistente controllo della voce al concertato del trionfo e si trascina dal terzo atto ( in pratica da quando Aida comincia veramente ad essere protagonista della serata ) sino alla fine. Nel dettaglio la prima invocazione ai numi il cantabile “numi pietà” non realizza l’indicazione ‘con espressione’ perché la cantante è di una piattezza desolante e dal fa4 in poi compaiono suoni acidi e mal fermi. In buona sostanza sono suoni di una cantante che non sa da che parte si metta la voce perché basta una frasetta insignificante come “o patria mia” alla scena del terzo atto, frasetta che però ha il torto di stare tutta fra il do 4 ed il fa4 per sentire che ogni singola nota non sta “in alto”, “in maschera” come dovrebbe. Con questa incapacità tecnica di base è ovvio che sia impossibile eseguire il dolcissimo sul si bem di “immortale amore” alla scena finale o la smorzatura, sempre sul sibem, del successivo “volano al raggio” ( lo faceva senza sforzo alcuno persino Maria Caniglia) tenere per le battute previste il do dei cieli azzurri (con un disastro fra solista ed orchestra, che prova come il direttore non sappia neppur battere la solfa) emettere timbrati e sonori i la che compaiono alla chiusa dell’aria dei cieli azzurri e non combinar pasticci con il si nat previsto con “diminuendo ed allargando” durante l’ensemble che succede all’ingresso di Amonasro e prigionieri etiopi. Quando, preparando queste brevi note si scorrano superficialmente i segni di espressione di cui Verdi dissemina la parte e si corre con la mente all’esecuzione della Dyka la sensazione è di una insuperabile inadeguatezza.
Caratteristica che con la protagonista condivide l’amoroso guerriero Radames. Voce timbro e peso specifico da Des Grieux al massimo, presenza scenica da Nemorino. Difficoltà a reggere la scrittura nei passi più marcatamente centrali ( vedi Radames che entra nella tomba), nessuno squillo nei luoghi dove Radames deve squillare ovvero l’invocazione conclusiva della scena del tempio di Vulcano “immenso Fthà”, il “sacerdote io resto a te”, tanto meno estasi amorosa e legato al duetto d’amore coronato da un “ciel dei nostri amori” da principiante. Da tempo abbiamo smesso di pretendere il sol in pp come prescritto da Verdi, ma si tratta di un sol ovvero del primo acuto e quanto meno non deve essere simile al raglio di un asino.
Tralasciamo per entrambi la goffa recitazione: al duetto d’amore sembravano due anziani coniugi in occasione delle nozze di diamante.
Davanti a questa coppia di amorosi la Amneris di Marianne Cornetti, anch’essa attrice molto censurabile poteva anche passare, tanto è vero che la scena del giudizio ha ricevuto persino un tiepido applauso. E con l’andazzo della serata ricordato in apertura …. Ma questa Amneris di fatto canta su quattro o cinque note ossia dal do centrale al la acuto. Sotto il do centrale non esiste. E’ vero che la cantante è un soprano, ma un poco più di ampiezza in prima ottava è irrinunciabile pena una Amneris che non si sente al primo terzetto (personalmente ho anche dubitato che cantasse), che manca di autorità vocale e della verdiana enfasi sulla frase “di mia man ricevi o duce”, che suona al duetto con Aida più dolce e morbida (ci vuole poco) della rivale, ma che manca l’appuntamento della “figlia dei faraoni” , del “del tuo destino arbitra son” o del “ se pugnar tu puoi con me”, che chiamano in causa la zona medio grave della voce. Non che in alto al di là della dote naturale le cose vadano meglio perché i si bem sono ballanti e gli inserti amorosi di Amneris “ ah vieni amor”, che cadono sul sol acuto, dovrebbero –condizionale d’obbligo- essere eseguiti legati alla frase successiva.
Il detto milanese “mal tra insema” ben si adatta all’Amonasro di Dobber, nessun legato, suoni ululanti e fischianti alla scena d’entrata nonché al Ramfis di Giacomo Prestia, che naturalmente bercia il fa di folgore e morte e non esprime la gelida autorevolezza del sommo sacerdote.
Il legato per la cronaca fa ampio difetto anche al fiore della scuola di perfezionamento scaligera signorina Pretty Yende.
E veniamo al vero buco della serata ed alla cagione dei battibecchi all’inizio del terzo atto. Il maestro era già stato miseramente riprovato come direttore di Tosca l’anno passato dove anche nei momenti più travolgenti e passionali era risultato insignificante ed impreciso. In Aida c’è anche la difficoltà di concertare e collegare palco, solisti, coro e banda sul palco al trionfo.
Incidenti come quello occorso davanti al fiato corto (prevedibilissimo) della Dyka dopo il do dei cieli azzurri, o dopo il si nat del concertato sono la prova che il direttore non dispone di quella minima pratica che ogni palcoscenico, non solo quello scaligero, impone. Se aggiungiamo che per tutta la serata sono state “servite” due sole sonorità ovvero un generico mezzo forte slentato alternato a clangori orchestrali (trionfo, chiusa del terzo atto, chiusa della scena del giudizio) e la più assoluta mancanza di colori (il preludio e l’introduzione di Aida al terzo atto erano l’esemplificazione dell’orchestra – organetto) siamo davanti ad un quadro più che fallimentare. Giusti, ma troppo pochi i buu, che hanno salutato le due ripeto due uscite del direttore.
Ma sul piatto c’è anche da mettere il suono dell’orchestra ed il suo stato di abbandono sempre più evidente , salvo che sul podio non compaia un certo direttore, che siamo accusati di prediligere. E’ vero che i fuori tempo, l’incapacità di riprendere un cantante, la piattezza dinamica sono i limiti gravissimi del direttore, ma dall’altro vanno anche pesati sciattezza ed imprecisione, scadente qualità di suono della compagine del massimo teatro scaligero. Che tale situazione sia una protesta dell’orchestra verso imposti e scadenti direttori, o i limiti della stessa è un guaio – grosso- che non riguarda certo il pubblico, che non è tenuto né a giustificare, né a perdonare, né, tanto meno, a stare a casa, come una agghindata madama ier sera all’uscita consigliava ad uno dei buatori. Alla signora consiglio, per parte mia, l’ascolto di buone registrazioni e l’acquisto di prodotti per il cerume!
A parte l’allestimento. Un giovanissimo spettatore diceva “questa è Aida” perché nell’immaginario collettivo le scene descrittive e realistiche, palmizi presepiali, cavalli veri, colori sgargianti, movimenti di massa sono AIDA. Poi possiamo anche divertirci ad osservare che talune corpulente coriste erano vestite come le contadinelle ciociare dei più zeffirelliani Te deum, che l’abito di Radames richiamava le dalmatiche dei santi Gervaso e Protaso dei mosaici della cappella di San Vittore in Ciel d’oro, mentre quello di Ramfis era la copia della pianeta di Sant’Ambrogio sul civico golfalone e che le scale talune pericolosamente sghembe ( tempio di Vulcano) richiamavano le riviste della Wanda nazionale e che la demagogia ha imposto bolliane natiche nell’assolo del trionfo, ma questo prodotto che viene da tempi lontani per incanto funzionava.
Al posto di Stéphane io comincerei seriamente a meditare. Se quel prodotto funziona e i miei cantanti spettacoli di regie e cappotti naufragano non posso sempre e solo dire che è il pubblico ignorante e primitivo……
E’ vero, signor sovrintendente, il pubblico va anche educato ed istradato, ma non deriso e soprattutto imbrogliato dall’alto di una rendita di posizione.
46 pensieri su “Aida in Scala e le pretese eccellenze.”
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Uno spettacolo indecente, punto e fine. Anche il coro (soprattutto la sezione maschile) ha messo a segno nel trionfo due o tre svarioni mica da ridere… Ai tempi di Muti si censuravano (e giustamente) i quaranta giorni di prove, ma ieri sera sembrava non avessero fatto neppure un assieme. Complimenti agli “artisti”, ma soprattutto a chi li ha scelti e a chi li difende nonostante l’impietosa evidenza.
Giustamente?! Se si vuole fare davvero MUSICA è indispensabile provare per svariate settimane.
Anche secondo me le prove non sono mai abbastanza: degli spettacoli mutiani si può criticare molto, ma nulla era fuori posto e nulla era lasciato all’improvvisazione.
Rivoglio RICCARDO, e se anche fosse Chailly mi accontento.
Ho visto il Macbeth a Roma, che meraviglia, se lo confronto con questa Aida…….
Riccardo ritorna!!!!!!
Quaranta giorni sono un eccesso anche per un Profeta. Integrale.
Forse…a volte, però, non sono sufficienti. Comunque con 40 giorni di prove l’orchestra di Muti suonava come uno strumento solo (poteva piacere o no) e di sbavature non ce n’erano. Insomma, tra i due eccessi preferisco quello di Muti
Il peggior direttore, il peggior soprano, il peggior tenore che mi siano mai capitati di sentire in un Aida. Un livello imbarazzante, da non crederci che sia possibile un tale scempio alla Scala.
Tra la canea vocale e la direzione di Omer Black & Decker, raccomandato di ferro capace solo di pestare e frusciare a perfetta vicenda, c’ è ben poco da sviscerare ulteriormente.
Davvero uno spettacolo sciatto per i cantanti (Des Grieux ? forse il ruolo giusto per il tenore di ieri era l’Araldo) e la direzione d’orchestra. Riesumazione storica inutile che ha dimostrato che Zeffirelli nel 2006 non fece che dare una spolverata allo spettacolo di 40 anni prima e nulla più.
Scusa Marco, ma non concordo per niente. Questo spettacolo mi è parso tutto tranne che uguale alla orrida, pacchiana e superficiale produzione 2006, un’Aida presa dall’Arena di Verona e riadattata alla benemeglio per la Scala.Credo che sia stata di gran lunga la peggior produzione di Zeffirelli, ambientata in un Egitto “semi-fantasy” davvero poco credibile (nel II atto non ho neanche capito dove fossimo, con quella tremenda testa mozza faraonica in pietra che galleggiava sopra il palco…=. Trovo l’allestimento del 63 molto più magico e fine ed anzi, mi ha stupito perchè finalmente era qualcosa di diverso dalla solita” Aida Zeffirelliana”. Andrò a vederla il 23, tutto ciò che ti ho detto l’ho fatto confrontando l’archivio fotografico della scala.
Comunque la voce di quel pazzo che difendeva l’ indifendibile direttore correva di più ed era meglio proiettata di quelle dei cantanti, almeno stando all’ ascolto radiofonico…
io che ho visto e sentito quella del 1963 con Price Bergonzi Cossotto e Ghiaurov……..potete immaginare
l’ unica cosa che i melomani che ancora qualcosa sentono e riescono ad intendere possono auspicare di fronte a questo costosissimo carrozzone poco efficiente e artisticamente in disarmo sono le dimissioni della coppia Lissner Baremboim.
Concordo in pieno…li odio.
Scusate signori, solo un’osservazione: ieri sera ero in teatro e posso condividere gran parte delle critiche qui fatte alla compagnia di canto. Ho ascoltato la mia prima Aida alla Scala nel 1976, questo stesso allestimento con Caballè e Bergonzi. Oggi il materiale vocale disponibile sul mercato è quello ascoltato ieri sera. Cosa dovremmo fare? Non rappresentare più Aida alla Scala e precludere a qualche giovane (diciamo under 40) che potrebbe appassionarsi al melodramma di assistere a una recita dal vivo e accontentarsi delle incisioni? Non sono d’accordo, questo è quello che passa il convento e, come si dice a Milano, piuttosto che niente, è meglio piuttosto. Ogni cantante è figlio del suo tempo, e se questi sono tempi grami, verranno tempi migliori. Fermare il tempo, purtroppo o per fortuna, non si può.
Francamente non credo affatto che quel che abbiamo ascoltato ieri fosse il “meglio disponibile”, e neppure il “più decente” o il “meno peggio”… Neppure è questione di fermare il tempo o abbandonarsi a nostalgia di età dell’oro: ieri era solo una pessima rappresentazione. Farci sopra filosofie sarebbe disonesto. Bisognerebbe solo aver il coraggio di ammetterlo senza trovare giustificazioni. Era una pena. Punto.
Già nel secondo cast la Liudmyla Monastyrska dovrebbe essere molto meglio della Dyka.
Concordo con Olivia e non solo:
Hui He sarebbe stata dignitosissima come Aida, ad esempio!
Una Irina Makarova sarebbe stata la scelta semplicemente GIUSTA per Amneris! Oppure la Zajick, che non sarà di primo pelo, ma conosce il ruolo anche rivoltato!
Non sono d’accordo sull’accontentarsi del “piuttosto”! Vangelo troppo facile e a rischio giustificazioni! 😉
Se non si hanno i cantanti per Aida, si mette in scena un’altra opera, ma tra un’Aida allestita in maniera così oscena che fa soffrire e nulla, preferisco nulla! 😉
Marianne
Mi dicono che la He sia impegnata fino all’infintio (o, forse, come col nucleare, conoscendo la Scala la evita :-D) ma concordo che il secondo cast, soprano in testa, potrebbe riservare esiti migliori. Lo stesso, qui spesso vituperato, Ambrogio Maestri è di gran lunga preferibile a quell’improponibile, mediocre e grigio Amonasro.
Su Jorge De Leon, per amor di Patria (cioè la Spagna) dico solo che a Valencia cantò assai meglio: certo è un po’ (molto per voi che siete dei raffinatissimi 😉 ) grezzo, ma la voce io cliel’ho sentita con squillo e bella proiezione, oltre che in Radames (il 29.12.2011 al Teatre de les Arts) anche in BUTTERFLY in quel di Tenerife e, sinceramente, penso che sia un elemento da seguire. Magari da non far cantare in Scala e massime in quella compagnia.
Di Omer non dico nulla che già avete scritto di lui di tutto e di più. Aggiungo solo che pare sia di una presunzione pari solo alla sua impreparazione.
Saluti
….non ne sarei certa……mica era bella l’aida di londra…..
Concordo: il coraggio di ammetterlo da parte di TUTTI!
Abendstern, due cosucce piccole piccole. La prima: di fronte a spettacoli indegni nessuno si appassiona all’Opera. Pensare che recentemente ascoltata una registrazione del Viaggio di Rossini credevo fosse una roba becera. Consigliato tra queste pagine ho scoperto un gioiello che ancora oggi ha da dire tantissimo. Avrei tranquillamente bollato quelle pagine rossiniane come monnezza, pensa un po’.
Sì, accontentarsi delle incisioni piuttosto che dei disastri, assolutamente sì. Ogni cantante sarà anche figlio del suo tempo, ma prima di essere figlio di qualche tempo deve essere un cantante. Che pratica il Canto. Che è uno. Che non è più su quelle assi di Milano. Se ne facciano una ragione tutti quanti e volessero cambiare direzione (non ultima una politica prezzi scellerata e diciamolo con sincerità, inetta inutile e stupida) forse forse qualche giovane si avvicinerebbe anche.
In ultimo la chiusura, dice il saggio: se non hai i mezzi per rappresentare un repertorio, cercane un altro.
Carissimo,Le confesso che quando ho iniziato a frequentare questo blog la pensavo anche io così, ma poi ci ho riflettuto. Io, dato che molti le hanno già esposto i “motivi artistici”, le voglio porre in questione quelli economici, senza nessuna presunzione: vorrei sottolineare (è da cafoni, lo so) che io pagavo 7000 erotti euro per il mio abbonamento all’opera (quando lo avevo), ed ora pago 224 euro a biglietto. Dato che i costi della Scala non sono di certo bassi, con quello che pago (si dice anche così a Milano) mi aspetto un livello se non altro decente, e mi dispiace, ma quello di ieri sera non lo era.
Io la prenderei a ridere!
Voglio dire: l’Aida della Dyka, il Radames di Jorge de Leon, la Amneris della Cornetti, l’Amonasro di Dobber, la direzione di Wellber, l’orchestra scaligera di ieri sera sono non solo grotteschi, ma RIDICOLI!
Questo vomitevole, pachidermico, disastro ha tirato fuori il meglio quanto a battute dei nostri lettori raccolti in chat che mi hanno fatto passare 4 ore e 10 con il sorriso sulle labbra!
Leggere le “recensioni” dei “gridazzari” scaligeri, e non solo loro anche altre, che difendono non si sa bene su quali basi il povero Wellber, meno di un battisolfa, dando la colpa all’orchestra “boicottatrice” (terrificante la performance d’accordo, ma il direttore che ci sta a fare?), fino ad evocare fantasmi “neonazistifascistirazzisti”, che fanno comodo ovvio e vengono anche accettati, sono non solo patetici, viscidi e schifosi, ma appunto RIDICOLI!
Quei tre minuti finali di applausi “anoressici” dell’ untuosa claque scaligera peggiorati dai due deliranti figuri che hanno applaudito il nulla a teatro vuoto e a palco chiuso, sono quanto di più RIDICOLO possa accadere dopo una performance, ripeto, vomitevole.
La Scala ogni spettacolo che fa costruisce un gradino verso il nulla musicale e culturale, che si vuole difendere ad ogni costo, ed anche questo è RIDICOLO!
😀 Grazie per le grasse risate a ridosso del Carnevale!
Marianne
Infatti Marianne, la colpa del fiasco è tutta dei nazisti dell’ Illinois.
“Io li odio i nazisti dell’ Illinois” (cit. John Belushi in The Blues Brothers)
Io, francamente, non capisco come si possa stare quattro e un quarto a sentire una porcheria, oltretutto, ed è questo che è grave, col sorriso sulle labbra. Io, dopo la prima scena del primo atto, ho spento e sono andato ad ascoltare il primo atto della “Goetterdaemmerung” diretto da Knappertsbusch.
Marco Ninci
E hai fatto benissimo, ma un po’ di curiosità l’avevo…
Ah ma se fossi venuto di la in chat ti saresti divertito un mondo come noi! Altro che serata sprecata 😀
Attenta Marianne, o La Nanny ti manda a letto senza dessert!
Su Operaclich Danilo Boaretto recensisce l’Aida scaligera in modo molto molto benevolo, ora, posto che il confronto di opinioni e’ sempre auspicabile,non sarebbe utile usare strumenti di analisi un po’ piu’ seri ? sostenere che la contestazione abbia innalzato il livello artistico degli ultimi 2 atti mi sembra peregrino e non vero. Ma forse sbaglio…
Certi “house organ” hanno davvero la vocazione della società di mutuo soccorso. E qui mi fermo!
Aveva ragione il grande Josè Mourinho, mai abbastanza rimpianto, quando alludeva a certe disdicevoli pratiche, che finiscono con lo svilire il senso stesso della professione giornalistica e mediatica in senso lato. (nota di Tamburini: “Mozart, cerchiamo di moderare i termini. Grazie”)
Il direttore sarà stato pure un povero ragazzino sbattuto su un podio che non gli compete, ma l’orchestra del “più importante teatro italiano” che non è in grado di eseguire la marcia trionfale dell’Aida senza stonare si commenta da se. Hanno cacciato Muti, questi sono i risultati. Fra poco il repertorio italiano lo eseguiranno meglio persino i Pomeriggi Musicali.
Pare che ” l’esperto di voci” del Teatro alla Scala si stupisse perchè ieri sera il pubblico non applaudiva!!! Ci fa o ci è?
Alla Scala hanno un “esperto di voci” ?????
Perdindirindina e dove si è diplomato questo signore, forse per corrispondenza, sentiti i risultati?
Pare in Grecia!!! Senza ironia , visto il momento storico che la stupenda terra dei Miti sta passando, si spiegherebbero molte cose. …
Sentiti gli ultimi 15 minuti su Radio3 e:
– Aida (Oksana Dyka): intonazione che oscillava tra una seconda ed una terza, legato inesistente, fiato ogni sillaba, lingua cantata incomprensibile – forse antico egitto;
– Radamess (Jorge de Leon): voce alla Domingo col timbro più bello, ha lasciato la laringe in qualche acuto che dire fisso e spinto era dire poco;
– Ramfis (Giacomo Prestia): voce che si è sentita molto poco;
– direttore (Omer Meir Wellber): lento lento lento – opera iniziata alle 19.40 e finita alle 23.40
I cantanti sono usciti tutti insieme per non beccarsi una sonora buata a ciascuno. In compenso hanno preso dei buuu collettivi ed un “Vergogna!” sonorissimo.
Volevo, poi aggiungere un cosina sul fatto di prediligere un direttore: io voglio rispondere dando a chi ce lo rimprovera quello che non si aspetterebbe mai: ebbene si, per quanto mi riguarda preferisco di gran lunga Harding a Wellber e siccome sono un essere umano anche io, ho le mie preferenze. Che c’è di male???? Poi, scusate, provate a dirmi che Wellber è meglio di Harding…boh….
Ma tutti prediligono un interprete o alcuni interpreti a scapito di altri. Chi è che non ha preferenze? Non capisco assolutamente il significato di questa discussione. Oppure dietro c’è l’annosa questione dell’oggettività di giudizio? Per cui si dovrebbe preferire un interprete dopo averne valutato oggettivamente le caratteristiche e, sempre in maniera oggettiva, scegliere il migliore? La preferenza di cui parla Stefix sarebbe invece qualcosa di non oggettivo, un qualcosa che Stefix si sente in diritto di possedere. Ma voglio rassicurare Stefix; questo diritto è universale e informa di sé la maggior parte dei giudizi. Tante volte, non voglio dire il più delle volte, il giudizio non è che una razionalizzazione a posteriori di una sensazione, di un’impressione, di una comunanza esistenziale, di un racconto di vita; insomma di cose la cui estensione va ben al di là della sfera strettamente musicale. Per cui, sempre entro certi limiti, l’oggettività di giudizio è veramente un mito.
Marco Ninci
Se ti sente Ratzinger….
La prossima volta che andrò in cantiere dirò al manovale che la quantità di ferri per fare un pilastro o un solaio è una cosa soggettiva e che fare calcoli non serve niente: calcolare i ferri in questi elementi costruttivi non è una cosa universale perché nel corso del tempo la normativa è cambiata sempre, ma quantomeno ogni periodo storica ha una normativa a cui rifarsi.
Il canto è tecnicamente valutabile ed è proprio grazie alla tecnica che si può avere un giudizio il meno possibile soggettivo, ovviamente a chi ne capisce e sa interpretare. Non è mica soggettivo che Dyka stoni (quando le note son ben precise), respiri ad ogni frase (basta sentirla e vedere le legature nello spartito), che nelle sue scale ascendenti in acuto la sua voce oscilli di una seconda-terza …
Così come non è che ci voglia molto a vedere se un direttore è bravo o meno: si apra lo spartito di Aida e si veda cosa un direttore fa o interpreta di quello che Verdi ha scritto o meno (peraltro non c’è nemmeno la giustificazione di assenza di segni espressivi in Verdi, in quanto scriveva quasi tutto!).
Secondo me, da prevenuti non si comprende che il punto della discussione non è l’oggettività (che non esiste) ma la correttezza di una esecuzione!
Correttezza che può piacere o meno (gusti!), ma il meno soggettivamente possibile si può dire che almeno è corretta! Questo è quello che ai giorni d’oggi serve: la correttezza, non l’oggettività universale che (ripetiamo tutti sempre) non esiste!
E, in effetti, io non ho parlato di correttezza. Ho parlato di giudizio complessivo, che è qualcosa di diverso dalla correttezza. La tirata di Misterpapageno, come sempre, sbaglia obiettivo. La sua capacità di leggere un testo e di capirlo non mi dà proprio l’impressione dell’infinito. E poi, la bravura di un direttore. Le indicazioni dinamiche e agogiche si possono interpretare in tanti di quei modi che, altrimenti da quanto sbrigativamente pensa il Nostro, un giudizio non è poi così semplice; testimonianza non mia, ma di un nome di un certo livello, Herbert von Karajan.
Marco Ninci
Aiuto, Nanny si è arrabbiata! Tutti a letto senza dessert (e senza Knappertbusch)
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Ho assistito allo scempio dell’Aida perpetrato dal direttore Omer Meir Wellber, tempi slentati o fracassoni, nessuna coerenza, una minuzia di dettagli senza visone di assieme, una barbarie.
Il cast mutava dalla prima rappresentazione per il ruolo di Aida, qui interpretata da Liudmyla Monastyrska. Avevo aspettative sulla sua performance, mi attendevo l’ascolto di una “voce importante” ma anche di un’interprete e sono rimasta piuttosto delusa : la voce c’è e si sente ma non è bella, il gusto…non c’è. Il suo modo di cantare mi ricorda la Netrebko, centrali scuriti e gonfiati, bassi senza corpo, acuti spinti o strillati e sempre da sotto. Pur essendo, a mio avviso, molto meglio della Dyka che ascoltai nella diretta radiofonica, ha fornito una prova alterna : piuttosto male nei primi due atti e poi via via migliorando, la voce non è dura e la cantante nel 3° e 4° atto è riuscita ad alleggerire, a fare pianissimi e messe di voce. Alla fine dello spettacolo, per lei qualche “buh” proveniente dal loggione, francamente inspiegabile, visto i calorosi applausi che avevano accolto tutti ed in modo particolare lo stonato tenore. Del resto del cast è stato già detto e condivido.
Il pubblico era da “spettacolo ricordo” : flash di telefonini e macchine fotografiche si sono ripetuti decine di volte durante il primo atto, negli intervalli poi, era come sulle passerelle del festival di Cannes! tanto da costringere il teatro a fare un annuncio per vietarne l’uso nel primo intervallo; è inutile informare come, a fine di ogni atto, l’applauso scrosciasse sempre prima del termine della musica .
Il rispolvero delle belle ed evocative scene della de Nobili non basta a camuffare il mero intento commerciale di questa produzione così lontana, in tutti i sensi, da intenti culturali.