Verdi Edission: La battaglia di Legnano

Un fatto reale è che “La battaglia di Legnano” sia un’opera effettivamente minore del catalogo verdiano: per carità, ci sono pagine piacevoli o arie e duetti di fattura se non raffinata, sicuramente pregevoli, ma non risolvono i problemi drammaturgici di un libretto interessante, ma che tratta malamente la materia politica, i caratteri principali e li fonde superficialmente con la Storia senza preoccuparsi di comprendere quanto il fatto storico sia il propellente necessario a far esplodere i sentimenti del terzetto portante, preferendo, al contrario, una più banale consuetudine di tipi operistici già rodati.
Anche Verdi ovviamente ci mette del suo puntando tutto sul versante patriottico, sulla stringatezza, sull’azione, sullo scatenare una consapevole rivolta nel pubblico, ma senza andare fino in fondo nel continuo rimando a “Nabucco”, “Lombardi”, “Ernani”, Rossini e Grand Opéra francese, ogni riferimento risolto in maniera convenzionale e senza una unità stilistica decisiva per rendere almeno credibile il contesto.

In fondo potremmo definire “La battaglia di Legnano” un’ “opera di propaganda”, la risposta politica di Verdi alla delicatissima e sanguinosa situazione italiana della fine degli anni ’40 dell’ottocento; ed è un dramma nato proprio da quel fervore patriottico che ha colto un artista come il nostro compositore, momentaneamente a Parigi, di fronte alla sua Italia, ancora smembrata e occupata dagli invasori d’oltralpe: basti pensare alle quattro giornate di Milano; alla Repubblica romana; allo scontro catastrofico tra le truppe piemontesi di Carlo Alberto di Savoia e quelle del generale Radetzky nel “Quadrilatero” (Verona, Mantova, Peschiera del Garda, Legnago) a cui seguirono le vicende di Custoza, l’armistizio di Salasco ed il ritorno di Milano nelle mani degli austriaci.
Verdi, si rendeva conto, doveva contribuire alla causa patriottica: firmò prima una petizione che sollecitasse il generale francese Cavagnac ad intervenire con le sue truppe e risolvesse la questione italiana, ma l’uomo era impegnato a sedare i disordini di Luglio; successivamente si rivolse a Mazzini e su suo suggerimento compose un corale, un inno da cantare durante la battaglia su parole di Mameli: nacque “Suoni la tromba” che le truppe intonavano durante gli assalti.
Successivamente si rivolse a Cammarano (il più accondiscendente Piave aveva con orgoglio deciso di arruolarsi), perché accarezzato dall’idea di un soggetto che infiammasse il cuore dei suoi connazionali, che li portasse a ribellarsi nel confronti dell’invasore attraverso una nuova coscienza della patria, come “Nabucco”, “Lombardi” o i cori dell’ “Ernani” avevano già fatto in precedenza.
Cammarano, in accordo col compositore, iniziò a ridurre il “Cola di Rienzo” di Bulwer-Lytton (uno dei testi che Wagner utilizzerà per il libretto del proprio “Rienzi”), ma senza successo in quanto la trama poco si prestava ad un soggetto patriottico, il finale risultava pesante e poco pratico nella gestione e la storia d’amore era inconsistente e priva d’interesse così lasciata sullo sfondo.
Più facile risultò l’utilizzo di un soggetto ambientato nell’Italia Medioevale del 1175 in cui l’invasore era il Barbarossa e la Lega lombarda potè coprirsi di gloria sconfiggendolo, basando il libretto su “La battaille de Toulon” di Joseph Méry (1828), di soggetto rivoluzionario-napoleonico però, da cui prendere in prestito il  triangolo amoroso facilmente adattabile alla fiera Milano del Carroccio (lui, lei sposati e l’altro creduto morto, ma che torna dalle battaglie napoleoniche più vivo che pria e ancora innamorato) e, su consiglio di Verdi, “L’assedio di Firenze” un romanzo di Guerrazzi che molto aveva appassionato il compositore per il risvolto politico.

Aveva tra l’altro a disposizione un terzetto di importanti cantanti come Gaetano Fraschini, il tenore delle maledizioni, dotato di declamato poderoso e già grandioso interprete di Donizetti, Pacini, Mercadante; il baritono Filippo Colini, elegante cantante a suo agio sia nel repertorio buffo rossiniano e donizettiano, sia nei ruoli più aspri e drammatici; l’agguerrito soprano Teresa di Giuli-Borsi adusa a ruoli massacranti e potenti come Abigaille o Norma, alternati a eroine più romantiche e dalla scrittura virtuosistica.
Proprio per esaltare l’accento del Fraschini e la delicatezza della de Giuli-Borsi, Cammarano scrisse appositamente una grandiosa scena di confronto tra Arrigo e Lida in cui far duellare le rispettive bravure; ma non fu il solo suggerimento che il librettista fece nei confronti del compositore: altri furono la struttura del finale dell’atto III°, ad esempio, con il terzetto e le voci dei Cavalieri della morte; la scena della lettura della lettera, la cui tensione si sprigiona dal sommesso tremore degli archi che l’accompagna; tutta la scena della morte di Arrigo privo della banda sullo sfondo e mutata in qualcosa di celebrativo; alcuni piccoli accorgimenti drammaturgici-musicali per rendere meglio il personaggio di Lida attraverso i recitativi e la cantilena alternata al coro dei frati del IV atto; tutta la scena della toccante benedizione al figlioletto da parte di Rolando.
Anche Verdi aggiunse del suo per esaltare la stringatezza, l’azione e la novità unendo ad esempio in un unico afflato il cantabile di Rolando con la cabaletta successiva; ampliò la scena col Barbarossa; preferì sostituire i versi del duetto Rolando-Lida in nome della crescente tensione tra i due.
Il Teatro Argentina di Roma ottenne l’onore di ospitare la prima dell’opera il 5 Febbraio del 1949 in piena stagione di Carnevale, proprio mentre Pio IX fuggiva a Gaeta e la capitale diventava momentaneamente Repubblica.
“La battaglia di Legnano” fu un lavoro che divise profondamente pubblico e critica: se il primo tributò un caloroso successo giungendo a chiedere il bis dell’ intero IV° atto, la seconda la bocciò senza appello soprattutto, notarono, non reggeva il paragone nei confronti delle altre opere  patriottiche dello stesso Verdi, né tantomeno davanti alle opere francesi e rossiniane da cui il compositore aveva tratto ispirazione.
Girò pochissimo, anche perché la censura ne cambio il titolo in “L’assedio di Calais” e le cifre astronomiche pretese da Verdi la affossarono del tutto e a nulla valse il successo della riproposta ben 11 anni dopo in quel di Parma, col titolo “La disfatta degli austriaci”, dove si richiese il bis di quel IV° atto che tanta sensazione aveva creato alla prima o le recite parigine col titolo “Pour la Patrie”.
L’opera insomma non piacque.
Eppure Verdi pensò e ripensò a lungo ad un “remake” della sua creatura, pratica che sfrutterà non poche volte nella sua carriera, perché ne riconosceva la bontà dei contenuti musicali, soprattutto alla luce del successo di “Rigoletto”, “Trovatore” e “Traviata” che lo aveva portato ad una nuova maturazione stilistica.
Si affidò al poeta Leone Bardare consigliandogli di aggiornare l’ambientazione alla Spagna e di riscrivere totalmente il personaggio di Lida, forse la protagonista più debole sia musicalmente che drammaturgicamente dell’opera e che a Verdi proprio non piaceva; eppure non si arrivò mai ad un libretto definitivo ed entrambi preferirono abbandonare il progetto.
E se Verdi avesse creduto di più nella sua opera e fosse andato fino in fondo con le sue citazioni dalle opere francesi e rossiniane trasformando “La battaglia di Legnano” in un Grand Opéra?
E se Verdi si fosse fidato più del suo istinto di musicista e compositore, lasciando perdere richiami, rimandi e citazioni, invece del suo istinto patriottico?
E se Verdi avesse avuto a disposizione il Piave invece di Cammarano anche solo per il rifacimento dell’opera?

 

Non è dunque, “La battaglia di Legnano” un’opera originalissima, ma possiede alcune pagine di sicuro fascino che brillano soprattutto per l’asciuttezza compositiva e per la ricerca di innovazione, che a Verdi mai mancò:
pensiamo alla sinfonia che apre l’opera, paragonata alla prima a quella del “Nabucco”, ma più spoglia e priva di quell’entusiasmo dell’illustre predecessore, in cui riecheggia il tema della Lega fusa e bilanciata con temi marziali (alcuni critici vi ravvisarono addirittura le note variate della “Marsigliese” come esempio rivoluzionario da seguire e inno della libertà!); o ancora alla cavatina di Arrigo introdotta da un brillante corale in odore di marcia, che si trasforma in un andante teso e ricco di malia; se la romanza di Rolando, su un allegro più convenzionale non aggiunge nulla di nuovo soprattutto per la poca caratterizzazione della melodia, le cose vanno peggio nel “Giuramento”, che già allora piacque poco, con i suoi insistiti rimandi al Rossini del finale I del “Mosè” di cui però non riuscì ad eguagliare la forza innovativa e l’effetto grandioso.
Torniamo al Grand Opéra francese nella scena seguente: conosciamo il personaggio di Lida la quale si presenta con un’aria soavissima e piena di dolcezza accompagnata dal clarino a cui segue una cabaletta dall’inedito effetto emozionale in quanto il soprano canta in piano la sua felicità onde mascherare i suoi sentimenti agli astanti, mentre l’orchestra, dominata dagli ottoni, si lascia andare “mostrandoci” tutti i passionalissimi contrasti interiori della donna.
Torna prepotente Rossini nel duetto successivo tra Lida e Arrigo: anche qui il contrasto è d’obbligo sia per esaltare la declamazione del furore di Arrigo-Fraschini, sia per esaltare la dolcezza insita nella voce della de Giuli-Borsi-Lida fino a rendere la scrittura completamente esacerbata nella stretta conclusiva anche, se non giunge al parossismo drammatico che Verdi si era prefissato o alla raffinatezza rossiniana a cui il compositore ambisce.

Il II° atto è l’atto “virile”, privo com’è di coro femminile e Lida è totalmente assente: qui il patriottismo diventa enfatico, pomposo, inutilmente altisonante, praticamente volgare, riscattato, poco, dalla stretta finale in cui i critici sgomenti pensarono di ravvisare certi effetti di “Bianca e Faliero”.
Con il IV° atto torniamo in Francia: l’accompagnamento con il quale giungono i Cavalieri della morte è tutto giocato sui volumi degli archi, degli ottoni e dei fiati per poter tradurre in musica la favolosa grandiosità dei guerrieri e l’oscurità dei sotterranei di S.Ambrogio; al contrario il giuramento di Arrigo si trasforma in una copia più inconsistente e fragile di “Ernani” e del “Guglielmo Tell”,
Il ritorno di Lida e di Rolando, nella scena che segue, è la scusa che Verdi sfrutta a tutto vantaggio della tensione emotiva e musicale, per esaltare la declamazione mista a disperazione della de Giuli-Borsi ed il gusto per il cantabile dal sapore spontiniano del Colini adagiato sul morbidissimo effetto creato dal tremolo degli archi, dei fiati e dell’arpeggio orchestrale. Se l’ultima scena non ha quel peso drammatico che ci si aspetterebbe, il IV° atto ne riscatta la pochezza, attraverso un uso più scaltro dei contrasti e delle raffinatezze, aperto dalla geniale preghiera di Lida che si snoda sorretta dall’accompagnamento dell’ organo e dalle risposte esterne dei frati, e seguito prima dall’inno di vittoria, che richiama la sinfonia iniziale, ma in maniera convenzionale e successivamente dal finale reso nobile dalla mancanza della banda e concepito come un corteo funebre di rara nobiltà in cui il patriottismo non diventa un tronfio esercizio di stile, ma viva e sincera commozione.

 

Sinfonia – Vittorio Gui (1959)

Atto I – Egli vive!

Viva Italia! Un sacro pattoCoro del Teatro Comunale di Firenze, dir. Vittorio Gui (1959)

O magnanima e prima….La pia materna mano
Gastone Limarilli, dir. Vittorio Gui (1959), Franco Corelli, dir. Gianandrea Gavazzeni (1961), Giuseppe Morino, dir. Massimo de Bernart (1998)

Amico!…Ciel! Non deliro!…Ah! M’abbraccia…Tutti giuriam
Gastone Limarilli, Giuseppe Taddei, Ugo Novelli, Angelo Frati, dir. Vittorio Gui (1959)

Plaude all’arrivo…Voi lo diceste, amiche…Quante volte come un dono…A frenarti, o cor Leyla Gencer, Olga Carossi, Giorgio Giorgetti, dir, Vittorio Gui (1959), June Anderson, dir. Theo Alcantara (1984), Fiorenza Cedolins, Giovanna Beretta, Giuseppe Altomare, dir. Patrick Fournillier (1999)

Sposa…E’ ver? Sei d’altri?
Giuseppe Taddei, Giacomo Limarilli & Leyla Gencer, dir. Vittorio Gui (1959), Ettore Bastianini, Franco Corelli & Antonietta Stella, dir. Gianandrea Gavazzeni (1961)

Atto II – Barbarossa!

Udiste?…Ben vi scorgo…A che smarriti e pallidiAntonio Zerbini, Ettore Bastianini, Franco Corelli, Marco Stefanoni, dir. Gianandrea Gavazzeni (1961)

Atto III – L’Infamia!

Fra queste dense tenebre…Giuriam d’Italia Gastone Limarilli, Alberto Lotti-Camici, dir Vittorio Gui (1959)

Lida, Lida, ove corri?…Digli ch’è sangue italicoElena Barcis, Luisa Maragliano, Giuseppe Taddei, dir. Vittorio Gui (1969), Vera Magrini, Rita Orlandi-Malaspina, Mario Sereni, dir. Maurizio Rinaldi (1973)

Tu m’appellasti…Se al nuovo dì pugnando…Ah! Scellerate alme d’infernoGiuseppe Taddei, Gastone Limarilli, Giorgio Giorgetti, dir. Vittorio Gui (1959), Mario Sereni, Gianfranco Cecchele, Giuseppe Morresi, dir. Maurizio Rinaldi (1973)

Regna la notte ancor…Ah! d’un consorte, o perfidi…Vendetta d’un momento Franco Corelli, Antonietta Stella, Ettore Bastianini, dir. Gianandrea Gavazzeni (1961)

Atto IV – Morire per la patria!

Deus meus…Sei certa dunque?…O tu che desti il fulmine Olga Carossi, Leyla Gencer, dir. Vittorio Gui (1959)

Qui…qui presso il trofeo…Per la salvata ItaliaFranco Corelli, Antonietta Stella, Ettore Bastianini, dir. Gianandrea Gavazzeni (1961)

8 pensieri su “Verdi Edission: La battaglia di Legnano

  1. Scusate se mi discosto molto dal parere di Marianne sul valore dell’opera, ma io l’ho trovata inaspettatamente molto bella (aggettivo un po’ banale, ma efficace) e interessante. Sto studiando da un paio di mesi il ruolo del baritono e devo dire che moltissime pagine sono di altissimo valore musicale, specie se paragonate a sue opere precedenti come Nabucco: se è vero che il primo allegro “ah m’abbraccia” è un po’ convenzionale, già la stretta del giuramento anticipa chiaramente Rigoletto, nella fattispecie la scena di Monterone “o tu che la festa audace hai turbato”, con una progressione cromatica estremamente efficace. Ma tra le pagine che più mi hanno colpito c’è tutta la scena col Barbarossa, armonicamente molto più articolata e interessante di molti altri concertati Verdiani. Il III atto poi è un capolavoro, con lo struggente duetto “Digli ch’è sangue italico”, melodia baritonale tra le più belle del primo Verdi, seguita dall’aria “se al nuovo di”, non meno bella, mantenendo il paragone con Nabucco, di un “Dio di giuda”, e dalla cabaletta “ah scellerate alme d’inferno”, che nn cade nella volgarità e banalità di molte cabalette scritte prima e dopo dallo stesso Verdi (penso a “o prodi miei” che rischia veramente di sembrare un pezzo per banda). IL terzetto seguente conclude degnamente l’atto con una drammaticità anch’essa mai volgare.
    In generale ho trovato un Verdi molto più maturo ed elegante di quanto mi aspettassi, e veramente sia io che mia moglie, che è anche la mia pianista ripassatrice, stentiamo a capire perchè quest’opera non abbia goduto di maggior fama.

  2. “Cammarano, in accordo col compositore, iniziò a ridurre il “Cola di Rienzo” di Bulwer-Lytton (uno dei testi che Wagner utilizzerà per il libretto del proprio “Rienzi”), ma senza successo”

    Ciò mi persuade ancora di più della superiorità di Wagner non solo come compositore e musicista, ma anche come librettista……

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