Nella presente puntata vi proponiamo due soprani che debuttarono entrambi all’inizio del Novecento e furono strettamente legati al repertorio francese. Mentre nel caso di Berthe César abbiamo una scena di St. Sulpice incisa nel 1911 all’apice della carriera, quella di Maggie Teyte proviene da una rappresentazione radiofonica di Manon in lingua inglese, diffusa dalla BBC nel 1938, quando il grande soprano inglese aveva già cinquant’anni.
La César non ha né la sensualità né il fraseggio incisivo di una Vallin, ma è vocalmente tra le interpreti più composte, con una linea di canto molto omogenea. Possiede inoltre un gusto di grande rifinitezza, che si esprime nell’uso sempre misurato ed espressivamente adeguato dei portamenti nelle frasi legate, dei rallentandi (“Rappelle-toi”) e del canto accentato (“Ah, rends-moi ton amour”). La sua solida preparazione tecnica viene manifestata anche dal rispetto per la maggioranza degli innumerevoli segni di espressione presenti nello spartito. Nel complesso, la figura della seduttrice dall’irresistibile erotismo rimane assente dall’interpretazione leggermente matronale della César. Da parte sua anche il canto appassionato e dolente del tenore Leon Campagnola contribuisce a dare risalto ad una certa freddezza teatrale che domina la Manon della César, ma ciononostante il suo canto risulta intrinsecamente molto differenziato. La ripresa di “N’est-ce plus main”, dove sia il rinforzato accompagnamento orchestrale che la logica drammaturgica richiedono un canto più spinto ed accentato, vede la César avvicinarsi, soprattutto nel registro acuto, al limite vocale del suo strumento. Sul Si bemolle dell’ultimo “Je t’aime!” che la César tiene sul forte con Campagnola, è ancora una volta il tenore a sovrastarla sia per la lunghezza della nota sia per forza espressiva.
Rispetto alle seduttrici dell’ultima puntata, anche la Manon di Maggie Teyte risulta piuttosto limitata per l’espressività. In questo caso il limite è triplice: Innanzitutto, l’età avanzata del soprano inglese che nella radiodiffusione si esibisce con una voce ancora salda e dal timbro giovanile, anche se leggermente fragile soprattutto in acuto. In secondo luogo, è la voce fin troppo leggera che potrebbe fare capire per quali motivi la carriera operistica della Teyte non sia stata “facile” e continua e perché i più grandi successi si siano realizzati in sede di recital o negli studi discografici, in cui il soprano eseguiva in modo esemplare les mélodies francesi, diventando un’interprete di assoluto riferimento per questo genere cameristico. Eppure, questa analisi non può che essere una speculazione visto che il soprano frequentava anche il ruolo della Butterfly che, pure approcciato con una strategia da lirico-leggero, richiede comunque una resistenza ed un’ampiezza che la Teyte avrebbe potuto sostenere solo grazie ad una solidissima tecnica. Bisogna notare come la Butterfly sia stata una vera eccezione fra ruoli come Zerlina, Blondchen od Euridice.
Il terzo limite dei risultati della Manon in questione è linguistico. La traduzione inglese del libretto si percepisce come l’intrusione di un corpo estraneo nell’armonico flusso dove parola e musica sono come due lati di un elegante gesto manuale. L’assenza della lingua originale è tanto più deplorabile in quanto il soprano inglese, “melodista” di vocazione, possedeva un’intuizione singolare nel trattare la lingua francese che, come già affermato dalla divina Selma Kurz, è la pietra di paragone nel repertorio operistico francese.
O per scelta deliberata o per necessità imposta dall’età, l’accento della Manon di Maggie Teyte rimane molto simile al sistema espressivo che adopera nell’interpretazione delle mélodies. Il gioco fra piano e forte è ridotto al minimo; tutta la lunga sequenza di “N’est-ce plus ma main” è nella maggior parte risolta con l’applicazione di un etereo canto piano e pianissimo. Si ascoltino i pianissimi sostenuti prima sul Fa4 (“…que cette main presse”/”that your hand is pressing”), poi sul Sol4 (“…plus une caresse”/”…that you loved caressing”), poi sul La4 (“…pour toi pleins de charme”/””…charm you”).
Il Des Grieux di Heddle Nash, voce calda e morbida, personaggio rassegnato (“J’avais écrit…”) e vulnerabile (“Leave me alone”) che man mano diventa sempre più appassionato, sembra esigere in fondo una Manon più energica ed intensiva per sensualità, ed è anche questo contesto espressivo creato dal tenore che pone un limite all’interpretazione della Teyte. Pur essendo testimonianza di una tecnica vocale sanissima a cinquant’anni, questa registrazione avrebbe sicuramente ottenuto maggiore valore se l’opera fosse stata eseguita in francese. Così magari anche la fusione dello stile cameristico della Teyte con il linguaggio massenetiano avrebbe prodotto un effetto più ricco dal punto di vista semantico. Come già sottolineato dalla collega Kurz, la nazionalità ed il repertorio di un cantante non sono per forza legati. Precisamente il caso dell’anglofona Teyte dimostra che esistono cantanti per cui l’esecuzione dei repertori stranieri nella loro madrelingua può in realtà essere più un ostacolo che un vantaggio.
Gli ascolti
Massenet – Manon
Atto III
Toi! Vous!…N’est-ce plus ma main
Berthe César & Leon Campagnola – 1911
Maggie Teyte & Heddle Nash – 1938