La stagione 2011 dell’Orchestra Mozart, la compagine sorta sette anni fa in seno alla bolognese Regia Accademia Filarmonica, si avvia a conclusione con due serate (il 20 novembre all’Auditorium di Roma e il 23 al felsineo Manzoni) dedicate all’arte russa e al teatro di Shakespeare. Organico per l’occasione “irrobustito” dalla presenza dell’Orchestra e del Coro dell’Accademia di Santa Cecilia, e programma adeguatamente sontuoso, incentrato sull’incontro fra la musica di Tchaikovsky e Shostakovich, le suggestioni del Bardo e il cinema di Grigorij Kozincev.
La serata si apre con la fantasia sinfonica “La tempesta” op. 18 di Tchaikovsky. La frammentarietà, i violenti contrasti e i repentini cambiamenti di atmosfera che caratterizzano questa pagina sono esaltati dalla direzione di Abbado, che asseconda il gusto sovraccarico e vagamente pompier della musica proponendo un suono al tempo stesso brillante e corposo, a tratti persino eccessivo nel suo turgore (il tema tradizionalmente associato all’apparizione dell’isola perde in malia quello che guadagna in spettacolarità) ma che stordisce e avvince, anche per merito degli eccellenti interventi solistici (in particolare nella sezione dei fiati). La presenza dell’Orchestra di Santa Cecilia (che peraltro condivide con la Mozart diverse prime parti, dal clarinetto di Alessandro Carbonare al corno di Alessio Allegrini) sembra giovare alla compagine bolognese, che perde la compostezza vagamente inamidata di certe esecuzioni recenti (penso ai Brandeburghesi o al ciclo pergolesiano di recente pubblicazione su cd) per ritrovare il fuoco di prove quali l’Ouverture “Egmont” che segnò, nel 2004, il debutto assoluto dell’Orchestra.
Di impatto persino maggiore la seconda parte del concerto, in cui Abbado propone una suite, da lui stesso assemblata, di pagine tratte dalle opere 58a e 137 di Shostakovich. Le composizioni, risalenti al 1940-1 e al 1970, comprendono rispettivamente le musiche di scena per un allestimento teatrale del “Re Lear” diretto da Kozincev e il commento sonoro a una produzione cinematografica, con la regia dello stesso Kozincev. L’esecuzione è accompagnata dalla proiezione di scene tratte dal film (una settantina di minuti su due ore complessive di pellicola), in cui il sonoro originale (debitamente sottotitolato) a volte sovrasta la musica, più spesso funge da debole contrappunto e non di rado tace, cedendo completamente il posto all’orchestra. La suite, già proposta con i Berliner Philharmoniker (2002) e la Mahler Chamber Orchestra (2003), offre momenti di grande suggestione, complice la perfetta simbiosi fra la lettura “barbarica” e antieroica proposta dal regista e il commento musicale, scabro e di volta in volta ironico e grottesco, che assegna un ruolo fondamentale alla figura del giullare, destinatario di ben otto interventi solistici.
E qui arriviamo alle “dolenti note” della serata, perché il suono dell’orchestra e del coro, pur notevolmente ruvido e deliberatamente aspro, non riesce a soffocare del tutto le urla afonoidi e i muggiti di Anatoli Kotscherga e quel che resta della voce, ormai di schietto soprano leggero, di Anna Caterina Antonacci. Due cantanti che per inciso si possono considerare fra i “fedelissimi” del direttore milanese (lo provano, non per ultime, le rispettive discografie) e sono una testimonianza, l’ennesima, del rapporto controverso che molte bacchette, anche grandi e grandissime, intrattengono con i rudimenti dell’arte canora. È pur vero che la parte, molto limitata nel caso dell’Antonacci (la Canzone di Cordelia, unico brano affrontato nel corso della serata, dura una manciata di secondi) e non certo improba per la voce maschile, aiuta a contenere i danni, ma il contrasto fra la prestazione dei cantanti e quella degli altri musicisti coinvolti (molti dei quali affiancano al lavoro in orchestra una carriera solistica) induce alle più cupe riflessioni in proposito.
La serata fa parte di un ciclo, intitolato “L’orchestra Mozart incontra il cinema russo”, che si completerà nella prossima primavera con due appuntamenti al San Carlo di Napoli, dedicati a Prokofiev ed Eisenstein (“Ivan il Terribile” e “Alexander Nevsky”), prima della conclusione al Teatro Farnese di Parma, in cui sarà ripreso il programma del concerto di Bologna, integrato dal “Te Deum” verdiano (una nota di colore locale, ça va sans dire). Confermata per Parma la presenza di Kotscherga, mentre la solista, tanto a Napoli quanto al Farnese, sarà la specialista di musica barocca Sara Mingardo. Negli anni Settanta Claudio Abbado reclutava per l’”Alexander Nevsky” Lucia Valentini o Elena Obraztsova. Ma i tempi, come si sa, cambiano. Nel caso specifico, non in meglio.