Sorella radio.Semiramide al Teatro San Carlo: cronaca di una morte annunciata.

Il San Carlo di Napoli ha inaugurato ieri sera la sua stagione 2011-12 con la Semiramide di Rossini, in una produzione che attendeva al suo debutto quale protagonista il mezzosoprano Sonia Ganassi. Correva l’estate 2003 e Pesaro stava per allestire la sua nuova produzione del titolo affidata a D. Kaegi, protagonista la coppia Takova – Barcellona, quando per la prima volta apparve sulle pagine dello speciale dedicato ai festival estivi “L’Opera”, in chiusa ad un articolo dedicato alla vocalità di Semiramide,  il nome del mezzo reggiano quale auspicabile interprete del ruolo. Tralasciando l’insinuazione insita nell’interrogativa retorica conclusiva circa la protagonista che stava per esibirsi al ROF, “Adesso Semiramide torna. Con le carte in regola per risolvere i problemi rimasti sul tappeto?” quel dotto articolo era tutto teso a concludere che solo una voce di mezzosoprano, dalla voce brunita, potesse incarnare appieno la vocalità della Regina di Babilonia.
“La voce della Colbran doveva essere di sapore di contralto non profondo, o per dirla in gergo moderno, di mezzosoprano. Ma non alla maniera della seconda metà dell’Ottocento e della prima metà del Novecento, cioè carnoso e potente per eseguire Verdi, Ponchielli, Bizet, Mascagni e Cilea. Piu’ castigato, neoclassico, contenuto, per via anche del diverso sapore delle orchestre e, dunque, di un altro modo di intendere il concetto di potenza. Però aveva sapore di contralto che il linfatismo dei lirico leggeri no ebbe. In epoca moderna il piu’ autorevole esempio di recupero di questo genere di vocalità è stato offerto dalla Callas nella parte di Armida…”
Esatto, la Callas, il cui esempio incrollabile e gigantesco di una Armida straordinaria, forte solo del suo eccezionale canto senza alcun bisogno di stampelle filologiche di sorta è ancora lì a dimostrare che quando si canta con le carte in regola e un bagaglio tecnico ed interpretativo di fuoriclasse, l’artista non ha bisogno di Virgili filologici, panegiristi e p.r di sorta perché si afferma in forza del suo canto ( strepitoso!). La Callas il cui esempio basta a rendere vane ed inutili le asserzioni sul mezzosoprano dal colore brunito, perché discende da una teoria di cantanti, dalla Lehmann, alla Russ, alla Boninsegna, alla Raisa che non furono Semiramide solo per ragioni culturali, per misconoscenza di una certa sfera del repertorio belcantistico, non certo per carenza di mezzi tecnici o di gusto. Il mezzosoprano cui alludeva il vociologo non è il nostro mezzosoprano, e non potrà esserlo mai laddove questo viene portato a cantare ( gridare ) “La forza primiera” o a dover trovare languori sopranili nella scena ssedeuttiva del “Bel raggio”, perché i nostri mezzosoprani odierni, per impianto tecnico, nulla hanno a che fare con quello che la Colbran era divenuta in fase terminale di carriera, un soprano “limitato”. Quello nel cui novero l’Ottocento avrebbe collocato cantanti eccezionali chiamate Grace Bumbry, Shirley Verrett, Ebe Stignani, Sigrid Oneghin etcc..o la stessa voce sontuosa di aulica fraseggiatrice di Anita Cerquetti, con i suoi acuti estremi tirati, ma da dal si nat-si bem cantante capace di mettere in difficoltà una Callas. Tralascio lo strafalcione circa la natura Neoliberty della Semiramide della Sutherland ( ….“recuperando anche quel cotè liberty che la Belle Epoque e i soprani lirico leggeri avevano appiccicato a questo titolo, mantenendone in vita almeno il “Bel raggio lusinghier” “….)  di cui incredibilmente l’autore dell’articolo dimenticava l’ampiezza della voce in teatro, la perfetta astrazione dell’emissione, lo slancio e l’esplosività degli acuti, il mordente straordinario dell’agilità di forza cui compensava certa latitanza di accento, che seppe trovare da grande e straordinaria primadonna, nell’ultima ripresa australiana del titolo, interamente rinnovato sul piano dell’accento ( e non voglio commentare l’assimilazione di Sutherland ai soprani leggeri…..perchè gli esiti dei soprani leggeri veri in Semiramide sono stati quelli ottenuti da Mariella Devia ed Edita Gruberova, che, lucide analiste di se stesse, hanno giustamente praticato il mordi e fuggi dal ruolo.-.. ).
Si parla di “diverso concetto di potenza” vocale, ma occorrerebbe parlare di qualità dell’”emissione”, che è la preogativa primaria della voce da belcanto, la sua astrazione, l’omogeneità tra note e tra i vari registri, la compostezza che il canto mutua da una impostazione tesa a questo. Come se oggi udissimo nel belcanto voci dall’emissione migliore, più stilizzata ed omogenea, di quanto ci fanno sentire nei dischi una Lehmann, una Onegin, una Stignani, una Cerquetti, una Russ, una Bumbry…! Nel belcanto la voce sul fiato si espande senza peso nella sala, risuona libera e si flette docile, senza contrazioni di gola, la voce umana ha l’astrazione della strumentalità, come se fosse suono extracorporeo, ma sempre sotto il dominio del cantante, che la piega, lo modula in ogni modo possibile, sino ai limiti estremi delle possibilità umane ove Rossini spinge tutti i suoi fenomenali cantanti. Proprio come la Callas nella sua Armida. Non per nulla Stendhal racconta che la voce di Andrea Nozzari nel ruolo di Rodrigo della Donna si sentiva sino all’inizio di Via Toledo.
Dimenticare la storia per inventarne una inadeguata allo stato di fatto presente, ove non si canta generalmente più con i modi delle Callas, delle Lehmann, delle Horne, delle Bumbry, delle Stignani, ha portato…..alla Semiramide di ieri sera. Credere che una ragione filologica come quella che ha portato ad incensare la mediocre Semiramide di una Tamar dimenticando e censurando  ( come pure in quell’articolo ) le Semiramidi post Sutherland e Caballè, ossia Anderson e Cuberli, ha portato alla Semiramide di ieri sera.
Malattie o meno, il doppio forfait  era in essere in quel di Pesaro, in quel disgraziato Mosè ( e forse è stato meglio così, perché la scelta napoletana, anche se giunta tardiva nella carriera della Ganassi, non avrebbe portato ai risultati favoleggiati per ragioni vocali chiare ed evidenti, la voce orami falsettante, le agilità farfugliate, il canto ed il fraseggio in zona acuta impossibile, il poco volume, in una Elcia che impegna meno di un terzo di Semiramide…per non parlare dell’improbabile Faraona della signora Serendevskaya, incredibilmente già Semiramide e Mathilde con il maestro Zedda.. ). Le inadeguate scelte di cast messe a punto dal San Carlo di Napoli sono poi figlie della stessa misconoscenza di regole antiche in fatto di canto, di belcanto in particolare, e dell’assurdità di volere rendere Rossini un compositore diffusamente rappresentabile, per giunta nel momento di maggior carenza di cantanti, di grandi cantanti d’opera, ed assenza di quelli che si chiamano “fenomeni”, quali sono stati i protagonisti della Rossini renaissance.  Il flop di ieri è stato chiaro a tutti semplicemente perché Semiramide è nei repertori personali dei melomani, grazie a quel leggendario e per nulla perfetto disco Decca, per proseguire con audio e video ufficiali e pirata che seguirono negli anni ’80 e ’90, ma a Rossini da tempo non tocca sorte molto diversa negli altri suoi titoli seri, solo che il pubblico di oggi li conosce assai meno.
Le due protagoniste napoletane avrebbero stentato nella Rosina del Barbiere a reggere i confronti con le Rosine di ruotine provinciale degli anni ’50 e ‘60, per la sguaiataggine, l’imperizia ed il pressapochismo tecnico oltre che per il conseguente stile vocale e fraseggio esibito ( mirabili il canto “aperto” in zona centro grave della signora Tro Santafé e le agilità e gli acuti della signora Aikin !!!! ). Simone Alberghini ha le idee più chiare in fatto di Rossini, ma soffre sempre per una emissione legnosa che ne tradisce la natura vocale da altro superiore registro e per un canto di agilità difficoltoso; meglio Barry Banks, alle corde nella seconda aria; male pure Gabriele Ferro, che ha funzionato solo a tratti, ma prevalentemente pesante, fiacco e meccanico ( tralasciamo i robusti tagli che dopo tanta filologia arrivano comunque in produzioni dove per giunta si canta assai male…).
Mentre la critica si diletta con il neoliberty di Joan Sutherland e la filologia si trastulla nelle masturbazioni mentali sul soprano Colbran, ormai si allestisce Rossini in questa maniera inaccettabile. E poi non dovremmo fare revisionismo sul Rossini di Conchita  Supervia? A furia di concentrarci sui personalismi, questa o quella carriera, questo o quel cantante da sostenere, abbiamo perso di vista il senso delle cose, il significato profondo del cantare Rossini, i problemi centrali al suo allestimento. Continuiamo pure a fare le pulci alla leggenda del canto, a prendre di mira quello che ha funzionato a livelli per noi oggi irraggiungibili e a non vedere la nostra miseria presente! Ci fosse sta ieri sera Joan Sutherland…….!! O forse esagero, sarebbe bastato assai assai meno.

 

Gli ascolti

Rossini – Semiramide

Atto I

Bel raggio lusinghier…Dolce pensiero – Jolanta Omilian (1987)

I vostri voti omai – Darina Takova (con Ewa Podles, Rockwell Blake & Boris Martinovich – 2001: parte prima parte seconda)

 

54 pensieri su “Sorella radio.Semiramide al Teatro San Carlo: cronaca di una morte annunciata.

  1. Ringrazio per il lucidissimo articolo, sono commosso per le parole spese su Maria Callas cantante i cui prodigi vocali, su questo blog, (forse) vengono dati fin troppo per scontati, mentre io so per certo di giovani appassionati che manco conoscono le memorabili performance dei concerti Martini e Rossi!

  2. Amen.
    Ho assistito di persona allo scempio. L’unica consolazione è la straordinaria (ieri sera solo in potenza e non in atto) possenza di questa opera estrema e sublime. Possenza che nonostante l’oltraggio si alimenta di una luce propria, anche se è solo la luce della mancanza e dell’assenza. Cordialmente, Susanna.

  3. “La voce della Colbran doveva essere di sapore di contralto non profondo, o per dirla in gergo moderno, di mezzosoprano. Ma non alla maniera della seconda metà dell’Ottocento e della prima metà del Novecento, cioè carnoso e potente per eseguire Verdi, Ponchielli, Bizet, Mascagni e Cilea. Piu’ castigato, neoclassico, contenuto, per via anche del diverso sapore delle orchestre e, dunque, di un altro modo di intendere il concetto di potenza. Però aveva sapore di contralto che il linfatismo dei lirico leggeri no ebbe. In epoca moderna il piu’ autorevole esempio di recupero di questo genere di vocalità è stato offerto dalla Callas nella parte di Armida…”

    Posso sapere qual è il nome del giornalista o musicologo che ha scritto questa roba? Spara una castroneria dietro l’altra… A partire dall’idea che il mezzosoprano sia un “contralto non profondo”… come dire che il baritono è un basso acuto! Demenziale! Poi la mistificazione secondo cui le voci di Rossini sarebbero state voci poco potenti, sfalsettanti, smunte… Quante sciocchezze!

    Ora, la Colbran di contraltile non aveva assolutamente niente. Tutt’al più si può ipotizzare che si trattasse di un mezzosoprano acuto, ma è un’ipotesi che non regge se si considera la grande estensione che la Colbran aveva anche verso l’alto, fino ai sopracuti del soprano. Si trattava comunque di una fuoriclasse, dotata di estensione fuori dal comune sia in alto sia in basso, e con un centro sontuoso. Una voce completa sotto ogni profilo, e che inevitabilmente sfugge a qualsiasi tentativo di classificazione.

    La Onégin nel primo Ottocento non so come sarebbe stata classificata, ma la categoria di “soprano limitato” non si addice per niente ad una voce dotata di una gamma cantabile e perfettamente omogenea di circa tre ottave. La Onégin è l’erede di prime donne assolute come la Viardot o la Alboni.

  4. Non me la prendo con la filologia. Dico che oggi parliamo di filologia senza avere chi canta! senza i cantanti SONO TUTTE FOLE! Come se l’arte del canto no facesse parte del corretto eseguire, dell’eseguire ad arte. Accipicchia se ne fa parte! Anzi, ti diro’ di più: sono spartiti che nascono pensati per un preciso modo di cantare, l’unico che ne consenta l’esecuzione.

    • No no…te la prendi eccome e, a mio parere, in maniera errata: accusi senza mezzi termini la “filologia” (come se fosse la Spectre) di essere “responsabile” della Semiramide di ieri sera… Per parlar chiaro, su nessuna edizione critica di Rossini (o Verdi o Donizetti o chi diamine vuoi tu) c’è scritto che bisogna cantare male o che il canto non conta niente. La filologia si limita a proporre edizioni nuove e a correggere errori e sviste (oltre a fornire brani alternativi o cadenze e variazioni d’autore e degli interpreti storici). Perché devi continuare a legarla alla decadenza? Forse eseguire Semiramide su testi non filologici sarebbe più semplice? Non credo proprio. Sono discorsi diversi… Poi è veramente stucchevole che ogni volta che viene “toccato” Rossini si gridi all’eresia…e si condannino al rogo filologia ed edizioni critiche, normalmente accettate in Mozart (dagli anni ’50) e in tutti i paesi civili. Giulia, accipicchia lo dico io…e ripeto: che noia!

      • esatto, è un discorso molto equilibrato il tuo, non mi sembra che le cose vadano di pari passo, la filologia resta nel campo dell’astrazione, si limita a proporre i testi migliori possibili, quelli più vicini alle volontà del compositore. Quindi se vuoi è quasi implicito che nella pratica li si debba suonare e cantare bene (ogni autore credo che desideri questo)… ma il povero filologo che colpa ne ha se i cantanti sono cani e l’orchestra fa schifo?

  5. Sì, sì però…se per “onorare” l’edizioni filologiche sarò costretto ad ascoltare, che so, un’ Anna Bolena diretta da Jacobs e cantata dalla Florez e Bartoli (orrore!) mi sa che rimarrò fedele alla vecchia edizione diretta da Gavazzeni con tutti i suoi deplorevoli tagli.

    • Il problema infatti non è la filologia in sé, il guaio è quando la ricerca si asservisce agli interessi di questi prodotti da supermercato, che con l’arte e la musica non hanno niente a che vedere. E’ una cosa inaccettabile che uno studioso serio o un direttore importante possano avallare certe ridicole operazioni commerciali… Ai miei occhi perdono completamente di credibilità. La ricerca scientifica e l’arte musicale in questo modo sono ridotte a bieco commercio.

      • Be’, su questo sono d’accordo, ma è un discorso a parte. Io facevo un discorso generale e in linea di principio. E poi se uno studioso si piega al commercio e al consumo mi dispiace ma… non è poi così serio!

        • Ma se consideri l’edizione critica come il frutto di un serio e solitario lavoro in biblioteca, fatto con scrupolosa coscienziosità e, una volta portato a termine, licenziato e di pubblico dominio… non puoi impedire che aihmé finisca nelle mani sbagliate!

          • Se ci pensi, la cosa sconvolgente è che l’urgenza di questo recupero sia richiesta in questa sede, informale, da semplici appassionati e non dagli addetti ai lavori, che avrebbero i mezzi per far qualcosa! E’ come se al liceo fossero gli studenti a protestare per la soppressione o il cattivo insegnamento del greco e non i professori o il ministro della pubblica istruzione!

      • Il problema è sempre lo stesso: chi sta in alto (direttori, manager, teatri) non capiscono (quasi) niente di canto ed opera ormai, e cercano solo di mettere su un bello spettacolo, tipo un bel pacco regalo per far soldi e basta. Nella nostra società dell’apparenza, questo meccanismo si riflette perfettamente: si propone l’Opera R conosciuta da tutti, con i famosi cantanti S T U e V, con la regia del famoso X, costumi del famoso Y e diretti da grande maestro Z.
        Come vedete, mettere i nomi di qualcuno o mettere lettere per chi vuole ascoltare un bello spettacolo fatto BENE è irrilevante: non tutti però la pensano così!

  6. Scusate, ma che senso ha questa polemica sulla filologia? Una volta che si è stabilitp il testo di un’edizione critica, un testo di qualsiasi genere, letterario, filosofico o musicale, il lavoro successivo di interpretazione può essere eccellente, mediocre o inaccettabile. Ma questa operazione successiva non ha nulla a che vedere con la filologia. Tant’è che edizioni critiche rossiniane possono essere realizzate da Abbado o da Jacobs. Il testo è sempre quello, ma che differenza!
    Marco Ninci

  7. repetita iuvant, esatto.
    Io non parlo del testo, ma della filolologia vocale che si pretende di fare quando ci si interroga suylla natura di una voce e di una vocalità come quella della Colbran per avvallare intepreti che non sono adatti. Anche questo è un aspetto della filologia, nalogamente a quanto asseriscono i baroccari su come si canta.
    Da discettazioni “filologichje” tendenziose e capziose discendono le moderne teorie sul canto baroccaro, le assimilazioni della voce di FDlorez a quella di Rubin, quella della Bartoli alla Malibran, della Ganassi alla Colbran, della Di DOnato alla Colbran e così via. Si tratta di porcehrie commerciali spacciate per filolologia. A questo alludevo con assoluta chiarezza ( salvo che per Duprez che si ostina a non considerare i MODI del canto come parte intepgrante dell’esecuzione vocale nonchè della composizione di autori come Rossini etc…).
    Quando scrivemmo di Sonnmabula Dessay Meli, la questione drlla filolgia e delle edizioni critiche mi pare fosseevidentemtne inquadrata con chiarezza. Al pari di quella dei fraintendimenti strumentali che si fanno nel costruire assurde teorie sulle voci leggendarie dell’ottocento nella recensione Florez vs Rubini.
    Posto che trovo incredibile che in una produzione che si voleva importante di Semiramide ancora si eseguano tagli ai cori dei Magi etc e questa è questione filolologica in cui mi trovo in assonanza con Duprez, che però ama polemizzare oltre modo. Dunque ….repetita iuvant!!!!!!!!!!!!

  8. ciao nicola hai perfettamente che la discussione non verte affatto sulla filologia in sè e per sè, ma sull’ uso e abuso come schermo a ignobili pasticci resi facili o possibili dal fatto che l’ opera si deve rappresentare e non leggere come un testo letterario.

  9. Ho letto l’articolo e non posso che condividerlo, biasimando solo un eccesso di buonismo nei confronti di Barry Banks come Idreno, a metà strada tra Topolino e Bardolfo. Vero è che la parte è ingrata e che il povero Banks ha dovuto rimpiazzare al volo Kunde, ma insomma….che razza di Semiramide sarebbe mai questa??? Nel 2011…?? E con quella protagonista…poi.
    Per carità: un’altra tragica tappa dedlla Rossini Décadence.

  10. Holà Enrico.
    Se tu lo dici, allora chiedo venia. Ero incredula dal contorno e forse ho staccarto le orecchie ma…sai com’è, occorre difendersi a volte!!!!!!!!!! Durante la seconda aria sentivo in lontananza urletti e grida ma ero stremata….e delusa, e incavolata, perchè no eravamo in diretta con il teatro di vattelapescadevoguardaresullacartadoveèstoteatro, ma dal San Carlo di Napoli!
    La Semiramide la possiamo mettere nel cassetto per qualche anno sin tanto che non sarà pronta colei che…….hahahahaha
    ciao

  11. stasera alle 21 (20 novembre) sulla filodiffusione mi sono ascoltato dei brani scelti dal 1 atto della “Semiramide”
    con idreno: frank lopardo, ten; assur: samuel ramey, bs; oroe: jan hendrik rootering, bs; arsace: jennifer larmore, contr; semiramide: cheryl studer, sopr;london symphony orch e coro ambrosian opera dir. ion marin – m° del coro: john mc carthy.
    non servono tante parole basta l’ascolto per capire la grande differenza,tra la recita del san Carlo e questa

  12. http://it.wikipedia.org/wiki/Gioachino_Rossini

    Mi rendo conto che non è conforme a presente thread, però colgo l’appiglio di questo capolavoro rossianiano per fare a tutti voi una curiosa segnalazione: date un’occhiata alla definizione (prima riga) del link.
    Non ho parolacce…
    Pensare che tempo fa la voce era molto più completa, è stata tolta pure una citazione da Hegel (che con Schopenhauer e tre quarti degli intellettuali stravedeva per il pesarese), e adesso per caso ho notato questo.
    Qualche sabotatore?
    Saluti
    D.C.

      • Ciao, quelle “prima riga” poteva ingannare, mi son spiegato male.
        Mi riferivo alla defnizione “rappesentante del romanticismo” italiano.
        Secondo me Rossini sta al romanticismo come l’intolleranza al lattosio sta alla fonduta…

        • be’ in effetti non hai tutti i torti, Rossini è ben poco romantico, concordo in pieno! Casomai nella sua produzione può scorgersi qualche prima avvisaglia di Romanticismo, che so io, nella scelta di alcuni temi, penso in particolare alla Donna del Lago (ma quanto sarà stata consapevole qui la scelta di un soggetto protoromantico?) o al Guillaume Tell (la natura, l’afflato incontenibile per la libertà, il popolo oppresso che vuole l’indipendenza, etc.), che però allo stesso tempo è anche summa musicale della Restaurazione e in quanto tale ben poco romantico…

  13. Potete ringraziare registi e direttori d’orchestra per tutto il disastroso stato dell’arte di canto oggi.
    Poi ci sono le “Accademie” dei vari teatri.
    E pensare che è iniziato tutto negli anni ’70… Uno scivolone terribile.

  14. Ieri ho visto la “Semiramide” sancarliana: praticamente senza protagonista…purtroppo nel mondo dell’opera accade spesso di ascoltare cose del genere… Sì, però ci sono i vestiti di Ungaro, la regia di Ronconi…tanto a che serve più la musica nel teatro d’opera, le voci?
    Che tristezza…

    • In realtà i costumi sono molto “minimal”, praticamente delle gonne con una specie di armatura sul dorso, armatura che diventa “nude look” per la protagonista dotata di parrucca verde. Ciononostante, proprio perchè alla fine il tutto è abbastanza sobrio, o meglio ancora, poco kitsch, nel complesso esteticamente non è male. La regia non l’ho notata per niente, nei momenti più drammatici o in quelli più sublimi non c’è stata una soluzione, una scelta interpretativa convincente, tutto molto piatto. Ho trovato le scenografie belle e monumentali, molto belle le luci, ma proprio non mi è piaciuta la tomba di Nino che appariva calata dall’alto a mo’ di sarcofago trasparente e illuminato che permetteva di intravedere le reliquie. Ho letto che è stata una scelta volutamente provocatoria in una città come Napoli da sempre eccentrica nel confronto del culto dei morti … mah! Comunque, il problema è sempre lo stesso: ha senso far cantare Semiramide a chi non ha la parte nella voce, la cui perfomance non dipende dunque da una giornata esaltante o storta, dai nervi o dal sangue freddo, ma dal fatto che semplicemente certe parti sono pura utopia??

    • Salve a tutti. Isotta (ancora una volta, aggiungerei) riesce nell’ardua impresa di fare violenza allo stesso tempo, e con esiti eccezionali, sul linguaggio italiano e sul senso musicale, dando un esemplare e chiarissimo saggio di come infarcire un pezzo giornalistico del maggior numero di scemenze nel minor numero di righe possibili, e di come scrivere il tutto in un italiano francamente imbarazzante per pesantezza e vecchiume. Su tutte svetta la meravigliosa “Simone Alberghini, Assur, ha perfetto dominio del Bel Canto e della coloratura ma esibisce anche una terribilità baritonale e accenti straziati nel suo policromo ruolo.” Di fronte ad un genio di tale portata non possiamo che inchinarci rispettosamente e umilmente!

  15. Ho appreso ieri che questa Semiramide avrebbe dovuto avere Gregory Kunde come Idreno “ufficiale” e Banks nel secondo cast, però per motivi di indisposizione di Kunde (è rimasto afono durante le prove), Banks a cantato al posto suo. La direzione si è peraltro riservata la l’opzione di mandare Kunde afono in scena e di fargli mimare la parte, cantata (suppongo) da Banks.
    Fonte: LA BARCACCIA di questi giorni (se non sbaglio, del 17-11-2011).

    • vista la natura del tutto esornativa del personaggio e la scelta di Ronconi di collocare il coro nel golfo mistico, coerenza avrebbe voluto abolire del tutto la presenza di Idreno in scena… questo avrebbe evitato il condominio di due cantanti (uno dei quali muto, e non per esigenze espressive) nel medesimo ruolo.

  16. Salve a tutti. Un paio di anni fa sono stato in contatto con voi per un po’ di tempo poi ho smesso perchè per me siete troppo colti e competenti in materia di musica e io non sono in grado di dibattere alla pari, però vi leggo spesso, anche per restare al corrente di ciò che succede in giro nel mondo dell’opera, in quanto non lo frequento più. A questo proposito: devo dire che siete davvero eroici nel continuare a vedere, ascoltare e poi commentare le schifezze che ormai, da anni i teatri ci propinano. Ho frequentato fin dalla fine degli anni 50 la Scala, poi sono stato un fedele del ROF degli anni d’oro, poi Bergamo, Genova, La Fenice, Roma…e quant’altro…ora però basta: tutto ciò che si vede e si sente è generalmente terribile.
    Questo sfacelo però viene da lontano (come qualcuno mi pare ha già anche commentato). Non so quanti anni abbiate voi ma io e pochi altri (tra cui il caro Tino scomparso l’anno scorso che voi avete ricordato con parole molto belle e per le quali vi sono grato) negli anni 70 e 80 già protestavamo molte volte alla Scala per l’inadeguatezza di molti cantati (soprattutto nell’era Muti) a sostenere i loro ruoli e sempre (come adesso del resto) c’era chi si lamentava “Alla Scala non si fanno certe cose!!!!”…insomma eravamo dei facinorosi…Qualcuno di voi ricorda la prima de “La traviata” di Muti praticamente a porte chiuse per impedire l’ingresso ai loggionisti? Ebbene io ero fuori dal teatro a protestare, a parlare coi giornalisti, a denunciare uno scandalo del genere. Ma tutto è stato inutile, la stampa è sempre stata connivente (il Corriere non ne parliamo). Ma lo sapete che che quando la Ricciarelli fu sono- ramente fischiata dopo un’orrenda Luisa Miller, con scandali, polemiche, risse (era il tempo della Milano da bere, dove tutto doveva essere bello. rilucente, tutto era un evento…) lo sapete che Duilio Courir, sempre sul Corriere, dopo aver stigmatizzato le proteste e i fischi alla Signora, arrivò a scrivere che in fondo in fondo poi anche se la Ricciarelli era stata un po’ manchevole alla fine non era poi quel gran male in quanto la Luisa Miller non era poi quella gran opera…Giuro! Non usò le stesse parole ma il senso era quello…Ecco…e ora siamo arrivati a questo punto. Lo strapotere dei registi poi, con le loro imbecillità, ha certo contribuito ad annichilire ogni tentativo di ragionare… Proviamo un po’ a riflettere: perchè i cantanti dovrebbero impegnarsi, con studi seri, fatiche, rinunce magari, ed essere (come voi giustamente ed ostinatamente affermate) dei “professionisti” se poi tutto va bene, tutto finisce in gloria, non c’è più distinzione di merito, sono tutti uguali, è tutta la stessa “sbobba” come scriveva il grande Celletti
    I direttori d’orchestra poi ci hanno messo la lora parte in quanto, sempre di più non hanno alcun interesse per le voci, e questo fin dagli anni di cui sopra. Ma voi avete mai sentito La Turandot di Karajan con la Ricciarelli? O l’Aida o Il Don Carlos (francese) di Abbado, sempre con Ricciarelli? Ma si potrebbero fare un sacco di di altri esempi. E questi erano grandi direttori. Perchè accettavano simili cast (mi chiedevo allora)? Perchè avvallavano simili degenerazioni? Erano già grandi nomi, non avevano bisogno di lanciarsi in campo internazionale. Mia risposta: PER I SOLDI.
    E ora siamo arrivati al barile vuoto. Del resto e ciò che sta accadendo a tutto il nostro paese, dove la corruzzione sta uccidendo l’economia, sotto gli sguardi apparentemente neutrali dei grandi giornali (Il Corriere in prima fila!!!)
    Scusate lo sfogo. Se non vi ho rotto magari vi scriverò ancora, sicuramente comunque continuerò a leggervi.
    Con stima Antonio

      • Purtroppo è come parlare al vento, la gente non capisce perché non è davvero appassionata di opera, e quindi forse nemmeno vuole capire. Faccio un esempio a me molto vicino: i miei genitori, che amo tantissimo, apprezzano l’opera e vanno a teatro ogni tanto, ma sono tutt’altro che degli esperti o degli appassionati… quindi mi tocca sentire discorsi del tipo “io parto dal presupposto che se il cantante X canta alla Scala, deve essere bravo per forza” (cit. mamma), oppure “se nella Turandot diretta da Karajan c’è la Ricciarelli, vuol dire che la Ricciarelli canta bene perché Karajan è un grande direttore” (cit. papà). Tanto e tale è, ahimé, il potere della pubblicità!

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