Nella giornata delle Forze Armate, anniversario della fine del primo conflitto mondiale, il vostro e nostro Corriere propone una breve rassegna di canti patriottici. Potremmo anche definirli patriottardi, certi che la definizione non scoraggerà quanti vorranno vedere nella Grisi e in quelli che vengono definiti i suoi adepti o scherani, i portabandiera di ideali retrogradi e passatisti non solo nel campo dell’arte, ma anche in quelli della politica e della storia. Codini e sanfedisti, insomma, fors’anche xenofobi, vista la demonizzazione, ricorrente nei testi in questione, dell’invasore straniero.
In effetti quello che interessa e avvince, nelle esecuzioni proposte, è la declinazione di un affetto, quello del sentimento patrio, caro alla retorica in senso lato, e in quanto tale intimamente collegato all’arte lirica. Testi musicalmente e poeticamente non certo inarrivabili si colorano, nei casi più felici, di una potenza espressiva difficile da eguagliare, che sia prodotta dall’espansione e dal mordente letteralmente formidabile di un Pertile o provenga invece dalle agilità marzialmente scandite, ma al tempo stesso liquide e dolcissime, di una Muzio. Per tacere della straordinaria comunicativa del timbro di Caruso, cui risponde con diversa ma non meno irresistibile efficacia la malia, in questo caso giustamente manierata, di Tito Schipa.
Questo piccolo concerto ausonio segue di poche ore un’altra, ben più sostanziosa festa, organizzata in occasione del “primo quarto di milione” dall’ultima celebrazione del Corriere, avvenuta solo il 30 aprile. Grazie, ancora una volta, a voi tutti!
Arona – La campana di San Giusto – Enrico Caruso (1919), Tito Schipa (1926), Aureliano Pertile (1927)
Olivieri – Inno di Garibaldi – Claudia Muzio (1917)
Mario – La leggenda del Piave – Giovanni Martinelli (1918)
Prestazioni vocali superlative, ma questi inni sono proprio orrendi, musica e parole. Che dire, magari la penso così perchè abito in una nazione che ha provato amaramente sulla propria pelle le conseguenze della retorica patriottarda…
“Per fortuna l’Italia non fa più le guerre”, come diceva un mio professore di storia della lingua italiana all’Università… considerazione abbastanza amara (mi ci metto in mezzo anche io) ma vera vera vera…
mi spiego meglio, perché rileggendo il mio post, sembra che io rimpianga – cosa assolutamente non vera – il fatto che l’Italia non partecipi a guerre come le guerre d’Indipendenza o la prima e la seconda guerra mondiale. No, intendevo semplicemente dire che – purtroppo, questa volta – in Italia sono ben pochi ormai quelli che si impegnerebbero in prima persona per salvare la propria patria in un eventuale conflitto armato “contro lo straniero”. Comunque è molto pericoloso, a mio avviso, liquidare questo tipo di inni come composizioni “orribili” o cose del genere, perché dallo snobbare queste composizioni al fare lo stesso con l’opera lirica, spesso risemantizzata in chiave patriottica, il passo è breve: mi sembra che opera e inni orribili derivino da una stessa radice culturale, per cui concordo con la signora Nappi. Quanto alle nazioni che hanno provato amaramente sulla propria pelle le conseguenze della retorica patriottarda, be’… l’Italia non sarà la Germania, ma il nostro fascismo ce lo abbiamo avuto anche noi!
http://youtu.be/ncwpyKg878Q
Il sentimento di appartenenza ad una nazione (con una nascita cosi’ travagliata come la nostra…) si avvale anche di inni retorici e di “contaminazioni” con l’opera lirica. Cio’ che pero’ mi intristisce e’ vedere usato e vilipeso il “va pensiero..”da persone che sognano secessioni annaffiate con salvifiche ampolle di acqua fluviale.A Torino, i giorni delle commemorazioni del centocinquantenario le strade cel centro straripavano di gente festosa…..
Invece hanno un loro senso: non credo che studiare o conoscere e la retorica del patriottismo dei nostri nonni e bisnonni significhi automaticamente essere retorici o patriottardi.
Se fossimo ancora in tempo , e non ne sono affatto certa, a costruire una identità italiana si dovrebbe, ad un certo punto, riconoscere il nostro passato con la sua retorica di italietta umbertina, il libro cuore (magari!) il piave e tutti gli annessi e connessi, ma riconoscerli non vuol necessariamente dire adottarli solo conferire loro il giusto ruolo. Come con il melodramma o la musica in genere che , grazie alla sciagurata politca culturale della scuola , sono perfettamente ignorati, pur costituendo una parte importante della nostra cultura. Deviazioni, anzi sovvversioni del pensiero verdiano a parte…..
Visti i presupposti politici e nazionali, io mi sento ben lungi dall’essere italiano; anzi, devo constatare che ogni qual volta si facciano manifestazioni in onore di tizio o caio, caduti per la patria, o di ricorrenze annuali, sviluppo una vera e propria insofferenza per quanto viene riportato, ossia di retorica, di commenti scontati e sempre vanagloriosi del soggetto della festa di turno.
Mi sento tuttavia di cultura assolutamente italiana, che ritengo un privilegio, e ogni tanto mi capita di commuovermi sentendo l’inno nazionale, che nel 2011 dovrebbero forse svecchiarsi cambiando le parole, che rinverdiscono dei fasti coloniali e delle discendenze guerriere che non ci sono se non per amorevole corrispondenza di affetti.
Concordo e sottoscrivo quanto detto da Maria Rosaria Nappi.
Io sto con mozart…