15 pensieri su “Beverly Sills: “Vivi ingrato”, Roberto Devereux”
Era gia’ in declino, ma sapeva cosa era il canto e come usare la voce a fini espressivi in un ruolo, forse, non troppo adatto alla sua voce, ma assai al suo temperamento di “attrice vocale”, non mi viene un termine piu’ adatto, Grazie S.ra Grisi per il bel video
In una recente intervista – ma mi sembra abbia espresso lo stesso concetto altrove – la Devia diceva (più o meno e se non ho capito fischi per fiaschi) di considerare il (proprio) virtuosismo vocale come una personale cifra interpretativa: come a dire, esprimo attraverso la perfezione del canto. Cosa pensate di questo punto di vista? Lecito o troppo comodo?
Aria fritta… la Devia non è mai stata una virtuosa trascendentale… Le sue doti sono: legato purissimo, saldezza della linea di canto, fiati interminabili, una fermezza del settore acuto e sopracuto che sopporta pochi paragoni nell’intera storia del canto… e devo dire una mezzavoce tutta galleggiante sul fiato che per chi apprezza questi preziosismi vocali, è uno splendore. Per il resto l’agilità è il più tipico esempio di agilità meccanica e “sgallinacciata”, non ha mai avuto un vero trillo facile e granito, non ha gusto nelle variazioni, musicalmente è piatta, come attrice non ne parliamo… La voce resta quella di un soprano acutissimo, con una prima ottava insignificante… non è certo una di quelle voci cui basta fare le note… In definitiva, ciò che la Devia sa fare bene è ostentare la sua bravura tecnica: ascoltarla magari può essere anche un’esperienza appagante, ma non è mai Arte con la lettera maiuscola, è sempre è solo l’esibizione di un “numero” fine a se stesso, vuoi un fiato rubato, vuoi un suono dolce e flautato, vuoi un sopracuto legato… Comunque di questi tempi conviene accontentarsi.
Però allora, Mancini, vede che anche lei concorda con quanto dissi. Ascoltare la Devia è un piacere, oggi come non mai. Tuttavia questo non cambia il giudizio sul suo Devereux, in relazione a prove come questa.
Io infatti non ho mai parlato della Devia come di un modello di riferimento, non la considero un riferimento assoluto nemmeno nei suoi ruoli più frequentati, come Elvira o Lucia, figuriamoci in queste parti regali da soprano drammatico. Ho detto solo che ammiro molto la costanza e la resistenza della professionista. Per chi come me si occupa specificamente di vocalità, la Devia è un esempio di grande interesse, che non può che suscitare profonda ammirazione, per il modo in cui ha saputo conservare il proprio strumento negli anni, sfoggiando ancora oggi, a sessant’anni suonati, fiati lunghissimi e sopracuti sfolgoranti… sopravvivendo inoltre a tutti i colleghi belcantisti dei tempi d’oro…. Non condivido questo atteggiamento di derisione e accanimento critico da parte degli amici del Corriere, anzi lo ritengo controproducente. Proprio perché si tratta di una cantante seria, meriterebbe di essere criticata seriamente, senza bisogno di ridicolizzarla con queste reiterate ed inutili comparazioni… La Devia non è Florez o la Bartoli….
“reiterate ed inutili comparazioni”? solo nel caso specifico, evidentemente, perché per qualunque altro cantante sei tu il primo a proporle, e giustamente. suvvia, Mancini, la parte del fan (anche se di una cantante come la Devia, lontana ere geologiche dalle cagnette che aspirano a prendere il suo posto) davvero non è nelle tue corde.
caro mancini
la tua diagnosi sulla Devia è quella del corriere comune a tutti.
Allora se la signora Devia avesse cantato che so la Giunia del Lucio Silla o Aspasia del Mitridate (in entrambii casi tessiture acute, canto assolutamente strumentale) e li avesse cantati con quelle doti che le si riconoscono senza fatica saremmo tutti in estasi. Ma la signora Devia ha cantato Elisabetta del Devereux.
TUTTO QUI ciao a tutti dd
D’accordissimo con Tamburini: le comparazioni non possono essere legittime o illegittime a seconda del soggetto a cui si riferiscono. La verità, però, è che esse non dovrebbero essere scambiate per “cattedre di tribunale” in nome delle quali si condanna o si assolve. Il confronto è uno strumento critico ovvio, per nulla straordinario, praticato da tutti e praticato sempre: è naturale – ascoltando, leggendo, guardando, mangiando – confrontarsi con precedenti. Diventa straordinario nel momento stesso in cui si vuole togliere valore all’ovvio, a favore di elucubrazioni spesso interessate (chi nega la validità di ogni confronto, spesso, arzigogola motivazioni assurde unicamente per comporre variazioni sul tema “tutto è bello”). L’osservazione di Donzelli in merito al giudizio diverso che lui personalmente avrebbe della Devia se avesse cantato Aspasia, dimostra da una parte l’ovvia relatività di un paragone per natura circoscritto (alle singole performance, al repertorio, all’occasione: e si sa che il canto non è la produzione meccanica di un qualcosa che si ripete sempre uguale…per cui un interprete può essere più o meno bravo e la sua esibizione variare da una sera all’altra); dall’altra parte testimonia la sua utilità nella quotidiana costruzione del proprio gusto musicale. Quindi non vedo perché mai non si dovrebbe riservare alla Devia, alla Sutherland o alla Horne (così come alle star del passato trapassato e del presente più glamour) lo stesso trattamento che riserviamo ad un risotto mangiato in un certo ristorante o a un libro di un determinato autore…
Per quel che mi riguarda non sono mai stato fan della Devia e non lo sarò mai: non mi piace ora come allora (sia che canti Donizetti, Bellini, Verdi, Rossini o Mozart: trovo sempre cantanti migliori). La ritengo cantante corretta, ma anonima e sostanzialmente amorfa: tende a “cantarsi addosso” in una scelta di repertorio quantomeno eccessivamente ampia. Per tacere il fatto che non ha mai voluto rinunciare alle comode certezze o ad un contorno debole che non potesse imporsi mai sui suoi vezzi e vizi (a cominciare dai direttori d’orchestra). Dal momento, poi, che non sono un commissario d’esame al conservatorio o un giurato in un concorso, non me ne frega sostanzialmente nulla di perfezione tecnica e quant’altro quando l’interprete è assente: non vado a teatro con il bloc-notes per contare le messe di voce o le legature…certo vorrei ascoltare una voce bella (anche timbricamente) che, banalmente, canti bene perché n credo si possa morire di tecnicismo. Inoltre non vorrei annoiarmi tutta sera. Ecco, la Devia mi ha “regalato” la serata forse più noiosa della mia carriera d’ascoltatore: Lucia di Lammermoor alla Scala nel ’92…uno strazio che per anni mi ha impedito d’avvicinare il capolavoro donizettiano. Tanto mi basta.
questo scritto è la dimostrazione della libertà,e varietà del pensiero umano,perche qui sul corriere si parla spesso di tecnica,e la tecnica,e la base del sapere cantare bene,invece qui Duprez mette la tecnica su un secondo piano,naturamente non condivido il suo giudizio sulla Devia,ma questo è normale in una dialettica,poi se una serata come quella sera,non gli è piaciuta succede,ma Duprez quando quella sera eravamo qui in chat,e la Devia cantava a Firenze il finale di Roberto Devereux,anche tu -se ben ricordo-hai dimostrato sorpresa per come ha cantato quel finale.
Pasquale, io non ho MAI scritto che della tecnica mi disinteresso, ma solo che la tecnica è necessaria a sostenere un’interpretazione: se l’interprete è amorfo, noioso e scolastico…potrà anche avere la voce perfettamente impostata, ma il risultato, a mio gusto, rimane insoddisfacente. Un conto è il rispetto della tecnica (che dovrebbe essere scontato: se ascolto un pianista mi aspetto che sappia suonare il pianoforte), altro il tecnicismo per cui tutto si ferma al mero dato tecnico (non importa il significato, ma la forma). Qui sul Corriere – lo dico a beneficio di chi crede il contrario – nessuno ha del canto un’idea “burocratica” e regolamentare. E la tecnica (pur nelle diverse valutazioni di ciascuno) è da tutti intesa come uno strumento per esprimere qualcosa, e non il fine stesso dell’esecuzione.
Quanto al finale del Devereux a Firenze mi spiace smentirti: mai l’ho ascoltato né commentato.
Ps: la Devia non l’ho certo ascoltata solo in quella sciagurata Lucia. Il giudizio è confermato da altri spettacoli e dischi. E non è mai cambiato.
Pps: la libertà di pensiero e di espressione qui non è mai stata messa in dubbio direi, anche se amano dipingerci come una sorta di soviet
beh visto che stiamo parlando di una grande cantante dotata di grande tecnica,è che rispetto alle sue colleghe più giovani è sempre a un livello più alto,a questo punto è solo questione di gusti,che sia un pò freddina è vero,ma non che non interpreti.
Comunque appartiene ormai a un altra generazione…
Era gia’ in declino, ma sapeva cosa era il canto e come usare la voce a fini espressivi in un ruolo, forse, non troppo adatto alla sua voce, ma assai al suo temperamento di “attrice vocale”, non mi viene un termine piu’ adatto, Grazie S.ra Grisi per il bel video
si si….bella cotta ma….fa impressione lo stesso…
Il ritiro mi pare si avvenuto l’anno dopo.
Certo i primi Devereu e il disco sono meglio…..
Ecco, basta ascoltare e rendersi conto della differenza. La Sills aveva accento tragico e la Devia no.
In una recente intervista – ma mi sembra abbia espresso lo stesso concetto altrove – la Devia diceva (più o meno e se non ho capito fischi per fiaschi) di considerare il (proprio) virtuosismo vocale come una personale cifra interpretativa: come a dire, esprimo attraverso la perfezione del canto. Cosa pensate di questo punto di vista? Lecito o troppo comodo?
Aria fritta… la Devia non è mai stata una virtuosa trascendentale… Le sue doti sono: legato purissimo, saldezza della linea di canto, fiati interminabili, una fermezza del settore acuto e sopracuto che sopporta pochi paragoni nell’intera storia del canto… e devo dire una mezzavoce tutta galleggiante sul fiato che per chi apprezza questi preziosismi vocali, è uno splendore. Per il resto l’agilità è il più tipico esempio di agilità meccanica e “sgallinacciata”, non ha mai avuto un vero trillo facile e granito, non ha gusto nelle variazioni, musicalmente è piatta, come attrice non ne parliamo… La voce resta quella di un soprano acutissimo, con una prima ottava insignificante… non è certo una di quelle voci cui basta fare le note… In definitiva, ciò che la Devia sa fare bene è ostentare la sua bravura tecnica: ascoltarla magari può essere anche un’esperienza appagante, ma non è mai Arte con la lettera maiuscola, è sempre è solo l’esibizione di un “numero” fine a se stesso, vuoi un fiato rubato, vuoi un suono dolce e flautato, vuoi un sopracuto legato… Comunque di questi tempi conviene accontentarsi.
Però allora, Mancini, vede che anche lei concorda con quanto dissi. Ascoltare la Devia è un piacere, oggi come non mai. Tuttavia questo non cambia il giudizio sul suo Devereux, in relazione a prove come questa.
Io infatti non ho mai parlato della Devia come di un modello di riferimento, non la considero un riferimento assoluto nemmeno nei suoi ruoli più frequentati, come Elvira o Lucia, figuriamoci in queste parti regali da soprano drammatico. Ho detto solo che ammiro molto la costanza e la resistenza della professionista. Per chi come me si occupa specificamente di vocalità, la Devia è un esempio di grande interesse, che non può che suscitare profonda ammirazione, per il modo in cui ha saputo conservare il proprio strumento negli anni, sfoggiando ancora oggi, a sessant’anni suonati, fiati lunghissimi e sopracuti sfolgoranti… sopravvivendo inoltre a tutti i colleghi belcantisti dei tempi d’oro…. Non condivido questo atteggiamento di derisione e accanimento critico da parte degli amici del Corriere, anzi lo ritengo controproducente. Proprio perché si tratta di una cantante seria, meriterebbe di essere criticata seriamente, senza bisogno di ridicolizzarla con queste reiterate ed inutili comparazioni… La Devia non è Florez o la Bartoli….
“reiterate ed inutili comparazioni”? solo nel caso specifico, evidentemente, perché per qualunque altro cantante sei tu il primo a proporle, e giustamente. suvvia, Mancini, la parte del fan (anche se di una cantante come la Devia, lontana ere geologiche dalle cagnette che aspirano a prendere il suo posto) davvero non è nelle tue corde.
Era precisamente ciò di cui parlavo.
caro mancini
la tua diagnosi sulla Devia è quella del corriere comune a tutti.
Allora se la signora Devia avesse cantato che so la Giunia del Lucio Silla o Aspasia del Mitridate (in entrambii casi tessiture acute, canto assolutamente strumentale) e li avesse cantati con quelle doti che le si riconoscono senza fatica saremmo tutti in estasi. Ma la signora Devia ha cantato Elisabetta del Devereux.
TUTTO QUI ciao a tutti dd
D’accordissimo con Tamburini: le comparazioni non possono essere legittime o illegittime a seconda del soggetto a cui si riferiscono. La verità, però, è che esse non dovrebbero essere scambiate per “cattedre di tribunale” in nome delle quali si condanna o si assolve. Il confronto è uno strumento critico ovvio, per nulla straordinario, praticato da tutti e praticato sempre: è naturale – ascoltando, leggendo, guardando, mangiando – confrontarsi con precedenti. Diventa straordinario nel momento stesso in cui si vuole togliere valore all’ovvio, a favore di elucubrazioni spesso interessate (chi nega la validità di ogni confronto, spesso, arzigogola motivazioni assurde unicamente per comporre variazioni sul tema “tutto è bello”). L’osservazione di Donzelli in merito al giudizio diverso che lui personalmente avrebbe della Devia se avesse cantato Aspasia, dimostra da una parte l’ovvia relatività di un paragone per natura circoscritto (alle singole performance, al repertorio, all’occasione: e si sa che il canto non è la produzione meccanica di un qualcosa che si ripete sempre uguale…per cui un interprete può essere più o meno bravo e la sua esibizione variare da una sera all’altra); dall’altra parte testimonia la sua utilità nella quotidiana costruzione del proprio gusto musicale. Quindi non vedo perché mai non si dovrebbe riservare alla Devia, alla Sutherland o alla Horne (così come alle star del passato trapassato e del presente più glamour) lo stesso trattamento che riserviamo ad un risotto mangiato in un certo ristorante o a un libro di un determinato autore…
Per quel che mi riguarda non sono mai stato fan della Devia e non lo sarò mai: non mi piace ora come allora (sia che canti Donizetti, Bellini, Verdi, Rossini o Mozart: trovo sempre cantanti migliori). La ritengo cantante corretta, ma anonima e sostanzialmente amorfa: tende a “cantarsi addosso” in una scelta di repertorio quantomeno eccessivamente ampia. Per tacere il fatto che non ha mai voluto rinunciare alle comode certezze o ad un contorno debole che non potesse imporsi mai sui suoi vezzi e vizi (a cominciare dai direttori d’orchestra). Dal momento, poi, che non sono un commissario d’esame al conservatorio o un giurato in un concorso, non me ne frega sostanzialmente nulla di perfezione tecnica e quant’altro quando l’interprete è assente: non vado a teatro con il bloc-notes per contare le messe di voce o le legature…certo vorrei ascoltare una voce bella (anche timbricamente) che, banalmente, canti bene perché n credo si possa morire di tecnicismo. Inoltre non vorrei annoiarmi tutta sera. Ecco, la Devia mi ha “regalato” la serata forse più noiosa della mia carriera d’ascoltatore: Lucia di Lammermoor alla Scala nel ’92…uno strazio che per anni mi ha impedito d’avvicinare il capolavoro donizettiano. Tanto mi basta.
questo scritto è la dimostrazione della libertà,e varietà del pensiero umano,perche qui sul corriere si parla spesso di tecnica,e la tecnica,e la base del sapere cantare bene,invece qui Duprez mette la tecnica su un secondo piano,naturamente non condivido il suo giudizio sulla Devia,ma questo è normale in una dialettica,poi se una serata come quella sera,non gli è piaciuta succede,ma Duprez quando quella sera eravamo qui in chat,e la Devia cantava a Firenze il finale di Roberto Devereux,anche tu -se ben ricordo-hai dimostrato sorpresa per come ha cantato quel finale.
Pasquale, io non ho MAI scritto che della tecnica mi disinteresso, ma solo che la tecnica è necessaria a sostenere un’interpretazione: se l’interprete è amorfo, noioso e scolastico…potrà anche avere la voce perfettamente impostata, ma il risultato, a mio gusto, rimane insoddisfacente. Un conto è il rispetto della tecnica (che dovrebbe essere scontato: se ascolto un pianista mi aspetto che sappia suonare il pianoforte), altro il tecnicismo per cui tutto si ferma al mero dato tecnico (non importa il significato, ma la forma). Qui sul Corriere – lo dico a beneficio di chi crede il contrario – nessuno ha del canto un’idea “burocratica” e regolamentare. E la tecnica (pur nelle diverse valutazioni di ciascuno) è da tutti intesa come uno strumento per esprimere qualcosa, e non il fine stesso dell’esecuzione.
Quanto al finale del Devereux a Firenze mi spiace smentirti: mai l’ho ascoltato né commentato.
Ps: la Devia non l’ho certo ascoltata solo in quella sciagurata Lucia. Il giudizio è confermato da altri spettacoli e dischi. E non è mai cambiato.
Pps: la libertà di pensiero e di espressione qui non è mai stata messa in dubbio direi, anche se amano dipingerci come una sorta di soviet
beh visto che stiamo parlando di una grande cantante dotata di grande tecnica,è che rispetto alle sue colleghe più giovani è sempre a un livello più alto,a questo punto è solo questione di gusti,che sia un pò freddina è vero,ma non che non interpreti.
Comunque appartiene ormai a un altra generazione…
Pasquale, come vuoi…ma non me la sento affatto di definire la Devia una “grande cantante”