La composizione di Maria di Rohan per il Kärtnerortheater risale alla fine del 1842, periodo di attività compositiva intensissima da parte di Donizetti, intento a rivedere la partitura di Linda di Chamounix per il Théatre des Italiens e alla composizione di Don Pasquale e Maria di Rohan.
Problemi di sovrapposizione di soggetti con un altro compositore sotto contratto con il medesimo teatro nello stesso periodo, imposero a Donizetti la ricerca di un nuovo soggetto. Da Milano gli fu recapitato un vecchio libretto di S. Cammarano, il Conte di Chalais, ossia Un duello sotto Richelieu già musicato senza successo da Giuseppe Lillo per il San Carlo, nel ’39, testo cui Donizetti mise mano in alcuni punti. In realtà Donizetti e Cammarano avevano già preso in considerazione circa cinque anni prima il testo teatrale da cui l’opera è tratta, Un duel sous le Cardinal de Richelieu, di Loucroy e Simon, a sua volta ispirato dalla Marion Delorme di V. Hugo, ma l’operazione si era arenata strada facendo, e Cammarano l’aveva poi completata per Lillo.
L’opera, dopo la prima rappresentazione viennese affidata al trio Tadolini – Guasco – Ronconi, venne portata sulle scene parigine alla fine dello stesso anno, trasformando il personaggio di Gondì da tenore secondo in contralto, protagonista il quartetto Grisi Salvi Ronconi Brambilla.
Come sempre accade per le opere di Donizetti, l’autore provvide la parte di nuovi numeri che tenevano conto dei nuovi interpreti, tenendo conto delle regole drammaturgiche e del costume teatrale del tempo. In particolare, da un lato accontentò madame Grisi con l’inserimento della cabaletta “Benigno il cielo arridere” dopo la grande scena “Havvi un Dio “ al III atto ( cabaletta di Chalais della scena del II atto della versione viennese, “E tu se cado esanime”), senza però rinunziare, dall’altro, al bruciante e drammatico finale affidato all’apostrofe del marito vendicato, “ La vita coll’infamia a te, donna infedele !”. A questa importante trasformazione vennero aggiunte la cabaletta alla cavatina di sortita di Chalais; l’inserimento della sezione centrale del duetto Maria Chalais all’atto II e l’inserimento del duettino tra di due all’atto III; rimaneggiò la cavatina di Chevreuse e il finale I.
Tutto ciò però non fa di Maria di Rohan un work in progress, ma esemplifica, come già per Borgia o Fausta, le modalità esecutive di un melodramma dell’ottocento, la cui presentazione su nuove piazze ed il cambio degli interpreti imponeva operazioni come questa.
Le edizioni critiche consegnano ai moderni esecutori il riordino analitico e scientifico del procedimento compositivo, numero per numero, rappresentazione per rappresentazione. Ciò che un’edizione critica non può imporre o insegnare è il buon senso, senza il quale qualunque edizione critica e/o festival sono mera velleità. Ieri sera a Bergamo abbiamo sentito due volte lo stesso brano, dato che son stati eseguiti sia la cabaletta di Chalais, “E tu se cado esanime”, che quella di Maria, “Benigno il cielo arridere”. L’edizione critica insegna l’esatto contrario, dato che quando Donizetti cedette il brano a Maria per la Grisi si premurò di scrivere una nuova cabaletta per Chalais. L’edizione critica si è fatta ancora una volta “criticabile”; la lezione della storia si è tradotta in “antistoricità” di un ‘operazione che ha dell’assurdo: avete mai udito due volte nella stessa opera lo stesso brano eseguito da due voci diverse in numeri diversi?
L’edizione critica non insegna a cantare. Potremmo stilare il solito elenco di passi mal cantati, lacune tecniche, deprecazioni sullo stile, stigmatizzazioni delle male emissioni etc.. La verità, detta in sintesi, è che la compagnia di canto assemblata a Bergamo era indecorosa, e non merita ulteriori disamine. Ancor più indecorosi sono però coloro che scritturano questi cast e li propongono ai teatri. Il pubblico ha usato misericordia ai solisti, indirizzando al palco sol qualche sporadico bu, pochi applausi, e tanto imbarazzo. Al comune disdecoro si è associata la neodebuttante direzione d’orchestra, che ha battuto il tempo e nulla più, senza nemmeno censurare velleità esecutive di cabalette che non si potevano eseguire, arginare certe evidenti rozzezze esecutive etc. L’artista di rango a volte deve dire di no, e rifiutarsi di partecipare a simili “eventi”, e forse di questo comportamento etico se ne è avuta prova…(?)
Assenza di regia sul palco, al centro, dominante il vortice scenico allestito sul pavimento, un grande buco, che ha suscitato commenti ilari tra il pubblico: una vera metafora della triste serata.
Ad onta dei laj di una simpatica signora bergamasca ad inizio rappresentazione contro gli olezzi che dalla fiera antistante il teatro si sono presto insinuati nella sala…beh, le salsicce, le porchette ed i formaggi valligiani erano di gran lunga più appetibili dello spettacolo in sala!
17 pensieri su “Maria di Rohan a Bergamo. Che buco!”
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beh potevate abbandonare lo spettacolo,e andarvi a fare una bella scorpacciata di salsicce e porchetta,lasciando al loro triste destino cantanti orchestra,…..e il buco sul palco
Ad un festival si fa debuttare un tenore nella parte del direttore?
della serie “se va, va!” ma mi faccia il piacere!
Cara Giulia non è l’edizione critica ad essere “criticabile”, ma l’uso scorretto che di essa si fa! L’edizione critica della Rohan è perfetta…basterebbe seguirla con rispetto: scegliere una delle due edizioni (io preferisco quella viennese, senza l’anacronistico personaggio en travesti, e meno “incrostata” di primadonnismo) e proporla al pubblico. Peraltro quello dell’edizione seguita era veramente l’ultimo dei problemi nella ripresa bergamasca…
Caro Duprez, l’ironia del testo è chiara….si sbandiera l’edizione critica ma si si fanno scelte e si canta in modo no criticabile, ma deprecabile!
Quanto al mio primadonnismo che incrosterebbe Maria di Rohan, Le sfugge ch’io ero importante al pari del maestro Donizetti, fatto che oggi ai moderni sfugge. Accontentare Me era fare arte!…
Ficiamo che ho omesso nell’articolo che sarebbero state eseguite a Bergamo anche inserti per una versione napoletan-parmigiana non chiaramente descritta nel testo del libretto e del pieghevole che lo accompagnava……
Caro Pasquale, abbiamo beneficiato delle delizie in vendita alla fiera….la cosa migliore!
In realtà mi riferivo al primadonnismo contraltile e all’aggiunta dei modestissimi couplets nell’atto I e la cavatina nell’atto II per l’insulso personaggio di Gondy… Accontentare i divi a volte è arte, a volte – quando è capriccio – diventa marchetta. Lo stesso Donizetti mandò a quel paese le sue dive per la Stuarda e lo stesso fece Verdi…pure con l’intoccabile Maurel che vantava prelazioni su Jago od esorbitanti compensi per Falstaff.
A proposito della bislacca filologia orobica e alla scelta di una versione “remixata” della Rohan, c’è da notare che non solo viene eseguita la cabaletta di Maria (fatta per Parigi) e quella di Chalais all’atto II (originale viennese su identico materiale musicale), ma pure viene eseguita la sezione centrale del duetto che chiude l’atto II (presente solo a Parigi) peraltro neppure incluso GIUSTAMENTE nel programma di sala. Del finale parmigiano/napoletano, poi nessuna spiegazione…
Sono stato oggi pomeriggio a “sentire”. Una sola parola: indecente!
Salvo solo il baritono sol perchè “chi ha un occhio in mezzo a tanti ciechi ci vede bene”.
Festival Donizetti? Ma mi facciano il piacere!
Ma più spettacoli con questo soprano e questo tenore. E Kunde, forse, dovrebbe evitare d’ora in poi di dirigere. Canti che è meglio.
beh.. che dire? Due semplici pareri
1) I cantanti che prendono impegni e poi bidonano non mi sono MAI piaciuti (altro che “comportamento etico”, cara Grisi)
2) Quelli che hanno cantato sono stati pessimi. Mediocre il tenore, discreto il baritono.
Caro criticone, pure io sono statabidonaata, come te. Spero se ne sia andato di fronte a tanto disastro. Non sarebbe ne’ il primo ne’ l’ultimo! Di fronte a certe situzioni e’ comprensibile….cominciassero a farlo anche certi grandi che accettano di esibirsi in certe situazioni imbrazzanti..
Umanamente mi sento di capire chi, alla sua prima apparizione al festival Donizetti, non se la sia sentita di essere ricordato come “il tenore di quella spaventosa Rohan”. Uno stigma del genere può risultare letale per una carriera, specie quando alle spalle non ci siano “protettori” (onni)potenti.
Sono d’accordo. Certo, il professionista onora gli impegni…ma verrebbe da dire che anche gli impegni dovrebbero onorare il professionista. E di “onorevole” in questa Rohan c’era, purtroppo, ben poco…neppure quella onesta buona volontà che rende piacevole anche lo spettacolo non perfettamente riuscito. Senza dimenticarci che dietro il professionista c’è l’uomo con le sue fragilità…e come ben dice Antonio senza quei paracadute di cui tanti beneficiano.
sarà un discorso banale, ma quanto costano in soldoni veri questi orrendi spettacoli? Non è possibile mettere in scena un’opera solo in quanto interessa il titolo. Se i cantanti son pessimi meglio non fare niente. Sono anni difficili per tutti i teatri : mancano le voci, gli artisti, i maestri di canto. Al vertice del vocalismo mondiale oggi c’è Florez. Bravissimo, simpatico, bella voce. Ma..vocetta piccolina, un po’ anche oggi rinsecchita, senza note “basse” ma soffiate. Eppure è quanto di meglio si possa trovare. A meno che non si accettino i Berti. Anche Bergamo rientra nel novero di teatri che sono privi di esperti sovrintendenti e con pochi soldi. Il discorso è uno e uno solo: chiudere o contunure così? Ai posteri l’ardua sentenza. Io chiuderei e voi?
Io pure.
Beh.. c’è pure Bros. Che è bravissimo ed è, a mio avviso, uno dei pochi (se non l’unico) decente BelCantista
Io ricorderei Arturo Toscanini che ben due volte per mancanza di quattrini chiuse la Scala (dicesi Scala!) E certamente non mancavano le voci.
Non è mai sensato proporre la chiusura, secondo me: piuttosto occorrerebbe ripensare ad un gestione più oculata e sensata, avendo di mira obiettivi artistici raggiungibili. Per quel che si è sentito venerdì sera, credo che chiunque avrebbe potuto far meglio. Non si richiede il grande cantante, ma cantanti giovani e volenterosi – e non sono mai stato tra coloro che si lamentano del fatto che “non ci sono più le voci” (nenia che si ripete sin dai tempi di Rossini) – dato che sono sicuro che ci sarebbero stati molti altri interpreti più decenti di quelli ascoltati. Il compito di un sovrintendente (o di chi – nell’ambito della dirigenza di un teatro – seleziona le voci) è quello di scoprie e scovare cantanti adatti, e non limitarsi a comporre il numero di telefono di un’agenzia ed appaltare ad essa la composizione del cast. A maggior ragione in un’opera di Donizetti fuori dai repertori e in un festival che dovrebbe essere dedicato alla riscoperta di un autore. E qui il prloblema si ripropone: che senso ha un festival (in questo caso doveroso visto lo stato miserando in cui giace il catalogo donizettiano) così? Non è in grado – salvo rare occasioni – di presentare un testo filologicamente corretto (la Rohan è un esempio: perché sbandierare, anche sul programma di sala, la scelta della versione viennese e poi infarcirla di brani tratti da quella parigina? Ma si possono ricordare La Favorite scorciata delle danze, I Puritani tagliuzzati, La Borgia con un mix inedito di aggiunte). Non è neppure in grado di proporre cast adeguati o quantomeno rispettosi di un livello appena decente. Per non parlare delle regie di questi spettacoli… C’è poi il dato contabile (e non è da sottovalutare, poiché vengono spesi denari pubblici): quanto costa avere una Cullagh? Ci sono realtà – ben più meritevoli – costrette alla chiusura o quasi, forse sarebbe ora di destinare i denari a chi non li sperpera.
L’ ho già detto a proposito del cosiddetto Festival Verdi. In queste condizioni, a simili rassegne non deve più essere dato neppure un euro di soldi pubblici. Vogliono andare avanti in questo modo? Va benissimo, ma caccino i soldi di tasca propria.