Il 26 gennaio 1911, alla Semperoper di Dresda, andava in scena per la prima volta Der Rosenkavalier. A distanza di pochi mesi – il 1° marzo 1911 – il capolavoro di Strauss veniva rappresentato al Teatro alla Scala. Cento anni dopo, nel 2011, il teatro milanese, “celebra” a suo modo l’evento: offrendo al numeroso pubblico, uno spettacolo di livello indecente. Le cronache del tempo ricordano, accanto a entusiasmo e successo, le contestazioni di nazionalisti e futuristi: i primi offesi per i personaggi “italiani” di Annina e Valzacchi (intriganti e opportunisti); i secondi indignati con l’autore per aver “rinnegato” la musica dell’avvenire in favore di borghesissimi valzer (lo stesso Marinetti venne sfidato a duello da Tito Ricordi, precedentemente ricoperto di insulti dallo scrittore, colpevole, ai suoi occhi, di aver pubblicato una tale “sconcezza”). Nulla di tutto ciò, purtroppo, ha segnato l’esecuzione del centenario: nessuna contestazione, rimostranza, fischio ha fatto giustizia dello scempio con cui è stata eseguita la musica di Strauss. Solo le pretestuose lagnanze di alcune associazioni animaliste e l’inopportuno intervento del locale assessore “al benessere e alla qualità della vita” (la fantasia italica nel definire improbabili poltrone e incarichi resta ineguagliata) relativamente alla presenza di animali veri sul palco (e qui mi risparmio scontate ironie), ha moderatamente scaldato l’anteprima. Non ci si auspica, certo, che scorra il sangue nel foyer del teatro o che si tiri di scherma in via Manzoni, tuttavia sarebbe stato legittimo attendersi che il pubblico scaligero “si accorgesse” di quel che stava ascoltando. Forse è pretendere troppo da chi, ormai, pare aver abiurato coerenza e buon senso (oltre che udito appena decente). Ma è giusto procedere con ordine. Inutile e facile parlare di un’orchestra in perenne difficoltà, imprecisa negli attacchi, chiassosa negli insiemi, con evidenti stonature tra ottoni e legni, e dal bruttissimo suono degli archi in genere (da cui provengono stridori e strappi): è preoccupante che un teatro come la Scala (con pretese di eccellenza), ad oggi, non possa permettersi Strauss. Non è la prima volta che si rilevano analoghi problemi (ricordo il Tannhauser della passata stagione, quando dopo appena cinque minuti di overture gli archi andavano da una parte e i fiati dall’altra: imbarazzante), tuttavia essi vengono amplificati quando si abbandonano i più abbordabili titoli della tradizione melodrammatica italiana per affrontare lavori che presentano qualche difficoltà maggiore! Sempre la stessa sarebbe la soluzione: rifondare l’orchestra e affidarla ad una bacchetta vera e presente, non ad un turista del podio – come Barenboim – che, evidentemente, non ha tempo e voglia per dedicarsi al pur riccamente retribuito incarico milanese. Inutile anche parlare di Philippe Jordan, direttore che “fa quel che può” trovandosi di fronte una compagine quasi impermeabile a suggestioni esterne e che è costretta a concentrarsi su come “portare a casa la serata”. Detto questo ho trovato l’impostazione di Jordan poco coinvolgente, molto effetistica e per nulla interessato a esplorare il distacco malinconico e la nostalgia che emergono da ogni piega della scrittura: scambiare Strauss (Richard) per Strauss (Johann) e trasformare il Rosenkavalier in una raccolta di valzeroni da concerto di capodanno, significa tradire la raffinatezza dell’autore che ha voluto suggerire, con il personaggio della Marescialla, quella finis Austriae (fatta di ricordi di antichi splendori, incertezza del presente, e ombre oscure per il futuro) che caratterizza lo scorcio dei primi anni del secolo XX e che permea il capolavoro di Strauss. E così come La Marcia di Radetzky o La Cripta dei Cappuccini di Rott non sono feuilleton storici (ma malinconiche e toccanti cronache della fine di un mondo) così il Rosenkavalier non è una farsa brillante o un’operetta con danze ed equivoci triviali. Ma il pubblico si è divertito lo stesso e magari si è messo pure a canticchiare i temi dei valzer durante l’intervallo, illudendosi che, in fondo, l’opera a questo si limitasse. Più indecoroso, invece, lo spettacolo offerto dalla compagnia di canto di cui i soli Joyce DiDonato (Octavian) e Peter Rose (Ochs) hanno mostrato di praticare il canto professionale. Nulla di trascendentale, giacché la prima era spesso coperta dall’orchestra (ma non me la sento di attribuire a lei tutte le colpe, data la pesantezza dello strumentale), e il secondo mostrava la corda nel registro più basso. La palma della peggiore va assegnata ad Anne Schwanewilms, una Marescialla semplicemente inaccettabile, con gravissimi problemi di tenuta vocale e intonazione (il monologo del primo atto e il trio finale – momenti supremi dell’arte straussiana – sono stati, infatti, compromessi del tutto da un canto stonato e affannato). Anche per lei evidente carenza di volume (impietosamente evidenziata nelle parti dialogate, ove la voce non oltrepassava l’orchestra). Tra il mediocre e l’insufficiente tutto il resto: dai comprimari tutto sommato accettabili alla Sophie dagli acuti stridenti come unghie su una lavagna di Jane Archibald, sino allo spaventoso Faninal di Hans-Joachim Ketelsen, il quale pare conoscere solo il forte e il fortissimo. Menzione “speciale” al Cantante Italiano del divo Marcelo Alvarez, “bravissimo” nel rappresentare tutti i difetti del genere. Non pretendevo di ascoltare l’inarrivabile Pavarotti dell’incisione di Solti, ma almeno un modo di cantare che tradisse quella passionalità raffrenata e malinconica che, con poche note, Strauss riesce a dipingere, e non la sbracatura da canzone napoletana con cui il tenore “esegue” il brano (improponibili gli acuti sul filo della stecca). Insomma un Rosenkavalier in stile farsa non m’era mai capitato di ascoltarlo. Un poema sinfonico mal suonato e mal diretto con l’interferenza di alcune voci sgradevoli: così si potrebbe riassumere questo spettacolo. Non dimentico l’allestimento “di livello europeo” (come ci assicurano gli esegeti più à la page) dell’ormai defunto Herbert Wernicke – che per la verità avrebbe già fatto il suo tempo (risale al ’95 e il suo creatore è morto da una decina d’anni), ma che il tempismo scaligero ci propina oggi, spacciandolo come novità sconvolgente a prova di gonzo – che evita, ne va dato atto, la sgradevole sensazione del concerto in costume (sport preferito da sedicenti teatranti nostrani ed esteri), ma che ripropone il solito campionario di scene e controscene: del resto è già tutto scritto nella musica, difficile dire e fare qualcosa di diverso. Discorso differente in merito alla messinscena: l’idea, forse buona nella mente del suo artefice e originale 15 anni fa (un muro di specchi semoventi su cui si riflettono scorci di salotti viennesi alternati – nei finali d’atto – alla visione della sala semibuia) sconta una realizzazione problematica, del tutto diversa da quanto si vede nel DVD in commercio (marcato DECCA e frutto di sapienti riprese video): poco suggestivo, con soluzioni di cattivo gusto (come il pierrot/pulcinella) che apre e chiude la serata e funestato da cigolii e rumori d’ogni tipo (per tacere degli specchi traballanti ad ogni movimento con effetto ondulatorio sull’immagine: molto fastidioso), oltretutto impatta negativamente sull’acustica del teatro, producendo un fastidioso riverbero verso la sala. Insomma, un regalo per il centenario che si poteva/doveva evitare, ma che il pubblico, incredibilmente, ha mostrato di apprezzare, probabilmente perché non più in grado di riconoscere uno spettacolo semplicemente indecoroso!
Gli ascolti: Strauss dirige l’arrangiamento scritto nel 1925 per una produzione cinematografica; Lotte Lehmann, Eva Adrabova ed Elisabeth Schumann, dirette da Hans Knappertsbusch, nel trio finale.
per un’amico…
http://youtu.be/HZ6nI6XXM_U
amo, tu sì che mi capisci!
Vorrei anche ricordare le smorfie orrende della Di Donato durante i travestimenti specie nell’ultimo atto…..recitazione da teatrino di infimo livello….ed il pubblico cosa fa ?….ride e si diverte.
Vero…mi ero scordato di citare questo raccapricciante dettaglio: la vocetta nasale di Octavian/Mariandel (come da peggior tradizione d’avanspettacolo) di cui non si comprende la ragione e che tanto è piaciuta ad un noto critico (?) della carta stampata. Il Rosenkavalier DEVE far ridere, sorridere, divertire…ma è più che sufficiente la sapientissima costruzione di Strauss/Hoffmanshtal, non sono necessarie aggiunte da operaccia buffa…
Leggo quello che scrive Duprez riguardo all´orchestra. Io ho da poco ascoltato la Filarmonica della Scala qui a Stoccarda, in un concerto diretto da Harding. Hanno suonato correttamente, senza grandi sbavature, ma l´orchestra non ha personalità, il suono degli archi è smunto, smagrito e privo di quella caratterizzazione timbrica che un complesso con pretese di rango internazionale deve obbligatoriamente possedere. A fare un paragone con le orchestre di qui, quella scaligera non raggiunge neanche il livello qualitativo di complessi come quelli di Stoccarda, Francoforte o Amburgo, i quali oltretutto una partitura come il Rosenkavalier sono in grado di suonarla impeccabilmente, sotto la direzione di chiunque! Non voglio nemmeno osare un paragone con le orchestre operistiche tedesche di primo livello, come quelle di Monaco o Berlino, perchè l´attuale orchestra della Scala non è in grado di vederle neanche col binocolo.
Saluti.
Infatti il Rosenkavalier in tutto il mondo civile è “opera di repertorio”…da noi pare invece una rarità ineseguibile. All’orchestra della Scala manca un suono preciso e sicuro: appena si abbandonano le placide rive dell’italico melodramma (molto più abbordabile quanto a difficoltà esecutive, ma comunque non certo eseguito in maniera impeccabile…anzi)è il disastro: Wozzeck, Tannhauser, Lohengrin…sono solo alcuni dei passaggi verso il basso (inspiegabilmente ne è uscito indenne il Tristan di qualche anno fa). Il pubblico – per cui provo una profondissima disistima – neppure se ne accorge, confortato, in ciò, dalla stampa nazionale che ha parlato di “splendida edizione” (certo ha dovuto impiegare una trentina di righe di prosa involuta e sconnessa per non far altro che uno spot pubblicitario).
Fatevi un giro nei conservatori italiani ( o scuole o “accademie” di “musica”…) poi fate un giro degli stessi all’estero.
Caro capriccio, le va di riformulare il suo ultimo commento eliminando gli insulti, gratuiti perché personali, da lei rivolti ad altro utente? Se non le va ovviamente non succede nulla, ma si scordi di essere pubblicato.
Chiedo scusa,ma io non sono affatto d’accordo nè con Duprez nè con 2006.
Duprez: io ritengo che l’Orchestra della Scala sia un’eccellente compagine, quando è diretta da bravi direttori; Jordan non è un grande direttore, la sua orchestrazione mi è sembrata un pò fracassona,a volte rimbombava tutto in teatro,per me non ha ancora capito Strauss e come si deve suonare: il dettaglio, il dettaglio è la parola magica, quando si vuole suonare bene Strauss;lei prima incolpa l’orchestra poi il direttore, ma a cosa serve il direttore? Nonostante tutto , la compagine si è difesa bene, l’unica pecca gli ottoni, questo sì! Ma anche in Walkuere gli ottoni sono fondamentali e lì non a caso l’orchestra funzionò, fu perfetta perchè fu perfetta la direzione di Barenboim, l’unico vero prodigio di questo direttore da che è alla Scala,e perchè, probabilmente, il “turista direttore” ci teneva molto. Apprezzai molto la direzione di Metha per il Tannhauser( che negli ultimi anni mi è sembrato assa i routinario, soprattutto a Firenze) e così dicasi per la Casa di Morti, ma qui c’era Salonen, attualmente il più grande direttore in circolazione e probabilmente nel futuro.E anche in Lulu l’orchestra fu grande.La Marescialla si è difesa benissimo (i grisini purtroppo recensiscono la premiere e spesso ciò inganna…). L’amatissima Joyce è stata meravigliosa e buono il resto:la Archibald non ha grande voce, ma gli strilli e stridolii,che io non sopporto, non li ho affatto sentiti(e in questo io mi ritengo assai esigente). Lo spettacolo lo vidi 2 o3 anni fa a Baden Baden nel restyling di uno spagnolo e io lo trovai memorabile così come me lo sono goduto a Milano.Nonostante le pecche sopra riportate(a Baden il direttore e il cast erano stellari e piuttosto bravi!) a fine opera ero assai felice! Ho sempre apprezzato,da che lo seguo,l’equilibrio di Duprez,sia nelle recensioni che nei commenti, ma qui, non so come, mi è sembrato un pò sopra le righe.S’è visto e sentito ben di peggio a Milano e soprattutto nel repertorio congeniale!
M2006: mah che dire! Lei ogni tanto si muove da Stoccarda? o più lontano che vada è Baden Baden(dove fra l’altro io sono di casa)?. Viene ognitanto a Milano. Se si muovesse un pò di più, forse si accorgerebbe che in Germania(dove fra l’altro io sono di casa) non è tutto oro quello che luccica: sì certo la media di molte orchestre tedesche è molto,ma molto più alta delle nostre orchestre, ma qui a dire che le orchestre di Stoccarda,Francoforte e Amburgo(ignorando bellamente quella di Colonia,assai superiore) che conosco benissimo,siano superiori alla Scala sia nel sinfonico che nell’operistico, insieme a Monaco e Berlino mi sembra assai discutibile: si sentono delle schifezze anche là, caro 2006! In 10 anni di mia assidua frequentazione in tutti i teatri europei, mai mi è capitato di decidere di venire nella sua città, mai c’è stato qualcosa che mi invogliasse e poi Stoccarda è soprattutto famosa nel mondo per il German-Trash dei suoi allestimenti operistici.Le consiglio semmai di trasferirsi a Berlino con 3 teatri d’opera e innumerevoli orchestre fra cui l’impressionante Deutches Symphonie Orchester Berlin che a Baden Baden in Giugno, diretta da Sotesz(che meraviglia la loro Salome!), ha nettamente surclassato la Statkapelle Berlin diretta da Boulez e con Barenboim pianista.Mi sembra che i suoi innumerevoli interventi, siano spesso un pò precipitosi e con una certa dose di acredine verso tutto ciò che parla italiano.Ma Lei è Tedesco o è dovuto o voluto emigare là!Mi scusi per la mia impertinenza!
Cordialmente, a tutti e due! Capriccio(ex Fabrizio)