Anni fa, in occasione di un riallestimento scaligero del celebrato spettacolo della Cavani, avevamo dedicato ascolti e riflessioni alle Violette soprani di agilità. La scelta era motivata dalla presenza in cartellone di una delle ultime esponenti di questa corda, allora più che oggi in grado di rinverdire, sia pure in parte e limitatamente a determinati titoli, i fasti di paleolitiche e oggi quanto mai inopportune colleghe. Le stesse che oggi certa critica, di nulla avvertita se non di se medesima e dei desiderata degli uffici stampa dei teatri, si diverte a ritrarre come un nido di usignoli meccanici, cui si contrapporrebbe una nuova generazione di cantanti benedette dal disco, e per ciò stesso ben più preparate e incomparabilmente più espressive. La portabandiera di questa nouvelle vague del canto verdiano si è esibita lo scorso mese in un noto festival europeo, appunto nel ruolo di Violetta, con tale e tanto esito da indurci, da un lato, a riconsiderare sotto nuova luce non già l’arte sublime di una Fanny Heldy, ma il solido e onesto mestiere di una Margherita Carosio, dall’altro, a stendere, appunto, queste brevi considerazioni sulle Violette “pachidermiche”.
L’uso delle virgolette non è aleatorio. A parte qualche suono un poco sgallinacciato della Caniglia sui passaggi di agilità in “Un dì felice eterea”, passaggi che battono in massima parte su una zona a dir poco ostica per la voce di soprano (quella che segue il passaggio superiore: sol-sibem4), le Violette considerate dimostrano assoluta facilità nella gestione del registro acuto, ad esempio nella salita al labem4 di “solinga ne’ tumulti” oppure nell’esecuzione dei do5 ribattuti nella coda del finale primo. Si ascolti Antonietta Stella, seppur priva del mibem sovracuto di tradizione (e anche qui il pensiero vola a tanti usignoli moderni, che meglio farebbero ad astenersi da simile nota, visto che i problemi iniziano sul labem4 del cantabile, su cui la voce si incrina, quando non si spezza semplicemente). E se è vero che Renata Tebaldi abbassa di un semitono il tempo di mezzo e la susseguente cabaletta, nel duetto con il baritono non ha difficoltà ad attaccare a piena voce, ma senza urla o stridore di denti, il labem4 di “che a lei il sacrifica”. Così come facile, sicura e luminosa è la salita al la4 di “tu accoglila oh Dio” nella grande aria del terzo atto, eseguita dalla Tucci così come da Gilda Cruz-Romo.
Ma il pregio maggiore di queste Traviate “pesanti” risiede altrove, ossia nella possibilità di rendere piena giustizia alla scrittura verdiana. Fin dal brindisi di presentazione Violetta si esprime per ampie frasi che chiamano in causa la zona della voce compresa tra il fa3 e il sol4: si consideri ad esempio l’esclamazione “Ah perché venni incauta”, che per tre volte si ripete nella scena della festa di Flora, e ogni volta con la sua “brava” forcella, che andrebbe sempre onorata, quando non ampliata con altri mezzi espressivi (stentando, rubati e così via). Ebbene in questa ottava abbondante la protagonista deve non solo sfoggiare un legato degno di questo nome, ma è chiamata a esprimere, a dire, a cambiare accento e colore quasi a ogni frase. Non a caso il personaggio è l’unico tra quelli del repertorio verdiano che le più celebrate dive del Verismo abbiano stabilmente frequentato. Ne citiamo una soltanto, ma paradigmatica: Magda Olivero. Invitiamo i lettori ad ascoltare le Violette proposte e a confrontarle con le attuali capofila dell’espressività verdiana: c’è di che rimanere edificati, o allibiti, a seconda dei casi.
E tralasciamo pure, considerandola acquisita e scontata (ma forse pecchiamo di ingenuità), la Violetta giustamente celebrata di Maria Callas, che nel 1952 si può ancora permettere il lusso, che altri non mancheranno di definire pacchiano e plebeo, di chiudere il secondo atto con uno spettacolare mibem sovracuto, ma nei minuti che precedono canta e fraseggia come pochissime altre prima di lei e quasi nessuna dopo, restituendo in uno la determinazione morale e il crollo psicologico del personaggio, ma ascoltiamo ad esempio Rosa Ponselle, certo non la più raffinata delle cantanti ma letteralmente inarrestabile e incontenibile nell’esibizione di una colonna di suono, che è poi una colonna di fiato, di fronte alla quale i pur impressionanti compagni di palcoscenico poco o nulla possono. O ancora il timbro aureo e malioso di una Tebaldi o di una Caniglia (la seconda maggiormente composta della prima, che non si perita di introdurre, con discutibile artificio naturalistico, singhiozzi e colpi di tosse nel confronto con il mancato suocero e nel successivo straziante colloquio con l’ignaro Alfredo), o l’accento, giusto e castigatissimo, di una Tucci e di una Stella, o ancora la voce dolcissima e mesta della Cruz-Romo.
E pazienza se ci toccherà leggere, come di sicuro leggeremo, che quelli della Grisi sognano e pretendono una Violetta giunonica o, per citare l’usato vocabolario, sussiegosa matrona, che canta come Kundry o Brunnhilde. Cari signori, le vostre Kundry e Brunnhildi, come pure le Violette a voi care, dovrebbero interpretare solo una parte nel titolo verdiano, quella di Annina. In fondo anche Flora, nella scena con il marchese al secondo atto, qualche quartina l’ha in partitura!
Giuseppe Verdi
La traviata
Atto I
Dell’invito trascorsa è già l’ora…Libiam ne’ lieti calici – Frederick Jagel & Rosa Ponselle (1935)
Un dì felice, eterea – Beniamino Gigli & Maria Caniglia (1939)
E’ strano, è strano…Ah, fors’è lui…Sempre libera – Renata Tebaldi (1952), Antonietta Stella (1955)
Atto II
Madamigella Valery?…Dite alla giovine – Rosa Ponselle & Lawrence Tibbett (1935), Renata Tebaldi & Gino Orlandini (1952)
Dammi tu forza, o cielo…Amami Alfredo – Renata Tebaldi (1952), Gabriella Tucci (1963)
Alfredo! Voi…Di sprezzo degno…Alfredo, Alfredo – Rosa Ponselle (con Frederick Jagel, Elda Vettori, Alfredo Gandolfi – 1935), Renata Tebaldi (con Giacinto Prandelli, Liliana Pellegrino, Nunzio Gallo – 1952), Maria Callas (con Giuseppe di Stefano, Pietro Campolonghi – 1952)
Atto III
Teneste la promessa…Addio del passato – Gabriella Tucci (1963), Gilda Cruz-Romo(1973)
Parigi, o cara…Gran Dio! Morir sì giovine – Beniamino Gigli & Maria Caniglia (1939), Cesare Valletti & Maria Callas (1951)
Ah, Violetta!…Prendi, quest’è l’immagine – Maria Caniglia, Beniamino Gigli & Mario Basiola (1939)