Quando arriva l’estate, arriva Rossini. O meglio il festival di Pesaro, che non è Rossini.
Per propria scelta il corriere della Grisi non solo ricerca di “che sangue gronda l’alloro” rossiniano, ha, però, scelto di guardare intorno a Rossini, che se anche grandissimo ed irraggiungibile Rossini non è solo non è unico: l’anno passato con la curiosità, solo in parte esaudita di conoscere e far conoscere i titoli seri (tragici si diceva un tempo) alcuni precedenti, altri coevi la grande stagione del genio di Pesaro. Quest’anno abbiamo pensato all’opera comica quella che –superficialmente ed economicamente- ancor oggi ad opera, fra l’altro, di celebri bacchette si ritiene essere il terreno di elezione di Rossini.
Quindi opera comica napoletana. Il termine comica però è riduttivo perché erroneamente sotto questo epiteto raggruppiamo almeno tre generi ben differenti fra loro.
In primo luogo l’intermezzo. Modello “la serva padrona” di Pergolesi, che nasceva come divertimento in un’epoca in cui all’opera si andava in modo ben diverso dall’attuale. E poi l’opera di sapore veramente popolare con i parlati, personaggi, che si esprimono in dialetto napoletano, scritture vocali elementari e che sopravvive sino alle “inconvenienze” donizettiane e trova l’ultimo tardivo, ma sublime epilogo nella produzione dei fratelli Ricci con la Piedigrotta, che mette in scena e celebra il folklore napoletano ed il Crispino e la Comare dove certe scene, nonostante l’ ambientazione veneziana, sono il teatro dialettale partenopeo in musica. E poi un terzo modello quello più difficile da capire e fruire oggi rappresentato della commedia patetica o larmoyant di cui Cecchina e Nina sono modelli assoluti, con quelle melodie dolci e languide, che Stendhal dichiarava le più autentiche della tradizione italiana e che le primedonne imponevano ai compositori.
Ma anche l’assunto precedente è una semplificazione perché l’opera napoletana spesso raccoglie ben altro ovvero partecipa della commistione dei generi. Ne sono esempio, senza anticipare chi scriverà nel dettaglio, Cecchina dove i personaggi popolari come la protagonista e Tagliaferro cantano come i personaggi del dramma popolare, mentre i personaggi nobili (marchesa Lucinda e Cavalier Armidoro, entrambe parti scritte per castrati) cantano secondo gli stilemi del dramma serio e ancor più “Matrimonio segreto”. I personaggi del Matrimonio sono quelli che più di tutti anticipano la scelta rossiniana di far cantare i personaggi comici con la stessa vocalità di quelli seri. Un solo esempio il conte Robinson, anticipo di Dandini, entra in scena con la stessa sussiegosa prosopopea di quelli dell’opera seria e Fidalma spiega senza troppe metafore i “piaceri” del matrimonio con la vocalità che compete ad un personaggio nobile e coturnato. In questo e non in pagliacciate esecutive sta il comico. Poi è chiaro che quando si parla del Crispino e la Comare è facile parlare di rossinismo, di opera epilogo di una forma musicale. Forse sarebbe più congruo parlare di eredità di Cimarosa e Piccinni.
Buon agosto in compagnia del dramma buffo napoletano.
Per propria scelta il corriere della Grisi non solo ricerca di “che sangue gronda l’alloro” rossiniano, ha, però, scelto di guardare intorno a Rossini, che se anche grandissimo ed irraggiungibile Rossini non è solo non è unico: l’anno passato con la curiosità, solo in parte esaudita di conoscere e far conoscere i titoli seri (tragici si diceva un tempo) alcuni precedenti, altri coevi la grande stagione del genio di Pesaro. Quest’anno abbiamo pensato all’opera comica quella che –superficialmente ed economicamente- ancor oggi ad opera, fra l’altro, di celebri bacchette si ritiene essere il terreno di elezione di Rossini.
Quindi opera comica napoletana. Il termine comica però è riduttivo perché erroneamente sotto questo epiteto raggruppiamo almeno tre generi ben differenti fra loro.
In primo luogo l’intermezzo. Modello “la serva padrona” di Pergolesi, che nasceva come divertimento in un’epoca in cui all’opera si andava in modo ben diverso dall’attuale. E poi l’opera di sapore veramente popolare con i parlati, personaggi, che si esprimono in dialetto napoletano, scritture vocali elementari e che sopravvive sino alle “inconvenienze” donizettiane e trova l’ultimo tardivo, ma sublime epilogo nella produzione dei fratelli Ricci con la Piedigrotta, che mette in scena e celebra il folklore napoletano ed il Crispino e la Comare dove certe scene, nonostante l’ ambientazione veneziana, sono il teatro dialettale partenopeo in musica. E poi un terzo modello quello più difficile da capire e fruire oggi rappresentato della commedia patetica o larmoyant di cui Cecchina e Nina sono modelli assoluti, con quelle melodie dolci e languide, che Stendhal dichiarava le più autentiche della tradizione italiana e che le primedonne imponevano ai compositori.
Ma anche l’assunto precedente è una semplificazione perché l’opera napoletana spesso raccoglie ben altro ovvero partecipa della commistione dei generi. Ne sono esempio, senza anticipare chi scriverà nel dettaglio, Cecchina dove i personaggi popolari come la protagonista e Tagliaferro cantano come i personaggi del dramma popolare, mentre i personaggi nobili (marchesa Lucinda e Cavalier Armidoro, entrambe parti scritte per castrati) cantano secondo gli stilemi del dramma serio e ancor più “Matrimonio segreto”. I personaggi del Matrimonio sono quelli che più di tutti anticipano la scelta rossiniana di far cantare i personaggi comici con la stessa vocalità di quelli seri. Un solo esempio il conte Robinson, anticipo di Dandini, entra in scena con la stessa sussiegosa prosopopea di quelli dell’opera seria e Fidalma spiega senza troppe metafore i “piaceri” del matrimonio con la vocalità che compete ad un personaggio nobile e coturnato. In questo e non in pagliacciate esecutive sta il comico. Poi è chiaro che quando si parla del Crispino e la Comare è facile parlare di rossinismo, di opera epilogo di una forma musicale. Forse sarebbe più congruo parlare di eredità di Cimarosa e Piccinni.
Buon agosto in compagnia del dramma buffo napoletano.