Che sia ancora oggi possibile vivere del controllo del fiato e del suono lo dimostra la signora Mariella Devia, che a Firenze per la chiusura del Maggio musicale ha offerto ad un pubblico plaudente e pien di giubilo le scene finali delle regine donizettiane.
Premetto che la natura vocale di Mariella Devia (e per essere onesti anche dell’altra sempiterna frau Gruberova) e quella delle regine donizettiane non ci sono corrispondenze a meno di non mettere pesante mano allo spartito per accomodare senza troppo scrupolo o con la sola legge del “io primadonna”, scelte che Mariella Devia ha sempre praticato, a differenza di una Sutherland, con inutile parsimonia. I personaggi regali sia ai piedi del patibolo sia nel delirio erotico della vecchiaia richiedono un timbro più pieno e brunito di quello della Devia, un accento più largo e scandito e cantano in una zona ben poco propizia alla cantante, che è e rimane un soprano leggero, in grado di cantare con un controllo della voce, una distribuzione del fiato da farci credere che il personaggio tragico di ascendenza rossiniana possa avere coloro e timbro da Lakmè o Margherita di Navarra.
Ciò nonostante ed è già un bel nonostante, cui si debbono aggiungere i normali, fisiologici acciacchi dell’età Mariella Devia riesce a trascinare il pubblico dalla sua e quel che ulteriormente meraviglia è che lo trascina con l’unica arma che ha sorretto quarant’anni di carriera: IL CANTO.
Prendiamo la scena finale del Devereux, proposta quale antipasto dell’imminente debutto marsigliese del prossimo novembre. La scrittura è molto centrale con qualche scomoda discesa in basso sia nel recitativo che nel cantabile e esigenza di slancio nei primi acuti. Tutto ciò che non è le mai rientrato nelle doti naturali di Mariella Devia, che riesce, poerò a proporre con misura il recitativo , ossia non si scalda troppo e non cerca di fare la tragica su frasi come “io sono donna alfine”, ma che all’ostica frase conclusiva “ohi cruda orrenda” canta anziché urlare e declamare. Canta pure sul mezzo forte il cantabile, mostrando come gli anni nella zona centrale compromettano il legato e, pertanto, sconsiglino preziosismi interpretativi stile Sills e non consentano – questo oggi come ieri – le esibizioni di bel suono stile Caballè. Poi arriva la sezione finale (che pur in tempo lento è tecnicamente una cabaletta) con una lezione di canto unica quando la Devia scende al si grave di “spietato cor” facendo sentire un vero suono di petto e dimostrando, come accade anche nei 78 giri, che un soprano leggero li può emettere facili e timoratissimi. E nel finale esplode la prima donna che finalmente lega con facilità, colorisce e smorza e riesce nel contempo ad essere intensa e composta, senza la voce di soprano spinto. Ovazioni da stadio in teatro, conseguenti organizzazioni di pulmann da pellegrinaggio a Notre Dame de la Guerison per il debutto foceo del prossimo novembre. E con ragione perché la sessantatrenne signora di Chiusavecchia rievoca unica o quasi immagini non già di arte sublime,ma di professionismo solido e di coerenza con i propri mezzi . Poi aggiungo il finale più che la scena tragica di Elisabetta Tudor era l’aria alternativa per la Ines de Castro, aggiunta per Fanny Tacchinardi Persiani. Ma questo conta poco o nulla!
Premetto che la natura vocale di Mariella Devia (e per essere onesti anche dell’altra sempiterna frau Gruberova) e quella delle regine donizettiane non ci sono corrispondenze a meno di non mettere pesante mano allo spartito per accomodare senza troppo scrupolo o con la sola legge del “io primadonna”, scelte che Mariella Devia ha sempre praticato, a differenza di una Sutherland, con inutile parsimonia. I personaggi regali sia ai piedi del patibolo sia nel delirio erotico della vecchiaia richiedono un timbro più pieno e brunito di quello della Devia, un accento più largo e scandito e cantano in una zona ben poco propizia alla cantante, che è e rimane un soprano leggero, in grado di cantare con un controllo della voce, una distribuzione del fiato da farci credere che il personaggio tragico di ascendenza rossiniana possa avere coloro e timbro da Lakmè o Margherita di Navarra.
Ciò nonostante ed è già un bel nonostante, cui si debbono aggiungere i normali, fisiologici acciacchi dell’età Mariella Devia riesce a trascinare il pubblico dalla sua e quel che ulteriormente meraviglia è che lo trascina con l’unica arma che ha sorretto quarant’anni di carriera: IL CANTO.
Prendiamo la scena finale del Devereux, proposta quale antipasto dell’imminente debutto marsigliese del prossimo novembre. La scrittura è molto centrale con qualche scomoda discesa in basso sia nel recitativo che nel cantabile e esigenza di slancio nei primi acuti. Tutto ciò che non è le mai rientrato nelle doti naturali di Mariella Devia, che riesce, poerò a proporre con misura il recitativo , ossia non si scalda troppo e non cerca di fare la tragica su frasi come “io sono donna alfine”, ma che all’ostica frase conclusiva “ohi cruda orrenda” canta anziché urlare e declamare. Canta pure sul mezzo forte il cantabile, mostrando come gli anni nella zona centrale compromettano il legato e, pertanto, sconsiglino preziosismi interpretativi stile Sills e non consentano – questo oggi come ieri – le esibizioni di bel suono stile Caballè. Poi arriva la sezione finale (che pur in tempo lento è tecnicamente una cabaletta) con una lezione di canto unica quando la Devia scende al si grave di “spietato cor” facendo sentire un vero suono di petto e dimostrando, come accade anche nei 78 giri, che un soprano leggero li può emettere facili e timoratissimi. E nel finale esplode la prima donna che finalmente lega con facilità, colorisce e smorza e riesce nel contempo ad essere intensa e composta, senza la voce di soprano spinto. Ovazioni da stadio in teatro, conseguenti organizzazioni di pulmann da pellegrinaggio a Notre Dame de la Guerison per il debutto foceo del prossimo novembre. E con ragione perché la sessantatrenne signora di Chiusavecchia rievoca unica o quasi immagini non già di arte sublime,ma di professionismo solido e di coerenza con i propri mezzi . Poi aggiungo il finale più che la scena tragica di Elisabetta Tudor era l’aria alternativa per la Ines de Castro, aggiunta per Fanny Tacchinardi Persiani. Ma questo conta poco o nulla!
Tutto vero ma ci sono pure i limiti. Oltre alla tecnica c'è l'anima. La prima c'è seppur non così trascendentale come si vuol far credere. La seconda non è mai esistita.
d'accordo con la recensione anche in chat nella sera del concerto c'era della perplessita su Maria Stuarda e Anna Bolena ma sulla terza regina nel finale anche qui in chat sono rimasti ben sorpresi da come la Devia ha saputo ben gestirlo( a parte l'amico Mozart che è rimasto scettico pur riconoscendo la grande professionalita della Devia
Francescototo58 la tecnica,e l'anima,ora che la Devia sia un po freddina va bene,ma non si canta un finale del Devereux come lo ha cantato lei se non ci metti anche un po
di cuore o anima
Per me l'asso vincente della Devia è la respirazione che poi è la base di tutto
Brava Mariella altri 10 anni cosi.
concordo non sono mai stato un devia ' s boy . È ma quello che ha fatto a firenze è miracoloso. L' anima della signora è solo il canto! Non chiedere altro non c 'è.
Quello che caratterizza la Regina Devia oltre alla tecnica e alla sua enorme musicalità è la sua grande intelligenza….io ero in teatro ed è vero che nella Bolena e nella Stuarda non è stata al massimo, però credetemi,ad ascoltarla dal vivo esisteva solo lei, non sentivi niente altro che lei, tutto ciò che le stava intorno, comprimari ed orchestra, si opacizzava.
Tanto di cappello a questa grande signora che, malgrado tutto, riesce ancora ad emozionare….e come direbbe Tosca….ecco un'artista.
L'ho sentita per radio. penso che sia la più grande cantante italiana in attività quanto a tecnica d'emissione e stile. ha fatto delle cose eccezionali e sono convinto che sia tutto merito di una scuola di canto sopraffina basata su una respirazione da manuale.
Sluti a tutti
chissà se un giorno qualcuno la convincerà a fare Norma in teatro..
Io spero che lasci perdere Norma. So che ha accennato ad una possibilità di farla se gliela fanno fare alla Pergola di Firenze.
A me la Devia piace molto ma spero che abbia fatto solo una battuta.
io non vedo l'ora invece
secondo me è l'unica cantante ormai in grado di affrontare il legato belliniano.. io sapessi di una Norma con la Devia accorrerei. è ovvio che non ho sentito altre grandi Norma dal vivo per una questione anagrafica, ma non si può vivere di ricordi discografici, andando a teatro oggi a vedere Norma, mi piacerebbe trovare in locandina lei. e, mi spiace dirlo, al momento, nessun'altra.
Neanche la Theodossiou? 😀
A parte gl scherzi, pur capendo certe motivazioni (tecnica solida, legato, etc.) proprio non riesco a figurarmela. Ben inteso che se la cantasse davvero, probabilmente, andrei a sentirla.
Mi sorge spontanea una domanda: e chi ci mettiamo come adalgisa? 😀
Per Carità….
Lo so che sto per dire qualcosa che sembrerà una bestemmia, ma io ci metterei la Frittoli o la Ganassi.
lasciamo la signora devia al suoposto e norma in altro e ben diverso.
è e rimane un soprano leggero e se dovesse fare ancora qualche cosa di sgnificativo potrebeb cantare la margherita degli ugonotti o l'etoile du nord queste sono l esue opere.
perdonate erano ritenute, a ragione leggere per norma sutherland e caballè. Allora maria chiara avrebbe dovuto cantare turandot e norma facendo le proporzioni.
Concordo al 100% con Donzelli.
Caro Donzelli, chi le piacerebbe oggi sentire come Norma? (vivente e in attività)