L’eroe protagonista acquisì uno squillo ed un mordente nuovo, diverso dal passato, una sonorità “moderna”.
Il Romeo di Gounod piace a tutti i grandi tenori cosiddetti eroici a partire da Mario e il titolo viene rappresentato con altissima frequenza per tutto l’ultimo trentennio dell’Ottocento, con la sua struttura grandiosa in cinque atti, la cornice storica dell’azione che circonda lo snodarsi della vicenda dei due amanti protagonisti di ben quattro duetti, al primo, secondo, quarto e quinto atto.
E così Romeo, seguendo Shakespeare, giunge nel quinto atto alla tomba di Juliette per uccidersi. Situazione questa drammaturgicamente grandiosa e che tutti i Romeo en travesti avevano avuto a disposizione per esibire le proprie qualità di interpreti. Il monologo finale, che introduce il protagonista presso il corpo dell’amata, è costruito in base alla struttura declamato – cantabile, ma senza nette cesure tra le parti più propriamente cantabili da quelle, invece, declamate, insiste sul passaggio superiore, come tutta la parte, che arriva sino al si nat. Una scrittura complessivamente più acuta, dunque, rispetto a quella del più noto tenore di Gounod: Faust.
Conformemente al dettato estetico dell’epoca, che approdava ad un nuovo tipo di vocalità maschile, più svettante, virile e senza l’ambiguità insita nel prototipo tenorile belcantista, tutte le esecuzioni che vi proponiamo, sia da parte di voci liriche più o meno robuste che da parte di voci leggere ( ma non leggere nel senso attuale del termine ), sono accomunate dal fatto che tutti gli esecutori cantano con voce piena, accenti maschili, ampiezza e squillo. Nessuna traccia di sdolcinamenti, nessun tratto eunucoide, nessun sdilinquimento, nemmeno negli esecutori dalla voce meno possente ed eroica. A chi ascoltasse il paradigma del tenore di grazia francese Edmont Clement, che incise l’aria del secondo atto e non quella del quinto, si renderà conto come anche un tenore definito leggero si sforzi in primo luogo di essere eroico ed ampio nel fraseggio.
Nella discografia la pagina è prediletta da tenori cosiddetti drammatici (più correttamente da grand-operà); i tenori di grazia, infatti, hanno sempre preferito incidere “Ah leve toi soleil..” piuttosto che il “Salut tombeau”.
Il brano non presenta segni di espressione dell’autore e, dunque, lascia libertà assoluta all’esecutore di gestire il passo a piacimento.
Ad eccezione di Hackett (registrazione dal vivo del 1935) , il Romeo più famoso al Metropolitan con Beniamino Gigli dopo De Reszke, che esegue la scena con un tempo lentissimo, per gli altri esecutori il tempo è praticamente lo stesso.
Augustarello Affrè, il tenore di Palais Garnier, monopolista per venti anni di Ugonotti, Favorita e Profeta, è la prima testimonianza del gusto francese: voce scura, piena, grande squillo, grande legato, ed accento composto e dolente. La dizione è nitida, sotto un profilo strettamente tecnico l’esecuzione del passaggio di registro superiore perfetta nonostante qualche “e” molto occlusa per facilitare l’immascheramento della voce, che è omogenea in tutta la gamma, nonostante all’epoca dell’incisione il cantante fosse alle soglie del ritiro.
Subito dopo di lui, nel 1911, Paul Franz lascia forse la più elettrizzante esecuzione da parte di un tenore di forza (non dimentichiamo che Paul Franz fu uno dei maggiori esecutori wagneriani di lingua francese). Il recitativo è esemplare per squillo ed eroismo, cui oppone un “ O ma femme….” struggente, caratterizzato da accenti patetici e specialmente dolenti. Stessa linea segue Fernand Ansseau, tenore dalla voce bellissima, accento dolente e registro medio alto penetrante e sonoro. Forse Ansseau è meno vario di Franz. Ma il canto è facilissimo pari di quello di Thill connotato dallo slancio dell’eroe ormai votato alla morte anche se, come sempre in zona acuta il timbro di Thill non può competere con quello del coetaneo belga. L’ultimo grande tenore francese a vestire con aderenza stilistica e tecnica i panni dell’eroe fu Alain Vanzo. Esecuzione semplicemente travolgente per la varietà di accento per le sfumature e ciò anche è in virtù dei fiati lunghissimi. Gli acuti squillanti ed il timbro restituiscono un Romeo davvero giovanile. In terra russa per molto tempo continuò la tradizione dei tenori dal timbro dolce, sognante e chiaro che era la caratteristica dei tenori della seconda metà dell’800 e che in Russia venna conosciuta ed imitata grazie alle performance di cantanti come Angelo Masini, Roberto Stagno ed Alessandro Bonci. A questa tradizione si riallacciano i due maggiori tenori russi del periodo fra le due guerre Kozlowsky e Lehmeshev. Kozlowsky è, forse, meno espressivo, ma canta benissimo, legatissimo ed elegante, con la caratteristica fonazione in a della lingua russa, che conferisce sua sponte un languore al personaggio.Lemeshev è il mio Romeo preferito. La sua esecuzione è semplicemente travolgente: la varietà di accento è massima sin dal recitativo, sfumatissimo anche in virtù dei fiati lunghissimi. Gli acuti squillanti ed il timbro restituiscono un Romeo davvero giovanile
In buona sostanza, il più celebre interprete dell’era moderna, Alfredo Kraus, esce da questa selezione di stelle come la voce più leggera ed esile della tradizione esecutiva dei grandi Romeo, nonostante l’aristocrazia del fraseggio e dalla facilità nel reggere la tessitura acuta. Un caso estremo di alleggerimento della vocalità del personaggio, legato alla personalità vocale e scenica di un grandissimo tenore, che però non costituisce un modello o meglio costituisce l’esempio di una modalità esecutiva, che almeno nei primi anni di vita dell’opera, fu per certo minoritaria e limitatamente praticata. E basta seguire la parte con la partitura per rendersi conto come Gounod ben pensasse ad un tenore differente da quelli (alcuni di levatura storica) dell’opera-comiqué.
Gli ascolti
Gounod – Roméo et Juliette
Atto V
C’est là!…Salut, tombeau
Augustarello Affre – 1911
Paul Franz – 1919
Fernand Ansseau – 1926
Georges Thill – 1929
Charles Hackett – 1935
Jussi Björling – 1940
Ivan Kozlovsky – 1947
Sergei Lemeshev – 1947
Alain Vanzo – 1976
Alfredo Kraus – 1981