Buona Pasqua a tutti veramente a tutti e di cuore. E con l’augurio, per me, di non risultare ripetitivo e banale. Augurio di non facile realizzazione perché i temi “scottanti” sono sempre i medesimi e, quindi, elevano il rischio di essere banali e ripetitivi.
Questa Pasqua arriva dopo che, mutuando dalle ricorrenze del calendario liturgico, abbiano ogni venerdì commentato le stagioni, che i grandi teatri propongono (propinano?). Il cosiddetto tempo pasquale non si esaurisce con la festa della Pasqua e quindi ogni venerdì del tempo andremo avanti a commentare le stagioni, ma la festa principale ci consente di trarre da quelle stagioni spunti di augurevole riflessione per dire “che aria tira”.
Aria di crisi dicono dai teatri e luoghi adiacenti per giustificare pochi spettacoli, tagli agli allestimenti, titoli di monotona ripetitività, creazione di accademie, cantanti di accademia in primo cast con prezzi dei biglietti da opening night.
Falsi, bugiardi, forse anche in malafade, per certo, reticenti. E così con questa parafrasi omaggio la grande Franca Valeri.
La crisi è la loro crisi, è il loro non saper offrire nulla di nuovo, che non sia ripercorrere sentieri molto battuti e da tempo a partire dalla scelta dei titoli per proseguire con bacchette, cantanti, responsabili della parte visiva. Senza idee, senza nomi e quando si è alla più pura “canna del gas” si riesumano allestimenti –per altro bellissimi, aderenti ed adeguati al titolo- anno 1963 come quello De Nobili-Zeffirelli di Aida, come “pensato” dalla dirigenza artistica scaligera. Nulla contro l’allestimento, anzi. Ma viene dopo altri quattro allestimenti di cui il più recente, sempre a firma Zeffirelli detiene la palme del peggiore. Pensarci prima? Questo è solo un esempio.
Non vado oltre ed auguro:
Auguro teatri che non allestiscano per un biennio le trilogie. Quindi niente da Ponte, niente trilogia popolare, men che meno trilogia Tudor. Al massimo sostituiamo le regine di Inghilterra con altre regine di Inghilterra o con le duchesse di Ferrara. Prendiamo esempio dalla fantasia di un uomo del suo tempo come Tullio Serafin che ripropose in Scala cento anni or sono il Mosè di Rossini, piuttosto che Armida di Gluck.
Auguro più ancora come il passaggio del mar Rosso, ossia come la fine della schiavitù che per quattro stagioni titoli come Traviata, Tosca, Butterfly possano essere presenti solo in quota massima del 20%. Quote rosa all’opera, mi si obbietterà. Depurazione replicherei.
Auguro al pubblico che i divi e le dive, ammesso e non concesso che quelli veri e non quelli di princisbecco di siano ancora, siano obbligati a mettere in repertorio un paio di titoli nuovi l’anno. Esempio pratico per la signora Netrebko in Scala c’è disponibile solo Mignon, che gioverebbe alla fama sua e dei direttori artistici ed anche a quella di Donizetti, visto l’ultimo debutto dell’illustre cantante. Anche qui esempio da Joan Sutherland, che sino a 58 anni, fra una Lucia e una Borgia mise in repertorio ogni anno un titolo nuovo.
Auguro che la parola cultura e la forma verbale “fare cultura” vengano bandite dal vocabolario di direttori, cantanti, registi e più ancora critici e commentatori. Sotto questi termini si cela la forma di ignoranza più crassa ovvero presumere che taluni periodi autori , scuole siano superiori ad altre. E’, invece, solo una scusa per non pensare e per ammorbare le stagioni (stagioncine è termine più adatto) con titoli difficili come quelli di Britten, Janacek (in lingua originale) e – ecco l’ignoranza- storcere il naso dinanzi a Porpora, Hasse, Bellini, Mercadante, Zandonai o Ponchielli. Per citare i primi che mi vengono in mente. E vero che non viviamo più l’epoca in cui il melodramma era parte integrante della vita quotidiana, talchè una donna, che intonava “Ernani, Ernani involami” mandava chiari messaggi sui propri desideri e sentimenti, ma proprio per questo nessuno ha il diritto di offrire scelte aprioristiche, frutto di idee libresche e di non pensare con la propria testa. Spesso nelle cantine e nei magazzini dei musei stanno opere solo per i limiti di chi quei musei amministra. La fortuna critica di un Caravaggio è il caso più significativo. Non il solo.
Auguro a tutti, ma in primis ai critici di trovare il tempo di ascoltare ogni dì cinque minuti di un cantante a 78 giri ossia di un direttore d’orchestra ante Karajan. Gioverebbe alla loro salute mentale nel senso che potrebbe essere un mezzo per acquisire indipendenza di giudizio, cultura, e prima ancora dignità ed onestà.
Di cuore a tutti buona Pasqua con Rossini. Non è, affatto, una scelta casuale, ma pensata!
Questa Pasqua arriva dopo che, mutuando dalle ricorrenze del calendario liturgico, abbiano ogni venerdì commentato le stagioni, che i grandi teatri propongono (propinano?). Il cosiddetto tempo pasquale non si esaurisce con la festa della Pasqua e quindi ogni venerdì del tempo andremo avanti a commentare le stagioni, ma la festa principale ci consente di trarre da quelle stagioni spunti di augurevole riflessione per dire “che aria tira”.
Aria di crisi dicono dai teatri e luoghi adiacenti per giustificare pochi spettacoli, tagli agli allestimenti, titoli di monotona ripetitività, creazione di accademie, cantanti di accademia in primo cast con prezzi dei biglietti da opening night.
Falsi, bugiardi, forse anche in malafade, per certo, reticenti. E così con questa parafrasi omaggio la grande Franca Valeri.
La crisi è la loro crisi, è il loro non saper offrire nulla di nuovo, che non sia ripercorrere sentieri molto battuti e da tempo a partire dalla scelta dei titoli per proseguire con bacchette, cantanti, responsabili della parte visiva. Senza idee, senza nomi e quando si è alla più pura “canna del gas” si riesumano allestimenti –per altro bellissimi, aderenti ed adeguati al titolo- anno 1963 come quello De Nobili-Zeffirelli di Aida, come “pensato” dalla dirigenza artistica scaligera. Nulla contro l’allestimento, anzi. Ma viene dopo altri quattro allestimenti di cui il più recente, sempre a firma Zeffirelli detiene la palme del peggiore. Pensarci prima? Questo è solo un esempio.
Non vado oltre ed auguro:
Auguro teatri che non allestiscano per un biennio le trilogie. Quindi niente da Ponte, niente trilogia popolare, men che meno trilogia Tudor. Al massimo sostituiamo le regine di Inghilterra con altre regine di Inghilterra o con le duchesse di Ferrara. Prendiamo esempio dalla fantasia di un uomo del suo tempo come Tullio Serafin che ripropose in Scala cento anni or sono il Mosè di Rossini, piuttosto che Armida di Gluck.
Auguro più ancora come il passaggio del mar Rosso, ossia come la fine della schiavitù che per quattro stagioni titoli come Traviata, Tosca, Butterfly possano essere presenti solo in quota massima del 20%. Quote rosa all’opera, mi si obbietterà. Depurazione replicherei.
Auguro al pubblico che i divi e le dive, ammesso e non concesso che quelli veri e non quelli di princisbecco di siano ancora, siano obbligati a mettere in repertorio un paio di titoli nuovi l’anno. Esempio pratico per la signora Netrebko in Scala c’è disponibile solo Mignon, che gioverebbe alla fama sua e dei direttori artistici ed anche a quella di Donizetti, visto l’ultimo debutto dell’illustre cantante. Anche qui esempio da Joan Sutherland, che sino a 58 anni, fra una Lucia e una Borgia mise in repertorio ogni anno un titolo nuovo.
Auguro che la parola cultura e la forma verbale “fare cultura” vengano bandite dal vocabolario di direttori, cantanti, registi e più ancora critici e commentatori. Sotto questi termini si cela la forma di ignoranza più crassa ovvero presumere che taluni periodi autori , scuole siano superiori ad altre. E’, invece, solo una scusa per non pensare e per ammorbare le stagioni (stagioncine è termine più adatto) con titoli difficili come quelli di Britten, Janacek (in lingua originale) e – ecco l’ignoranza- storcere il naso dinanzi a Porpora, Hasse, Bellini, Mercadante, Zandonai o Ponchielli. Per citare i primi che mi vengono in mente. E vero che non viviamo più l’epoca in cui il melodramma era parte integrante della vita quotidiana, talchè una donna, che intonava “Ernani, Ernani involami” mandava chiari messaggi sui propri desideri e sentimenti, ma proprio per questo nessuno ha il diritto di offrire scelte aprioristiche, frutto di idee libresche e di non pensare con la propria testa. Spesso nelle cantine e nei magazzini dei musei stanno opere solo per i limiti di chi quei musei amministra. La fortuna critica di un Caravaggio è il caso più significativo. Non il solo.
Auguro a tutti, ma in primis ai critici di trovare il tempo di ascoltare ogni dì cinque minuti di un cantante a 78 giri ossia di un direttore d’orchestra ante Karajan. Gioverebbe alla loro salute mentale nel senso che potrebbe essere un mezzo per acquisire indipendenza di giudizio, cultura, e prima ancora dignità ed onestà.
Di cuore a tutti buona Pasqua con Rossini. Non è, affatto, una scelta casuale, ma pensata!
Rossini – Mosè
Atto IV
Qual fragor! – Nicola Rossi-Lemeni, Caterina Mancini, Agostino Lazzari, Giuseppe Taddei, Mario Filippeschi, dir. Tullio Serafin (1956)