Anna Bolena alla Staatsoper Wien: parata di stelle?

Lo star system espone alcuni dei suoi pezzi da novanta e si cimenta alla Staatsoper Wien in uno dei lavori più impegnativi e straordinari del dramma romantico italiano, l’Anna Bolena di Donizetti. Si espone e mostra con chiarezza virtù ( poche ), velleità ( grandi ) e limiti ( parecchi ), dimostrandoci ancora una volta che le star tanto star poi non sono, dato che ai massimi livelli ( di carriera, intendo ) si canta assai peggio che nella provincia di un passato ancora troppo prossimo per essere dimenticato, e, soprattutto, che a fianco dei limiti tecnici di chi canta o dirige emergono sempre più frequentemente evidenti problemi di comprensione del lavoro che si rappresenta.

Cantare l’Anna Bolena di Donizetti non significa cercare di eseguire bene tutte le note ed essere personaggio in virtù della propria avvenenza fisica, bensì “esprimere”, trasmettere tutti i contenuti drammaturgici e vocali insiti nel testo, alla luce di una lezione, quella della tradizione, fatta di innumerevoli e diverse vie percorribili. Tradizione che non è un handicap ma il riferimento guida per viaggiare sul giusto binario. Il cast impegnato a Vienna ha, invece, mutuato dal passato solo l’uso selvaggio e primordiale della forbice, ma una forbice di marca del tutto diversa da quelle in uso nei vituperati anni ’50. I tagli contro i quali la filologia moderna lotta erano, in passato, dovuti a vari fattori, in primo luogo il gusto del tempo, quindi le abitudini del pubblico, in certi casi i limiti vocali degli interpreti non specializzati in certi repertori, come le voci maschili nel belcanto. Il taglio, nelle produzioni di alto livello, era finalizzato a garantire esecuzioni magari stringate ma comunque in grado di reggere il teatro, e a minimizzare i difetti. La forbice moderna, invece, funziona assai diversamente, o meglio, ha perduto la sua efficacia passata, dato che le opere, più o meno amputate e scorciate, vengono comunque cantare male o in modo inadeguato. La forbice agisce “pietosamente“ per i cantanti, soccorrendo chi ha il fiato corto, chi non ce la fa proprio più, chi non ha la minimale varietà di accento per regger la ripresa interna ad un’aria bellissima, chi non ha gli acuti o le agilità, chi non ha la robustezza per reggere “da capo” e code sfiancanti, significativo e non accessorio apparato atto a monumentalizzare ciò che è stato concepito proprio per essere monumentale e destinato all’interpolazione personale del grande protagonista del belcanto. La filolgia stigmatizza i tagli della stupefacente edizione dell’Armida di Serafin e della Callas, o della sua Bolena, per poi ritrovarsi oggi tra le mani il terzo atto ridotto ad un moncherino dei Puritani Florez Machaidze ! La filologia trova il suo fallimento moderno laddove non si canta, perché siamo tornati a tagliare robustamente come in questa prova viennese di Bolena, ma mandando in scena superstar che non sono in grado di gestire nemmeno edizioni sforbiciartissime. Già, perché il punto è che continuiamo a parlare degli abusi e della non – filologia dei giganti del passato, dimenticando ( comodamente! ) che i cantanti odierni non sono in grado di reggere nemmeno le opere scorciate. Si è ampiamente tagliato nella produzione viennese, ma il fatto grave è il COME ci è stato restituito quello che ci è stato restituito da questa “stars parade”, che dovrebbe essere il punto di riferimento per tutti i colleghi di minor successo. Si è trattato, infatti, di un’altra crociera di lusso nel mondo del “Vorrei ma non posso” in compagnia di cantanti strapagati, dai volti bellissimi degni delle sponsorizzazioni delle cosmesi di marca, o connotate da un aplomb da modelle un po’ appesantite, dall’espressione narcotizzata idonea forse a Violetta, più che dalla regale maestà di una grande figura della storia d’Inghilterra e del canto, quale è Anna Bolena, prototipo della grande primadonna tragica ottocentesca. Vi è stato anche aggiunto un re belloccio, fin troppo “manzo”, oltremodo arrapato per la bella bionda Giovanna, come la prima scena ci ha fatto vedere, ed un Percy innamorato irruente e un po’ goffo, tutti insieme appassionatamente circondati da un musico piuttosto sgangherato che delle sue scene non sapeva che farsene, comprimari di terz’ordine e da un coro che poteva anche non esserci, dato che ha sempre cantato come fosse ad una serena sagra di paese o intento a far cuocere il lombardissimo “ris e erburin”, come nella scena che introduce il tragico finale. Una bella ricetta insufficiente di quelle che, sole, lo star system sa praticare.

La trama e, soprattutto, il senso profondo dell’opera, a Vienna le conoscevano in pochi a mio avviso, cantanti direttore e regista incluso, che, nel pieno del concitatissimo finale I che inaugura la tragedia di Anna, ha fatto incomprensibilmente sdraiare la protagonista su un letto, come una fatale diva del muto, mentre il marito le sta promettendo il patibolo. Forse il regista intendeva alludere ad accadimenti omessi tra primo e secondo atto, ma ….quale inopportunità per una regina concepita e disegnata, more Ottocento, come una figura statuaria, altera, vittima, aristocratica, insomma, una creazione letteraria romantica. Con Anna Bolena siamo di fronte al verismile non al vero storico, cioè alla rappresentazione di un ideale di sovrana vittima, non alla sua realtà documentaria, e questo deve ritornare a noi nel canto come nella scena, perché è la peculiarità dell’opera. Riecco invece la maniera delle regie forgiate ad immagine dei divi, che manipolano incoltamente i testi: alla signora Dessay, eternamente Lucia isterica, si danno le altalene, mentre alla signora Netrebko, eternamente Manon, il letto, come si addice alla sua immagine di soprano sexy ( ora nemmeno poi tanto! ). L’incomprensione collettiva dell’Anna Bolena è stata tale che la protagonista di regale non aveva un bel nulla ( riguardatevi l’inadeguatezza marchiana del suo ingresso…), con un incedere ora rapido da ragazzina ed il volto da dolce inespressiva Matrioska per i momenti lirici, ora agitato ed esteriore da volgare Gruscenka, o Nedda per i melomani nostrani, quando il canto si faceva tragico, con la voce scomposta, l’emissione di colpo sguaiata in zona centro grave. Se poi ci spostiamo sul canto, apriamo il vaso di Pandora! Peccato, perché la signora Netrebko ha una zona centro acuta ampia, sonora e facile, piuttosto pura, che certe nostre Bolene “di ferro” avrebbero anche potuto invidiarle assieme alla presenza fisica. La zona grave, però, qui come in ogni altro titolo scritto per la Pasta, dovrebbe girare alla perfezione, perché spessissimo là cade l’accento più difficile e raro: se il passaggio inferiore non funziona, non si può trovare l’accento esatto, sia che si canti l’opera integralmente o tagliata. E la coloratura deve avere precisa esecuzione di forza, mentre con la superstar russa i trilli si masticano in bocca, terzine, quartine & c si spappolano, e nei gravi la voce rimbalza tra i denti. Non abbiamo detto che la coloratura deve avere senso drammaturgico? Mali minori, certo, a fronte della devastante assenza di accento della signora, a recitativi straordinari come “Dio che mi vedi in core” o la sortita stessa, “ Come innocente giovane”, messa lì come un brano liliale (!), o battute struggenti boccheggiate come “un serto io volli, e un serto ebb’io di spine” al duetto con Percy, “..gli affanni dell’infelice aragonese” al duetto con Giovanna, o la tragicità di “Ai piedi tuoi mi prostro…” ad inizio terzetto con Enrico e Percy. L’articolato fraseggio di questa parte, tanto complessa e massacrante, buttato alle ortiche da chi non capisce le parole che sta pronunciando perché oltre alla lingua misconosce il canto sulla parola, quello all’italiana. La prova? Il duetto-scontro tra le protagoniste, il massimo del minimo della serata, con la diva travolta dal peso di frasi impetuose quali “ Sul guancial del regio letto”, risolte con enfasi esteriore e volgare e suoni di petto bruti. Evidenti, poi, anche taluni problemi di intonazione, con molte note prese con fastidiosi portamenti ( nell’entrata “..non lasciarti, non lasciarti lusingar…” ), “scivolando” il suono da sotto o da sopra a seconda dei casi ( inizio atto II, attacco su “Dio”, fiato, “che mi vedi in core “) frasi scentrate, e prese di fiato abusive ( esemplare il da capo del “Giudici ad Anna”). Le cose migliori la signora Netrebko le ha offerte nel quintetto della Caccia, al “Io sentìa sulla sua mano”, in alcuni momenti del duetto con Percy, e nella sezione centrale del duetto con Giovanna, “Va infelice teco reca”, di scrittura centrale, e nel finale, il risveglio del “Coppia iniqua”, mentre tutto quanto ha preceduto la cabaletta è parso compitato, con bel garbo ma…..troppo poco per rendere il gigantesco ruolo di Anna. I tagli ( a memoria rammento il da capo di “Non v’ha sguardo”; la coda del “Giudici ad Anna; la chiusa di “Sul guancial del regio letto” con le agilità cromatiche; il da capo del terzetto “Salirà l’Inghilterra sul trono”..etc..) sono arrivati propizi ma insufficienti per una protagonista distante dal ruolo, dal suo senso drammaturgico, dalle sfaccettature del personaggio tragico, che è anche lirico, malinconico, regale, forte ed autorevole, di tecnica insufficiente per il belcanto ed i suoi paradigmi ( onore alla ladies di ferro, Bolenine certo, ma mai scomposte o esteriori..). Lo star system tutte queste inadeguatezze delle proprie stelline da carta patinata non le vede, non le sente….

Ma veniamo agli altri, che non sono stati da meno per altre ragioni, alla diva. Bellissima e gelida la signora Garanca è stata una Giovanna regale di aspetto ( più di Anna ) ma alterna negli esiti vocali ed espressivi. Di fatto mi è piaciuta abbastanza soltanto nella sua grande scena finale, eseguita, con evidente imitazione di Shirley Verrett, ma comunque con poca varietà di accento e spianando le forcelle scritte. Anche in quella che è stata la sua scena migliore si sono sentite certe fissità in alto, nelle frasi ”Odi la mia preghiera..”, che fanno dubitare della sua scelta di cantare la Favorita.. Il rondò, tra l’altro, è stato eseguito senza da capo ( come pure la stretta del duetto con Enrico ), menda grave per chi con il belcanto ha una certa confidenza di carriera. Tecnicamente, infatti, la signora Garanca mi pare poco convincente: all’entrata la voce è suonata subito gutturale, sfuocata e fibrosa, bassa, con un’emissione non nobile, in parte riaccomodata, alla sua grande scena, ma mai a fuoco perfetto. E, soprattutto, è rimasta costantemente estranea all’azione nel duetto con Enrico come pure in quello con Anna, dimostrandosi estranea al personaggio ed alle sue numerose sfaccettature Al primo duetto le grandi frasi di una Verrett o di una Dupuy, “Ah s’è ver che al re sono cara..” sono stata eseguite piattamente e con voce gridata, quindi, nella seconda parte di quello con Anna, anche lei come la sua collega, ha esibito un accento liliale adatto a certi passi di Rosina più che ad un personaggio internamente combattuto. All’“ Ah qual sia qual cor non osa…”, di scrittura acuta, il canto non possedeva il necessario slancio, ed sono arrivati anche i cali di intonazione. Anche lei, come già la Netrebko, ha trovato il suo punto di minimo nel duettone, dove ogni grande frase le è scappata via dalle mani, nella totale indifferenza o incomprensione della parte. Quando Giovanna canta “ Ah! Perdono. Dal mio cor punita io sono ..inesperta…lusingata..” il dolore della donna pentita, sofferente ed il racconto dello smarrimento non hanno trovato alcuna intenzione interpretativa nella cantante lettone. Idem la stretta, “ Ah peggiore è il tuo perdono..”, completata dall’uscita di scena senza un sol moto del volto o del corpo, sebbene il libretto reciti :“ Giovanna esce afflittissima”.

Non saprei che dire del Percy di Francesco Meli. La freschezza vocale esibita al debutto veronese, al di là delle stecche nei do e dei tagli delle riprese, pare lontanissima nel tempo. Da qui l’attuale esecuzione della parte. Taglio della ripresa interna della prima aria come del da capo della cabaletta, trilli scritti inclusi; taglio della seconda sezione della stretta del duetto con Anna; taglio, come per gli altri, stretta terzetto; taglio da capo della cabaletta e della coda della seconda aria etcc..ma soprattutto, una cattiva esecuzione, faticosissima, con la voce strozzata sul passaggio fa-sol, impossibilità a cantare anche i primi acuti. La scena della caccia, con i si bem scritti, lo ha messo in grave difficoltà, per non parlare dell’esecuzione tutta a squarciagola e/o falsetti del duetto con Anna ( le frasi “Anna per me tu sei Anna soltanto…”, come la sezione “ S’ei t’abborre io t’amo ancora…” ) come pure al terzetto, lo struggente “ Fin dall’età più tenera…”. Il canto amoroso e lirico non trovano distinzione di accento da quello nobile o di scontro con Enrico, perché grande e costante è l’affanno in cui il tenore si trova a cantare, con le note alte raggiunte sempre da sotto e l’intonazione accomodata… Le ragioni profonde di questa precoce senescenza le abbiamo scritte molto tempo fa, ed è inutile ripeterle. Questo non è un traguardo dei detrattori, ma una sconfitta per il giovane tenore e, soprattutto, per l’opera lirica di oggi, che non trova modo di conservare le proprie voci migliori affinchè crescano e si perfezionino, ma le consuma crudamente a suon di “Va tutto bene…và bene così..” Noi alziamo le braccia, e ci arrendiamo, pensando anche agli onerosissimi progetti futuri targati……..Verdi!

Il signor D’Arcangelo è stato un Enrico di bella presenza fisica e si è sforzato di cantare compostamente e con autorità. La voce però non ha gran proiezione, tanto che la deve spingere continuamente e con poco esito. Più il cantante cerca suoni cavernosi, più perde in smalto; salendo già ai primi acuti il suono gli scappa indietro, come “l’ebbe alfin ma l’ebbe appena” al duetto con Giovanna, oppure la spinge quasi all’urlo come al terzetto, nelle frasi, “ ah chi può sottrarvi a morte..”, che forse gli costano tanto sforzo da fargli stonare poi la replica prima della stretta. Persino la coloratura, peraltro facile, di “Come il sol egual non ha” al duetto con Giovanna, gli è uscita imprecisa e cempennata. Modesto e talora anche sgangherato localmente lo Smeton della signora Kuhlman, in grave difficoltà nel registro grave, fissa negli acuti, e modesta esecutrice della coloratura. Piatta l’esecuzione della cavatina.

Il maestro Pidò ha messo in campo la sua esperienza, in accompagnamenti funzionali ai cantanti, ma non ha saputo uscire dalla routine, pur disponendo di una grandissima orchestra.. Basta sentire la direzione di Richard Bonynge dell’opera, le mille varietà di colori, la fantasia nello stacco dei tempi, per ricavare la piattezza e la meccanicità della direzione di Pidò, che ci ha ritornato pochissimo delle atmosfere pensate da Donizetti, del grande affresco storico e della continua varietà di accenti insiti nel canto e nell’orchestrazione. Della loffia e catatonica esecuzione dei momenti corali ho già detto. Particolarmente noioso e pesante l’accompagnamento del duetto Enrico Giovanna. Produzione di routine del signor Genovése, di un tradizionalismo stilizzato e non invasivo. Piacevole, molto semplice, ma che forse poteva essere migliorato sul piano registico, soprattutto per quanto concerne la protagonista, in più di un’occasione lontana dall’esatta cifra scenica oltre che vocale del personaggio. Lo star system continua a volare, ma solo a parole. Nemmeno le versioni scorciate gli bastano per essere all’altezza degli spartiti e degli autori.

I divi scintillano fuori scena, sulla carta stampata, nelle interviste, sulle copertine, ma sul palco non riescono ad essere all’altezza del compito di cui vengono incaricati, ed alcuni di loro paiono anche paurosamente lontani intellettualmente da ciò che stanno eseguendo tanto che nemmeno se ne danno cura. Io credo che essere artisti sia avere sensibilità per capire e cogliere la poetica di un musicista e di un personaggio e possedere la capacità tecnica di restituire il messaggio al pubblico per il “medium” della propria personalità. In assenza di ciò, non c’è arte, ed in questo caso nemmeno bel canto, ma molta presunzione di essere. Del resto la critica di questi fatti non si occupa o preoccupa: il suo dovere è accusare e riprovare il pubblico, non (re)censire gli spettacoli, il canto. La critica non guarda piùa quanto avviene sul palco ma ai loggioni. Detto questo si è detto tutto.

22 pensieri su “Anna Bolena alla Staatsoper Wien: parata di stelle?

  1. Mi fa piacere che siamo d´accordo su tutto e insistiamo sugli stessi punti. Il difetto più grave di questa produzione era quello di essere impostata secondo criteri buoni per gli anni Quaranta del secolo scorso.
    Ma tant´è, la critica internazionale intona epinici prefabbricati, mentre sui fori italiani è partito il solito fuoco di sbarramento verbale, che va assumendo toni sempre più scomposti.
    Evidentemente, la filologia e il rispetto stilistico sono argomenti da sventolare solo quando va bene ai loro beniamini…

    Saluti

  2. l’ho ascoltato l’altra sera per radio una recita con luci e ombre una Netrebko (di cui sono estimatore) non propriamente adatta al ruolo ma sà come cavarsela con la sua personalità naturalmente come tutti i debutti,e in pieno rodaggio quindi migliorabile,anche se forse è meglio che eviti certi personaggi.La Garanga all’ inizio carriera mi aveva favorevolmente convinto,ma con l’andare del tempo mi ha un po deluso,sia per la sua vocalità non propriamento da mezzo (anche se piacevole nel timbro e l’emissione è abbastanza pulita)ma lascia perplesso quella noncuranza o indifferenza quando canta,sembra che sia li per caso di passaggio,poi sincermente è veramente fredda.Meli completamente insufficiente come Ildebrando,la direzione a parte tagli e come sono stati fatti è apparsa lenta e noiosa,se l'opera era completa si faceva l'alba.
    Io posso anche capire le perplessita su questa recita,ma quest'opera finalmente ha avuto un debutto anche nei teatri austriaci grazie alla faccia e al nome che ci ha messo la Netrebko,è stato un trionfo per il successo ottenuto? forse.. ma ricordiamoci sempre che l'opera ha il futuro nei teatri.
    Poi questa grande opera è rimasta nel dimenticatoio per tanti decenni ed è stata riscoperta grazie a una greca,e poi ha avuto grandi nomi ma adesso grazie a una russa se ne stà riparlando a livello mondiale,una recita con luci e ombre ripeto,ma all'estero viene cantato il nostro patrimonio e viene portato al trionfo.

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  3. caro pasquale
    della signora netrebko stimo, ma un tempo passato sarebbe più congruo, l'avvenenza fisica e poco altro. e poi perdonami che si parli di rodaggio per la preparazione del personaggo da parte di una diva….. ma quando la callas l'olivero, la sills o la gencer hanno debuttato una parte che non fosse perfettamente preparata. il rodaggio lo facevano giustamente in sala prove…
    ancora che l'opera di donizetti circoli adesso è triste e ci dice dell'incompetenza della facilonerie dei direttori di teatro. ho scritto che il met ha negato bolena a bere ed autentiche primedonne per darla a questa stagionata gnocca! vergogna
    caro mozart
    andiamocipiani ad insultare gli anni 40 perchè potevano beccaci una bolena pedrini stignani/simionato pasero tagliavini/prandelli
    non so se rendo l'idea io farei cambio subito ……..
    confesso che l'altra sera ho sognato bolena 1928 raisa stignani pinza lauri-volpi. paradigma di masturbazione melodrammatica!
    ciao a tutti

  4. sottoscrivo le parole di donzelli e aggiungo che senza assurgere a cotanto lusso, e tanto per fornire ulteriori spunti di dileggio ai nostri più assidui lettori, a mio avviso sarebbe stato sufficiente (si fa per dire) un cast così composto: muzio pederzini borgioli vaghi e supervia come smeton. tagli per tagli magari marinuzzi sul podio!

  5. caro Donzelli nei bei tempi addietro non c'era tutta la fretta,e il consumismo che c'è adesso,anche i cantanti(specie i grandi) potevano permettersi pause specie nei lunghi viaggi tra un teatro e l'altro,e studiare.Comprendo il tuo punto di vista( e ci mancherebbe),ma ripeto il futuro dell'opera e nei teatri,e da chi ci canta sopra,poi il diritto di critica positiva o negativa fa parte della norma.
    Molti sia i favorevoli che gli sfavorevoli parlano come se fosse stata la recita del secolo…è stata una recita normale,con l'eccezione che è stato il debutto per un soprano attualmente considerata(nella maggioranza) ai vertici.E il debutto dell'Anna Bolena nel tempio di un teatro austriaco.
    Come tutte le recite ci sono i favorevoli e sfavorevoli,dopo questa recita non è cambiato niente a chi piace la Netrebko continua a piacere a chi non gli piaceva prima continua a non piacergli.L'importante che l'opera vada avanti..

  6. Avendo già detto tanto e anche troppo in chat su questa Bolena deludente da un punto di vista vocale, attoriale e scenografico, mi limito a riportare un passo celebre a tutti, applicabile splendidamente a questa Bolena:

    Professor Guidobaldo Maria Riccardelli "Venga, venga Fantocci. Si accomodi! Finalmente ha trovato le parole. Chissà quale profondo giudizio estetico avrà maturato in tutti questi anni. Dica, dica… (guardandolo) Allora?"
    Fantozzi: "Per me … la corazzata Kotiomkin è una CAGATA PAZZESCA"
    (applausi unanimi)

  7. dunque.. premettendo che adoro la cosiddetta Trilogia Tudor Donizettiana, anche quando una delle opere viene sforbiciata e così svogliatamete eseguita come l'altra sera… direi che: la migliore in campo ( o la meno peggio per essere precisi) è stata la Garanca, soprano spudoratamente come colore, fredda come il ghiaccio, ma scenicamente regale e bellissima da vedersi. D'Arcangelo ho faticato molto a riconoscerlo vocalmente, non ho riconosciuto il bel colore magari chiaro ma morbido e "personale" che lo contraddistingueva agli esordi. bello scenicamente, ma sempre troppo trucibaldo in viso, anche al duetto con la Seymour in cui un minimo di "riscaldamento alle gonadi" Enrico deve pur mostrarlo.. Meli ha una voced io credo importante e molto bella come timbro, ma mi ha lasciato perplesso quando sale.è come una ciambella, tutto contorno, am vuota al centro, senza quella che una volta i maestri definivano "la fondamentale", gli auguro di rimettersi in setso e di riscattarsi al più presto. Smeton…francamente manco mi son accorto che ci fosse. Gli altri meglio fora ch'avesser taciuto. Orchestra di routine, coro fiacco, Pidò slentato. in definitiva una serata noiosa anzichenò. la Netrebko…non aggiungo nulla a quanto già scritto da altri. ma dico solo che secondo me non aveva ben capito nemmeno lei stessa che cosa volesse fare, cantare, o esprimere in scena. come ho scritto in chat durante la diretta, il migliore in campo come al solito San Gaetano da Bergamo, per l'occasione Martire in terra straniera. Saluti, Maometto II

  8. Ho ascoltato solo a tratti lo spettacolo viennese: non per preconcetti "passatisti", ma perchè proprio non aveva – per me – alcuna attrattiva. E non tanto per la Netrebko, cantante che apprezzo (certo, non ricerco la perfezione – se si dovesse applicare il "bulino" anche per il passato non si salverebbe quasi nessuno…recentemente ho ascoltato un'antologia mozartiana del passato: con splendori e autentici orrori), quanto per l'approccio "facilone". Checché se ne dica, questo modo di rappresentare Donizetti è vecchio, vecchissimo, DECREPITO…altro che Bolena del 2000! Il vero e proprio "stupro" alla struttura melodrammatica dell'opera è segno di profonda ignoranza esecutiva: roba da anni '50…senza neppure i divi dell'epoca (che, seppur nell'assoluta mancanza di senso stilistico, almeno facevano ascoltare qualcosa di piacevole all'orecchio)! Presentare una Bolena con l'omissione di TUTTI i da capo, l'eliminazione completa dei passi più ostici di Percy, l'aggiusto disinvolto della parte…mi sembra davvero una scelta reazionaria! Altro che nuovi orizzonti, nuove interpretazioni! Se devo ascoltare una selezione, meglio quelle di Gavazzeni e Marinuzzi…che, seppur inaccettabili, avevano un senso musicale: i tagli di Pidò invece sono incongrui e mal fatti (come già avvenne con la Sonnambula). Qui siamo di fronte all'ennesima riproposizione delle operazioni divistiche d'antan – da taluni sempre biasimate, e anche giustamente! – con l'aggravante di non disporre della classica diva col nulla intorno (come nelle scorribande donizettiane della Caballè). Quanto alla magra consolazione per cui comunque va dato merito allo Staatsoper di aver messo in scena la Bolena, mi spiace, ma non concordo affatto. Credo che il pubblico viennese potesse ben tollerare una Bolena integrale e meglio preparata (giacché non si tratta di immondizia, ma di uno dei tanti capolavori di Donizetti): l'ansia di facilitare, di semplificare, di agevolare (per pubblici ritenuti, evidentemente, idioti) è uno dei peggiori mali del nostro tempo. Chi va a vedere Bolena, sa cosa lo aspetta. Nessuno lo costringe. E' e resta un'opera non di repertorio, eseguita saltuariamente e certo non digeribilissima: non credo che le selezioni viennesi concorrano a diffonderla (né della cosa dovrebbe importare). Quando Karajan "osò" portare a Salisburgo il Trovatore, non tagliuzzò l'opera ad uso e consumo di orecchie non avvezze a Verdi… E perché Pidò (direttore sopravvalutatissimo) si permette il taglia & cuci? Per me è una grande presa in giro: e l'ubriacatura collettiva (che si legge in rete) circa questo trionfo ne è la conferma. Spacciare il decrepito per novità: operazione riuscita!
    Ps: su una cosa dissento profondamente da Donzelli…l'avvenenza della Netrebko, che io ritengo ancora straordinaria :)

  9. Caro Duprez, anche tu dici le stesse cose che dico io. Al di là della Netrebko, di cui poco o nulla mi importa, la cosa inaccettabile era proprio l´impostazione generale dello spettacolo. Se poi dobbiamo consolarci col fatto che la Bolena è stata data a Vienna, dico solo che se si doveva farla in questo modo era meglio non farla affatto.

  10. mozart lascia che ti contraddica,se non c'era la Netrebko non ci sarebbe stato tutta questa cassa di risonanza,quindi a te importa poco o nulla della Netrebko,ma se non c'era lei non c'era tutto questo clamore..

  11. Che poi questa modalità esecutiva è frutto solo di profonda ignoranze e faciloneria. E resta filologicamente inaccettabile (dissento profondamente da quanto scritto da Giulia circa le "colpe" della filologia: nessun fallimento, semmai il contrario, ossia il BISOGNO di filologia, la cui assenza provoca questi "mostri"). Non capire che la struttura del melodramma (e le sue convenzioni) è cifra stilistica irrinunciabile o che l'equilibrio interno (sezioni, da capo, strette, code, ripetizioni) non è casuale, ma finalizzato alla resa espressiva e drammatica del testo, è sbandierata ignoranza e stupidità! Tagliare cabalette, strofe, ripetizioni o le fondamentali code, significa compromettere il senso musicale del tutto! Sarebbe come tagliuzzare Lohengrin o Parsifal o Tristan come nelle orribili incisioni del Met negli anni '40! Finché non si capirà che togliere i da capo e le code equivale a cancellare un terzo delle battute del "mild und leise" (per guadagnare 3 o 4 minuti), non si riuscirà a rivalutare il melodramma ottocentesco. Ecco perchè c'è bisogno di filologia…contro tutti questi cialtroni!

  12. Pasquale, certo che fai fatica a capire…
    A me del clamore, della cassa di risonanza e del trionfo non me ne importa nulla.
    Devo dirlo anche in altre lingue?

    Nothing, rien, nada, nichts, tipote, nista, hicbir, nichego…

    Mi interessa quello che dice Duprez: è stata un´operazione artisticamente farlocca e fallimentare nell´esito.
    Se poi il pubblico se la beve, contento lui e buon pro gli faccia.
    Ma non venitemi a raccontare che questa serata ha portato onore al patrimonio artistico italiano, al massimo ha portato vantaggio al patrimonio personale della signora…

  13. Quando scrivo che la filologia fallisce, intendo dire che no può sortire nulla a fronte di siffatti modi di eseguire.
    Possiamo fare tutti gli studi che vogliamo, ma poi se non si canta, ci restano solo le masturbazioni mentali.
    IL punto è che IL CANTO fa parte dell'andare in scena filologicamente, non è estraneo, ma realizza e fa parte dell'approccio colto come dovrebbe essere inteso.
    Le due cose non sono separabili, perchè non si dà musica senza esecutore,, inutile, per definizione fallimantare
    Versioni integrali che i cantanti non possono reggere non sono migliori di versioni tagliate ma che funzionano.L'esperienza fatta con Muti a Milano è stata chiarificatrice e lampante.
    Dunque, senza il senso delle cose e del canto, la filologia resta un pensiero su carta.
    Oggi abbiamo ricchi apparati musicologici ma cattivi cantanti e perciò andiamo in scena peggio di mezzo secolo fa, prova ne è il confronto tra le bolene della callas e della gencer e quella di vienna, ma anche a quelle viste a Bg, o cantate dalla Mosuc etc…

  14. Sono due cose diverse Giulia: la filologia non è "testo integrale", ma la disponibilità di testi più corretti senza incrostazioni ed errori. Chi canta male Bolena, canta male e basta, sia che esegua la versione integrale, sia con i tagli di tradizione (quale poi?): canta male sia il decrepito spartito Ricordi che la nuova edizione critica. Il problema è il rifiuto della filologia come strumento, o l'attribuzione ad essa di un malcanto: falso, falsissimo! Sono problemi diversi e questioni diverse, e appartengono a diversi campi d'indagine. Non si possono sommare le pere con le mele…ogni volta che si (stra)parla di filologia accade questo: come se tornare a versioni tagliate, malmesse, incrostate, spurie significhi – di per sé – tornare agli antichi splendori! Ma quando mai? E' un'idea reazionaria che non dovrebbe trovare asilo in nessun ragionamento. E questa brutta Bolena ne è la dimostrazione: tagliatissima (come da tradizione) eppure pessima… La filologia è solo uno strumento, che ci permette di conoscere testi corretti. Punto. Senza filologia le opere serie di Rossini – ad esempio – o larga parte del lascito di Donizetti, giacerebbero negli scaffali polverosi di qualche conservatorio (magari mangiati dai topi, come al Conservatorio di Napoli, dove autentici tesori si stanno perdendo per sempre). Quindi mi piacerebbe tenere separati i due argomenti, perchè differenti sono gli aspetti che studiano. Non mi si ripeta meglio la Callas che canta senza apparati musicologici, percché è un'obiezione che non ha senso e non dimostra proprio un tubo! Se la Callas avesse avuto a disposizione l'edizione critica di Bolena avrebbe cantato quella. Senza problemi. Invece ogni volta che si parla di edizione critica c'è chi si scandalizza o grida all'imbroglio…come se c'entrasse con l'esecuzione scadente! Stessa cosa per le edizioni integrali (che sono sempre da auspicare, poiché strutturate meglio e, PIU' FACILI per un cantante, se si rispetta l'equilibrio interno)…a volte viste come reati di "lesa tradizione"…ma per carità! Ti faccio un esempio concreto: l'orribile Barbiere diretto da Leinsdorf (con la Pears, Valletti, Warren e Corena) è integrale, ma sfido a trovare qualche estimatore…ed è pure filologicamente un abominio! Quello di Abbado è tagliato, ma il testo è corretto… Questa Bolena è la dimostrazione che la strada della filologia è ancora lunga, lunghissima…

  15. Vivo a Vienna da 20 anni e dopo i primi due o tre anni non ho più messo piede in un teatro che conosce cinque o sei opere italiane in croce, che crede ancora che Rossini abbia scritto solo buffonerie (beh, per come vengono messe in scena qui lo sono senz'altro) e che Donizetti abbia scritto solo la Lucia (in forma surrogata s'intende).
    Della Bolena ho potuto vedere solo il duetto tra le due prime donne preceduto da un osceno coretto di donne. Faccio presente di aver "presunto" tagli (tanto è opera italiana!) ma di non averli uditi inquanto, come ripeto, ho ascoltato solo il suddetto pezzo (e poi sono corso a letto). Ciononostante il mio primo pensiero è stato: perché non tagliare l'intero duetto? Secondo pensiero: ma Donizetti è veramente così brutto? Che delusione!

  16. Scusate, ma se tutto è una Quaresima per quanto riguarda il repertorio più conosciuto, se il Trovatore, a quanto dice il mio amico Gianguido, è oggi sostanzialmente ineseguibile, prendiamo il toro per le corna: non eseguiamo più nulla di ciò che appartiene a questo repertorio, né il Trovatore, né il Rigoletto, né il Ballo in Maschera, né la Bohème, né le opere che appartengono alla sfera del Belcanto, nulla di nulla. Ma soltanto Schrecker, Zimmermann, Korngold, Shostakovich, Zemlinsky, Busoni e così via. Il repertorio di questo tipo è vastissimo e basterebbe alla programmazione di tutti i teatri. La bellissima serata che c'è stata al Nationaltheater di Monaco con "Der Zwerg" di Zemlinsky e "L'enfant et les sortilèges" di Ravel, diretti da Nagano, è esemplare in questo senso. Non è stata trasmessa in televisione, non ha suscitato discussioni di alcun tipo, soprattutto non ha provocato sofferenze.
    Marco Ninci

  17. Caro Donzelli, io nel '28 al posto della Raisa avrei scelto la Arangi Lombardi, più sicura nelle note basse. E come ciliegina sulla torta, Sigrid Onégin nei panni di Smeton. Perfetti Lauri-Volpi e la Stignani (non possiamo che sognare cosa sarebbero state le frasi del duetto con Bolena cantate con la sua voce opulenta… Amo Enrico, e ne ho rossore…
    Mio supplizio è questo amore…
    ).

    L'ideale nella parte di Re Enrico sarebbe un Pol Plancon, però si dovrebbe tornare indietro di almeno vent'anni. Perciò, va bene Pinza.

    Per quanto riguarda il direttore, il mio sogno presenta ancora una notevole discrasia temporale… Ammetto di avere un debole per Gavazzeni, con lui non ci si annoia neanche un secondo… Gli affiancherei, come supervisore, un Bonynge, che tenga a bada le proverbiali forbici.

  18. Caro Marco,

    infatti io mi comporto di conseguenza. Ormai da diversi anni, quando decido di fare un viaggio per vedere un´opera, lo faccio quasi esclusivamente per il tipo di titoli da te descritti.
    Una trasferta per vedere un Trovatore, al giorno d´oggi, si risolve al 99% in uno spreco di tempo e di denaro.

  19. caro marco
    il tuo ragionamento, come sempre, è quello di chi non ragiona!
    basterebbe che i soprintendenti non fossero piazzati dalla politica o dalle mene di gaia alcova, non cedessero alle lusinghe di agenti, agentoni ed agentucoli, tutti accomunati dall'essere andati all'opera negli ultimi venti anni , ossia detta più semplicemente sapessero fare il loro mestiere per non aver vista distrutta una secolare tradizionee sapere scegliere e riconoscere la qualità
    di cantanti e di titoli.
    Ho la presunzione di dirti che per la signora Netrebko un paio di titoli oltre quelli già cantati dalla medesima li ho ben in mente. Temo che i nostri addetti ai lavori, invece, non li conoscano neppure.
    e non può accadere differentemente in quanto sono gli stessi che credono l'attuale Percy un tenore da Verdi……
    certo c'è la parte di Fenton….

  20. caro mancini
    la raisa però era più facile e fluida nell'ornamentazione
    All'epoca di Plancon tanto per proseguire la nostra ….mentale il cast poteva essere
    Anna Lehmann/Siems/Russ
    Percy Sobinoff/Clement/Affre/Escalais/Bonci
    Seymour Sembrich(alla ripresa scaligera fu la Grisi)
    Percy Schumann-Heink/ Parsi Pettinella
    Enrico Plancon/Scotti
    direttore Leopoldo Mugnone/Luigi Mancinelli
    Ti piace……..
    ciao dd

  21. Caro Domenico: perfettamente d'accordo. Non sono i titoli ad essere ineseguibili in assoluto, ma i sovrintendenti che non hanno la più pallida idea di come si faccia un cast, e si affidano ai diktat delle agenzie… Pure io penso che per la Netrebko ci sarebbero titoli assai più adatti. Il resto è solo un alibi per chi vuol farci credere che "meglio di così non si può"…

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