La nuova stagione del MET è il più fedele ed esemplare specchio dei tempi, che corrono nel teatro d’opera.
Il MET è sempre stato un teatro esemplare, almeno nei suoi primi cinquant’anni di vita, per organizzazione, ricchezza di proposte, abilità ed avvedutezza di gestione.
Non per nulla Gatti – Casazza, il manager più significativo nella storia del teatro, era un ingegnere e non mi risulta avesse studi musicali, se non hobbistici, benchè figlio di impresario teatrale.
Esemplare per scelta di titoli, esemplare perché talvolta offrì asilo politico e culturale a chi, grande artista, altrove non poteva esprimere la propria arte. Mi vengono in mente due nomi per tutti: Bruno Walter ed Alexander Kipnis. Esemplare perchè spesso il teatro Newyorchese fu il baluardo di concezioni interpretative altrove messe al bando. Richiamo al Wagner cantato e non parlato ovvio e scontato esempio.
Va anche sottolineato come questo teatro sia stato, per contro, negli ultimi trent’anni ancorato a repertori e schemi interpretativi ed organizzativi, che esemplari un tempo appaiono censurabili oggi o quanto meno datati.
Anche qui un po’ di esempi, come le censure e le perplessità innanzi i “desiderata” di una diva come Marylin Horne o la assenza di titoli donizettiani nei periodi in cui questo repertorio ebbeinterpreti di riferimento.
Sul Rossini tragico proposto nelle ultime stagioni, piuttosto che sulla “Anna Bolena”, che inaugura la stagione 2011 – 2012 e che per certi versi costituisce il titolo simbolo della rinascita donizettiana il massimo teatro americano arriva inesorabilmente tardi. Negata ad una Sutherland, ad una Caballé o ad una Scotto, Anna Bolena per l’onerosità della parte sia sotto il profilo vocale che interpretativo non può certo trovare in Anna Netrebko, che non canta più “Traviata” da tempo, un’interprete congrua. L’idea di proporre, poi, nelle stagioni prossime a venire la cosiddetta trilogia Tudor è la fima ad idee scontate e superate. Da teatro provinciale per idee italiano o francese.
È solo un esempio, altri dobbiamo aggiungerne, come la Fleming che riprende a distanza di dieci anni la sua ben poco handeliana Rodelinda, regina dei Longobardi, in compagnia del fior fiore dei surrogati di castrato Andrea Scholl, il cui volume vocale rende certa una pesante amplificazione vocale.
I cast di Aida (con Violeta Urmana e Marcelo Alvarez), Ernani (Meade, Licitra, Furlanetto, Hvorostovsky) della new production di Faust con Kaufmann e Alagna nel ruolo protagonistico,nonché René Pape e la Poplavskaya, la tetralogia dove appaiono i fantasmi di Deborah Voigt e Terfel o il Nabucco con quello della Guleghina ed il Macbeth con quello di Hampson, costituiscono antologico florilegio dei più quotati, pagati, non sempre acclamati e mai all’altezza di cachet e fama, divi dello star system.
Due posizioni mi sembrano da segnalare al pubblico, ovvero il concerto solistico di Jonas Kauffman e la “Traviata” di Natalie Dessay.
Invito chi mi leggere a scorrere il sito della cronologia del MET per verificare la circostaza che nessuno dei grandi tenori che calcarono le scene del MET (e parlo di De Reszke, Caruso, Gigli, Tucker) mai ebbero l’onore e l’onere del concerto solistico. Del pari non posso omettere di segnalare perplessità sia circa l’adeguatezza che l’effettiva presenza della signora Dessay nei panni della “mantenuta” verdiana. Non è presunzione non è cattiveria, ma semplice raffronto fra le esigenze vocali ed interpretative della parte e vocali lugduniense.
Tutto questo rientra nell’esemplarità del MET, un tempo gli acclamati soprani e baritoni del teatro cantavano nel volgere di un mese tre o quattro parti e comparivano in cinque o sei stagioni per produzione. Siccome internet serve a smentire i bugiardi invito sempre a consultare la cronologia del MET usando come motore di ricerca i nomi di Caruso, Gadski, Gigli, de Reszke, per citarei primi che mi vengono in mente. Insomma i protagonisti di tante e tante “favole di Giulia Grisi”
Oggi, invece, i divi passano da un forfait all’altro, inanellano cancellazione per l’assunzione di ruoli impossibili o per tentarne degli altri inadeguati.
Come sempre siccome la storia non si fa con le chiacchiere, saranno i fatti ovvero applausi e disapprovazioni, che iniziano a comparire anche al MET a smentirmi, come mi auguro. A darmi ragione, come son certo.
Il MET è sempre stato un teatro esemplare, almeno nei suoi primi cinquant’anni di vita, per organizzazione, ricchezza di proposte, abilità ed avvedutezza di gestione.
Non per nulla Gatti – Casazza, il manager più significativo nella storia del teatro, era un ingegnere e non mi risulta avesse studi musicali, se non hobbistici, benchè figlio di impresario teatrale.
Esemplare per scelta di titoli, esemplare perché talvolta offrì asilo politico e culturale a chi, grande artista, altrove non poteva esprimere la propria arte. Mi vengono in mente due nomi per tutti: Bruno Walter ed Alexander Kipnis. Esemplare perchè spesso il teatro Newyorchese fu il baluardo di concezioni interpretative altrove messe al bando. Richiamo al Wagner cantato e non parlato ovvio e scontato esempio.
Va anche sottolineato come questo teatro sia stato, per contro, negli ultimi trent’anni ancorato a repertori e schemi interpretativi ed organizzativi, che esemplari un tempo appaiono censurabili oggi o quanto meno datati.
Anche qui un po’ di esempi, come le censure e le perplessità innanzi i “desiderata” di una diva come Marylin Horne o la assenza di titoli donizettiani nei periodi in cui questo repertorio ebbeinterpreti di riferimento.
Sul Rossini tragico proposto nelle ultime stagioni, piuttosto che sulla “Anna Bolena”, che inaugura la stagione 2011 – 2012 e che per certi versi costituisce il titolo simbolo della rinascita donizettiana il massimo teatro americano arriva inesorabilmente tardi. Negata ad una Sutherland, ad una Caballé o ad una Scotto, Anna Bolena per l’onerosità della parte sia sotto il profilo vocale che interpretativo non può certo trovare in Anna Netrebko, che non canta più “Traviata” da tempo, un’interprete congrua. L’idea di proporre, poi, nelle stagioni prossime a venire la cosiddetta trilogia Tudor è la fima ad idee scontate e superate. Da teatro provinciale per idee italiano o francese.
È solo un esempio, altri dobbiamo aggiungerne, come la Fleming che riprende a distanza di dieci anni la sua ben poco handeliana Rodelinda, regina dei Longobardi, in compagnia del fior fiore dei surrogati di castrato Andrea Scholl, il cui volume vocale rende certa una pesante amplificazione vocale.
I cast di Aida (con Violeta Urmana e Marcelo Alvarez), Ernani (Meade, Licitra, Furlanetto, Hvorostovsky) della new production di Faust con Kaufmann e Alagna nel ruolo protagonistico,nonché René Pape e la Poplavskaya, la tetralogia dove appaiono i fantasmi di Deborah Voigt e Terfel o il Nabucco con quello della Guleghina ed il Macbeth con quello di Hampson, costituiscono antologico florilegio dei più quotati, pagati, non sempre acclamati e mai all’altezza di cachet e fama, divi dello star system.
Due posizioni mi sembrano da segnalare al pubblico, ovvero il concerto solistico di Jonas Kauffman e la “Traviata” di Natalie Dessay.
Invito chi mi leggere a scorrere il sito della cronologia del MET per verificare la circostaza che nessuno dei grandi tenori che calcarono le scene del MET (e parlo di De Reszke, Caruso, Gigli, Tucker) mai ebbero l’onore e l’onere del concerto solistico. Del pari non posso omettere di segnalare perplessità sia circa l’adeguatezza che l’effettiva presenza della signora Dessay nei panni della “mantenuta” verdiana. Non è presunzione non è cattiveria, ma semplice raffronto fra le esigenze vocali ed interpretative della parte e vocali lugduniense.
Tutto questo rientra nell’esemplarità del MET, un tempo gli acclamati soprani e baritoni del teatro cantavano nel volgere di un mese tre o quattro parti e comparivano in cinque o sei stagioni per produzione. Siccome internet serve a smentire i bugiardi invito sempre a consultare la cronologia del MET usando come motore di ricerca i nomi di Caruso, Gadski, Gigli, de Reszke, per citarei primi che mi vengono in mente. Insomma i protagonisti di tante e tante “favole di Giulia Grisi”
Oggi, invece, i divi passano da un forfait all’altro, inanellano cancellazione per l’assunzione di ruoli impossibili o per tentarne degli altri inadeguati.
Come sempre siccome la storia non si fa con le chiacchiere, saranno i fatti ovvero applausi e disapprovazioni, che iniziano a comparire anche al MET a smentirmi, come mi auguro. A darmi ragione, come son certo.
Gli ascolti
Mozart – Don Giovanni
Atto I – Ah chi mi dice mai – Maria Müller (con Ezio Pinza e Virgilio Lazzari – 1934)
Verdi – Ernani
Atto III – Si ridesti il Leon di Castiglia – Dimitri Mitropoulos (1956)
Verdi – Traviata
Atto I – E’ strano…Ah fors’è lui…Sempre libera – Amelita Galli Curci (1919)
Verdi – Aida
Atto III – Pur ti riveggo mia dolce Aida…Ma dimmi…Di Napata le gole…Traditor! – Beniamino Gigli & Zinka Milanov (con Carlo Tagliabue, Bruna Castagna & Ezio Pinza – 1939)
Wagner – Götterdämmerung
Atto III – Starke Scheite – Lillian Nordica (1903)
E' strano che Donzelli per questa stagione non abbia nominato neppure un direttore. Li hanno eliminati al Metropolitan? O magari Donzelli li qualifica come un inutile orpello?
Marco Ninci
cara signora maestra
ma li letti nomi……
sembra di essere al famedio del cimitero e scorrere la lapide dei caduti della Grande Guerra se escludiamo Noseda alle prese, però con un cast da ossario!
e poi se tanto La ange ed al contempo stuzzica l'incompletezza del mio pezzo da appuntire il pennone bicolore (oggi a pag. 31 del corriere della sera è celebrata da una amica la mia prof di greco, quindi che può farmi un ninci) perchè ha obliato registi, scenografi, costumisti, sarte e pompieri !!!
Beh, la storia del MET vanta luci e molte, moltissime ombre: l'orchestra di livello infimo (sino all'avvento di Levine: che ha segnato la vera età dell'oro del teatro) è una di queste ombre. Pur con l'ammirazione – moderata – verso alcune delle voci di casa a NY, davvero ritengo molta parte del lascito discografico del teatro del tutto inascoltabile proprio per via dell'orrido livello orchestrale (a cominciare dal Wagner, tagliato in modo raccapricciante, affidato a battisolfa immondi e a un'orchestra da dopolavoro: restano i cantanti, ma non sempre). Sarò conservatore, ma preferisco la vecchia Europa.
Il presente, invece, il post Levine…sta marciando a grandi passi verso la palude del vecchio MET, coi suoi divi e divastri (o presunti tali) che oggi, oltretutto, neppure possiedono il fascino dei vecchi "mostri sacri"… Il problema del MET, in realtà, è che il suo pubblico applaudirebbe pure me e Donzelli che improvvisiamo il duetto dei Puritani! E visto l'odierno cartellone, non mi sembra di vedere offerte migliori!
Scusa, Duprez, ma Szell, Reiner, Walter, Mitropoulos, Busch hanno veramente diretto un orrore di orchestra? Personalmente ho ascoltato un Tannhaeuser diretto da Szell, un Lohengrin diretto da Busch, Don Giovanni e la Forza del Destino diretti da Walter, Pagliacci, Cavalleria Rusticana, Tosca, Madama Butterfly, Ballo in Maschera, Ernani, Simon Boccanegra diretti da Mitropoulos, Don Giovanni diretto da Reiner; mi sono sembrate tutte splendide interpretazioni, che si avvalevano di un livello orchestrale eccellente.
Marco Ninci
Solo il pensare alla Netrebko come Bolena, fa rizzare le criniere. L'avete sentita nel recente Don Pasquale? Ma dove ficca la voce la signora? In gola? in Pancia? Bolena è per un soprano l'Everest operistico o comunque una cima tempestosa. Non roba per la Netrebko o con lei il cast collegato. Ma un'osservazione è di dovere: dove trovare oggi i cantanti per opere simili? Dove trovare un Radames? Dove trovare un Manrico? C'è chi si accontenta di Licitra. C'è chi usa Cura per Canio!!!!!Incompetenti? forse.
Improvvisatori?
Ovviamente non possiamo scritturare Caruso o Pavarotti…… Una vecchia frase di un passato capo del nostro governo,Mariano Rumor, diceva: protesta con proposta. Protestiamo quindi ma proponiamo cast alternativi. Potrebbe servire da consiglio per quei direttori artistici privi di fantasia e forse di cultura musicale, che vanno sui siti per trovare ispirazione
Ormai…
La vera Golden Age del MET è stato il periodo a cavaliere tra la fine del secolo decimonono e l'inizio del secolo vigesimo. Basta consultare l'archivio su Internet. Vi cantavano i migliori cantanti di cui dischi e cilindri ci rechino testimonianza, cantanti di levatura tale che basterebbe sentirli accompagnati da un pianoforte, altroché Levine e la sua orchestra!