È stata presentata in questi giorni la prossima stagione del teatro madrileno. La prima della quale il direttore artistico Gérard Mortier si sia assunto pubblicamente, e con orgoglio, la totale paternità.
Con l’annunciato cartellone la dirigenza del teatro si propone di attrarre nuove fasce di pubblico. Magari sbarazzandosi di una buona parte dei frequentatori storici, che in passato hanno regalato al teatro grandi trionfi e altrettanto clamorosi tonfi. Buon ultimo quello dello Chénier dello scorso anno, che costrinse la radio spagnola a sospendere la trasmissione in diretta dello spettacolo.
Di certo il repertorio, così come concepito dal melomane ottuso e passatista, à la Grisi insomma, esce da questa stagione polverizzato o quasi.
Scompare del tutto il Settecento, con la sola eccezione (non molto fantasiosa, a dire il vero, e quasi degna dei certo meno illuminati programmatori di stampo tradizionale) di Mozart, del quale vengono proposti due titoli, uno serio e uno comico (quest’ultimo in forma di concerto). Il serio è ovviamente La Clemenza di Tito: pretendere un Silla o un Mitridate, ma anche un Idomeneo, sarebbe certo follia pura. Quello che inquieta, come quasi sempre avviene in queste produzioni, è il cast, capitanato da Yann Beuron (che già offrì modesta prova delle proprie capacità quale Idamante in Aix) e Kate Aldrich, di ritorno alle scene dopo il lieto evento che la spinse al forfait quale Cenerentola a Pesaro la scorsa estate (ma che non le impedì di essere, a distanza di poche settimane, una Carmen alquanto discussa all’Arena di Verona). Il resto del cast, direttore compreso (Hengelbrock, reduce dalla Norma “della” Bartoli), sarà verosimilmente fonte di ulteriori perplessità. La regia è quella, collaudatissima, dei coniugi Herrmann, che si vide fra l’altro anche a Parigi durante il regno di Mortier. La Finta Giardiniera sarà invece affidata alle cure filologicamente corrette di René Jacobs e a un cast di cosiddetti specialisti, con la sola eccezione di Alexandrina Pendatchanska, che frequenta volentieri anche altri repertori. Sempre con i medesimi risultati.
Se grama è la sorte degli autori del XVIII secolo, quelli ottocenteschi, massime se italiani e quindi in odor di vociomania, non se la passano meglio. Eresia sarebbe, ancora una volta, attendersi Bellini o il Rossini tragico, ma qui mancano all’appello Donizetti e Verdi, per tacere dei veristi. Sola e notevole eccezione – Cultura con la C maiuscula – I Due Figaro di Mercadante, che Riccardo Muti proporrà anche a Salisburgo e Ravenna, con un cast di giovani cantanti, da sempre prediletti dal direttore italiano. Altrettanto poco generosa la selezione di titoli francesi e tedeschi: uno a testa, entrambi in versione concertante. Il Don Quichotte sarà affidato alle mature grazie di Anna Caterina Antonacci e all’usurato strumento di Ferruccio Furlanetto, mentre il Rienzi, che torna a Madrid dopo più di un secolo di assenza, beneficerà di un cast da profonda provincia tedesca, con il punto interrogativo (che rischia seriamente di mutarsi in esclamativo) di Anja Kampe quale Irene. Fa capolino anche Tchaikovsky, con la Iolanta affidata alla bacchetta di Currentzis e a un cast di talenti russi. L’opera è proposta in doppio con la Perséphone di Stravinsky, solo uno dei tanti titoli del XX secolo (frontiera estrema della Cultura operistica, almeno agli occhi del signor Mortier) che letteralmente affollano la stagione madrilena.
Si comincia infatti, non certo con un dispendio d’inventiva, con Elektra, spettacolo affidato alla bacchetta di Semyon Bychkov e alla regia di Grüber. Nel cast spiccano le due interpreti di Clitennestra, Jane Henschel e Rosalynd Plowright, che certamente pensano di poter emulare, in tutt’altro repertorio, gli ultimi exploit di una Devia o di una Gruberova. Contente loro. Altro veterano, anzi irriducibile dei palcoscenici, Chris Merritt, ormai evidentemente alla ricerca di parti che possano essere abbordate con minori rischi rispetto ad un Eleazaro. Il resto del cast rientra nell’ambito della cosiddetta scuola del declamato, apparato che appare oggi irrinunciabile in questo ambito operistico. Ricordiamo sommessamente come la prima autovedova di Agamennone fosse, a Dresda, Ernestine Schumann-Heink e la prima Crisotemide, Margarethe Siems.
Altro titolo imprescindibile, e anch’esso un poco usurato, il Pélleas, spettacolo di Bob Wilson proveniente anch’esso da Salisburgo e Parigi (come dire, da casa Mortier). Sul podio Sylvain Cambreling, nel cast spicca Camilla Tilling, rapidamente passata da ruoli di soprano leggero alla scrittura rigorosamente centrale di Mélisande.
E non poteva certo mancare la mitica Lady Macbeth di Mtsensk, da sempre titolo diletto al colto e all’inclito, che troverà una protagonista adeguatamente prosperosa nella vamp dell’opera Eva-Maria Westbroek. Poca fantasia e ancor minore estro nella riproposta dell’abbinamento Domingo-Radvanovsky nel Cyrano di Alfano, che un po’ a sorpresa non ripropone la regia vista un paio di stagioni fa in Scala, protagonista l’identica accoppiata di cantanti. Le restanti proposte novecentesche e/o moderne sono così raffinate che dispenseremo i nostri lettori dall’elenco, invitandoli, se interessati, a consultare la pagina web del teatro. Ma in tutta questa Cultura, un singolo Puccini non poteva davvero trovare posto?
Concluderemo osservando come all’opera barocca, da sempre uno dei must dei teatri à la page, sia riservato in Madrid un trattamento piuttosto gramo: un solo titolo, L’Incoronazione di Poppea (scelta tutt’altro che estrosa, ed è l’ennesima), nell’orchestrazione di Boesmans. Ma il cast è prestigiosissimo, come si addice alla nomea di uno dei primi teatri di Spagna. Protagonista sarà infatti Nadja Michael, che peraltro nella stagione ventura affronterà in altre piazze ben più aspri cimenti (ma non anticipiamo il soggetto di future stazioni). Con lei Charles Castronovo, Maria Riccarda Wesseling, Willard White e altre star, nascenti o già consolidate, del panorama lirico internazionale. Non potevamo non commentare siffatta scelta con uno storico adattamento del capolavoro monteverdiano, che vide nel ruolo del titolo un’altra cantante di notevoli doti fisiche, non disgiunte da quelle canore.
Con l’annunciato cartellone la dirigenza del teatro si propone di attrarre nuove fasce di pubblico. Magari sbarazzandosi di una buona parte dei frequentatori storici, che in passato hanno regalato al teatro grandi trionfi e altrettanto clamorosi tonfi. Buon ultimo quello dello Chénier dello scorso anno, che costrinse la radio spagnola a sospendere la trasmissione in diretta dello spettacolo.
Di certo il repertorio, così come concepito dal melomane ottuso e passatista, à la Grisi insomma, esce da questa stagione polverizzato o quasi.
Scompare del tutto il Settecento, con la sola eccezione (non molto fantasiosa, a dire il vero, e quasi degna dei certo meno illuminati programmatori di stampo tradizionale) di Mozart, del quale vengono proposti due titoli, uno serio e uno comico (quest’ultimo in forma di concerto). Il serio è ovviamente La Clemenza di Tito: pretendere un Silla o un Mitridate, ma anche un Idomeneo, sarebbe certo follia pura. Quello che inquieta, come quasi sempre avviene in queste produzioni, è il cast, capitanato da Yann Beuron (che già offrì modesta prova delle proprie capacità quale Idamante in Aix) e Kate Aldrich, di ritorno alle scene dopo il lieto evento che la spinse al forfait quale Cenerentola a Pesaro la scorsa estate (ma che non le impedì di essere, a distanza di poche settimane, una Carmen alquanto discussa all’Arena di Verona). Il resto del cast, direttore compreso (Hengelbrock, reduce dalla Norma “della” Bartoli), sarà verosimilmente fonte di ulteriori perplessità. La regia è quella, collaudatissima, dei coniugi Herrmann, che si vide fra l’altro anche a Parigi durante il regno di Mortier. La Finta Giardiniera sarà invece affidata alle cure filologicamente corrette di René Jacobs e a un cast di cosiddetti specialisti, con la sola eccezione di Alexandrina Pendatchanska, che frequenta volentieri anche altri repertori. Sempre con i medesimi risultati.
Se grama è la sorte degli autori del XVIII secolo, quelli ottocenteschi, massime se italiani e quindi in odor di vociomania, non se la passano meglio. Eresia sarebbe, ancora una volta, attendersi Bellini o il Rossini tragico, ma qui mancano all’appello Donizetti e Verdi, per tacere dei veristi. Sola e notevole eccezione – Cultura con la C maiuscula – I Due Figaro di Mercadante, che Riccardo Muti proporrà anche a Salisburgo e Ravenna, con un cast di giovani cantanti, da sempre prediletti dal direttore italiano. Altrettanto poco generosa la selezione di titoli francesi e tedeschi: uno a testa, entrambi in versione concertante. Il Don Quichotte sarà affidato alle mature grazie di Anna Caterina Antonacci e all’usurato strumento di Ferruccio Furlanetto, mentre il Rienzi, che torna a Madrid dopo più di un secolo di assenza, beneficerà di un cast da profonda provincia tedesca, con il punto interrogativo (che rischia seriamente di mutarsi in esclamativo) di Anja Kampe quale Irene. Fa capolino anche Tchaikovsky, con la Iolanta affidata alla bacchetta di Currentzis e a un cast di talenti russi. L’opera è proposta in doppio con la Perséphone di Stravinsky, solo uno dei tanti titoli del XX secolo (frontiera estrema della Cultura operistica, almeno agli occhi del signor Mortier) che letteralmente affollano la stagione madrilena.
Si comincia infatti, non certo con un dispendio d’inventiva, con Elektra, spettacolo affidato alla bacchetta di Semyon Bychkov e alla regia di Grüber. Nel cast spiccano le due interpreti di Clitennestra, Jane Henschel e Rosalynd Plowright, che certamente pensano di poter emulare, in tutt’altro repertorio, gli ultimi exploit di una Devia o di una Gruberova. Contente loro. Altro veterano, anzi irriducibile dei palcoscenici, Chris Merritt, ormai evidentemente alla ricerca di parti che possano essere abbordate con minori rischi rispetto ad un Eleazaro. Il resto del cast rientra nell’ambito della cosiddetta scuola del declamato, apparato che appare oggi irrinunciabile in questo ambito operistico. Ricordiamo sommessamente come la prima autovedova di Agamennone fosse, a Dresda, Ernestine Schumann-Heink e la prima Crisotemide, Margarethe Siems.
Altro titolo imprescindibile, e anch’esso un poco usurato, il Pélleas, spettacolo di Bob Wilson proveniente anch’esso da Salisburgo e Parigi (come dire, da casa Mortier). Sul podio Sylvain Cambreling, nel cast spicca Camilla Tilling, rapidamente passata da ruoli di soprano leggero alla scrittura rigorosamente centrale di Mélisande.
E non poteva certo mancare la mitica Lady Macbeth di Mtsensk, da sempre titolo diletto al colto e all’inclito, che troverà una protagonista adeguatamente prosperosa nella vamp dell’opera Eva-Maria Westbroek. Poca fantasia e ancor minore estro nella riproposta dell’abbinamento Domingo-Radvanovsky nel Cyrano di Alfano, che un po’ a sorpresa non ripropone la regia vista un paio di stagioni fa in Scala, protagonista l’identica accoppiata di cantanti. Le restanti proposte novecentesche e/o moderne sono così raffinate che dispenseremo i nostri lettori dall’elenco, invitandoli, se interessati, a consultare la pagina web del teatro. Ma in tutta questa Cultura, un singolo Puccini non poteva davvero trovare posto?
Concluderemo osservando come all’opera barocca, da sempre uno dei must dei teatri à la page, sia riservato in Madrid un trattamento piuttosto gramo: un solo titolo, L’Incoronazione di Poppea (scelta tutt’altro che estrosa, ed è l’ennesima), nell’orchestrazione di Boesmans. Ma il cast è prestigiosissimo, come si addice alla nomea di uno dei primi teatri di Spagna. Protagonista sarà infatti Nadja Michael, che peraltro nella stagione ventura affronterà in altre piazze ben più aspri cimenti (ma non anticipiamo il soggetto di future stazioni). Con lei Charles Castronovo, Maria Riccarda Wesseling, Willard White e altre star, nascenti o già consolidate, del panorama lirico internazionale. Non potevamo non commentare siffatta scelta con uno storico adattamento del capolavoro monteverdiano, che vide nel ruolo del titolo un’altra cantante di notevoli doti fisiche, non disgiunte da quelle canore.
Gli ascolti
Monteverdi – L’Incoronazione di Poppea
Atto I – Speranza, tu mi vai – Grace Bumbry (1967)
Mozart – La Clemenza di Tito
Atto II – Deh per questo istante solo – Teresa Berganza (1976)
Strauss – Elektra
Atto unico – Helft! Mörder!…Agamemnon hört dich!…Ob ich nicht höre? – Gertrude Grob-Prandl (con Dino Halpern & Gertraud Hopf – 1963)
Direi che non programmare Tosche, Rigoletti, Traviate, Bohéme, Manon, Lucie, Sonnambule, Chenier etc.. etc.. PER UNA VOLTA TANTO, non sia un "peccato mortale", atteso che Pelleas, Lady Macbeth, Rienzi, Iolanta…sono tutti titoli importanti (i primi due capolavori assoluti). E che diamine, si critica la Scala perché propone un cartellone da Arena, si critica Madrid perché non lo propone. Del resto i titoli sono 14, non 50… Svecchiare un po' il repertorio e dare la possibilità alla gente di ascoltare qualcosa di diverso (e non si tratta di "robe astruse", ma di Debussy, Stravinski, Shostakovich…), invece dei soliti 4 titoli, mi sembra operazione salutare. Tutt'al più criticherei le scelte poco originali di Elektra o del Cyrano…ma per il resto…non sentirei certo la mancanza di Nucci che bissa "Vendetta tremenda vendetta", ecco…
resta il fatto che il pubblico a madrid non mi pare entusiasta di questa stagione come della scorsa.
gli abbonamenti calano, il livello musicale è basso….un 'occhiata a fori e blog spagnoli illustra bene il dibattito in corso….
vedo adesso le polemiche sulla gestione Mortier, rimbalzate anche in un sito face che linka giornali ….idem Tertulia e Una noche en la Opera
http://www.facebook.com/#!/MortierDimision
A Barcellona puntano su "Bohéme" unico vero titolo di una stagione scriteriata!
Al Met puntano sugli amabili resti dei "grandi cantanti" da spremere fino all'ultima goccia di dignità.
A Parigi e Amsterdam fanno routine, tranquilla e senza molti palpiti.
A Madrid… Elektra con un cast che alterna le rovine di Cartagine (Polaski, Merritt, Merbeth, Plowright) e in cui l'unico motivo di interesse sarà: La Goerke, che come Kundry a Torino, per quanto discreta, era al limite, arriverà viva?
Pelleas et Melisande, opera meravigliosa, ma con un cast improponibile (la Tilling con le sue fissità fischianti, Nouri che parlotta, Selig che cigola)
La Lady Macbeth, altra opera magnifica, con la Westbroek, molto convincente nel ruolo, Vaneev e Koenig diretta da Haenchen potrebbe essere il "titolo di punta".
Iolanta-Persephone con le vestigia della Casa Russia.
La Clemenza di Tito: rimango molto perplessa dalla presenza di una "starlettina" come la Brueggergrossmann e dell'intubata e riciclata Aldrich oltre che dal diapason ballerino di Hengelbrock; sarebbe anche stato interessante ascoltare un Mitridate o un Silla, ma anche in quel caso ci saremmo lamentati dei cast schierati…
I due Figaro di Mercadante con Muti ed una pletora di ggggiovani malleabili sarà la "curiosità" stagionale.
Cyrano con Domingo e la Sondra ANCORA, se ne sentiva la mancanza???
Poppea e Nerone, riscrittura dell'Incoronazione di Poppea con un cast che schiera la Michael che ha il fisico, e forse giusto quello, per Poppea ed una serie di comprimari dei teatri berlinesi.
Le tre opere in forma di concerto (Rienzi mutilato immagino) sarebbero interessanti sulla carta, ma a leggere i nomi…
Non mi lamento se in una stagione mancano le opere di repertorio, anzi posso vivere benissimo senza i "titoli da Arena" iper-svalutati negli ultimi anni; ma con un po' di attenzione e con una scelta più intelligente si potevano ottenere delle soddisfazioni interessanti anche da una stagione che ha, giustamente, scontentato tutti (come tutte quelle già pubblicate, tra l'altro, dagli altri teatri).
Marianne Brandt
Caro Duprez, abolire il belcanto e proporre solo il Novecento storico (peraltro, ribadisco, sempre e solo gli stessi titoli! e un Capriccio? una Resurrezione? un titolo di Britten che non sia uno dei soliti due-tre proposti fino alla noia, che ne so, una Gloriana, un Albert Herring…?) non è diversificare la proposta, è tentare di salvare la faccia illudendosi che questo repertorio sia più facile da allestire rispetto a quello precedente. Sarà più facile darla a bere, semmai, ma non garantisce un felice esito artistico. E poi, mi sai dire qual è l'idea, la proposta culturale che collega tutti questi titoli? Mi sembrano affastellati uno accanto all'altro, come un pranzo preparato in fretta e in furia con gli avanzi che si sono rimediati in frigorifero… Suggerimento: pensa a una stagione costruita ad es. sul tema della storia britannica, magari proprio sulla figura di Elisabetta I: quella di Rossini, la Stuarda o il Devereux, Gloriana.. e ce ne sono di sicuro altre che ora mi sfuggono. Capisci che in questo caso ci sarebbe un abbozzo di programma, e non solo un buttare sulla carta titoli che poco o nulla hanno che vedere l'uno con l'altro?
Pues efectivamente, una temporada basada en el gusto personal de Gerard Mortier, ese "revolucionario y moderno", que programa las mismas óperas y producciones, allá donde va.
Por supuesto, no se ha tenido en cuenta los gustos mayoritarios del público de Madrid, (porque aunque se empeñe en repetir lo contrario, en Madrid hay tradición operística), es decir, de ópera italiana y de voces. Y de ambas cosas, vamos a estar carentes la próxima temporada.
Totalmente desequilibrada, con repartos bastante mediocres en lineas generales. Salvo la Elektra, Lady Macbeth y el ver a Muti en Madrid, poca cosa interesante, la verdad. El Cyrano, lo pusieron hace unos años en Valencia, pero Mortier no se la quiere jugar dejando fuera a Plácido del teatro madrileño.
Y luego el total desprecio a los cantantes españoles,que salvo Plácido y alguno más, están ausentes en los repartos. El belga, en la rueda de prensa de la presentación de la temporada, afirmó que los cantantes españoles ni saben cantar Verdi ni Mozart, y tiene gracia que lo diga alguien que trae a ese camelo como es Brueggergrossmann, para cantar Vitellia. El "gran entendido en voces", quiere crear una escuela de canto.
Y algo que parece que está en contra de lo establecido en los estatutos del teatro: la ausencia de una obra española. Pero no importa, como Mercadante compuso "I due figaro", en España, pués ya es española, según el belga.
En fin, una temporada bastante previsible por parte de Mortier y que es 100% del belga, porque la actual todavía mantiene producciones de Antonio del Moral.
Saludos, desde Madrid.
Cara Marianne, la prossima stagione della DNO cosí com'è (una metà tematica con opere di quasi tutti i strati del repertorio (titoli consueti e desueti), un'altra metà con opere da grande repertorio e proposte originali) non so se questo si possa chiamare routine…
Querida Zerlina, los italianos del mismo modo que Mortier se apodera de la ópera de Mercadante podrían apoderarse de "La dama de picas" porque fue compuesta en Florencia.
L'ennesima confusione di Minsk e Mzensk è da ridere.
Pues si. O decir que Ernani, Don Giovanni o La Forza del destino, son españolas porque están ambientadas en España. Cosas veredes.