Per la seconda la prevista protagonista era risanata, malattia fulminante, istantaneo risanamento.
Oksana Dyka è stata un mese or sono una insufficiente Nedda dei Pagliacci, riprovata dal pubblico. Non ci sarebbe voluto né un pozzo di scienza, né una professionalità esemplare per esercitare il diritto di protesta nei confronti dell’incauta scritturata. Invece abbiamo dovuto sopportare una Tosca assolutamente inidonea ed insufficiente. Sia la cantante che l’interprete. Vuota sotto la voce, spinta dal la acuto in su (era infatti un bercio quello che ha chiuso l’aria di Nedda alla prima) ha cantato piattamente fra il mezzoforte e il forte, urlato senza risparmio (ma ci sono svariate altre recite!) le note acute, nemmeno tentate un paio di smorzature di tradizione, come sul la bemolle acuto in chiusa al Vissi d’arte. Per la cronaca la eseguiva anche Maria Caniglia nel 1956, perdonerà il paragone la signora Donati Caniglia. L’interprete, attesa l’assenza di dinamica, inesistente, si badi non limitata e carente, inesistente. Sbagliato non fare le singole uscite, perché al diritto della cantante non protestata di esibirsi, corrisponde quello del pubblico di esprimere la propria opinione, Opinione ugualmente negativa riguardo Carlo Ventre, recuperato dopo il perdurare della malattia di Jonas Kaufmann, che dal sito della Scala sembra essere il vero protagonista del titolo pucciniano. Ma è legge consuetudinaria non disapprovare i sostituti, anche se il loro posto sarebbe la provincia, atteso che anche in quest’epoca di carestia quella lombarda ha offerto rappresentazioni encomiabili.
La malattia del prescelto pare, salvo smentite coi fatti di domani, essere grave, ricorrente e perdurante. Con autentico spregio e dileggio del pubblico accorso ad ascoltare il miracolo vivente della corda tenorile, miracolo creato dalle centrali del consenso, il teatro non dice esplicitamente se e come il divo canterà.
In compenso vediamo, nostro malgrado, una critica sempre attiva, sempre pronta a difendere chi, per superiore scelta ed ordine, DEVE essere encomiasticamente recensito, strenuamente difeso. Tanto è che dalle pagine dei quotidiani milanesi le penne deputate, parlando della bacchetta, si sono scagliate a dire dell’ignoranza crassa del pubblico, delle preordinate contestazioni, del mirabile curriculum di chi abbia diretto il melodramma in quel di Padova e Tel Aviv.
Allora un po’ di chiarezza, un po’ di coerenza. Quando si parli di fischi e contestazioni ordite e preordinate lo si deve fare ben certi di quel che si fa dicendo, in difetto “interessar se ne potria un tantin l’autorità”. E, poi, si perde la faccia, a dirlo allorché la propria esclusiva fonte sia un becero bercio di platea prontamente ridicolizzato e zittito dal loggione. All’unanimità. Quando si santifica un direttore per acclamazione popolare si deve, almeno, spiegare al popolo bue (altrimenti perché viene lautamente pagato il critico?) l’ubi consistam delle virtù eroiche e della santità. Perché per due sere di virtù e miracoli non ne abbiamo uditi e visti punto. Alle spicce perché altrove si è divertito a vagliare battuta per battuta l’intera partitura: orchestra pesante sempre, ottoni spernacchiati (dalle prime tre battute dell’opera in poi), archi, violoncelli in particolare al terzo atto, dalle sonorità acide e baroccare, campane all’alba su Roma da “Avemo er Papa novo” e passando dalla grammatica alla sintassi (ma quella del caso!) evidente mancanza di un disegno interpretativo. Tosca può essere esasperatamente lenta e languida ad evocare la sensualità della donna che tutto muove e tutti eccita, oppure violenta, drammatica, parossistica nelle sonorità e dichiaratamente novecentesca nelle scene di scontro e tortura, non solo fisiche ma soprattutto psicologiche (Te Deum compreso, a sposare conati laicistici), che sostengono la vicenda. Nulla di tutto questo se non tempi ora inutilmente lenti, diffuso fragore, nessuna finezza orchestrale e sottolineatura degli episodi topici e neppure la sicurezza dei direttori di tradizione alla Molinari-Pradelli. Tralascio poi, strombazzate e sonorità pesante e pestate alla chiusa di ciascun atto nell’inutile tentativo di recuperare drammaticità e vigore. Questo tanto per esser chiari, è il marchio di fabbrica, identico a quello propostoci alla chiusa del secondo e terz’atto di Aida dal maestro del “maestro rivelazione”. Noi poveri ignoranti non siamo stati illuminati, rischiarati nella nostra ottusità, anzi per difendere il palcoscenico siamo stati insultati, senza motivo e senza risparmio, dimostrando un’altra volta come la critica intenda molta diversamente dal passato e dal codice deontologico, il proprio compito.
Alle spiegazioni, partitura alla mano, siamo ben disposti. Anzi, noi le pretendiamo.
Quando poi, e qui la pianto, si riprova l’idea di controlli e censure, inneggiando allo spirito liberale della dirigenza, coerenza vorrebbe, in uno con informazione e professionalità, rammentare che si può essere gendarmi in altri modi come il ripulire il facebook della Scala da ogni commento negativo secondo il provinciale perbenismo del “contenemo lo scandalo”. Buona domenica a tutti.
Consoliamoci con l’unica valida rilettura moderna di Tosca.
Curiosità di parte: erano brutti i suoni di campane?
Io li ho trovato molto brutti. L'intera introduzione del terzo atto sembrava "L'Addio di Lucifero" di Stockkhausen.
non è un problema di qualità del suono ma di quantità ed intensità del suono, davvero troppo per il risveglio dell' urbe
Aiuto sarò alla Scala il 22, cosa mi aspetterà?
Ogni parola sul Teatro alla Scala e sugli spettacoli che vi si allestiscono è una parola sprecata. Trattasi d'un teatro meno che provinciale nella gestione, nel livello del suo pubblico, nella qualità dei suoi prodotti. Lasciamo che questo tempio sconsacrato concluda da sé il proprio corso: non curiamoci di un circo per turisti che solo gli imbecilli chiamano ancora "opera".
La Scala che io vorrei per questo terzo millennio, è questa.
Così ridotto, quello che un tempo fu il "Tempio della Lirica", avrebbe di nuovo la sua dignità. Le mura di un teatro non devono sopravvivere all'arte di cui furono il luogo, ed il simbolo.
E tra quelle rovine romantiche, calpestate talvolta dal fantasma di qualche vedovo incappucciato, sarebbe bello che l'eco di un grammofono ci rammentasse le voci dei tempi perduti…
Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus.
Mattia Battistini, Eri tu… O Dolcezze perdute! O Memorie…
Se davvero la parte maggioritaria del pubblico pensasse quello che pensa Mancini, ci sarebbe da preoccuparsi. Per capire l'assurdità di qualunque passatismo, anche assai meno radicale di quello di Mancini, basta riflettere al fatto che in ogni epoca, anche in quelle più auree, il passatismo ha fatto la sua parte. Sicuramente anche Mattia Battistini è stato considerato un cantante vergognoso da chi sosteneva che si cantava assai meglio cinquanta anni prima. Il "Corriere della Grisi" non è una novità, c'è sempre stato e la storia gli ha sempre dato torto, com'è ovvio che sia. C'è un bell'aneddoto su Mahler è Brahms in vacanza nella bellissima Bad Ischl. A Brahms che sosteneva la prossima fine della musica, Mahler rispose indicando, nelle acque di un torrente, l'"ultima" onda. Questo per chi sostiene che il canto, La Scala, l'esecuzione d'opera sono finiti. Ma ciò che in Brahms poteva essere stato un momento di cattivo umore, diviene imperdonabile quando nei suoi magari inconsapevoli epigoni si trasforma in una convinzione risentita, stizzosa e senza speranza.
Marco Ninci
ragazzi ringraziamo la superiora che ci ha ammoniti
"Guardati adunque, o uomo di Dio, di conversare con i peccatori di modo che tu faccia amicizia con loro; perché sarà più facil cosa che tu declini dalla retta via, che essi ritornino alla giustizia."
(Girolamo Savonarola)
Premesso che non credo proprio che tutto sia finito, che la fine del mondo sia alle porte e che tutti i teatri diveneteranno "Shopping Mall" e ri-premesso il fatto che di "Marco Ninci" col ditino puntato, gli ammonimenti etc. ne è pieno il mondo e nessuno di questi dice purtroppo nulla di nuovo, chiedo: dov'è che scriviamo, noi "Corriere", che tutto stia per finire? Dov'è che parliamo della fantomatica "l'ultima onda"?
C'è della letteratura su quanto Battistini fosse "vergognoso"?
Torto? Mi pare, invece, che ogni nostra previsione si è fino a qui avverata, dalle più rosee a quelle più funeste!
Nel frattempo, tra un ammonimento e l'altro, andrai in Scala a vedere questa "Tosca"?
Facci sapere!
Marianne Brandt
Bene, mi fa piacere che già si discuta sul tema che ho messo sul tappeto con il mio commento (provocatorio, perché no?, ma assolutamente allineato con ciò che io credo).
Ninci, lei parla di assurdità e di ovvia smentita della storia, a proposito di qualunque passatismo: "i passatisti ci sono sempre stati blablabla…"
Carino anche l'aneddoto, anche se degli aneddoti, mi creda, non so cosa farmene.
Trovo questi argomenti poco stringenti e anche banali.
Io dico che alla Scala oggi non si rappresenta più l'Opera ma se ne celebra una blasfema caricatura (anche se il pubblico pare non rendersene conto).
L'opera, senza Canto, non è.
Ora, al di là del solito refrain "i passatisti ci sono sempre stati e la storia ha dato loro sempre torto", e al di là di curiosi e dilettevoli aneddoti che non provano nulla, vorrei sapere da lei, Ninci, se ed in quale modo l'Opera sopravvive a Milano, oggi (dico Milano giusto per circoscrivere il discorso, ma è ovvio che la questione non riguarda solo Milano, ma il mondo intero).
P.S. io sono Mancini, Donzelli è Donzelli, Duprez è Duprez, Brandt è la Brandt… Ognuno di noi ha idee diverse, si smetta di etichettare chiunque scrive o commenta questo blog come "grisino". Oltretutto nel mio commento c'è una sfumatura nemmeno tanto celata di dissenso verso le recensioni scaligere di Grisi e Donzelli: sto dicendo che la Scala non è più un teatro d'opera, e che i melomani debbano disinteressarsi di essa, ignorandola del tutto. Gli spettacoli della Scala a mio avviso non meritano spazio tra queste pagine. Se si recensisce questa Tosca, perché non recensire anche Sanremo o Zelig?
…o forse cerchiamo di fare in modo che l'opera non muoia annegata nel playback e tra le lingeries dei tenori?
Del resto ho incontrato un anziano signore che, forse per esorcizzare la propria età e sentirsi all'avanguardia coi tempi, decantava l'arte intepretativa di Villanzon, che non conta la tecnica ma esprimere. L'ho ascoltato parlare, di spalle, domandandomi se avesse mai ascoltato il Rigoletto del suddetto spartito alla mano, per constatarne lo scempio dei segni di espressione…….chissà che cosa trovano di espressivo questi signori in quell'insieme di versi…!
Cara Marianne, intanto io non ammonisco affatto né ho il dito alzato; semplicemente, critico in maniera radicale gli assunti del blog. Se poi questo viene assunto come l'equivalente del dito alzato, nessuno qui ha credito per rinfacciarmi un simile atteggiamento, visto che gli amministratori del sito e coloro che intervengono lo praticano in maniera massiccia, nei confronti di direttori, cantanti, critici musicali, altri siti. E' vero che esplicitamente non si parla di "ultima onda", ma è ciò che si evince dalla distruzione sistematica di quasi tutti gli spettacoli; si salva qualche spettacolo di provincia, il "Parsifal" di Torino, il "Tristano" di Milano, il "Moise" di Salisburgo, perché di quello di Roma ben altro si dice. Non è un po' poco lungo diversi anni? E poi, io credo proprio che la mia definizione del passatismo sia un argomento cui poco si può opporre; sempre e dovunque c'è stato un rimpianto del passato, si trattasse dello zweighiano "mondo di ieri", che idealizzava una stabilità e una sicurezza che in realtà non c'erano mai state, oppure dei buoni anni cinquanta e sessanta, o della Scala di Abbado e Grassi e compagnia cantando.Idealizzazioni, nulla più.
E anche per l'opera la questione non è diversa. Intanto, gli ascolti che proponete sono ascolti di pezzi singoli. Ora, per me questo non ha alcun senso. Per giudicare un interprete io devo ascoltare un'opera intera, o almeno un atto, non un brano decontestualizzato. E' per questo che io non apprezzo affatto i concerti di arie d'opera. Apprezzo invece i concerti di Lieder,perché il Lied ha una sua autonomia. Ma, quando si tratta di un ciclo unitario, lo voglio ascoltare tutto, non un elemento di quel tutto. Quindi, a cosa ci si rifà? Forse a un "A te o cara" isolato, dove il solfeggio è un'opzione quasi mai rispettata e i tempi non hanno alcuna coerenza? Io sono convinto che, a parte la bravura tecnica dei cantanti, che emerge anche da quelle preistoriche incisioni, se noi ascoltassimo oggi esecuzioni in quello stile, ne proveremmo orrore. Per me importa l'unitarietà di un tutto, ed è per questo che per me è così importante la funzione del direttore d'orchestra, che impone una sua visione. Senza questa, per me non c'è niente.
Ed è per questo che il più bel "Macbeth" che io abbia mai ascoltato, molto superiore a quello diretto da Claudio Abbado a Milano, è stato quello diretto da Riccardo Muti a Firenze negli anni Settanta, con Mario Petri, ormai senza voce, e Gwyneth Jones, stridula e oscillante, tanta era la bravura del direttore a sfruttare e coordinare un materiale vocale di non eccelsa qualità. E la meraviglia del "Ring" di Boulez e Chéreau, con cast francamente cattivi? Io poi non sono neppure tanto avverso al teatro di regia che, pur fra cadute ed errori, ha prodotto riuscite molto interessanti. Tant'è che ho visto pochi mesi fa a Firenze una "Tosca" con tutta la tradizione a posto, Sant'Andrea della Valle, il tavolino di Scarpia, Castel Sant'Angelo; orribile. Mi sono convinto ormai che una regia che rispetti le didascalie del libretto non sia più proponibile. Ho visto a Colonia un'Aida veramente interessante, diretta da Humburg, con Hui He e la regia di Erhard. La regia, che faceva dei sacerdoti egiziani dei preti cattolici e del Faraone un Papa cadente e claudicante, sarebbe stata senz'altro alla Scala fischiata. Eppure la suggestione dell'insieme era emorme, soggiogante. Il finale, un palcoscenico vuoto, con gli attreezzi in vista, si rifiutava di fare della scena una duplicazione della trasfigurazione espressa dalla musica ed esprimeva come forse non ho mai visto lo squallore e l'angoscia del buio. L'unica cantante veramente a posto era la He, con un'Amneris, un Radames e un Amonasro che non erano un gran che. Eppure, tale era l'espressività (qualche volta vi si potevano notare alcune cose che sfioravano ma non centravano la bizzarria) della conduzione orchestrale che l'attenzione non era mai deviata dalla coerenza e dall'interesse dell'insieme. Come con Toscanini, come con Klemperer, che a Budapest, con cantanti non sublimi, dirige un "Lohengrin in tutto e per tutto sublime, come con Karajan, che nei "Vier letzte Lieder" portava nel proprio paradiso sonoro la voce grigiastra della Tomova Sintow; il grigio si era trasformato in argento. Ma questa è la modernità, che piaccia o no.
Marco Ninci
"Cara Marianne, intanto io non ammonisco affatto né ho il dito alzato; semplicemente, critico in maniera radicale gli assunti del blog."
Il problema è che gli assunti del Blog non coincidono con quelli di Mancini!
E' questo il problema che dai tuoi ammonimenti "radicali"(?) emerge.
Tu puoi criticare ciò che vuoi di noi (come fanno altri, e le critiche non ci tormentano granchè), ma non metterci in bocca cose che non pensiamo, né abbiamo mai scritto.
Riferisciti sempre al soggetto che esprime l'idea non a ciò che TU "evinci", facendo confusione ed un bel minestrone che non ci appartiene ed è, se mi permetti, estremamente superficiale.
"ciò che si evince dalla distruzione sistematica di quasi tutti gli spettacoli"
Che tu, ovviamente, non hai visto.
Per quanto riguarda gli ascolti, mi meraviglia molto la questione che tu esponi!
Ti giuro mi lascia estremamente perplessa! Basita!
I brani preistorici sono di un'epoca molte volte in cui una incisione integrale era solo utopia; altri ascolti di LIVE sono facilmente reperibili in ogni dove (Rete e negozi specializzati) che tutti i melomani, o presunti tali o quasi, conoscono e tutti, chi più chi meno, posseggono.
Se poi vogliamo fare finta che certe opere, certi live, certe incisioni non si conoscano, non si posseggano o siano decontestualizzate, libero di farlo; ma a questo punto posso permettermi di pensare che la tua discoteca sia estremamente povera ed attendi i nostri ascolti per farti una cultura musicale e non ti prendi nemmeno la briga di approfondire!
Parli di "idealizzazioni", di "stile" e "orrore", quasi ignorando, o fingendo di ignorare, che non ci sia stata una evoluzione operistica e tutto ciò di cui parliamo non sia mai esistito; ma non arrivi al nocciolo della questione:
ogni epoca ha un suo stile, ma se un cantante cantasse oggi come Fleta o Slezak o Knote, ma anche Bergonzi, Windgassen, Kraus con un gusto vicino al nostro (ANNO 2011) forse solo tu e qualche civile "rondista" che gode con, ad esempio, Villazon e si vanta del "Don Carlo" diretto da Gatti, provereste orrore!
Il resto di cui scrivi è storia vecchia e superata che nulla ahimé aggiunge.
Marianne Brandt
Marco, evidentemente non lo sai, ma io amo molto la Jones, e ti dirò di più amo molto anche il RING Bolulez-Chéreau in toto (tranne Jung) come il teatro di regia intelligente (e potrei elencarti una marea di esempi, che ho già fatto in altre occasioni che forse ti sono sfuggite); e ti dirò di più ho visto anche io quella "Tosca" a Firenze (II Cast Nitescu-Dydik-Meoni-Mehta, ho anche l'audio) e, a parte Meoni/Scarpia (indisposto, ma molto corretto), concordo con te nel dire che era tutto pessimo; e ti dirò di più la Hui He è stata recensita bene proprio qui ed io stessa l'ho vista dal vivo due volte e proprio in Aida e mi è molto piaciuta.
La "modernità" se intelligente, se universale, se fatta con gusto, stile, coraggio, sensibilità e senza sacrificare nulla della musica e del canto sarà sempre valida, ieri come domani e non verrà fischiata!
E questo discorso vale sia nel canto, sia nella direzione, sia nella regia!
Marianne Brandt
Marianne Brandt
Solo una precisazione storica. Parlando di Toscanini, Marco è caduto nel solito luogo comune che i dischi operistici del maestro siano stati fatti con cantanti mediocri.
In realtà Toscanini impiega quelle che erano alcune tra le voci americane più prestigiose della sua epoca. La Nelli,la Albanese Peerce, Tucker, Merrill, Valdengo, Guarrera, Norman Scott erano stelle del Metropolitan di quegli anni.
O pensiamo allo stratosferico cast del Fidelio 1944, con Rose Bampton, Herbert Janssen e addirittura la Steber, una delle massime cantanti della storia, come Marzelline.
Quella di Marco è la posizione adottata da tanti critici italiani per nascondere che le lacune complessive di queste incisioni non sono in realtà dovute alle voci, ma alle scelte del direttore. Insomma, frustare la sella per risparmiare il cavallo.
Saluti.
Devo dire che le diverse voci che intervengono in questa discussione sono variamente interessanti:
1. trovo giusto quello che dice il Ninci sull'elogio del passato visto sempre come età dell'oro, per poi magari rendersi conto che così oro non era per certi versi: personalmente sento gli ascolti del passato pubblicati nel Corriere, alcuni preziosissimi, altri un po’ meno ad una visione generale.
Dire o pretendere di ascoltare un'opera completa di un Tamagno o di una Tetrazzini è quanto meno una pretesa storicamente assurda, visto che i tempi dei singoli brani venivano anche accelerati per farli tornare nei 2 – 3 minuti che la registrazione supportava. Eppure è un discorso sensato quella della unitarietà, anche se personalmente, io riesco a capire il carattere di una parte di esecuzione "preistorica" perché vocalmente c'è tutto. Se tiriamo fuori la unitarietà, allora non sarebbero possibili i concerti di Maria Callas con singole arie d’opera che rivelano sempre tanta intelligenza e ritraggono benissimo il personaggio: tuttavia, de gustibus.
Concordo inoltre col Ninci sullo stile nei diversi repertori, in quanto oggi siamo più attenti (o lo si è stati di recente) mentre nel passato vicino (1920-1960 a spanne) si pasticciava non poco anche da un punto di vista vocale; oggi però, piuttosto che pasticciare, si cancella!
2. dal trattato del Banchieri fino al più recente Juvarra non si ripete che una cosa: si canta male nel contemporaneo. Questo è un dato assodato, eppure in tutto questo tempo, sono passati una Tesi, una Bordoni, un Farinelli, una Pisaroni, una Colbran, una Pasta, un Rubini, una Grisi, un Lablache, un Garcia, etc etc il che fa pensare che i grandi nomi sempre ci sono e saranno. Vi riporto il Tosi che soffre di questo amore per il tempo passato ed in particolar modo, oltre alle mende vocali di cui lui fa cenno ( siamo nel 1723 – dopo abbiamo ancora tutto il teatro settecentesco e rossiniano, quindi non capisco bene di che possa lagnarsi), fa delle mende anche sullo “stile”, secondo me con purissimo gusto passatista di chi non accetta un’evoluzione.
3. Il problema principale mi sembra di capire dagli amministratori è la stizza verso il Teatro Alla Scala che a fronte del nome ed epiteto di “tempio della lirica”, presenti cantanti scarsamente dotati ma non perché non ve ne siano, ma perché si fanno scelte sbagliate. Ed inoltre una cosa molto importante: se il Teatro Alla Scala o al Met (o dove volete) cantano “cantanti” con pessima tecnica e di conseguenza con scarsissima espressione voluta (ma inventata su due piedi al momento di cantare) significa che allora bisogna dirigersi verso altre parti e ammettere che questi teatri non hanno niente da insegnare a teatri storicamente “di secondo piano”: quindi finirla con questo Milanocentrismo.
(Postilla: rimango veramente basito su come Ninci possa esprimere pareri positivi su Villazon che oltre ad essere un cantante grezzo (in ben 5 secondi è riuscito a spezzare la voce 3 volte), è un attore ancora più grezzo. Non vorrei sapere cosa ne pensa di Cura, perché lì mi metterei veramente le mani nei capelli)
4. A fronte dello scivolone toscaniniano del Ninci, ringrazio Mozart per i nomi dei cantanti ricordati.
Saluti Cari
Papageno…hai perfettamente ragione. In particolare su rimpianto dell'età dell'oro comune a tutti i trattatisti…fosse per costoro, il canto non sarebbe mai stato corretto. Assomigliano a quei grigi burocrati che vivono la realtà attraverso i regolamenti amministrativi…ma come scrive Goethe "grigia è la teoria, verde è l'albero della vita"
Ringrazio tutti per i loro interventi e per l'attenzione che hanno dedicato al mio scritto. Vorrei rispondere brevemente che lo so benissimo che nelle incisioni preistoriche non si poteva riprodurre un'opera intera; è appunto per questo che le considero inutilizzabili e scarsamente significative. So anche che che ci sono le incisioni live delle opere intere da cui voi traete gli ascolti; il fatto è che voi esaminate i singoli brani e non l'interpretazione nel suo complesso. Il che, l'ho già detto, non mi trova d'accordo. Per quanto riguarda la stucchevole questione Villazon, io l'ho ascoltato una volta sola, alla Bastille, nel Werther; ma c'ero andato soprattutto per la direzione di Nagano, un direttore che amo molto e che risultò deludente. Villazon non fu un gran che, ma non disturbò più che tanto. Tutto qui. Veniamo a Toscanini. Io l'ho citato per l'unitarietà che sapeva imporre anche a cast non eccelsi. Questo non vuol dire che nelle sue incisioni non ci fossero ottimi cantanti, come la Bampton, la Steber. Ma i veri fuoriclasse erano appunto la Bampton, la Steber e Tucker. Gli altri erano professionisti più o meno solidi (anche cantanti pessimi, come Madasi o La Gustafson) ma non fuoriclasse. Con l'eccezione della prova eccelsa fornita dai cantanti nel terzo atto del Rigoletto (Warren, Milanov, Peerce), come ho già avuto modo di far notare. Del resto, che il mio non sia stato affatto uno scivolone l'avrebbero dovuto far pensare due cose: 1) il fatto che in quell'intervento non citassi cantanti di Toscanini, come invece avevo fatto per Klemperer e Karajan; 2) appunto lo scritto sul Rigoletto. Per Toscanini vale il criterio dell'unitarietà. Quello che poi mi fa notare Gianguido è semplicemente l'opinione di Celletti, espressa nella sua recensione della Traviata toscaniniana. E tanto Gianguido si rifà a quella recensione che ne riporta alla lettera una frase: "frustare la sella per risparmiare il cavallo". Per un'altra volta non sarebbe male inquadrare quella frase fra le virgolette, proprio come ho fatto io. Altrimenti rimane l'impressione sgradevole di un prestito non dichiarato.
Marco Ninci
per papageno
è vero non abbiamo tamagno e la tetrazzini, ma abbiamo karl jorn ed emmy destinn nel faust e nella carmen. insomma nonosante tutto l'idea di come cantassero ed interpretassero ce la possiamo fare
hai mai provato a sentire certi pezzi dei mapleson (non de retzke perchè quello proprio non si sente) tipo il duetto valentina marcello gadsky de retzke o la figlia del reggimento della sembrich o il coro del faust gloire immoratale….. anche qui una certa idea si può avere
ciao dd
Pienamente d'accordo con te, Domenico, perché come ho detto da un singolo pezzo "preistorico" riesco a capire il carattere di un personaggio, oltre che apprezzare la tecnica vocale.