La sera di Natale la radio francese ha trasmesso un’edizione di Semiramide, proposta alla fine di novembre all’Opéra di Montpellier. Sul podio Antonino Fogliani, nel ruolo della sovrana babilonese Laura Aikin, soprano di parche frequentazioni rossiniane (ci risulta solo un’Amenaide a fine anni Novanta al fianco di Ewa Podles), ma celebre e celebrato per la sua interpretazione della Lulu, nonché rinomata specialista mozartiana, segnatamente per quanto concerne la parte di Konstanze.
Secondo un celebre aneddoto Berg avrebbe giustappunto desiderato per la sua Lulu una cantante capace di eseguire alla perfezione il Ratto dal serraglio. Evidentemente l’autore sognava una voce agile in acuto, ma non priva di corpo nel registro centrale e capace di legare i suoni anche e soprattutto in questa fascia. Evidentemente non erano ancora maturi i frutti dello specialismo mozartiano di matrice baroccara, quelli che oggi fanno sì che la signora Aikin possa esibirsi non solo in Mozart, per giunta in una parte non certo di soubrette, ma anche nel ruolo Colbran per eccellenza, senza che nessuno abbia qualcosa da ridire. A parte i soliti, grevi e tediosi passatisti del Corriere.
Sempre nel mese di dicembre, ad Anversa, è andata in scena, ed è stata radiotrasmessa, un’altra Semiramide, direttore Alberto Zedda, protagonista Myrtò Papatanasiu, poliedrico soprano il cui repertorio spazia dal Turco in Italia (l’edizione genovese di un paio di stagioni fa) al Maometto II (Amsterdam 2007), a Tosca e Traviata, quasi che le origini elleniche e un poco di corpo nel registro centrale (qualità che difetta, invece, alla Aikin) garantiscano, tout court, assoluta versatilità e adeguatezza stilistica in ogni repertorio. Come affermò una volta, in una parentesi di autocritica, un famoso mezzosoprano, conterraneo della Papatanasiu, non basta essere greche per essere grandi cantanti. In alcune repliche della medesima produzione, che viene ripresa in questi giorni a Gand, avrebbe dovuto esibirsi Manon Strauss Evrard, ex accademica del Rossini Opera Festival, già illustratasi nel 2009 quale Folleville del Viaggio e la scorsa estate, sempre in Pesaro, quale Clorinda. La signora Strauss è poi disparita dal cartellone di questa Semiramide, e senza malizia ce ne chiediamo la ragione, vista, anzi, udita la prova della titolare del primo cast.
Verrebbe voglia di proporre gli ascolti tratti da queste due capitali esecuzioni del capolavoro rossiniano senz’altro commento, essendo questo il risultato tenacemente voluto e perseguito da una scuola e una tradizione interpretativa del Pesarese, che dopo la rinascita degli anni Ottanta attraversa ora una fase non altrettanto luminosa. Anzi. Peraltro i direttori, che dal podio preparano e permettono simili prestazioni vocali, hanno giocato un ruolo non irrilevante in quella rinascita ovvero si esibiscono attualmente in quei teatri, che della Rossini-Renaissance costituirono il fulcro. Ideale, il più delle volte.
Resistiamo alla tentazione e osserviamo, prima di tutto, che le signore Papatanasiu e Aikin presentano nature vocali in parti differenti, ma il loro canto è accomunato da alcuni difetti di fondo. Sono gli stessi che si riscontrano in molte di quelle voci, che testate della carta stampata ovvero virtuali additano quali insigni modelli della nouvelle vague rossiniana. L’emissione decisamente di gola blocca la voce a uno stadio larvale e, oltre a determinare un’insufficiente proiezione del suono, vieta fluidità nell’esecuzione della copiosa coloratura prevista alla cavatina di sortita ovvero al giuramento del finale primo e impedisce, specie al duetto con Assur, quell’imperiosità di accento, che dell’energica sovrana guerriera dovrebbe essere una dei tratti salienti. Peraltro anche in quei brani in cui un canto di grazia, e non di forza, sarebbe maggiormente tollerabile, ovvero nel tempo di mezzo del duetto con il basso e nella barcarola “Giorno d’orror”, abbiamo un bel (!) campionario di suoni chiocci, quando non sgallinacciati. Scendendo nello specifico rileviamo come la voce della Papatanasiu suoni al centro un po’ meno vuota di quella della collega, pur condividendone la prima ottava labile e soffiata, caratteristica che accomuna peraltro il soprano greco a tutte o quasi le esponenti della corda di lirico e lirico spinto attualmente in attività. È sul secondo passaggio di registro, ovvero sulle note fa/sol4, che la Papatanasiu deve spingere e finisce per gridare, compromettendo così anche la tenuta degli acuti, che risultano striduli e oscillanti. Rose e fiori, comunque, rispetto a quello che riesce a combinare la Aikin, che peraltro varia in alto quanto e più della collega, come se l’inserimento di sovracuti fissi e sovente stonati arricchisse incomparabilmente l’esecuzione, non solo, ma aiutasse a dimenticare tutto quello che manca alla medesima.
Viene poi da domandarsi, e giriamo l’interrogativo agli specialisti della filologia rossiniana, a partire dal maestro concertatore in Anversa, quale senso abbia concepire ed eseguire variazioni, che insistendo in prevalenza in alto conducano Semiramide nell’ambito del soprano assoluto, quando si disponga di cantanti così incerte e periclitanti fin dai primi acuti. Sappiamo bene che Semiramide è parte Colbran anomala, l’ultima concepita per la sua creatrice, e che molti soprani assoluti, dalla Sutherland alla Cuberli, alla Anderson, hanno saputo trarre ottimo partito da questa scrittura così fitta di virtuosismi, rimanendo sempre nell’ambito del belcanto e del buon gusto. Ma nei casi in esame le ragioni della filologia si scontrano con quelle della logica e del buon senso. Peraltro le attuali deputate Semiramidi non arrivano neppure al kitsch sublime degli sbertucciati (oggi) soprani di coloratura, che inserivano a volte la cavatina nella scena della lezione del Barbiere e proponevano, magari, innesti veramente fantasiosi nella sezione conclusiva. Si muovevano in un ambito completamente diverso da quello dell’esecuzione di un’opera seria, e ne erano consapevoli, ma sapevano manovrare un poco meglio la propria voce e con quella intrattenere il pubblico, anziché ammorbarlo con l’esibizione della propria insufficienza di fronte alle esigenze della scrittura rossiniana.
In fondo queste novelle Semiramidi forniscono spunti di riflessione anche a chi, dotato delle migliori intenzioni, si mostri perplesso di fronte all’impiego in questo repertorio di voci un poco corpose, giudicate per ciò stesso inadatte all’esecuzione del canto di agilità. Si può essere al di sotto delle richieste del canto fiorito anche disponendo di una voce di poco peso e nullo smalto, e quindi, lasciateci almeno sognare che cosa avrebbero prodotto voci del calibro di Anita Cerquetti ed Ebe Stignani, alle prese con “Qual mesto gemito” o con la preghiera al finale secondo!
Secondo un celebre aneddoto Berg avrebbe giustappunto desiderato per la sua Lulu una cantante capace di eseguire alla perfezione il Ratto dal serraglio. Evidentemente l’autore sognava una voce agile in acuto, ma non priva di corpo nel registro centrale e capace di legare i suoni anche e soprattutto in questa fascia. Evidentemente non erano ancora maturi i frutti dello specialismo mozartiano di matrice baroccara, quelli che oggi fanno sì che la signora Aikin possa esibirsi non solo in Mozart, per giunta in una parte non certo di soubrette, ma anche nel ruolo Colbran per eccellenza, senza che nessuno abbia qualcosa da ridire. A parte i soliti, grevi e tediosi passatisti del Corriere.
Sempre nel mese di dicembre, ad Anversa, è andata in scena, ed è stata radiotrasmessa, un’altra Semiramide, direttore Alberto Zedda, protagonista Myrtò Papatanasiu, poliedrico soprano il cui repertorio spazia dal Turco in Italia (l’edizione genovese di un paio di stagioni fa) al Maometto II (Amsterdam 2007), a Tosca e Traviata, quasi che le origini elleniche e un poco di corpo nel registro centrale (qualità che difetta, invece, alla Aikin) garantiscano, tout court, assoluta versatilità e adeguatezza stilistica in ogni repertorio. Come affermò una volta, in una parentesi di autocritica, un famoso mezzosoprano, conterraneo della Papatanasiu, non basta essere greche per essere grandi cantanti. In alcune repliche della medesima produzione, che viene ripresa in questi giorni a Gand, avrebbe dovuto esibirsi Manon Strauss Evrard, ex accademica del Rossini Opera Festival, già illustratasi nel 2009 quale Folleville del Viaggio e la scorsa estate, sempre in Pesaro, quale Clorinda. La signora Strauss è poi disparita dal cartellone di questa Semiramide, e senza malizia ce ne chiediamo la ragione, vista, anzi, udita la prova della titolare del primo cast.
Verrebbe voglia di proporre gli ascolti tratti da queste due capitali esecuzioni del capolavoro rossiniano senz’altro commento, essendo questo il risultato tenacemente voluto e perseguito da una scuola e una tradizione interpretativa del Pesarese, che dopo la rinascita degli anni Ottanta attraversa ora una fase non altrettanto luminosa. Anzi. Peraltro i direttori, che dal podio preparano e permettono simili prestazioni vocali, hanno giocato un ruolo non irrilevante in quella rinascita ovvero si esibiscono attualmente in quei teatri, che della Rossini-Renaissance costituirono il fulcro. Ideale, il più delle volte.
Resistiamo alla tentazione e osserviamo, prima di tutto, che le signore Papatanasiu e Aikin presentano nature vocali in parti differenti, ma il loro canto è accomunato da alcuni difetti di fondo. Sono gli stessi che si riscontrano in molte di quelle voci, che testate della carta stampata ovvero virtuali additano quali insigni modelli della nouvelle vague rossiniana. L’emissione decisamente di gola blocca la voce a uno stadio larvale e, oltre a determinare un’insufficiente proiezione del suono, vieta fluidità nell’esecuzione della copiosa coloratura prevista alla cavatina di sortita ovvero al giuramento del finale primo e impedisce, specie al duetto con Assur, quell’imperiosità di accento, che dell’energica sovrana guerriera dovrebbe essere una dei tratti salienti. Peraltro anche in quei brani in cui un canto di grazia, e non di forza, sarebbe maggiormente tollerabile, ovvero nel tempo di mezzo del duetto con il basso e nella barcarola “Giorno d’orror”, abbiamo un bel (!) campionario di suoni chiocci, quando non sgallinacciati. Scendendo nello specifico rileviamo come la voce della Papatanasiu suoni al centro un po’ meno vuota di quella della collega, pur condividendone la prima ottava labile e soffiata, caratteristica che accomuna peraltro il soprano greco a tutte o quasi le esponenti della corda di lirico e lirico spinto attualmente in attività. È sul secondo passaggio di registro, ovvero sulle note fa/sol4, che la Papatanasiu deve spingere e finisce per gridare, compromettendo così anche la tenuta degli acuti, che risultano striduli e oscillanti. Rose e fiori, comunque, rispetto a quello che riesce a combinare la Aikin, che peraltro varia in alto quanto e più della collega, come se l’inserimento di sovracuti fissi e sovente stonati arricchisse incomparabilmente l’esecuzione, non solo, ma aiutasse a dimenticare tutto quello che manca alla medesima.
Viene poi da domandarsi, e giriamo l’interrogativo agli specialisti della filologia rossiniana, a partire dal maestro concertatore in Anversa, quale senso abbia concepire ed eseguire variazioni, che insistendo in prevalenza in alto conducano Semiramide nell’ambito del soprano assoluto, quando si disponga di cantanti così incerte e periclitanti fin dai primi acuti. Sappiamo bene che Semiramide è parte Colbran anomala, l’ultima concepita per la sua creatrice, e che molti soprani assoluti, dalla Sutherland alla Cuberli, alla Anderson, hanno saputo trarre ottimo partito da questa scrittura così fitta di virtuosismi, rimanendo sempre nell’ambito del belcanto e del buon gusto. Ma nei casi in esame le ragioni della filologia si scontrano con quelle della logica e del buon senso. Peraltro le attuali deputate Semiramidi non arrivano neppure al kitsch sublime degli sbertucciati (oggi) soprani di coloratura, che inserivano a volte la cavatina nella scena della lezione del Barbiere e proponevano, magari, innesti veramente fantasiosi nella sezione conclusiva. Si muovevano in un ambito completamente diverso da quello dell’esecuzione di un’opera seria, e ne erano consapevoli, ma sapevano manovrare un poco meglio la propria voce e con quella intrattenere il pubblico, anziché ammorbarlo con l’esibizione della propria insufficienza di fronte alle esigenze della scrittura rossiniana.
In fondo queste novelle Semiramidi forniscono spunti di riflessione anche a chi, dotato delle migliori intenzioni, si mostri perplesso di fronte all’impiego in questo repertorio di voci un poco corpose, giudicate per ciò stesso inadatte all’esecuzione del canto di agilità. Si può essere al di sotto delle richieste del canto fiorito anche disponendo di una voce di poco peso e nullo smalto, e quindi, lasciateci almeno sognare che cosa avrebbero prodotto voci del calibro di Anita Cerquetti ed Ebe Stignani, alle prese con “Qual mesto gemito” o con la preghiera al finale secondo!
Gli ascolti
Rossini
Tancredi
Atto II
Gran Dio!…Giusto Dio che umile adoro – Laura Aikin (1999)
Maometto II
Atto II
Sì ferite, il chieggo, il merto – Myrtò Papatanasiu (2007)
Semiramide
Atto I
Bel raggio lusinghier – Bidù Sayao (1943), Maria Pedrini (1951), Laura Aikin (2010), Myrtò Papatanasiu (2010)
I vostri voti omai…Giuri ognuno ai sommi Dèi – Laura Aikin (con Varduhi Abrahamyan, Simón Orfila, David Alegret & Gezim Myshketa – 2010), Myrtò Papatanasiu (con Ann Hallenberg, Josef Wagner, Robert McPherson & Igor Bakan – 2010)
Atto II
Se la vita ancor t’è cara – Laura Aikin & Simón Orfila (2010), Myrtò Papatanasiu & Josef Wagner (2010)
Giorno d’orror – Laura Aikin & Varduhi Abrahamyan (2010), Myrtò Papatanasiu & Ann Hallenberg (2010)