Quando cominciai a frequentare i teatri d’opera, e parlo degli anni settanta, alcuni titoli erano ancora di repertorio nel senso che un anno sì ed uno no circa venivano proposti dai teatri. E non solo dai maggiori, ma anche da quelli che venivano definiti di provincia. Quindi ascoltare Forza del destino per il pubblico piacentino piuttosto che per il torinese era, appunto, la regola. Se poi si scende nel dettaglio dei cast di quelle edizioni i trenoi sono obbligatori. Non solo, ma le doglianze ci forniscono più di ogni studio utili dimostrazioni della catastrofica situazione in cui versano i nostri teatri, la fantasia dei loro dirigenti, la di loro preparazione culturale ed iniziativa capace solo di fumose e cerebrali iniziative, che con l’onesta gestione, che può anche produrre spettacoli di rilievo e degni di moria, non ha, purtroppo, alcunché a spartire. E le conseguenze ricadono sul pubblico vuoi quale ascoltatore vuoi e prima ancora quale contribuente.
Il discorso è già stato fatto e forse il commento alle due stagioni d’opera e festival, che si piccano di “fare cultura” e di restaurare il perduto è assolutamente inutile. Basterebbe il comparato ascolto degli attuali prodotti con quelli di quaranta anni or sono senza alcun commento per essere esaustivi della attuale situazione.
Allora per farla breve un teatro come il Regio di Parma che anche in stagione ordinaria vorrebbe (sul dovrebbe ho molti dubbi) onorare in primis Verdi ossia quel genius loci, che con Parma e dintorni ebbe sempre il rapporto del nemo propheta in patria offre Forza del destino. Ovviamente in edizione 1869 ossia quella che Verdi predispose per la Scala; la affida ad un direttore che con Verdi, salvo poi che per Verdi non si intenda fragore e rumore, non ha rapporti di sorta. Tanto meno con un Verdi che alterna a momenti sublimi altri, come la lunga serie di scene di colore, difficili da reggere e rendere per ogni bacchetta. Anche assai più dotata di un Gelmetti.
Protagonista femminile Daniela Dessy, giustamente confermata dopo l’encomiabile prova dei Vespri perché cantante di voce autenticamente verdiana ossia salda, ampia e di grande cavata oltre che dalla dinamica sfumata e varia. Mica una gelida matrona come la Tebaldi e la Cerquetti per anticipare categorie e terminologie che il critico autore del più pesante libro della storia dell’esecuzione discografica spanderà e spenderà per la protagonista. Quanto al protagonista maschile Hong mi permetto solo di ricordare – a me stesso, naturalmente – che il tenore di Forza è parte assolutamente centrale (non per nulla fu l’ultimo titolo di Verdi aggiunto al repertorio da Caruso e rimase sino alla fine in quello di Gigli e Bergonzi) e che, per contro, se ha una qualità il signor Hong sono gli acuti estremi. Scusate, ma in origine avevate previsto l’edizione di San Pietroburgo pensata per Tamberlick ? Non che Hong sia neppure lontanamente parente al tenore drammatico di marca ottocentesca!
A Roberto Scandiuzzi il ruolo del padre guardiano. Ricordo che è lo stesso cantante che ha ricoperto il ruolo nella recente esecuzione fiorentina. Il resto non dico. Che comodità, talvolta, il librettese! Leggendo, poi il nome di Carlo Lepore quale fra Melitone confesso di aver dubitato o che si tratti di una versione alternativa alle note o baroccara comparate la scrittura assolutamente baritonale di Melitone con tanto di fa acuti e le qualità vocali e frequentazioni dello scritturato artista.
Quanto al Naso di Sŏstakovič -credo- la prima difficoltà per il pubblico locale sarà quella di pronunciare il nome dell’autore. Il titolo, però, è assolutamente interessante. Dobbiamo, però, per attirarci un’ulteriore dose di strali e di taccia di ignoranti rilevare come in una stagione di tre titoli si debba dubitare dell’opportunità di proporre questo ed aggiungiamo con una importata dal teatro secondario della terra di origine del direttore principale del festival. Non credo di dire nulla di nuovo e o di strano perché internet a questo serve e poi con ben altra cognizione di causa vi ha già provveduto altro bloggista nel proprio e nel corso della conferenza stampa di presentazione della stagione. Lo fa solo per consentire ai giornalai e pennajoli di dire che la causa dei mali del teatro sono i blog!!!!
Al nuovo astro del pubblico parmigiano o meglio della dirigenza parmigiana Andrea Battistoni cui affidato il Barbiere di Siviglia di raccattato allestimento francese. Rossini, non si sa bene per quale motivo, è autore da giovani direttori come se districarsi fra scelte di filologia, di inserimenti testuali, di prassi esecutiva, di una delle scritture vocali più complesse e necessarie di accomodi sia, appunto, affare da debuttante o quasi.
Tanto è che il festival a Rossini deputato ha affidato al veterano e ormai ottantaduenne Alberto Zedda l’esecuzione in forma di concerto del Barbiere previsto per il Festival 2011. Intendiamoci bene gli scopi di questa scelta non sono neppure lontanamente quelli, che più sopra abbiamo richiamato, ma quelli di promuovere la nuova edizione critica. La terza in quarantatre anni se si considera appunto quella di Zedda 1968, quella di Philip Gossett e quest’ultima, chiara risposta a quella di Gossett, fuggitivo (sua aut alia sponte non oportet) dalla patria rossiniana.
Letto il cast credo che difficilmente i lettori e gli ascoltatori non si schiererebbero dalla parte di Tullio Serafin, paradigma -secondo Gossett- con la sua forbice facile dell’anti rossinismo. Magari qualcuno rimpiangerà pure le Rosine della Sayao o della Toti, i lazzi di Corena e il sempiterno taglio del rondò del Conte. Corsi e ricorsi storici? Buonsenso?
Quindi dell’annuciato programma di massima pesarese tralascio ogni commento sui concerti di cosiddetto bel canto e mi concentro sui due titoli principali.
Che ci fosse l’esigenza di una Adelaide di Borgogna dubito, tenuto conto del fatto che il titolo era già stato proposto qualche anno or sono, seppure in forma di concerto. Ed Adelaide non è certo titolo che deve essere rappresentato, a maggior ragione quando alcuni (Aureliano e Ciro) attendono ancora una prima rappresentazione pesarese e consentirebbero un più sicuro riparo alla protagonista en travesti, trattandosi nel caso del Ciro di parte scritta per la Marcolini, affidando l’onere della vocalità già autenticamente rossiniana al prescelto soprano Jessica Pratt, che sembra averne tutte le caratteristiche e qualità. Come per un lontano Falliero sarà una scelta casuale e non voluta. Le migliori insegna la storia di Pesaro.
A proposito anche l’altro titolo prescelto Mosè in Egitto evoca la felicità delle scelte casuali ed occasionali del Festival Rossini, ovvero la simpatica Gianna Rolandi che vestì i panni di Elcia nella ripresa del 1985. In questa futura edizione, invece, la scelta della protagonista femminile sembra rispondere alle scelte à la page del Festival per quanto riguarda il soprano Colbran ovvero affidarla ad una cantante che qualifichiamo come mezzo soprano. La Ganassi è alla terza o quarta esecuzione di parte Colbran. Fra la cantante reggiana e la spagnola non vedo, scrittura di Rossini e descrizioni coeve alla mano, alcun rapporto. Sonia Ganassi coi suoi acuti ghermiti l’agilità accennata è la negazione del canto rossiniano. Se a questo aggiungiamo che il canto senza tecnica non conserva, ma intacca il capitale vocale posso anche fare basta perchè le conclusioni sono ovvie e scontate. Ma questa è la moda e qualcuno troverà modo di apprezzarla, non quelli del Corriere, che sono almeno esterrefatti pensando che si annuncia il Mosè senza il protagonista. Ma anche questa è la perversione dei tempi il titolo per il titolo non il titolo per il cantante!!!! Mai lo avrebbero fatto Rossini, Donizetti ed anche il vituperato Tullio Serafin, che riesumò Armida, disponendo di un opulento soprano americano, di origine greca, che cantava con uno splendido accento scaligero (non nel senso del teatro, ma della città bagnata dall’Adige).
Il discorso è già stato fatto e forse il commento alle due stagioni d’opera e festival, che si piccano di “fare cultura” e di restaurare il perduto è assolutamente inutile. Basterebbe il comparato ascolto degli attuali prodotti con quelli di quaranta anni or sono senza alcun commento per essere esaustivi della attuale situazione.
Allora per farla breve un teatro come il Regio di Parma che anche in stagione ordinaria vorrebbe (sul dovrebbe ho molti dubbi) onorare in primis Verdi ossia quel genius loci, che con Parma e dintorni ebbe sempre il rapporto del nemo propheta in patria offre Forza del destino. Ovviamente in edizione 1869 ossia quella che Verdi predispose per la Scala; la affida ad un direttore che con Verdi, salvo poi che per Verdi non si intenda fragore e rumore, non ha rapporti di sorta. Tanto meno con un Verdi che alterna a momenti sublimi altri, come la lunga serie di scene di colore, difficili da reggere e rendere per ogni bacchetta. Anche assai più dotata di un Gelmetti.
Protagonista femminile Daniela Dessy, giustamente confermata dopo l’encomiabile prova dei Vespri perché cantante di voce autenticamente verdiana ossia salda, ampia e di grande cavata oltre che dalla dinamica sfumata e varia. Mica una gelida matrona come la Tebaldi e la Cerquetti per anticipare categorie e terminologie che il critico autore del più pesante libro della storia dell’esecuzione discografica spanderà e spenderà per la protagonista. Quanto al protagonista maschile Hong mi permetto solo di ricordare – a me stesso, naturalmente – che il tenore di Forza è parte assolutamente centrale (non per nulla fu l’ultimo titolo di Verdi aggiunto al repertorio da Caruso e rimase sino alla fine in quello di Gigli e Bergonzi) e che, per contro, se ha una qualità il signor Hong sono gli acuti estremi. Scusate, ma in origine avevate previsto l’edizione di San Pietroburgo pensata per Tamberlick ? Non che Hong sia neppure lontanamente parente al tenore drammatico di marca ottocentesca!
A Roberto Scandiuzzi il ruolo del padre guardiano. Ricordo che è lo stesso cantante che ha ricoperto il ruolo nella recente esecuzione fiorentina. Il resto non dico. Che comodità, talvolta, il librettese! Leggendo, poi il nome di Carlo Lepore quale fra Melitone confesso di aver dubitato o che si tratti di una versione alternativa alle note o baroccara comparate la scrittura assolutamente baritonale di Melitone con tanto di fa acuti e le qualità vocali e frequentazioni dello scritturato artista.
Quanto al Naso di Sŏstakovič -credo- la prima difficoltà per il pubblico locale sarà quella di pronunciare il nome dell’autore. Il titolo, però, è assolutamente interessante. Dobbiamo, però, per attirarci un’ulteriore dose di strali e di taccia di ignoranti rilevare come in una stagione di tre titoli si debba dubitare dell’opportunità di proporre questo ed aggiungiamo con una importata dal teatro secondario della terra di origine del direttore principale del festival. Non credo di dire nulla di nuovo e o di strano perché internet a questo serve e poi con ben altra cognizione di causa vi ha già provveduto altro bloggista nel proprio e nel corso della conferenza stampa di presentazione della stagione. Lo fa solo per consentire ai giornalai e pennajoli di dire che la causa dei mali del teatro sono i blog!!!!
Al nuovo astro del pubblico parmigiano o meglio della dirigenza parmigiana Andrea Battistoni cui affidato il Barbiere di Siviglia di raccattato allestimento francese. Rossini, non si sa bene per quale motivo, è autore da giovani direttori come se districarsi fra scelte di filologia, di inserimenti testuali, di prassi esecutiva, di una delle scritture vocali più complesse e necessarie di accomodi sia, appunto, affare da debuttante o quasi.
Tanto è che il festival a Rossini deputato ha affidato al veterano e ormai ottantaduenne Alberto Zedda l’esecuzione in forma di concerto del Barbiere previsto per il Festival 2011. Intendiamoci bene gli scopi di questa scelta non sono neppure lontanamente quelli, che più sopra abbiamo richiamato, ma quelli di promuovere la nuova edizione critica. La terza in quarantatre anni se si considera appunto quella di Zedda 1968, quella di Philip Gossett e quest’ultima, chiara risposta a quella di Gossett, fuggitivo (sua aut alia sponte non oportet) dalla patria rossiniana.
Letto il cast credo che difficilmente i lettori e gli ascoltatori non si schiererebbero dalla parte di Tullio Serafin, paradigma -secondo Gossett- con la sua forbice facile dell’anti rossinismo. Magari qualcuno rimpiangerà pure le Rosine della Sayao o della Toti, i lazzi di Corena e il sempiterno taglio del rondò del Conte. Corsi e ricorsi storici? Buonsenso?
Quindi dell’annuciato programma di massima pesarese tralascio ogni commento sui concerti di cosiddetto bel canto e mi concentro sui due titoli principali.
Che ci fosse l’esigenza di una Adelaide di Borgogna dubito, tenuto conto del fatto che il titolo era già stato proposto qualche anno or sono, seppure in forma di concerto. Ed Adelaide non è certo titolo che deve essere rappresentato, a maggior ragione quando alcuni (Aureliano e Ciro) attendono ancora una prima rappresentazione pesarese e consentirebbero un più sicuro riparo alla protagonista en travesti, trattandosi nel caso del Ciro di parte scritta per la Marcolini, affidando l’onere della vocalità già autenticamente rossiniana al prescelto soprano Jessica Pratt, che sembra averne tutte le caratteristiche e qualità. Come per un lontano Falliero sarà una scelta casuale e non voluta. Le migliori insegna la storia di Pesaro.
A proposito anche l’altro titolo prescelto Mosè in Egitto evoca la felicità delle scelte casuali ed occasionali del Festival Rossini, ovvero la simpatica Gianna Rolandi che vestì i panni di Elcia nella ripresa del 1985. In questa futura edizione, invece, la scelta della protagonista femminile sembra rispondere alle scelte à la page del Festival per quanto riguarda il soprano Colbran ovvero affidarla ad una cantante che qualifichiamo come mezzo soprano. La Ganassi è alla terza o quarta esecuzione di parte Colbran. Fra la cantante reggiana e la spagnola non vedo, scrittura di Rossini e descrizioni coeve alla mano, alcun rapporto. Sonia Ganassi coi suoi acuti ghermiti l’agilità accennata è la negazione del canto rossiniano. Se a questo aggiungiamo che il canto senza tecnica non conserva, ma intacca il capitale vocale posso anche fare basta perchè le conclusioni sono ovvie e scontate. Ma questa è la moda e qualcuno troverà modo di apprezzarla, non quelli del Corriere, che sono almeno esterrefatti pensando che si annuncia il Mosè senza il protagonista. Ma anche questa è la perversione dei tempi il titolo per il titolo non il titolo per il cantante!!!! Mai lo avrebbero fatto Rossini, Donizetti ed anche il vituperato Tullio Serafin, che riesumò Armida, disponendo di un opulento soprano americano, di origine greca, che cantava con uno splendido accento scaligero (non nel senso del teatro, ma della città bagnata dall’Adige).
Gli ascolti
Rossini
Il barbiere di Siviglia
Atto II
Cessa di più resistere – Juan Francisco Gatell (dir. Alberto Zedda – 2010)
Verdi
La forza del destino
Il Marchese di Calatrava – Rej Miville
Donna Leonora de Vargas – Caterina Mancini
Don Alvaro – Bruno Prevedi
Curra – Norma Dean
dir. Anton Guadagno
Philadelphia 1963
Caro Donzelli, leggo "sua aut alia sponte non oportet", quando invece chiaramente si deve dire "non interest". Non è la prima volta che a firma di Donzelli leggo degli sfondoni tremendi in latino. Usare pervicacemente una lingua con la quale i rapporti sono quanto meno problematici, ma perché mai? Se poi questa mia osservazione viene presa per un insulto, mi rassegnerò a non venire pubblicato.
Saluti
Marco Ninci
Mala tempora currunt atque peiora premunt…
visto che oggi sono di moda le petizioni a sfondo musicale, io ne farei una per chiudere questi due Festival, per applicare una sorta di "eutanasia musicale", o per lo meno un trapianto d'organi…fate voi.
ps. spero che la proposta del "Naso" non sia frutto di mire espansionistiche di Lissner in territorio emiliano, un tentativo di esportare la sua politica ultramodernista oltre il Po'.
Comunque a Parma non hanno capito che a loro il Naso non serve in scena ma in faccia (e bello grande, alla Galli-Curci per capirci) per annusare la spazzatura e il pattume che c'è oggi anche lontano dal Vesuvio…
Ninci: ave, pennae rubrae parvula magistra! ti sfugge forse che "interessare" ed "essere necessario" non sono sinonimi, in qualsivoglia lingua. Ma è chiaro che l'utilizzo del lapis bicolore, diletto alle professoresse di ginnasio di alcuni decenni fa, ti è caro sopra ogni cosa e forse ti procura brividi, che nessun altro o nessun'altra ti procura.
Appunto. Non sono sinonimi. "Oportet" non c'entra nulla coll'evidente senso della frase. Si deve dire "interest", in questo caso col significato di "fare la differenza".
Saluti
Marco Ninci
ehhh Donzelli,
dopo questa dovrai venire accompagnato dai genitori o da chi ne fa le veci!
Certo che di gente che spasima e freme per essere compatita dal suo prossimo non c'è mai penuria, da queste parti… che fate, vi date il cambio? uno parte e l'altro arriva?
oggi è stata "presentata" o meglio publicata sui quotidiani locali la programmazione del Teatro Lirico di Cagliari, nulla si sa di cast e messe in scean,a ma oslo i titoli. perchè se non la si presentava entro il 32 dicembre il FUS non ci avrebbe manco considerato…o meglio chi il FUS lo distribuisce… dunque: Il Cappello di paglia di Firenze, Italiana in Algeri, Faust, L'Amico Fritz,Fidelio.
Lascio ad altri ogni commento… saluti MAometto II
Molti spunti dal pezzo dell'ottimo Donzelli… E molte (sconsolate) riflessioni. Procediamo con ordine.
PARMA: la magra stagione è perfettamente coerente al luogo in cui si svolge. Già si è detto tutto quel che c'era da dire sul festival più inutile del globo terracqueo, sull'idiozia di dedicare uno spazio per "diffondere nel mondo la musica di Verdi" (Ipse dixit)…ossia del compositore che vanta la più universale diffusione al mondo! Geniale: un'operazione degna (o indegna) di qualsiasi proloco della più infima provincia italica. Che poi, almeno ci fosse un'attenzione filologica, una scelta di cast adeguati, il rispetto delle partiture INTEGRALI e con le cadenze scritte da Verdi (che, invero, andrebbero SEMPRE eseguite, giacché parte della scrittura musicale – per chi ha dimestichezza con le edizioni musicali: le note non sono scritte in piccolo – e non suggerimenti al discutibile "estro" degli interpreti…peraltro le cadenze di tradizione sono quasi tutto più brutte e più banali delle originali…ma sarebbe discorso lungo). Invece ogni anno è il medesimo spettacolo (indegno) di cast sballatissimi (sembra facciano apposta), di versioni scorciate, mutilate, compromesse (stile Gavazzeni)… Che attenderci dalla Forza del Destino? A leggere il cast, la solita roba… Donzelli fa bene a mostrare incredulità per la scelta SCONSIDERATA delle voci, del tutto inadatte – vuoi per condizione, vuoi proprio per tipologia (Hong), vuoi per usura (Scandiuzzi) – all'opera scelta, così come il direttore…
La scelta del Naso, invece, sarebbe stata più che gradita…anche a Parma, anzi, soprattutto a Parma…un po' di svecchiamento al provincialismo locale non guasta di certo: occasione sprecata, tuttavia, nel riciclo di una produzione di un teatro secondario. Peccato, il Naso meritava assai di più. E' opera splendida e meriterebbe una maggior conoscenza. Ovviamente i "sapientoni" del loggione parmigiano (quello che fischiò Bergonzi perchè seguiva il dettato verdiano, o mugugnò contro la Takova per aver eseguito, in Traviata, la parte così some scritta senza gli accomodi di tradizione) avranno da ridire…poco male, si rifaranno coi "prosciutti e tortellini" del solito festival Verdi…
Semplicemente offensiva l'ennesima riproposta del Barbiere rossiniano…BASTA, davvero è vergognoso che in una stagione di tre titoli, venga sprecato uno spazio per il solito Barbiere: l'unico interesse pare essere l'utilizzo della nuova edizione critica edita da Barenreiter a cura della Bauer e di Gossett (messo in condizioni di andarsene da Pesaro…caro Domenico…e chi gli darebbe torto, visto le pieghe prese da ROF e Fondazione)…ma verrà utilizzata davvero? Sottoposta a quanti tagli? O continueremo a sentire i timpani, i 2 flauti e i 2 oboi?
PESARO: la stagione presentata conferma il giudizio pessimo alla gestione del ROF e della Fondazione… Titoli sparati senza cognizione di causa e senza alcuna logica artistica e filologica.
Di nuovo Il Viaggio a Reims affidato ai debuttanti…come se l'impervia cantata scenica rossiniana (scritta per omaggiare l'incoronazione di un Re, e pensata per le più grandi voci dell'epoca) possa esser ridotta a "saggio di fine anno". Assurdo e pure ingiusto (per i debuttanti che vi partecipano). Sembra nascondere una sorta di sadica cattiveria…
Di nuovo La Scala di Seta: possibile che si proponga sempre questa farsa? E pure in una nuova veste scenica…
Di nuovo Adelaide di Borgogna…già proposta nel 2006! E naturalmente mancano ancora Ciro e Aureliano…e i pastiche? Eduardo e Cristina, ad esempio…
E Mosè in Egitto…possibile che in un paio di anni si sono ascoltati almeno 4 Mosé o Moise in giro per l'Europa? Moda? Scarsa fantasia? Mistero…
Il Barbiere (ennesimo) ha mere finalità promozionali…
E ora un po' di polemica (amichevole) con l'amico Donzelli… Ovviamente su Serafin: non mi schiererei dalla sua parte anche di fronte al peggior cast del mondo…almeno in Rossini! Non solo per Gossett è paradigma dell'anti rossinismo, lo è nei fatti e nella carriera, assolutamente ignara del vero stile rossiniano (allo stesso modo impossibile rimpiangere le Rosine di Toti etc…o quei soprani che squittiscono la parte in picchettati orribili e orribilmente fuori stile!). Da ridimensionare, poi, quell'Armida: splendida esecuzione della Callas, certo…ma è nulla più di un concerto di arie, tanti sono i tagli e tanto è scadente il contorno (e pure la bacchetta, suvvia, che c'entra quel pesta e corri con Rossini?)
A leggere quanto scritto sulla stagione di Parma vengono i brividi.
Benucci parla di chiudere questi festival con una operazione di eutanasia. Sono assolutamente d'accordo. Sperperare quattrini e tanti per porcherie sicure è un insulto al buon senso.
In questo modo si dà ragione a Bondi.
Tagliare sì, ma tagliare la testa degli incompetenti e pulire il mondo della lirica onde farlo ripartire almeno risanato.
Beh basterebbe distinguere lo sperpero del superfluo (per tacer d'altro) della doverosa missione culturale. Il ROF è necessario (ma andrebbe riconsiderato, riportato a quella serietà filologica che aveva all'inizio, ripristinato il ruolo complementare con la Fondazione…oggi, invece, è il "parco giochi" di altri interessi – Zedda in primis – non parliamo poi di Cagli…), anche se la perdita di Gossett ne ha compromesso irrimediabilmente il livello: che miopia intellettuale costringerlo ad andarsene! Parma, invece, andrebbe semplicemente chiuso, è inutile, superfluo, sbagliato e stupido.
Ps: Bondi non lo si può giustificare comunque…sta semplicemente assassinando il settore e l'intera industria culturale italiana..
Non commento la stagione di Parma, se no divento violento.
Un paio di appunti a Donzelli.
Scrivere che Jessica Pratt abbia tutte le caratteristiche e le qualità dell'autentica vocalità rossiniana mi pare affermazione assai discutibile. Non nego che la Pratt sia tra le ultime cantanti rimaste a possedere un vero strumento con cui cantare, ma ciononostante ella mi pare troppo in difficoltà nel canto d'agilità, per non parlare del trillo, che l'australiana non possiede, e che sappiamo bene essere l'elemento basilare ed imprescindibile del canto rossiniano. Dobbiamo renderci conto che Rossini oggi è compositore vocalmente INESEGUIBILE. Sono dell'idea che i titoli rossiniani debbano essere definitivamente archiviati.
Poi, la Ganassi. "La negazione del canto rossiniano", dice Donzelli. NO: costei è la negazione del CANTO, tout court.
GbM
Mancini, io credo che nell'Otello di Wildbad (disponibile anche in cd Naxos) la Pratt abbia dimostrato di sapere eseguire le agilità (grande scena del secondo atto) ma soprattutto di essere in grado di cantare con voce morbida, rotonda e piena, senza sfalsettamenti o grida, di sfumare, modulare (pur nei mortificanti limiti imposti da una bacchetta antibelcantista al massimo grado), insomma di interpretare servendosi degli strumenti, peraltro sempre perfettibili, del canto professionale, senza ricorrere a mezzucci e strampalate trovatine "espressive", oggi così di moda. Certo l'Armida non era al medesimo livello, ma l'Adelaide dovrebbe "starle" molto meglio come tessitura, e sarei del pari curioso di udirla come Amenaide del Tancredi.
Quanto al trillo come "elemento basilare ed imprescindibile del canto rossiniano", ritengo l'agilità di forza ben più importante e centrale, specie nei ruoli Colbran.
Bah, Mancini..mi sembra veramente eccessiva la tua posizione. La Pratt è un'ottima cantante rossiniana (e come lei ce ne sono altre) forse per te, consentimi l'ironia, l'unico problema è che non sia nata 100 anni fa e non abbia inciso su cilindri di cera…
Non voglio addentrarmi su come cantassero Rossini nell'anteguerra (lì le agilità venivano completamente omesse e si interpretava Rossini in chiave verista o verdiana, con riscritture d'ogni tipo, assurdità stilistiche e compromessi inaccettabili…), già è nota la mia posizione!
Nessun repertorio è ineseguibile, basta saper scegliere bene i cast: purtroppo oggi manca questa capacità… (e mi verrebbe da dire che se Rossini è sopravvissuto a certi scempi compiuti nei primi 50 anni del secolo, ben può sopravvivere oggi…)
Per il resto completamente d'accordo con Tamburini…
Ps: il canto rossiniano è e resta una riscoperta degli ultimi 50 anni, prima semplicemente era materia ignota a tutti…e questo credo sia difficilmente contestabile. Inutile prendere ad esempio qualche aria isolata (pesantemente manomessa poi), Barbieri riscritti e riorchestrati, selezioni in salsa verdiana/verista di Mosé e Tell e altre amenità del genere… Pure l'Armida della Callas…suvvia, tolto il concerto di arie soliste della protagonista (manco eseguite integralmente poi), che resta? Filippeschi e Albanese come fulgidi esempi di tenori rossiniani? O Serafin che spiana, taglia, cuce e spacca?
@Duprez
"Non voglio addentrarmi su come cantassero Rossini nell'anteguerra (lì le agilità venivano completamente omesse e si interpretava Rossini in chiave verista o verdiana, con riscritture d'ogni tipo, assurdità stilistiche e compromessi inaccettabili…)"
"il canto rossiniano è e resta una riscoperta degli ultimi 50 anni, prima semplicemente era materia ignota a tutti…"
Io, Duprez, ti invito caldamente a riascoltare, giusto per fare qualche esempio, cantanti come Luisa Tetrazzini, Gabrielle Ritter-Ciampi, Eugenia Mantelli, Conchita Supervia, Hermann Jadlowker… Il canto rossiniano una scoperta degli ultimi cinquant'anni?! Agilità omesse dai cantanti d'anteguerra?! Su, ripensaci.
Ritengo che un cantante per potersi definire rossiniano debba padroneggiare alla perfezione l'agilità "senza gola", libera sul fiato. Il trillo è la forma di agilità più pura e basilare, e non si canta Rossini senza possedere un trillo sicuro e preciso. Per questo motivo, Juan Diego Florez è solo un modestissimo surrogato di tenore rossiniano.
La Pratt, nel panorama di cantanti odierno, merita tutta la nostra stima per le ragioni esposte da Tamburini: il suo canto, pur perfettibile, è esente da "trucchi" e smancerie. La sua è una voce vera, non un'impostura. Però mi pare che, ad oggi, ella non possieda le caratteristiche della completa vocalista rossiniana: troppa fatica nelle agilità, c'è tanta fibra, e non possiede il trillo.
Il belcanto è scomparso insieme con il declino del canto all'italiana – questo sì, caro Duprez, retaggio dell'ultimo mezzo secolo.
GbM
"Luisa Tetrazzini, Gabrielle Ritter-Ciampi, Eugenia Mantelli, Conchita Supervia, Hermann Jadlowker…"
Spero tu stia scherzando… Quelli sarebbero cantanti rossiniani completi? Ma cos'hanno cantato di Rossini? Otello? Donna del Lago? Ermione? Zelmira? Maometto II? Il Viaggio a Reims? Elisabetta? O piuttosto le riscritture in chiave liberty/verista di Barbieri e Cenerentole? O qualche aria staccata dal proprio contesto e rimaneggiata?
Ma di cosa parli Mancini? Il canto rossiniano richiede uno stile ben preciso. Le variazioni picchettate di certe Rosine sono musicalmente una bestemmia…se ti piacciono mi spiace per te, ma non spacciarle per "autentico canto rossiniano". L'Almaviva di Jadlowker può essere "stupefacente" ma non c'entra un tubo con Rossini. Fingo di non aver letto il nome della Tetrazzini (rossiniana????).
Con rispetto parlando, quel che scrivi su Florez mi sembra un'idiozia però: potrà non piacerti, potrà avere qualche difetto, potrà aver fatto alcune scelte sbagliate di repertorio…ma definirlo un "modesto surrogato"…bah, mi sembra il parlare stizzoso di chi vive in una sorta di iperuranio in cui le voci esistono solo nei trattati o secondo personalissime idee di perfezione. Capisco che "quando c'era Caffariello…", ma credi davvero che i cantanti che ti piacciono fossero scevri da difetti? Io ne sento eccome…e non pochi!
Ma da dove ti vengono, poi, queste "certezze" teoriche? Da trattati settecenteschi che applichi a qualsiasi genere di musica (incurante di stile e epoca storica)? Ritieni davvero che le teorizzazioni di fine '600 possano valere per una vocalità ottocentesca? Ti rendi conto dei cambiamenti di stile e di vocalità che si sono succeduti nel corso degli anni? Il tuo è esattamente il discorso che fanno i baroccari: prendere una formula e applicarla a tutto il repertorio…tipo che per cantare Wagner o Mussorgsky occorra seguire pedissequamente il Tosi o il Mancini…
Detto questo ti consiglio di informarti meglio sulla riscoperta di Rossini (cosa avvenuta negli ultimi 50 anni), di leggere qualche storia della musica in più, qualche testo critico aggiornato e a lasciar perdere la retorica della decadenza (che francamente ha stancato davvero)…anche perché ci sarà sempre chi rimpiange Caffariello…e dirà che "prima si cantava meglio"…lo stesso Rossini prende in giro questo atteggiamento…
E a te, Duprez, da dove viene questa certezza che Jadlowker "non c'entra un tubo con Rossini"? E' chiaro che io posso parlare solo per aver sentito la sua registrazione dell'aria del Barbiere, ma dire che un simile canto di coloratura non c'entri un tubo con Rossini mi pare una bestemmia.
La trasposizione dell'aria di Rosina in tonalità sopranile fu autorizzata dallo stesso Rossini, e le variazioni eseguite dalla Tetrazzini e dalla Ritter-Ciampi probabilmente sono dello stesso Rossini.
Scopro adesso, grazie al tuo immenso sapere frutto di chissà quali letture di storia della musica e di testi critici aggiornati, che il canto sostenuto sul fiato è una teorizzazione di fine Seicento, non più valida per la vocalità ottocentesca.
Ah, il mio trattato come ben sai non è di fine Seicento, ma è del 1777. Esso non presenta nessuna "teorizzazione", ma solo qualche pratica riflessione, derivante dalla mia esperienza come cantore e come professore di canto.
P.S. Florez è vociuzza nasale buona sì e no per qualche caricatura… notarile.
GbM
Allora Mancini, o si parla con cognizione di causa o si fa miglior figura a tacere e ad informarsi.
Se invece di dedicarti esclusivamente ai trattati di Tosi o Mancini, ti fossi letto qualche scritto di critica musicale in più, o di storia della musica, o le note critiche dell'edizione del Barbiere, non avresti scritto una cosa del genere "le variazioni eseguite dalla Tetrazzini e dalla Ritter-Ciampi probabilmente sono dello stesso Rossini".
Ti faccio un breve excursus:
1) Rossini non ha mai preparato una versione per soprano del ruolo di Rosina: semplicemente la Fodor-Mainvielle eseguì una prima volta l'opera, a Londra nel 1818 (con i trasporti predisposti da qualche anonimo copista), mentre nel 1819 la ricantò a Venezia e solo in quell'occasione intervenne Rossini, omaggiando la cantante con diverse variazioni e un'aria aggiuntiva (derivata dal Sigismondo). Nessun intervento diretto sulla tessitura dunque: né la tacita accettazione di Rossini del trasporto tonale significa che egli l'avesse approvata (era uomo pratico, e all'epoca i compositori poco potevano fare per frenare i capricci dei divi…). Inutile ribadire come il mezzosoprano (o meglio il contralto) fosse la scelta preferita da Rossini per la protagonista delle sue opere comiche (Rosina, Angiolina, Isabella, Clarice…).
2) Nel 1852 Rossini omaggia Matilde Juva con una serie di variazioni della cavatina di Rosina (non in occasione di una ripresa dell'opera intera, dunque, ma limitatamente al brano solistico).
3) Rossini predispone altre serie di variazioni per la cavatina, non datate, provenienti da taccuini e raccolte.
Ebbene, nessuna di queste variazioni assomiglia a quelle eseguite dalla Tetrazzini. Peraltro neppure erano conosciute alla sua epoca!
Esse, piuttosto, andrebbero fatte risalire a Estelle Liebling (che fu insegnante di un'altra Rosina terribile: Beverly Sills) che applicava alla cavatina tutta una serie di picchettati meccanici e svolazzi liberty (oltre a glissandi e sopracuti) del tutto estranei alla poetica rossiniana: non c'è traccia di simili varianti – che ricordano più i Contes d'Hoffmann a dire il vero – in nessuna delle sue opere (dal Demetrio al Tell).
La Tetrazzini si inserisce, dunque, in questa linea: peccato che Rosina non sia Olimpia e che Rossini scriva nel 1816 e non nel tardo '800… La cavatina della Tetrazzini è tutta un profluvio di acutini, di svenevoli glissandi, di scalettine sopracute, di picchettati irritanti, di svolazzi coccodé… Che c'entra questa roba con Rossini? ASSOLUTAMENTE NULLA.
E NON E' UNA MIA OPINIONE: basta leggersi una qualsiasi edizione critica del Barbiere (ce ne sono almeno 3 disponibili), che includa in appendice tutte le varianti conosciute.
In realtà non ci sarebbe alcun bisogno di verifica: basterebbe avere dimestichezza con lo stile rossiniano per accorgersi che ciò che canta la Tetrazzini nulla ha a che fare con il Barbiere di Siviglia e con l'opera scritta nel 1816…ma tant'è…
Questo è quanto le fonti (lette correttamente) ci confermano: il resto è letteratura.
Ps: Mancini – quello vero – scrive appunto nel 1777, e riassume, dunque, la pratica del canto della generazione precedente (senza peraltro essere la Bibbia). Rossini scrive almeno 50 anni dopo (per non parlare di Donizetti, Verdi, Wagner etc…): ritieni impossibile che nel frattempo le cose fossere mutate? Che ciò che si richiedeva ad una voce fosse diverso nel 1820 rispetto alle richieste del 1750? Forse, salvo i capisaldi di tecnica (l'ABC che è la grammatica del canto), molti modi di porgere la frase, di eseguire le agilità sono mutati (peraltro la coloratura rossiniana è COMPLETAMENTE diversa – musicalmente e strutturalmente – rispetto all'opera barocca, quella su cui teorizza Mancini, è più complessa, più esigente e molto più difficile). Ma se, per caso, dovessi dirmi che, invece, non vi sono differenti esigenze, che Handel e Rossini scrivono nello stesso modo e pensano allo stesso utilizzo della voce, allora ti invito, cortesemente, a mostrarmi la sostanziale identità di Maometto II e del Barbiere con Alcina o Rinaldo…
Pps: la risposta "Florez è vociuzza perché sì" è assolutamente puerile, non dice nulla, e dimostra solo pregiudizio e mala fede (nelle sue performance migliori Florez è un ottimo cantante…certo non per fare Arturo o il Duca di Mantova, ma lo trovo un ottimo Elvino, Corradino, Ernesto, Lindoro, Ory..e pure Almaviva, anche se la parte vorrebbe una voce più corposa).
Ppps: dimenticavo Jadlowker…grandissimo cantante certo…però lo stile rossiniano non c'è affatto (non lo biasimo, ancora era "cosa sconosciuta"…comunque leggiti la partitura, ascolta e poi ne riparliamo. E' questione di stile…acuti e scale saranno pure eccezionali, ma se infilati senza cognizione stilistica sono solo effetti senza causa. L'opera ha una sua dignità artistica, una sua identità storica e un suo valore intrinseco: non è solo il parco giochi di dive e divastre o il circo dell'acuto e dello svolazzo… Questo non significa rinunciare all'esibizionismo vocale, significa non ridurre tutto ad esso (sacrificando, al solito, le ragioni dell'arte).
La Tetrazzini – la splendida e magnifica Tetrazzini – nell’incisione del 1911 canta l’aria di Rosina nella tonalità originale di MI. Nella registrazione ci fa sentire tutti i tesori della sua divina vocalità: scale cromatiche discendenti stupefacenti per la loro trascendentale perfezione, trilli facilissimi, uso assai espressivo di stupendi portamenti di voce e “glissando” che alterna sapientemente alle scale sgranate, picchettati luminosissimi che in termini prettamente vocali sono autentici gioielli, e che con la loro perfetta musicalità e mordente espressività mi mandano sovente in brodo di giuggiole. E’ magnifica. Una Rosina un po’ bamboleggiante, come era in voga in quel tempo aureo, ma non per questo priva di carattere e simpatia. Una meraviglia della vocalità, che sicuramente a Rossini sarebbe piaciuta, dal momento che lui stesso predispose trasporti e variazioni per aggiustare l’aria alle esigenze di voci sopranili: accomodare la scrittura secondo le proprie caratteristiche di tessitura è prassi squisitamente rossiniana, così come quella di godere di una voce dall’emissione perfetta e dall’espressione, fraseggio e musicalità accattivanti come nel caso della Tetrazzini. E vogliamo parlare dei suoi sopracuti? Splendono come il Sole!
Per il resto quando sento cantare così proprio non capisco il perché di certe fisime…
Quanto al mio trattato, Duprez, non so se tu lo abbia letto bene (sentendoti cantare, ne dubito), ma ti assicuro che in esso si trovano solo semplici precetti validi sempre, in ogni dove ed in ogni tempo: ma forse tu, oltre ad inventare il “do di petto”, pretendi pure di insegnare un metodo di canto che prescinda dal sostegno sul fiato, dalla chiarezza e facilità d’emissione, e dalla padronanza del legato, dell’agilità e della messa di voce.
P.S. Florez è una zanzara che gioca a fare il tenore rossiniano senza avere di questo né la tecnica, né lo stile. A Jadlowker non è degno nemmeno di far da paggio.
GbM
"Scale cromatiche discendenti stupefacenti per la loro trascendentale perfezione, trilli facilissimi, uso assai espressivo di stupendi portamenti di voce e “glissando” che alterna sapientemente alle scale sgranate, picchettati luminosissimi…" Ti ripeto, ma che c'entra tutta 'sta ROBA con il Rossini del 1816? Un TUBO, te lo dico io! E dato che nell'opera andrebbe mantenuta un'identità stilistica nelle variazioni (mantenendo la partitura entro i limiti temporali dell'epoca in cui venne scritta), ciò che combina la Tetrazzini, per quanto encomiabile esercizio di palestra vocale, è, musicalmente parlando, una PORCHERIA, che non ha nulla a che fare con la luminosa perfezione della musica di Rossini! Non si tratta di fisime: secondo il tuo discorso, allora, ben si potrebbe innestare qualche roulade o picchettato pure in Parsifal o nel Boris? O, perché no, inserire il rondò della Cenerentola nel Wozzeck? L'opera non è il parco giochi dell'esibizionismo vocale: è musica, e la musica va rispettata! L'interprete non può e NON DEVE fare ciò che vuole, per puro edonismo poi! Aveva ragione Mozart quando proibì di fare variazioni nelle sue arie (dicendo che se le avesse volute le avrebbe scritte)…
Quanto al fatto che, il funambolismo senza senso della Tetrazzini "a Rossini sarebbe piaciutO, dal momento che lui stesso predispose trasporti e variazioni per aggiustare l’aria alle esigenze di voci sopranili" è cosa prima di tutto indimostrabile (non so se te ne sei accorto, ma è morto da quasi 150 anni) e poi falsissima (riguardo al volontario trasporto in chiave sopranile)…Rossini ha sempre amato la corda del contralto, tollerando gli scempi che venivano perpetrati alla sua musica, con la pacatezza dell'uomo di mondo! Del resto i tempi non permettevano altro…in Italia soprattutto, dove l'autonomia del compositore e della sua musica, rispetto ai capricci dei cantanti, fu conquistata – a fatica – solo dal Verdi della maturità!
Non commento il resto di ciò che hai scritto, trattandosi di puro delirio…
Hai scritto tu stesso che Rossini omaggiò cantanti soprani con variazioni della cavatina di Rosina… La Tetrazzini canta la cavatina nella tonalità originale, e se i picchettati poco c'entrano con Rossini, comunque non vedo nulla di sbagliato, lo ripeto, nell'eseguire variazioni che portano la voce verso le zone più comode per la propria tessitura (un soprano non esegue certo le stesse variazioni di un contralto…).
Rossini come ben dici è morto da 150 anni… La sua musica va rispettata, sì, ma senza farne un feticcio… Se la creatività dell'interprete produce risultati che, pur svilendo la volontà del compositore, musicalmente funzionano, io trovo tutto legittimo. E la Tetrazzini mi piace assai!!! Oh quanto mi piace!!!
“Non commento il resto di ciò che hai scritto, trattandosi di puro delirio…”
Potrei dire lo stesso io a proposito dei tuoi toni esagitati!!! E poi cos’ho detto di così delirante??? Affermare che un cantante non è rossiniano se non dispone di un trillo sicuro e di una voce serenamente galleggiante sul fiato, per te è delirio??? Sostenere che Florez è una mezzacalzetta e che solo trent’anni fa non sarebbe stato più di un comprimario, è delirio??? E ribadire l’unicità della tecnica, per te è davvero un’assurdità??? E allora come spieghi, ad esempio, la carriera di una cantante come Lilli Lehmann, la quale, così come cantava Bellini o Mozart, allo stesso modo affrontava Wagner e tutte le altre 170 parti del suo repertorio??? Duprez, puoi accusarmi di delirio finché vuoi, ma non puoi togliermi dalla testa che il modo per cantare bene è solo UNO.
Buona Befana,
GbM
Caro Mancini, quel che piace a te o a me, ha poca o nessuna importanza. Il discorso è diverso. Più serio dei meri gusti personali.
Rossini ha omaggiato diversi cantanti con variazioni e trasporti e riedizioni e revisioni. Verissimo. Ma sempre nell'ambito di un gusto e di uno stile proprio e coerente. Variazioni, cadenze e ornamentazioni devono inserirsi in un tessuto musicale senza snaturarlo, senza introdurre elementi estranei alla poetica dell'epoca di composizione dell'opera, senza forzature.
Rossini ha scritto tante cadenze e variazioni per Rosina: in nessuna di esse (e in nessun altra opera di Rossini) si fa uso di picchettati, glissandi, sovracuti finali, etc…). Introdurre tali elementi snatura il tessuto musicale e le ragioni dell'arte e della musica. Che siano ben eseguite o che possano piacere non ha alcun significato, né attribuisce ad esse valore o serietà. Ciò che esegue la Tetrazzini è solo testimonianza archeologica, giustificata solo dall'ignoranza del tempo…oggi improponibile GIUSTAMENTE.
Ripeto, Mancini, l'interprete non può travalicare l'autore, né trasformare la parte secondo i suoi capricci (spesso banalizzando le invenzioni musicali del compositore). Le cadenze e le variazioni di Rossini (come quelle di Bellini, di Verdi e Donizetti) sono SEMPRE più belle e originali di quelle che una certa tradizione ha imposto. Ecco io penso che la tradizione (spesso semplificatrice e banalizzatrice, poiché rispondente alle pratiche esigenze dettate dalla pigrizia del divo di turno) non debba divenire feticcio che travalichi la volontà dell'autore. Tale volontà, lo stile , il gusto…van rispettati sempre. Verdi detestava inserti spuri nelle sue composizioni (tanto da punirne contrattualmente l'uso, così come tagli e trasporti tonali), Donizetti era insofferente ai capricci delle dannate dive con cui doveva avere a che fare, Mozart dice addirittura che se avesse voluto delle variazioni le avrebbe scritte… E perché dunque l'idea musicale del compositore deve essere messa in secondo piano dal capriccio di una Tetrazzini qualunque? O di una Pasta o di una Melba o di chi vuoi tu??? Ci sono tanti margini di libertà per l'interprete, ma entro certi limiti che salvaguardino l'identità musicale dell'opera.. E il buon gusto…soprattutto il buon gusto!
Ps: il delirio a cui mi riferivo (in maniera scherzosa) era il giudizio sul modo di cantare del vero Duprez…
Ma anche io ero scherzoso riguardo al tuo modo di cantare, Duprez… ahahah
Comunque, parlando da non addetto ai lavori, penso che la questione dello stile – sulla questione tecnica c'è poco da discutere: per cantare c'è un solo modo, e sappiamo qual è – sia più complessa e diciamo ineffabile rispetto alla tua esposizione che indubbiamente è giusta, ma forse troppo semplicistica.
Mi spiego: tu dici essere il canto rossiniano "stilisticamente corretto" una scoperta degli ultimi cinquant'anni. Questo è vero, sì, nel senso che il Rossini che ci piace e a cui siamo stati abituati è quello della Callas, poi della Sutherland, delle varie Horne, Berganza, Dupuy, Cuberli ecc… Se ascoltiamo una Tetrazzini in qualche modo ci darà fastidio, a causa delle libertà che si prende, a causa del suo stile che è superato, vecchio… Però, le varie Tetrazzini e le varie Patti rappresentano probabilmente lo specchio più fedele dello stile di canto ottocentesco, pieno zeppo di "portamenti di voce", tempi rubati, libertà nelle variazioni, nelle dinamiche, nell'agogica… Il Rossini cui siamo stati abituati nell'ultimo mezzo secolo in verità non è una "RI-scoperta", ma semplicemente una scoperta del tutto nuova, poiché con tutta probabilità nessuno prima aveva cantato con uno stile perfettamente identico a quello, nemmeno ai tempi di Rossini. E' una rinascita, sì, nel senso di recupero di un repertorio dimenticato, ma non nel senso di recupero di uno "stile antico", che se davvero volessimo recuperare, temo piacerebbe a ben pochi.
Con questo non voglio dire che uno stile sia meglio o peggio di un altro… A me personalmente piace molto la Tetrazzini, ma a parte questo ritengo sbagliato mettersi a fare giudizi come fai tu. Le registrazioni della Tetrazzini sono testimonianze preziose di una tradizione esecutiva che deriva, con le dovute incrostazioni, da quella del belcanto. E' una tradizione incrostata, sì, ma è così che storicamento si è evoluto, o involuto, quel repertorio. Oggi l'opera non vive più come intrattenimento popolare "di consumo", è "morta", è diventata un prodotto d'archeologia, oggetto delle ricerche dei musicologi.
Ma non bisogna illudersi che questa filologia renda la musica più "autentica". Dal mio punto di vista, l'opera era autentica quando conservava ancora la propria originale funzione, ora è come un quadro in un museo… ma non può che essere così.
Eh no, Mancini…proprio qui sta l'errore di fondo: credere che la Tetrazzini (o altri) sia "probabilmente lo specchio più fedele dello stile di canto ottocentesco". Non è vero. Assolutamente. Il canto della Tetrazzini risente del mutare di stile, tecnica e gusto di un intero secolo di cambiamenti musicali! Dire che la Tetrazzini è cronologicamente più vicina a Rossini e quindi più "autentica" è un'inesattezza, un errore, una falsità. Il Rossini della Tetrazzini non ha più nulla del Rossini autentico (neppure gli spartiti), è tutto un rimaneggiamento di un mondo operistico vivo e vitale, che è passato dal melodramma ottocentesco, a Verdi, fino a Puccini (con in mezzo Wagner e la musica francese). Qualcosa, dunque, che ha radicalmente cambiato il modo di cantare un certo repertorio. Rossini alla fine dell'800 era scomparso e i recuperi erano solo una rilettura scorretta e spuria. Per cantare Rossini e riscoprirlo (ossia tornare alle origini) occorre un serio lavoro filologico (con edizioni critiche e ricerche) e un nuovo lavoro sullo stile e la tecnica (completamente spariti nell'arco di un secolo): lo stesso modo di eseguire la colorarua. La riscoperta di un modo di cantare Rossini e il belcanto inizia timidamente con la Callas e la Sutherland (mai state una grandi rossiniana) e prosegue trovando il suo trionfo negli anni '80! Prima, semplicemente, si eseguiva una "roba" che di Rossini aveva solo il nome! La tradizione esecutiva non è un feticcio e non significa nulla rispetto alla coerenza musicologica. Io, poi, personalmente detesto gli esibizionismi divistici…sempre a scapito della musica.
E poi come non comprendere gli esiti nefasti di questa tradizione? Le semplificazioni, le banalizzazioni….la musica di Rossini – grazie alle dive e ai loro capricci – è stata spesso compromessa e arbitrariamente manomessa. Per la gioia di chi? Di cosa? Per sentire quattro strilli acuti e due picchettati noiosi? No grazie! Preferisco tornare a Rossini, alle sue cadenze e a variazioni coerenti: i fenomeni da baraccone stanno bene al circo, non al teatro d'opera.
Ps: la tradizione che tanto ammiri è quella che ha sostituito le cadenze verdiane con altre francamente orribili, che ha introdotto acutazzi e grida dove non c'entrano, che ha consentito cambi tonali e tagli al solo fine di favorire stupidi do di petto, che non era in grado di comprendere lo stile di Rossini Donizetti e Bellini…per non parlare del modo osceno con cui veniva trattato Handel (su cui varrebbe la pena soffermarsi e raccontare che porcherie venivano servite nei teatri italiani sotto il nome di opera barocca)…. Io credo che la validità di certa tradizione risieda in altro (e soprattutto in altro repertorio), non certo nel gusto e nella correttezza stilistica…
Duprez, io non ho detto che oggi Rossini debba essere cantato nel modo in cui lo cantava la Tetrazzini! Ho solo osservato un dato di fatto… l'esistenza di un'epoca dell'opera viva e vitale, in cui il repertorio era trattato in modo diverso rispetto all'approccio scientifico con cui oggi vorremmo, giustamente, cristallizzare una musica che ormai ha fatto la sua epoca, e che sopravvive solo come repertorio storico, non più come espressione di una società. Io non "ammiro" nessuna tradizione, il fatto che la Tetrazzini mi piaccia è un aspetto irrilevante. La tradizione c'è, è documentata, non si tratta di ammirarla o detestarla, si tratta di comprenderla e trarne i dovuti insegnamenti. In campo musicale, apprendere dal passato significa anche confrontarsi con l'effettiva prassi esecutiva (soprattutto poi quando si tratta di studiare un repertorio come quello rossiniano o belliniano, in cui il contributo creativo del cantante era in simbiosi perfetta con il lavoro del compositore, che scriveva espressamente per un preciso interprete), sia tale prassi coeva a Rossini o a lui successiva di mezzo secolo (non è possibile spazzare via decenni di storia interpretativa bollandoli come "riletture scorrette e spurie", in nome di una presunta mancanza di autenticità… la musica, come ogni arte, non è solo espressione della volontà del suo autore, ma vive delle interpretazioni e delle letture che ne vengono date nel corso del tempo), e non confrontarsi solo con la littera dello spartito, che peraltro nemmeno Rossini considerava un feticcio… E poi, a dire il vero, mi pare che nemmeno oggi lo spartito sia rispettato così assiduamente…
Ti ripeto comunque che la questione dello stile è cosa ben più complessa del mero rispetto dello spartito cui tu continui a volerla semplificare. Ascoltando cantanti come Adelina Patti e Luisa Tetrazzini, possiamo farci un'idea di quale fosse il modo di cantare ottocentesco, poiché questi cantanti sono i figli di quell'epoca, sono i prosecutori di quella tradizione. Ma attenzione, questo non vuol dire che cantassero in un perfetto stile rossiniano! La tradizione in un secolo produce evoluzioni, cambiamenti, incrostazioni… I picchettati della Tetrazzini non si sarebbero sentiti ottant'anni prima… Questo è chiaro. Però comunque permane qualche elemento di continuità, prima di tutto tecnico (i grandi cantanti di fine Ottocento e del primo Novecento discendono attraverso i loro maestri dalla scuola di canto italiana ottocentesca e prima ancora settecentesca), e pure stilistico (non parlo delle variazioni e dei picchettati, parlo di un modo diverso rispetto al nostro di intendere l'espressione, parlo di una diversa "maniera" di porgere la parola e di sostenere l'arcata, parlo di quei vezzi e di quelle libertà che indubbiamente rappresentavano la cifra stilistica più caratteristica di quell'epoca… ascoltati ad esempio Mattia Battistini e avrai una lezione esemplare di canto ottocentesco).
Con questo, non sto certo dicendo che il Rossini autentico fosse quello della Tetrazzini, e che il Rossini degli anni Ottanta sia sbagliato!!! Ti prego di non fraintendermi. Le intenzioni musicali un secolo fa erano diverse rispetto alle nostre, e così come è sbagliato aspettarsi da quei cantanti ciò che ci aspettiamo dai cantanti oggi, allo stesso modo è sbagliato giudicare il passato attraverso valori e categorie che a quel periodo non appartengono.
Ma quello che tu chiami "canto ottocentesco" che cos'è? Di quale '800 parli? Del 1890 o del 1816…perché cambia tutto tra le due date. Cambia lo stile, la tecnica della coloratura, le esigenze, il modo di porgere la frase, l'estetitca. Oggi riusciamo a comprendere lo stile rossiniano molto più di una Tetrazzini o di una Patti che non possedevano gli strumenti adatti.
La continuità di cui parli è un assurdo storico. Parti dal presupposto che nulla sia cambiato in 100 anni di vocalità e che da maestra ad allieva si sia tramandato lo stile ottocentesco. Ma il canto ottocentesco non è uno solo – uguale da Rossini a Puccini ma assume molteplici forme! E' come dire che Kempff suona esattamente come Beethoven! Suvvia…è una "fregnaccia".
Io conosco bene il valore della tradizione (e il suo disvalore), gli esempi da seguire e quelli da non seguire affatto. Sei tu, invece, ad avere della tradizione un culto feticista! Sei tu che bolli tutto ciò che si scosta dai vieti birignao e svenevoli vezzi di certi residuati prebellici, come spazzatura… Chi è l'estremista?
Ripeto (per l'ennesima volta): Rossini, Bellini e Donizetti scrivevano sì per dive e divi tenendo conto dell'apporto creativo di questi…verissimo, ma tale apporto si declinava entro certi paletti, entro certi limiti di buon gusto e correttezza stilistica del tutto travalicati dalla Tetrazzini e compagnia bella… I picchettati, i glissandi e altre amenità non c'entrano nulla e non sono giustificabili: si ascoltano, sì, possono piacere…ma con la consapevolezza che Rossini è tutt'altra cosa.
E poi perché ti ostini a non considerare quanto i grandi compositori hanno fatto per porre freni ai cantanti e alla loro spesso sgradevole creatività? Lo stesso Rossini scriveva abbellimenti e cadenze per frenarli. Donizetti non tollerava certe manomissioni. Mozart diceva che se avesse voluto variazioni le avrebbe scritte. Verdi scriveva nei contratti che non si poteva tagliare o modificare nemmeno una nota. E allora di che stiamo parlando? Dell'opera come è o di una idea "romantica" dell'opera fatta di culti vedovile e trascendenze divine?
Scrivi "non è possibile spazzare via decenni di storia interpretativa bollandoli come riletture scorrette e spurie"…nessuno spazza via nulla: ma tali tradizioni interpretative SONO scorrette, che ti piaccia o meno! E' così difficile ammetterlo? Che poi piaccia non importa…anzi, è giusto: a volte si tratta di esecuzioni straordinarie di cui è giustissimo godere…ma restano arbitri e storpiature dell'originale autenticità musicale.
caro duprez
caro mancini,
posso dire la mia in questa dotta diatriba.
A me Rosina soprano lascia assolutamente indifferente anche se sono cresciuto in un'epoca in cui si storceva il naso dinnanzi a siffatta scelta.
Un fatto, però è certo che trasportare una parte in basso o in alto era una prassi diffusa ed indiscussa, che nasceva dalla contingenza che si scritturava lo stesso artsta per dieci parti e per certo tutte e dieci non erano per lui.
Talune tradizioni sono sopravvissute altre no. In ordine al barbiere credo che la tradizione sia sopravvissuta perchè è sopravvissuta l'opera, ma forse la Rosina soprano è stato uno strumento per questa sopravvivenza.
Cosa combinassero i cantanti dell'800 non lo arriviamo neppure ad immaginare, mi limito a ricordare Giulia Grisi Fides nel Profeta e Domenico Donzelli Elvino o Percy.
Gli autori talora tacevano altre volte lagnavano. Ma anche quelli che lagnavano alla fine accomodavano e risistemavano. Basti pensare a Verdi che abbassa da Pietroburgo a Milano l'aria di don Carlos o inserisce in Forza Pace mio Dio ed in Aida i cieli azzurri. Necessità drammatica od omaggio a tutte le virtù della Stolz poco cale.
Certo alcune volte suggerivano i tagli o i non tagli alcune volte , sopratutto per i divi provvedevano agli accomodi.
Rossini scrisse la variazioni di Semiramide per Adelina Patti. Quella stessa Patti con riferimento alla quale si narra che Rossino storcesse il naso sugli interventi nel Barbiere
E qui credo ci voglia la tara perchè questo episodio piuttosto che quello sulla soloratura in extenso a seguito delle libertà di Velluti vannopresi con le pinze perchè odorano tanto di mentalità e gusto tardo romantico, smentiti dal comportamento per tutta la vita dell'autore.
Poi cìè un altro punto ovvero l'esecuzione per la quale vi siete accapigliati o quasi.
Primo chiedo a Duprez e Mancini il permesso di trasformare gli interventi in un post che mi sembra molto interessante e poi aggiungo
a) Rossini scrisse con parsimonia staccati e picchettati. DI fatto limitati ai soprani assoluti del periodo italiano ossia Elisabetta Manfredini.
b) è evidente che questo tipo di ornamento non era conono alle voc maschili ed anche quelle femminili gravi o centrali come la Colbran ( al più agilità martellate vedi Isabella di Italiana ed Armida)
c) quindi dubito che le prime rosine soprano tipo la Sontag eseguissero un proluvio di staccati e picchettati come ornamenti della cavativa di Rosina.
d) che poi in senso puramente estetico la Tetrazzini li esegua bene può anche essere. Io non sono mai stato un fans della Luisona, preferendole la Sembrich o la Galli Curci o le colorature di scuola tedesca, che infatti erano più varie e rifinite nell'esecuzione dell'ornamentazione.
Adesso ripasso la palla ed attendo il consenso a trasformare gli interventi in unpost
ciao dd
Caro Donzelli, ovviamente presto il consenso. Tuttavia vorrei fare alcune precisazioni:
1) il mio discorso prescinde dai gusti personali, dalla bravura o meno dell'interprete di turno, dal valore storico di certe modalità interpretative, dalla funzione che ha svolto la tradizione: piuttosto volevo circoscrivere le mie considerazioni al problema della corrispondenza stilistica e de culto acritico della tradizione;
2) la Rosina soprano – seppur diffusasi anche ai tempi di Rossini – è e resta una forzatura dell'estetica rossiniana: ben sai quali fossero le tessiture ritenute dall'autore (e dall'estetica del tempo) adatte ai determinati ruoli. Analizzando la produzione rossiniana (seria e buffa) oltre agli scritti del compositore, non si può non notare come le sue preferenze ricadessero sulla corda del contralto;
3) la contingenza di trasporti e aggiusti era prassi comune, certo, ma assai spesso condannata dagli autori (quando non eseguita dagli stessi), per il semplice fatto che copisti e affini, nell'operazione, commettevano arbitri, errori, storpiature, compromettendo, spesso, la struttura del brano o dei concertati;
4) nessun dubbio che la traduzione in chiave sopranile di Rosina abbia contribuito alla sopravvivenza dell'opera, ma è argomento diverso: nessuno nega il valore storico di tale trasporto, ma non è vangelo e discostarsene (ripristinando la volontà dell'autore: che è scritta nero su bianco, non c'è bisogno di sedute spiritiche) non è reato (così come ammettere che certa tradizione oggi è e deve essere superata): altrimenti nessuno avrebbe ascoltato il vero Boris (molto più bello della pur splendida riscrittura di Rimsky-Korsakov) o il Rossini tragico (che la tradizione che Mancini – e i suoi alter ego – idolatra, aveva condannato all'oblio);
5) ciò che combinassero i cantanti (soprattutto lontano dal controllo degli autori) è argomento che non ci deve interessare molto: facevano di tutto, ma ciò non significa che facessero bene (all'epoca di Galileo la maggioranza dei dotti ritenevano la Terra essere posta al centro dell'universo: avevano torto, anche se erano maggioranza…e non mi lancio i paragoni politici attuali…);
6) gli autori tolleravano, a volte, le manomissioni: non potevano fare altro (in Italia, dove il cantante ancora "spadroneggiava" e il ritardo culturale – rispetto al resto d'Europa – si faceva sentire pesantemente). Facevano buon viso a cattiva sorte… Ma, appena potevano, fissavano dei paletti: ignorarli o attribuire all'interprete prerogative che non ha o non ha più, è scorretto (Rossini non è Vivaldi);
CONTINUA
7) non mi riferisco all'episodio dell'Aureliano (poco credibile), quanto alle considerazioni di studiosi e musicologi circa la particolare abbondanza di fioriture nelle opere rossiniane rispetto alle coeve e precedenti. Segnare in partitura una cadenza, prevedere abbellimenti, ornamentazioni e colorature, significa una cosa sola: indicare all'interprete quel che DEVE fare. Rossini non scrive per i cantanti di Handel, né per l'epoca dell'opera seria metastasiana: le sue cadenze e variazioni sono diverse, complesse, musicalmente elaborate…fanno parte della musica. Ci sono, ovviamente, spazi lasciati al cantante, ma assai più limitati rispetto alle opere handeliane (le sue partiture, peraltro, non esplicitano mai variazioni e cadenze, lasciando davvero carta bianca all'interprete). Bisogna tenerne conto. Del resto è la stessa evoluzione storica che ci dimostra il mutato rapporto tra opera, compositore, interprete: da Mozart in poi si assiste ad una progressiva perdita dello strapotere dell'interprete (che spesso – quasi sempre – ha portato a banalizzare la musica affrontata: basta confrontare cadenze d'autore – in Verdi o Rossini – e quelle di tradizione) a favore delle ragioni della musica e dell'arte. Non si può avallare e ritenere intoccabile qualsiasi cosa i divi e le divine (coi loro capricci) hanno dovuto far digerire all'autore… Se tutti mettessero l'aglio nella carbonara diresti che è corretto e giusto? Direi di no…
Circa la Rosina della Tetrazzini: a me non piace per nulla (come non mi piace la Peters, la Sills, la Gruberova etc…). Non credo affatto che i tanti sopranini coccodé della tradizione abbiano qualcosa a che fare con la musica di Rossini.
Può piacere (ci mancherebbe altro), ma in ogni caso è scorretta ed è un non sense musicale: e questo nulla toglie al fatto che possa piacere. Ma piacere non significa che sia un'interpretazione corretta!
I picchettati non fanno parte dell'estetica rossiniana o delle convenzioni operisti italiane dell'epoca: non se ne ritrovano in nessun altro titolo (altra cosa sono gli staccati). Del resto ricordo le critiche giustamente feroci ai picchettati della Petibon nella recente Alcina scaligera, definiti da questo stesso Corriere "neoliberty, negotici, neokitsch"…perché dunque ritenere i picchettati della Petibon fuori stile, mentre quelli della Tetrazzini sarebbero tutto sommato corretti? Non si può…perché non c'entrano assolutamente nulla con Rossini o con Handel. E vale per qualsiasi interprete ce li voglia far sorbire…
Non c'è nulla da inventare circa la correttezza stilistica o la ricostruzione dello stile nelle ornamentazioni d'epoca: basta confrontare ciò che scrive Rossini e quanto è contenuto nei quaderni degli interpreti dell'epoca (del 1816, non del 1916…perché checché ne dica Mancini o i suoi alter ego, in 100 anni di cose ne cambiano parecchie).
Ps: il discorso che però, per me, è INACCETTABILE, è il fatto che ci si ostini a considerare per il solo dato cronologico, più aderente ad uno pseudo stile ottocentesco, il canto di una Tetrazzini qualsiasi…ritenendo, dunque, l'800 musicale, come un blocco unico in cui in realtà non è successo nulla, da Spontini a Mascagni… Ripeto per l'ennesima volta: non esistono proprietà transitive nell'insegnamento tra maestri e allievi, altrimenti si arriverebbe all'assurdo di sostenere che Kempff suonasse esattamente come Beethoven! Il canto della Tetrazzini non è lo specchio del canto ottocentesco (e non lo è neppure Battistini), ma è lo specchio di come si cantava alla fine dell'800…nulla avendo a che fare con Rossini e con il suo stile vocale. Oggi lo possiamo conoscere molto meglio: allora no…l'opera era fenomeno vitale e si tendeva – scorrettamente, ma fisiologicamente – a reinterpretare ogni repertorio secondo i propri orizzonti estetici. Perpetuare questo atteggiamento, o rimpiangerlo o spacciarlo per unico e vero è sbagliato: ed è figlio della stessa ideologia che impone i dogmi baroccari. In questo senso Mancini ragiona come i peggiori profeti dell'esasperazione del barocchismo, poiché sostituisce le idee con l'ideologia (e l'ideologia non ha bisogno dell'uso della ragione, dato che ha verità in tasca impermeabili al dubbio e alla ricerca).
Mi spiace ma io nego il consenso a fare un post di questa discussione, dal momento che Duprez non ha capito una sola parola di quello che io ho scritto, ed ha risposto pertanto in modo per niente pertinente, oltre che poco gentile.
E poi cos'è questa faccenda degli alter ego? In chat scrivo con il nick di belcanto… è tutto qui. Mi pare fosse notorio che belcanto è Mancini.
scusa mancini, ma proprio perchè assumi che duprez ti abbia frainteso la pubblicazione del post avrebbe consentito di chiarire se e quali siano stati i fraintendimenti.
pazienza
alla prossima dd
Donzelli, Duprez non mi ha semplicemente frainteso, ma è come se neanche avesse letto quello che ho scritto. La sua è una filippica livorosa e delirante che non c'entra nulla con le questioni che io sollevavo. Non serve pubblicare un post per capire i fraintendimenti (in verità non c'è nessun fraintendimento, è solo una volontaria incapacità di leggere), basta leggere bene quello che ho scritto. Dirò di più: di fronte ad un simile atteggiamento, mi è proprio passata la voglia di continuare a discutere.
Ciao
Mancini, che dire…chi non tollera opinioni contrastanti (bollandole come "deliri") e parte da assolutismi ideologici, è chiaramente refrattario ad ogni confronto. Non mi stupisce affatto – molti sono passati per questi lidi, con il medesimo atteggiamento – ma resta una comoda "via di fuga". Ne prendo atto, ma ti consiglio di rileggere quanto ho scritto per verificare come abbia puntualmente risposto ai tuoi assunti (in particolare gli ultimi tuoi due interventi), e fornito alcune correzioni in rettifica a tue affermazioni errate (come le variazioni eseguite dalla Tetrazzini, da te attribuite probabilmente a Rossini stesso). Ti piaccia o meno in una discussione le idee, spesso, sono contrastanti… Per avere certezze di non doversi mai confrontare con opinioni differenti resta solo il monologo allo specchio.
Davanti allo specchio si impara a cantare, esercitandosi nei vocalizzi.
E' davanti ad un muro – irrigidito sulle proprie posizioni che sanno di manuale impermeabile al dubbio e alla critica, refrattario e sordo alle ragioni di un dialogo coerente e pacato, incapace di sostenere un contraddittorio senza falsare le parole dell'interlocutore e senza assalirlo con la meschina retorica accusatoria dell'intolleranza e dell'estremismo, queste sì vere vie di fuga di chi non ha orecchie che per sentire se stesso – che non voglio perdere il mio tempo.
Saluti
Libero di impiegare il tuo tempo come meglio credi.