“Ariadne” è un’opera che, vista la sua orchestrazione ed il generale ambito cameristico, sarebbe sicuramente stata più adatta alle dimensioni della sala del Palais Garnier. Se si contava su una grande affluenza del pubblico ed un maggior guadagno economico, quello che abbiamo visto il 14 dicembre erano numerosi posti liberi anche nelle categorie meno costose della grandiosa sala della Bastille.
In quanto alla regia di Pelly, dall’inizio sino alla fine la vostra umile serva ha creduto di avere un déjà vu. Tutto – oggetti, scene, gestione delle luci, ambiente, drammaturgia – sembrava identico all’allestimento del Elisir d’amore scaligero (e precedentemente parigino) di Pelly. Lo stesso minibus, le stesse corse e viavai, lo stesso humour volgare e banale, gli stessi costumi e scenografie stile “La strada” di Fellini. Solo alla fine dell’opera, quando Pelly ricorre a cambiamenti radicali e molto belli nell’illuminazione, riusciamo a vedere una vera differenza fra il mondo della buffonata e quello sublime e patetico di Ariadne. Durante lo spettacolo la sola differenza fra la “gnocca” Zerbinetta che si dimena in bikini e l’Ariadne mesta e vestita quasi di cenci, è quella fra una prostituta fortunata ed una prostituta sfortunata.
Nel Prologo (che Strauss ha aggiunto all’atto unico nella seconda versione dell’opera), colmo di personaggi minori ed apparizioni frammentarie dei personaggi centrali, si distingue la figura del Compositore. Il nominale mezzosoprano francese Sophie Koch, cantante amatissima a Parigi, si è esposto con uno strumento di maggiore ampiezza ed un fraseggio espressivo ed elegante nella tradizione declamatoria di una Brigitte Fassbaender. Anche i vizi vocali di Koch si inseriscono nella medesima tradizione. La voce è segnata da una certa disomogeneità nell’emissione, la cantante cerca di scurire il suono nel centro, dove la voce è più chiara di natura, le noti gravi (che nel ruolo del Compositore sono comunque poche) sono gonfiate e chiuse nella gola, in alto la voce è generosa, ma raramente distaccata dal corpo e guidata interamente sul fiato. Anche Sophie Koch, come tante altre sue colleghe, è in verità non un mezzosoprano, ma un soprano corto, anzi cortissimo. Comunque, dopo il Prologo il pubblico parigino l’ha premiata con un grande applauso, sia per la familiarità con l’artista sia per il suo talento di attrice. E’ evidente che la sua espressività (alla tedesca) non è completamente collocata nella sua vocalità e ha permanentemente bisogno di strumenti extra-vocali, ma nella sala di Bastille questo sembrava l’ideale stesso di una prestazione lirica. Ci associamo con un applauso tiepido e passiamo al primo atto.
Nel trio della Naiade, Driade e Eco che in complesso “funzionava”, dobbiamo comunque sottolineare la durezza dalla parte di Elena Tsallagova (Naiade) nella gestione della zona acuta in cui si distendono le sue meravigliose frasi di coloratura. Bisogno segnalare anche il vuoto che la Driade di Diana Axentii fa sentire nel registro basso dove gravita il suo ruolo di “terza voce”. Più continua invece l’Eco di Yun Jung Choi che resta un ruolo piuttosto centrale e senza eccessive esigenze vocali. Esagerato nella loro buffoneria il quartetto di Arlecchino, Scaramuccio, Truffaldino e Brighella. L’unico credibile vocalmente è stato il basso François Lis quale Truffaldino.
Ricarda Merbeth quale Primadonna-Ariadne ha cantato con voce incolore e di penosa emissione durante l’intera serata. Nel Prologo c’era ancora la speranza che si stesse riscaldando per il tour de force dell’Opera, ma invano… Senza entrare nei dettagli si può dire che Ricarda Merbeth è inudibile nel registro centrale e grave e che grida in quello acuto. Ogni nota esce dal suo corpo separatamente, come se ogni volta ci fosse bisogno di uno sforzo inumano, con ciò distruggendo l’infinita bellezza di ogni frase della principessa abbandonata. Inutile nel “Ein Schönes war” che richiede un legato ed un fiato di esemplare stabilità; indistinta all’inizio e spinta alla fine del “Es gibt ein Reich”. Nel duo finale con Bacchus, ogni volta che tentava di cantare piano, emetteva suoni simili al borbottio di acqua (forse di quello dei lidi di Naxos…). Gli applausi che ha ricevuti alla fine erano comunque più che cordiali. Ed è Ricarda Merbeth a passare oggi per una delle più grandi “specialiste” del repertorio straussiano (Daphne, Imperatrice) e wagneriano (Senta, Eva, Elsa, Sieglinde). E’ una di quei soprani con voce grossa, timbro incolore, fraseggio senza capo né coda che affrontano e dominano il repertorio lirico-spinto di Wagner e Strauss. Si chiamano Manuela Uhl, Michaela Kaune, Anja Harteros, Ricarda Merbeth, Camilla Nylund etc.
Impresentabile anche il collega diretto di Ricarda Merbeth, co-specialista del repertorio tedesco Stefan Vinke nel ruolo del Tenore-Bacchus. Voce grande perfettamente ingolata, di colore sgraziato, priva di ogni nobiltà sia nel accento sia nel timbro, spinta della prima nota fino all’ultima. Non ci resta che immaginare come suonasse il Bacchus della prima assoluta nel 1912 a Stoccarda, ossia Hermann Jadlowker. Stefan Vinke, già sentito come Siegfried in una Götterdämmerung a Colonia, condivide con Simon O’Neill, la nuova star del canto wagneriano, la stessa voce di caratterista, pero possiede uno strumento dieci volte più ampio del tenore neozelandese. Ed è un sonoro “buu” che ha ricevuto alla fine, tra applausi neutrali.
Il duetto finale di Ariadne e Bacchus sarebbe stato insopportabile senza la direzione del maestro Philippe Jordan che, dopo un Prologo poco originale ed anzi abbastanza fiacco, ci ha regalato una lettura dell’Opera così compatta da compensare le modeste prestazioni vocali della maggioranza dei cantanti. Soprattutto a partire della scena di Zerbinetta l’impressione era che stesse suonando un’altra orchestra. Tutto è divenuto più spontaneo, più corposo, più dinamico, l’armonia straussiana è sorta in tutta la sua sontuosità. E’ nella scena finale che Jordan ha guidato l’orchestra a un culmine di qualità trascendente e ricchissima sonorità, salvandoci inoltre dai gridi di Merbeth e Vinke.
La migliore della serata è stata senza dubbio Jane Archibald quale Zerbinetta. La sua voce è troppo piccola per una sala come Bastille, soprattutto nel registro centrale e grave dove ha la tendenza a parlare invece di dare un poco di corpo alla sua risonanza. Eppure, quando sale nel registro acuto e sovracuto, la voce diventa morbida, mai gridata o pigolata come nel caso della maggioranza delle attuali “colorature”. Oltre ad incarnare Zerbinetta con una civetteria naturale, si è mostrata capace di dare senso ed un tocco di vero virtuosismo alle colorature che eseguiva. Il legato non è perfetto e la risonanza fra i diversi acuti o sovracuti non è sempre uguale, certi risultano piuttosto bianchini, gli altri invece più metallici ed ampi. È soprattutto nella seconda parte della sua grande aria che ha saputo convincere ed è stata premiata con un applauso fermo e caloroso sia dopo l’aria sia durante le uscite singole. Il giovane soprano canadese è piaciuto alla vostra umile serva in primo luogo per la naturalezza del suo timbro e la spontaneità nell’esecuzione. Comunque ci si deve chiedere se il ruolo di Zerbinetta, come lo troviamo nella partitura, fosse concepito per dei “canarini”, visto che la prima Zerbinetta della versione di 1912 è stata Margarethe Siems (e quella della versione di 1916 – Selma Kurz). Se consideriamo da un lato che la Siems ha creato anche ruoli straussiani come la Marschallin e Chrysothemis e che Zerbinetta è stata scritta espressamente per la sua voce, e se ascoltiamo d’altronde le sue registrazioni che variano da “Je suis Titania” a “D’amor sull’ali rosee”, si capisce che la Siems era tutto salvo un mero soprano di coloratura. Bisogna anche considerare che “Ariadne auf Naxos” è un’opera molto “tecnica”, molto Jugendstil in un certo senso, con ornamenti volutamente esagerati e stilizzati, il barocco del barocco, il paradosso e l’umorismo di un’opera cameristica in mezzo alle Elettre e Donne senz’ombre del tardo romanticismo. Questo si sente sia nella sofisticata scrittura vocale sia nella strumentazione stravagante (orchestra ridotta, ma nondimeno molto complessa; la presenza del pianoforte etc.). Quindi, la “pointe” di questo pezzo molto sperimentale non può semplicemente consistere nell’esposizione di un soprano canarino nel ruolo di Zerbinetta, perché ci mancherebbe il vertice dell’ironia di Strauss e Hoffmannsthal, consistente nell’esporre una primadonna “completa” come Margarethe Siems in un “riduttivo” ruolo di coloratura come Zerbinetta. Sottile passaggio simile a un dettaglio autenticamente Jugendstil – al contempo miniaturesco ed opulente.
Giuditta Pasta
Richard Strauss
Ariadne auf Naxos
Oper in einem Aufzuge nebst einem Vorspiel
Libretto: Hugo von Hoffmansthal
Philippe Jordan Direzione musicale
Laurent Pelly Regia e costumi
Franz Mazura Der Haushofmeister
Martin Gantner Ein Musiklehrer
Sophie Koch Der Komponist
Stefan Vinke Der Tenor (Bacchus)
Xavier Mas Ein Tanzmeister
Vladimir Kapshuk Ein Perückenmacher
Jane Archibald Zerbinetta
Ricarda Merbeth Primadonna (Ariadne)
Elena Tsallagova Najade
Diana Axentii Dryade
Yun Jung Choi Echo
Edwin Crossley-Mercer Harlekin
François Piolino Scaramuccio
François Lis Truffaldino
Michael Laurenz Müller Brighella
Orchestre de l’Opéra national de Paris
Gli ascolti
Meyerbeer – Les Huguenots
Atto II
O beau pays de la Touraine – Margarethe Siems (1908)
Strauss – Der Rosenkavalier
Atto I
Kann mich auch ein Mädel erinnern – Margarethe Siems (1908)