La presenza del giovane maestro Gustavo Dudamel sul podio rinnovava l’interesse per questa Carmen scaligera firmata da Emma Dante, nuovamente affidata alla voce di Anita Rachvelishvili ossia Raveli, in compagnia di altro e diverso cast vocale.
E la Raveli mi è parsa la sola presenza in grado di emergere sui colleghi, bacchetta inclusa.
E della bacchetta vale maggiormente la pena parlare, in quanto le parti rinnovate del cast che ho sentito l’altra sera sono risultate assai deludenti.
Il signor Bryan Hymel ha cercato di delineare un personaggio lirico, innamorato e dolce, ma con una voce, ahimè, decisamente nasale e fastidiosa, oltre tutto sempre “scoperta” sul centro, spesso vibrata oltre che indietro e, logica conseguenza, sforzata in acuto. Al fianco di Carmen come di Micaela suonava ovattato, scarsamente sonoro. Le intenzioni musicali, dunque, sono rimaste tali, e l’esito è insoddisfacente.
La signora Voulgaridou, già Mimì sempre sotto la direzione di Dudamel, ha cantato bene l’ingresso ed il duetto con il tenore, che ha costantemente sopravanzato, pur soffrendo, come il collega, la lentezza del tempo staccato dal direttore, ma è poi crollata inaspettatamente nell’aria. La voce pareva mancare di appoggio fino a vibrare e a scivolare indietro dal passaggio in poi, tanto che ha finito per “svirgolare” malamente alcune frasi che non avrebbero dovuto darle problema, anzi che eseguite correttamente, perchè ormai tanto basta, garantiscono l’applauso. Questa Micaela, nel complesso esatta, è parsa un po’ querula e poco dolce e, appunto con evidenti scivoloni.
Il signor Gabor Bretz mi è piaciuto poco; canta come tutti oggi molto ingolato, al punto che nel Toreador d’entrata le discese ai gravi gli erano impossibili: la voce pareva inabissarsi nella strozza e il suono moriva in gola senza che le frasi potessero essere completamente cantate. Si aveva la sensazione che la scrittura di Escamillo graviti dove gravia quella di Sarastro, tanto lo sforzo. Al duetto con Don Josè poi, ha esibito acuti tubati ed indietro, per giunta parecchio calanti.
E’chiaro, dunque, che su questi colleghi la voce importante di Anita Raveli spiccasse nettamente. Ho trovato la sua voce più voluminosa rispetto alla produzione inaugurale, pericolosamente ispessita, perché la cantante, dotata nella zona centrale, si compiace di esibire un mezzo raro e pregevolissimo. Dall’altra ho sentito la già rilevata difficoltà a cantare sul primo passaggio, tanto che nella scena delle carte sono spariti il legato e la sonorità, per non parlare di quei rari acuti del quarto atto, che sono usciti gridati. Detto questo, ha cantato con facilità, qualità timbrica e costanza rimarchevoli, anche se senza nuances. La seduttrice manca, anche perchè manca le fa difetto il fraseggio ( ha cantato sempre sul mezzoforte, tenendo sul forte le note in chiusa delle sue arie ). Detto questo, però, non posso esimermi dal dirle “brava-brava-bravissima”, perché con una simile direzione d’orchestra non è possibile cantare, men che meno fraseggiare.
A meno della scena delle carte, la Raveli è stata afflitta da uno stacco di tempi mortifero, di una lentezza insensata, assurda ed inconcludente, deleteria per il suo canto come per il senso della musica. Non posso descrivere a parole l’irritante lentezza dell’entrata, un tempo tanto “fermo” che nemmeno lasciava percepire la melodia, tanto da rompere il legato degli archi come la voce della cantante. Lo stesso valga per la Seguidilla e peggio ancora la prima sezione della Chanson Bohemiénne, che soltanto nel finale, di solito parossistico, ha trovato una certa velocità. Una direzione antitetica al canto, anche nei momenti buoni, il solo direi il duetto Micaela –Don Josè, bellissimo per intensità e lirismo, ma inadatto ai due cantanti e con un suono orchestrale per nulla dolce e morbido come il momento impone. Una direzione senza sensualità, senza vera tensione drammatica, senza Spagna, che ha alternato momenti veloci con l’orchestra strombazzante e bandistica ( tribali le percussioni e spernacchianti i fiati sempre sopra gli archi ) nei momenti di colore, accompagnamenti meccanici e pesanti, oppure “mahlerismi”e lentezze insensate che non approdavano da nessuna parte. E perchè piova sul bagnato oltre a tutta l’elencata serie di mancanze la peggiore: nessuna sintonia con il canto. L’ambizione alla direzione stabile di un grande teatro d’opera come la Scala non può prescindere dalla comprensione del canto, dei cantanti e dell’opera lirica. Tralascio poi il fatto che spesso gestire canto, orchestra e coro sembra problematico come accaduto al coro delle sigaraie dove le voci gravi andavano per conto loro, il coro dei contrabbandieri fuori tempo e in tutta la sfilta dei toreri, qui poi senza alcun sostegno dall’allestimento.
Spicca con evidenza la distanza tra il maestro e l’opera e non è affatto cosa nuova: ricordo le lentezze esasperate ed inadeguate al cast del Don Giovanni ( il povero Francesco Meli costretto a boccheggiare un “Dalla sua pace” che avrebbe sfiancato Tito Schipa…), nella Bohéme ( sempre la Voulgaridou in un “Donde lieta uscì” troppo lento anche persino per una Olivero o una Caballè, e la cantante avanti di parecchio al maestro che nella buca continuava imperterrito sul suo tempo mentre la cantante in scena stava chiaramente per scoppiare …), in Carmen di nuovo lo stesso tipo di performance. Che poi, oltre tutto, queste lentezze, paiono ormai meri artifici generici, buoni per ogni titolo, visti e stravisti ad ogni sua produzione, quindi né nuovi né geniali, né tanto meno consoni al titolo ed alla situazione drammaturgica. Non ci ha sorpreso il giovane maestro, anzi, ci ha annoiati con i suoi vai e vieni, nemmeno tanto ben riusciti, mentre l’orchestra non stava suonando all’altezza di quanto può, sa e deve fare.
E siamo sempre alla stessa storella: a quali bacchette interessa più l’opera, ossia il canto? A chi?
Questi giovani, più o meno capaci, dai Fogliani ai Dudamel, pretendono di imporsi su cantanti, che certo hanno dei limiti, ma, che non sanno utilizzare al meglio, né guidare con suggerimenti o istruzioni di qualche utilità. La signora Raveli non andava costretta a sillabare monotamente la parte ancor più di quanto spontaneamente non faccia, ma ispirata a fraseggiare, obbligata a farlo perché ha la voce e la capacità per essere Carmen ben più varia, ed anche sensuale. Ma questo è ormai affare delegato ad altri ( chi?), perché le bacchette sono troppo prese da sè stesse, dalle proprie astruse idee, astratte dal canto come dalla tradizione esecutiva.
Vogliono la direzione musicale della Scala, ma non hanno dimestichezza con l’opera lirica, e qualunque capacità in campo sinfonico, ammesso e non concesso che ci sia, non compenserà l’estraneità alla musica lirica. Nel sentirlo dirigere l’altra sera mi sono domandata che avrebbe mai fatto Teresa Berganza se Claudio Abbado, tanto per parlare di una bacchetta straordinaria che non mai fatto mistero di preferire altro all’opera, l’avesse costretta a cantare in quelle condizioni. Forse non ci sarebbe stata la Carmen Abbado-Berganza.
All’opera servono bacchette, che abbiano il senso delle cose, il buon senso di seguire e sostenere il cantante, non maestri astratti dalla realtà del palcoscenico. L’opera sta scomparendo non solo per carenza di cantanti, ma e sopratutto per due fenomeni ben esemplificati in questa produzione: direttori capaci di ben utilizzare le risorse (poche!),di cui dispongono e registi che vogliono esistere a prescindere da musica, testo poetico, drammaturgia e poetica del compositore. Sono solo palliativi e…… supplenti!
E la Raveli mi è parsa la sola presenza in grado di emergere sui colleghi, bacchetta inclusa.
E della bacchetta vale maggiormente la pena parlare, in quanto le parti rinnovate del cast che ho sentito l’altra sera sono risultate assai deludenti.
Il signor Bryan Hymel ha cercato di delineare un personaggio lirico, innamorato e dolce, ma con una voce, ahimè, decisamente nasale e fastidiosa, oltre tutto sempre “scoperta” sul centro, spesso vibrata oltre che indietro e, logica conseguenza, sforzata in acuto. Al fianco di Carmen come di Micaela suonava ovattato, scarsamente sonoro. Le intenzioni musicali, dunque, sono rimaste tali, e l’esito è insoddisfacente.
La signora Voulgaridou, già Mimì sempre sotto la direzione di Dudamel, ha cantato bene l’ingresso ed il duetto con il tenore, che ha costantemente sopravanzato, pur soffrendo, come il collega, la lentezza del tempo staccato dal direttore, ma è poi crollata inaspettatamente nell’aria. La voce pareva mancare di appoggio fino a vibrare e a scivolare indietro dal passaggio in poi, tanto che ha finito per “svirgolare” malamente alcune frasi che non avrebbero dovuto darle problema, anzi che eseguite correttamente, perchè ormai tanto basta, garantiscono l’applauso. Questa Micaela, nel complesso esatta, è parsa un po’ querula e poco dolce e, appunto con evidenti scivoloni.
Il signor Gabor Bretz mi è piaciuto poco; canta come tutti oggi molto ingolato, al punto che nel Toreador d’entrata le discese ai gravi gli erano impossibili: la voce pareva inabissarsi nella strozza e il suono moriva in gola senza che le frasi potessero essere completamente cantate. Si aveva la sensazione che la scrittura di Escamillo graviti dove gravia quella di Sarastro, tanto lo sforzo. Al duetto con Don Josè poi, ha esibito acuti tubati ed indietro, per giunta parecchio calanti.
E’chiaro, dunque, che su questi colleghi la voce importante di Anita Raveli spiccasse nettamente. Ho trovato la sua voce più voluminosa rispetto alla produzione inaugurale, pericolosamente ispessita, perché la cantante, dotata nella zona centrale, si compiace di esibire un mezzo raro e pregevolissimo. Dall’altra ho sentito la già rilevata difficoltà a cantare sul primo passaggio, tanto che nella scena delle carte sono spariti il legato e la sonorità, per non parlare di quei rari acuti del quarto atto, che sono usciti gridati. Detto questo, ha cantato con facilità, qualità timbrica e costanza rimarchevoli, anche se senza nuances. La seduttrice manca, anche perchè manca le fa difetto il fraseggio ( ha cantato sempre sul mezzoforte, tenendo sul forte le note in chiusa delle sue arie ). Detto questo, però, non posso esimermi dal dirle “brava-brava-bravissima”, perché con una simile direzione d’orchestra non è possibile cantare, men che meno fraseggiare.
A meno della scena delle carte, la Raveli è stata afflitta da uno stacco di tempi mortifero, di una lentezza insensata, assurda ed inconcludente, deleteria per il suo canto come per il senso della musica. Non posso descrivere a parole l’irritante lentezza dell’entrata, un tempo tanto “fermo” che nemmeno lasciava percepire la melodia, tanto da rompere il legato degli archi come la voce della cantante. Lo stesso valga per la Seguidilla e peggio ancora la prima sezione della Chanson Bohemiénne, che soltanto nel finale, di solito parossistico, ha trovato una certa velocità. Una direzione antitetica al canto, anche nei momenti buoni, il solo direi il duetto Micaela –Don Josè, bellissimo per intensità e lirismo, ma inadatto ai due cantanti e con un suono orchestrale per nulla dolce e morbido come il momento impone. Una direzione senza sensualità, senza vera tensione drammatica, senza Spagna, che ha alternato momenti veloci con l’orchestra strombazzante e bandistica ( tribali le percussioni e spernacchianti i fiati sempre sopra gli archi ) nei momenti di colore, accompagnamenti meccanici e pesanti, oppure “mahlerismi”e lentezze insensate che non approdavano da nessuna parte. E perchè piova sul bagnato oltre a tutta l’elencata serie di mancanze la peggiore: nessuna sintonia con il canto. L’ambizione alla direzione stabile di un grande teatro d’opera come la Scala non può prescindere dalla comprensione del canto, dei cantanti e dell’opera lirica. Tralascio poi il fatto che spesso gestire canto, orchestra e coro sembra problematico come accaduto al coro delle sigaraie dove le voci gravi andavano per conto loro, il coro dei contrabbandieri fuori tempo e in tutta la sfilta dei toreri, qui poi senza alcun sostegno dall’allestimento.
Spicca con evidenza la distanza tra il maestro e l’opera e non è affatto cosa nuova: ricordo le lentezze esasperate ed inadeguate al cast del Don Giovanni ( il povero Francesco Meli costretto a boccheggiare un “Dalla sua pace” che avrebbe sfiancato Tito Schipa…), nella Bohéme ( sempre la Voulgaridou in un “Donde lieta uscì” troppo lento anche persino per una Olivero o una Caballè, e la cantante avanti di parecchio al maestro che nella buca continuava imperterrito sul suo tempo mentre la cantante in scena stava chiaramente per scoppiare …), in Carmen di nuovo lo stesso tipo di performance. Che poi, oltre tutto, queste lentezze, paiono ormai meri artifici generici, buoni per ogni titolo, visti e stravisti ad ogni sua produzione, quindi né nuovi né geniali, né tanto meno consoni al titolo ed alla situazione drammaturgica. Non ci ha sorpreso il giovane maestro, anzi, ci ha annoiati con i suoi vai e vieni, nemmeno tanto ben riusciti, mentre l’orchestra non stava suonando all’altezza di quanto può, sa e deve fare.
E siamo sempre alla stessa storella: a quali bacchette interessa più l’opera, ossia il canto? A chi?
Questi giovani, più o meno capaci, dai Fogliani ai Dudamel, pretendono di imporsi su cantanti, che certo hanno dei limiti, ma, che non sanno utilizzare al meglio, né guidare con suggerimenti o istruzioni di qualche utilità. La signora Raveli non andava costretta a sillabare monotamente la parte ancor più di quanto spontaneamente non faccia, ma ispirata a fraseggiare, obbligata a farlo perché ha la voce e la capacità per essere Carmen ben più varia, ed anche sensuale. Ma questo è ormai affare delegato ad altri ( chi?), perché le bacchette sono troppo prese da sè stesse, dalle proprie astruse idee, astratte dal canto come dalla tradizione esecutiva.
Vogliono la direzione musicale della Scala, ma non hanno dimestichezza con l’opera lirica, e qualunque capacità in campo sinfonico, ammesso e non concesso che ci sia, non compenserà l’estraneità alla musica lirica. Nel sentirlo dirigere l’altra sera mi sono domandata che avrebbe mai fatto Teresa Berganza se Claudio Abbado, tanto per parlare di una bacchetta straordinaria che non mai fatto mistero di preferire altro all’opera, l’avesse costretta a cantare in quelle condizioni. Forse non ci sarebbe stata la Carmen Abbado-Berganza.
All’opera servono bacchette, che abbiano il senso delle cose, il buon senso di seguire e sostenere il cantante, non maestri astratti dalla realtà del palcoscenico. L’opera sta scomparendo non solo per carenza di cantanti, ma e sopratutto per due fenomeni ben esemplificati in questa produzione: direttori capaci di ben utilizzare le risorse (poche!),di cui dispongono e registi che vogliono esistere a prescindere da musica, testo poetico, drammaturgia e poetica del compositore. Sono solo palliativi e…… supplenti!
Fischi meritatissimi per Dudamel. Non ho mai sentito una Carmen così pesante ed opaca.
Vedendo alla Scala un loggione così rissoso, mi viene da augurarmi che la programmnazione della Scala nel prossimo anno comprenda, in ambito sinfonico e da camera, l'opera omnia di Max Reger; nell'ambito dei concerti di canto, un repertorio esclusivamente liederistco; nell'opera lo Jugendstil viennese. Finalmente allora si starebbe in pace, non ci sarebbero più risse in teatro o fra blogs, pochi spettatori ma ragionevoli e colti
Marco Ninci
totalmente d'accordo, soprattutto sul discorso inerente a Dudamel e ai direttori in generale. credo che il punto toccato dalla Grisi nella coda del suo articolo sia di particolare interesse:"All’opera servono bacchette, che abbiano il senso delle cose, il buon senso di seguire e sostenere il cantante, non maestri astratti dalla realtà del palcoscenico". credo che sia necessario prendere atto, ahimè, della carenza quasi totale di "maestri concertatori" alla Bellezza, alla Sabajno, alla De Fabritiis, alla Sanzogno, maestri che, parafrasando Stinchelli, devono essere anche maestri di canto e di vocalità che devono dare suono non alla sola compagine orchestrale ma a tutto l'insieme voci-strumenti, contribuendo anche alla formazione del cast vocale e anche registico. in sintesi: sono maestri che devono essere quasi il faro di tutto l'evento operistico.
Il secondo punto che vorrei toccare è questo: oggi una totale scissione delle tre componenti della produzione operistica: canto in primis, orchestra e infine, credo di secondaria importanza, la regia. Da qualche anno si considerano tre aspetti totalmente scissi l’uno dall’altro talvolta a discapito dello stesso Canto: sembra in certe produzioni che il canto debba piegarsi alle esigenze della regia, credo ormai vera regina dell’opera, e all’orchestra, alle sue dinamiche e alle sue caratteristiche. Credo in altre parole che sia avvenuto uno spostamento del perno, del fulcro della produzione operistica dal Canto alla regia/orchestra. Basta notare, in senso pratico, come sempre maggiore attenzione viene data alla regia e alla sua capacità interpretativa dell’opera e non più descrittivo-rappresentativa. E basta vedere il pubblico che ormai l’unico aspetto che è in grado di criticare e giudicare in modo più o meno approfondito è proprio la regia: perché alla Carmen del 7 di dicembre hanno buato Emma Dante e non Adriana Damato, perché al Faust pre-estivo hanno contestato le comparse in costume e non Scandiuzzi e Giordani??????
Bella idea Ninci, così in teatro non resterebbero più neppure le maschere. Forse rimarrebbero, ma perché non saprebbero dove altrimenti svernare, quelle pie vestali, dei tre sessi, che sostengono con fervore la salute e la prosperità di mamma Scala, non potendo più sostenere salute e prosperità di altri loro articoli. Saluti. AT
se sono colti come lei, Ninci, siamo davvero messi male. cosa ne pensa di una stagione con l'integrale delle canzoni di Tosti, De Curtis di tutta la grande, immensa, scuola napoletana e in aggiunta Arditie Ricci? certo, c'è il problema dell'interprete, ma si pone anche per il suo repertorio, a quanto pare più colto ed elevato del mio!
oltretutto, le contestazioni ci sarebbero comunque. perchè
1. i lieder non sono sconosciuti a chi di musica se ne intende davvero.
2. chi canta male "Marechiare" o "Parla" molto probabilmente canterà male anche i lieder di schumann o schubert, I "Vier Lieder" di berg o i canti di Schonberg.
saluti
Dopo il mio precedente intervento, naturalmente scherzoso (a proposito,molto spiritosa la risposta di Tamburini, mi complimento), vorrei dire qualcosa sullo scritto di Francesco Benucci. Non avrei mai pensato che si potessero rimpiangere maestri come Sabajno, De Fabritiis, Bellezza, Sanzogno (il quale era già un po'più pulito dei primi tre). Direttori fangosi, pesanti, privi di una visione interpretativa; avranno sostenuto le voci ma non avevano personalità, la tecnica era deficitaria, il suono delle loro orchestre rumoroso e sgangherato. Per fortuna quel tipo di maestri sembra definitivamente scomparso.
Marco Ninci,
Lei, caro Benucci, non ha molto senso dell'umorismo. Ma Le pare che si potrebbe fare una stagione come quella che ho proposto? Via…Invece è molto serio quello che ho detto riguardo ai nomi che Lei rimpiange. Nomi che è bene rimagano seppelliti nei ricordi ingialliti di qualche vociomane anni Cinquanta, vociomani per i quali il massimo della musica era l'"Adriana Lecouvreur". Personaggi come Cesconegre, la Signora Marchisio, in parte la Signora Grisi sono proprio quelli che hanno osteggiato le grandi rivoluzioni dell'esecuzione operistica, come quella di Mahler a Vienna o di Toscanini a Milano, sempre con la stessa solfa: "non sa accompagnare i cantanti". Il grande Alfred Roller a Vienna era visto come un ostacolo sulla via di una sana tradizione. Ma senza quelle cesure non ci sarebbe stato sviluppo. C'è bisogno a un certo punto di personaggi geniali che rimettano in discussione tutto; è difficile trovare questa qualità in Bellezza, Sabajno, De Fabritiis e compagnia bella. Sono i rappresentanto di un'epoca che non ha più nulla da dirci.
Marco Ninci
Caro Ninci, prova ad ascoltare in parallelo la Carmen di Bellezza e quella di Dudamel. Scoprirai che il direttore che suona pesante (anche più di Barenboim), slentato, sgangherato non è certo Vincenzo Bellezza. Aggiungo che chi dirige male Carmen (e per male intendo che intere sezioni dell'orchestra vanno allo sbando, come alla chiusa della Chanson bohémienne), difficilmente dirigerà bene Mahler. Il che forse può condurre a una riflessione sul grande, grandissimo Mahler (o Verdi, o Brahms, o Rossini), celebrato in ogni dove, di certe giovanissime leve del podio, già laureate da critica e case discografiche ancor prima di aver appreso a fare andare insieme le varie sezioni dell'orchestra.
gioire per la scomparsa di una razza direttoriale così grande nella scuola italiana mi sembra triste ed ignorante da parte sua. certo non erano al livello di De Sabata, di Marinuzzi, di Gui, però aveva sempre il gusto, l'intelligenza, la saggezza e la sensibilità per mettere in scena delle rappresentazioni operistiche sempre corrette, sempre giuste e sempre rispettose dello spartito e del canto. non avevano una eccezionale vena interpretativa, ma l'orchestra girava, andava e funzionava in ogni ingranaggio e in ogni sezione,s empre sostenendo i cantanti e mettendosi al loro servizio.
ch.mo prof ninci,
stupisco e meraviglio che da persona di alta cultura si offra una storia fatta con i se e con i ma. questa, illustre professore, è sottocultura parrucchieristica da assidui lettori e lettrici di donna moderna, chi, vanity fair. peraltro stupisco e meraviglio ancor più, da uomo di cultura, e m'illudo raffinato, del suo venir gratuitamente e non insultato, a insultare in casa degli altri. mamma donzelli, naturalmente nata roncalli, mi ha insegnato che in casa degli altri si entra non invitati solo per le veglie funebri. quindi da domani in poi i suoi commenti saranno graditi e pubblicati solo sulle commemorazioni dei cantanti. obliavo, mi perdoni, che a lei dei cantanti nulla cale. suo devotissimo dd
Siamo sempre lì: in un gusto moderno l'orchestra non deve mettersi al servizio dei cantanti, ma guidarli, trarre da loro il massimo. Non è che mi rallegro della sparizione di quelle figure che Le sono care; la loro scomparsa è una necessità storica. E in effetti è quello che è successo. Per quanto riguarda De Sabata, Marinuzzi e Gui: è assurdo perfino paragonarle a questi musicisti. Ma anche all'interno di questa triade le differenze di livello sono elevatissime; io a Firenze ho sentito Gui moltissime volte. Era nobile, pulito, di classe; ma segni di quell'estro, di quella genialità che fanno il direttore veramente grande non ne ho mai notati. A differenza di De Sabata, almeno a giudicare dai dischi: una delle figure più affascinanti con cui io sia mai venuto in contatto.
Marco Ninci
Posso replicare? Tanto non sarà pubblicato. Ma se lo fosse, mi preme dire questo. Io non ho fatto la storia con i se e con i ma. Non trovo traccia nei miei scritti di questo atteggiamento. Se si riferisce a quello che io ho detto riguardo a Cesconegre, Carlotta Marchisio e Giulia Grisi, ciò che loro dicono dei rapporti fra orchestra e canto mi ricorda proprio i parrucconi dell'Opera di Vienna ai tempi di Mahler. Questo è quello che ho detto. Non c'è nessun se e nessun ma. Da altre parti non ho trovato nessun accenno a cui ci si possa attaccare. Del resto tanta suscettibilità mi fa pensare che forse c'è qualche difficoltà a rispondere ai miei argomenti; censurare è sempre segno di debolezza. Nel mentre mi inabisso nel silenzio di ciò che non può essere detto, vi porgo i miei più cari saluti.
Marco Ninci
Io ho visto lo spettacolo ieri sera (serata diversa, dunque, da quella recensita) e devo dire che Dudamel non mi è dispiaciuto: se penso alla piattezza svogliata di Barenboim…
Almeno qui ho sentito una vera interpretazione. Se devo trovare una definizione per questa Carmen, direi "fosca". Fin dal preludio, con un tema del destino teso e lugubre, ma anche nelle parti più "colorate" rese, ieri, con un fondo di dramma. Dudamel ha grandissimo talento, solo poca dimestichezza con il teatro d'opera. Non ho trovato i sui tempi insensati (certo sono lenti, ma è scelta lecita di ogni direttore). Neppure ho rimpianto l'assenza di artificiosa "spagnolità" (Carmen è opera francese, l'idea della Spagna è astratta e mero espediente letterario). E se devo essere sincero i cosiddetti mahlerismi" sono benvenuti.
Detto questo non mi sembra strana questa divergenza di opinioni: semplicemente Dudamel è direttore assai discontinuo. E questo, forse, è il più grande dei problemi. Già l'avevo rilevato con quel brutto Don Giovanni – l'ho visto due sere, e sembrava diretto da due direttori diversi. Sono certo dunque della diversità tra la recita di ieri e quella recensita.
Sul ruolo del direttore, poi, non faccio mistero di pensarla assai differentemente. Ma questo è un altro discorso.
Comunque, credo che Dudamel, con una maggiore dimestichezza con l'opera, potrebbe rivelare interessanti prospettive.
Ps: c'è poi il solito problema dell'orchestra e della sua vertiginosa caduta qualitativa nell'era post Muti. Ecco, perchè Dudamel o Harding, con altre compagini, sono convincenti mentre con l'orchestra scaligera no? Forse perchè non si può cavar sangue dalle rape?
Ninci, sei un trombone accademico. Vecchio, come il positivismo d'accatto che vieni qui a riciclare, vecchio di due secoli.
La tua modernità è la tua, astrazione che il presente presume di imporre al passato.
Sei come quelli che nell'ottocento demolivano le fasi barocche degli edifici medioevali perchè solo il medioevo era linguaggio della modernità.
Evolviti Ninci! Son passati cento anni dalla nascita delle prime teorie estetiche relativistiche e tu non ti sei ancora aggiornato.
Vatti a sentire Mitroupulos, 4 soprani diversi in Tosca e 4 modi diversi di far loro cantare "Non la sospiri la nostra casetta".
Karajan il re dell'accompagnamento al canto, era un mediocre?
E Walter? 3 onna Anna e tre tempi diversi, grande tre volte!…
Ninci, sei priginiero del complesso di inferiorità, tutto accademico di chi si fossilizza sui motti, sugli slogan avanguardistici senza la forza ed il coraggio di riflettere liberamente…senza vincoli.
Un sistema di giusdizio estetico è per definizione relativo e temporaneo oggi come oggi, non c'è progresso irreversibile in questo
Dunque anche i tuoi assoluti non esistono ma sono solo relativismi.Pergiunta fallimentari, come quelli che guidano il teatro d'opera oggi, fatto di spettacoli che non girano e cantanti che non cantano.
Un fuori tempo è moderno? bene!
Non lasciare cantare un cantante è moderno? bene!
non percepire più il compositore e snaturarlo è moderno? bene!
non andare a tempo è moderno?
bacchette che non mandano assieme coro e orchestra è moderno? bene!
Complimenti Ninci per la sua bella idea di modernità!!!!!
Usi la parola incompetenza ed ignoranza, che stanno meglio al suo moderno.
E piantala di venire qui a fare il professore, che le univesità italiane sono una fogna a cielo aperto e c'è poco da vantari di farne parte. I progessori specializzati, esperti di ….un sapere microbico..che la vostra specializzazione manda in cattedra personaggi esperti di un nonnulla incapaci di tenere un corso istituzionale di base di qualunque materia…!
sai perchè i cervelli se ne vanno, vero?…….dunque non metterti in cattedra qui, che non è il posto giusto.
Ancora un offesa, e non ti publico più.
saluti
Caro Duprez, forse dovresti riascoltare quel che resta della Carmen di Bruno Walter. Quella è una direzione cupa, tesa, fosca, ma che non va mai contro il canto. E non ha certo Tauber e la Stignani, ma cantanti più modesti, che però sotto la sua guida funzionano e in alcuni casi – Mazaroff nel finale – sono addirittura esemplari.
Ma caro Antonio, no vale tirarmi fuori Bruno Walter (un grandissimo). Io dico solo che il Dudamel dell'altra sera mi è parso migliore dello svogliato "maestro scaligero". C'è molto da migliorare e da ridefinire, certo – ma anche l'orchestra (anzi l'orchestraccia) scaligera ha le sue responsabilità – eppure noto in Dudamel l'istinto del grande direttore: si farà? Me lo auguro. Per ora ha poca dimestichezza col teatro d'opera (e si sente), ma il talento è inequivocabile.
Comunque io resto alla Carmen di Karajan (la prima, con la Price) e a quella (splendida) Solti. Sono curioso di ascoltare Gardiner però…
Tornando alla serata di Carmen: la discontinuità di Dudamel è un oggettivo problema.
E' un po' come quando senti un critico (uno a caso…) parlare negli stessi termini dell'Aida della Carosi e di quella dell'Arangi: viene spontaneo paragonarle. Hai usato per la direzione di Dudamel gli stessi aggettivi che io avrei usato per quella di Walter: mi chiedo quindi, senza retorica, in che cosa siano comparabili. L'istinto del grande direttore ho paura che sia parente stretto delle mezzevoci paradisiache di alcuni tenori, che tali sono sulla carta (delle riviste) e magari nella testa degli interessati, ma che all'atto concreto si traducono in suoni molto meno celestiali. Così, se sento una bandaccia (e l'altra sera l'ho sentita), mi interrogo su quanto valga il direttore, o meglio il capobanda, e non mi sento di concedergli le attenuanti generiche solo perché di bandaccia si tratta (anzi). Dudamel discontinuo? Mi pare che la sua carriera di direttore d'opera, come ha ricordato la Grisi, sia in realtà di una coerenza agghiacciante. O forse volevi dire che una sera "tira via" (e l'orchestra spernacchia) e la sera dopo è un Karajan in boccio (e l'orchestra per magia si trasforma nei Wiener)? Ma allora è davvero il "Mago G", come suggerisce qualcuno…
Corollario: mi piacerebbe sentire Dudamel alla testa dei Pomeriggi Musicali (la "bandetta" della Sonnambula del circuito lombardo), anche in un Mahler, che con i Wiener dirige così bene (dicono).
Mah, che dire? Io non mi sono mai vantato di far parte dell'università; veramente sono stati alcuni frequentatori del blog a fare indagini. Dalla mia bocca la parola università non è mai uscita. E allora di che parliamo? Apprendo con stupore di far parte del movimento positivista. Dico semplicemente che la storia è andata in un'altra direzione, che non è quella di Rescigno, Bellezza e Sabajno, ma quella di Walter e Mitropoulos, che non si mettevano a servizio dei cantanti, ma sapevano indirizzarli verso una visione d'insieme, in cui ognuno aveva il suo posto. Siamo sempre lì. La questione è proprio il contrario di quello che pensi tu, cara Giulia. E poi perché quel tono esagitato, un po' fuori di sentimento? Non sembra che la polemica dura ti si confaccia molto, perché perdi la calma. Per quanto riguarda Dudamel, è chiaro che non ha esperienza d'opera. Non ho sentito questa Carmen; ma l'ho sentito in altre occasioni. Ha chiaramente le potenzialità di un autentico fuoriclasse. E io preferisco i lampi, anche se frammentari, di un fuoriclasse alle corrette e tradizionali esecuzioni di sbiaditi sostenitori del canto. Ciao ciao ciao
Post scriptum: non avrei mai pensato che io, che non ho fatto carriera, che non ho potere, che dall'Università non ho poi avuto molto, sarei stato ritenuto parziale responsabile della fuga dei cervelli.
Marco
Naturalmente io non ho mai usato nei confronti di nessuno le parole "incompetenza ed "ignoranza".
Marco Ninci
E poi, cara Giulia, il sistema di valori estetici non è assoluto ed ovviamente io non ho mai sostenuto una panzana del genere (non ti pare un concetto un po' banale e risaputo?), questo si sa. Da qui però a dire che il processo storico è reversibile ce ne corre. Quando parli con me ho la sensazione che tu parli con un'altra persona, che non afferma nulla di ciò di cui sono convinto.
Marco
Aggiungo ancora una cosa. Tu mi chiami trombone accademico. E' una cosa che non mi può minimamente toccare, perché chi mi conosce si metterebbe a ridere per una definizione di questo genere. Quando però uno si adira per ciò che viene fuori dalla polemica, questo significa che non è poi tanto sicuro di sé e di quello che scrive.E questo non può essere che motivo di inquietudine.
Marco
Ninci, parafrasando Brecht, che certo conosci come le tue tasche: prima l'andare a tempo, poi i lampi del fuoriclasse (o presunto tale).
Ninci, stavolta sono in accordo con i tuoi detrattori (lettori e colleghi, ottimi gli interventi di DD e Tamburini).
Tu ammetti tranquillamente di non aver ascoltato questa "Carmen" diretta da Dudamel.
Allora, mi chiedo, perchè hai scritto quelle cose all'inizio dei tuoi interventi se non avevi idea di cosa si stesse parlando?
Tu hai ascoltato Dudamel nel sinfonico e poichè ti ha lasciato entusiasta lo ritieni un fuoriclasse; benissimo!
Ma un fuoriclasse nel sinfonico non è automaticamente un fuoriclasse nell'opera, in più dopo averlo ascoltato in dimenticabili "Don Giovanni" e "Bohème" in Scala si ha l'idea di un direttore che nell'opera, oltre ad essere pasticciato e discontinuo, non sa minimamente dove andare a parare o, peggio ancora, denota un'aridità di idee ed una impreparazione nella gestione delle voci e dei cori che non lo rendono ancora "degno" di un podio di questa importanza!
Vanno bene i "lampi di genio", ma se sono sparuti e una tantum sinceramente non mi accontentano nella marmellata di noia creata dal "gggiovane" direttore.
Il riferimento agli altri direttori aveva solo la pretesa di far comprendere come personalità del podio, dotate o meno, avevano un rapporto con l'opera e con il canto (dunque con il teatro) meno cervellotico e ammorbante rispetto al blasonato Dudamel.
Quindi, ti invito per questa e altre occasioni, di andare prima a teatro per ascoltare e vedere l'opera (o di ascoltarla in radio, in mp3, in DVD, come vuoi, ma ASCOLTALA) e POI ad esprimere qui o altrove le tue interessanti considerazioni, evitando così di entrare a gamba tesa.
E' un consiglio.
Riguardo al tuo C.V. a me personalmente non interessa.
Saluti
Marianne Brandt
La storia non la fanno solo i grandissimi, Ninci, ma anche coloro che nell'ombra hanno portato avanti il mondo dell'opera. se per lei Bellezza & co non hanno fatto la storia, ha una concezione anche della storia un po' troppo machiavelliana, che io sinceramente non condivido.
Dudamel non ha il potenziale di un fuoriclasse: ha fatto cose interessanti, magari belle, (bisogna considerare con che orchestre…) ma non ha mai lasciato a bocca aperta nessuno, non ha mai stupito in nulla, è una mediocre bacchetta: la Carmen scaligera ne è la prova. sono certo che se non ci fosse Abbado alle sue spalle e a condurlo come una marionetta, non sarebbe dov'è adesso…
No, Dudamel non mi ha lasciato entusiasta neppure nel sinfonico. Mi sembra un direttore di grandi potenzialità: tutto qui.Che è poi lo stesso concetto di Duprez. Che il C. V. non ti interessi, Marianne, è più che giusto. Ma tanti in questo blog la fanno così lunga con la questione dell'università, questione che, lo ripeto, io non ho mai toccato nemmeno per sbaglio, che mi è sembrato opportuno dire qualcosa e rimettere le cose a posto.
Marco
Devo anche aggiungere che devo a Giulia una delle cose più esilaranti che abbia mai sentito in vita mia: la questione del trombone accademico. Solo per questo meritava arrivare a sessantatre anni. Meraviglioso! L'ho raccontata ad alcuni miei amici che non ne potevano più dalle risate…
Marco
Il problema di queste "sponsorizzazioni", caro Benucci, è che c'è una concorrenza spietata. E sempre più incalzante. Non vorrei fare nomi (ma se volete li faccio), ma siamo già all'"infornata" successiva a Dudamel, sebbene la provenienza sia la medesima… Così non si dà tempo a queste giovani bacchette, anche a quelle meritevoli, di crescere e di emergere con le loro forze, perché ci sono già nuovi virgulti da proporre e spremere senza pietà. Vi sembra un sistema sostenibile, a livello di costi, umani ma anche professionali? A me pare di no.
Caro Benucci, è vero che la storia la fanno anche i gregari. Ma è altrettato vero che i vari passi avanti nella storia dell'interpretazione le hanno fatti fare i grandissimi, che proprio sconvolgevano le regole del gioco portate avanti dai gregari. Per esempio, dopo Karajan ( con i grandi precedenti di Walter e Krauss) nessuno ha più potuto riproporre un Wagner epico, patetico, tragico. Ma, si dirà, Thielemann, che si propone come il vero custode della tradizione storica tedesca. Eppure non è una riproposizione esatta.Tale è la preziosità del timbro orchestrale, tale è l'attenzione al dettaglio che considerare Thielemann come un direttore che riproponga stilemi come quelli di Furtwaengler e Knappertsbusch è fuorviante e sbagliato. La storia permette certi ritorni, certi anfratti, mai la riproposizione pura e semplice. L'impronta dei grandissimi è indelebile per tutti. E' per questo che io credo che alcune cesure interpretative non permettano il ritorno dei Bellezza e compagnia bella. Ci saranno altri gregari ma non di quel genere.
Marco Ninci
il lupo perde il pelo ma non il vizio, Ninci. come al solito parla di cose che non sente. ma è già stato troppo criticato da altri in diverse sedi su questo suo vizietto.
della sua carriera universitaria credo ci interessi poco. da parte mia, ho un certo senso di stupore nel pensare che un professore del suo livello (a quanto pare, ma chissene frega!) abbia delle idee sulla cultura in generale: pensare che solo De Sabata e Mitropoulos sono nomi degni di memoria rispetto ai già citato maestri concertatori, che i lieder e tutta la musica austro-tedesca del novecento è culturalmente più elevata ed interessante rispetto alle canzoni italiane e popolari dell'800, pensare tutto ciò ninci, non è ignorante, ma sciocco e presuntuoso e dimostra una concezione della cultura generale alquanto categorica.
Per la verità la cosa che a me stupisce di più è sentire un uomo di cultura come il Ninci parlare di "passi avanti", di "progresso" nella storia, il che è un modo di vedere le cose non meno fazioso e arbitrario di quello con cui si rinnega la modernità. Si ricordi Ninci, non esiste progresso nel sapere, ma soltanto mera ricapitolazione.
Tra l'altro il Ninci, quando mi dà del parruccone, sembra non rendersi conto di come io non stia affatto osteggiando un'evoluzione, un cambiamento nello stile e nell'interpretazione, ma stia solo ribadendo la necessità di ancorare qualsiasi cambiamento al rispetto di quei principi che, se violati, snaturano il teatro lirico al punto tale che parlare di teatro lirico diventa improprio. Questi principi sono la lettera dello spartito, il libretto con relative didascalie, lo spirito della musica, il canto con la sua tecnica e le sue esigenze, senza mai dimenticare naturalmente la tradizione interpretativa che ci precede. All'interno di questi imprescindibili punti fermi, sono possibili infinite variazioni. Chi nega questi principi non fa che avallare e giustificare l'impreparazione di direttori e cantanti. Il problema infatti è solo questo: la disarmante imperizia degli odierni "professionisti". Sarei curioso di sapere quanti dischi d'opera ha mai ascoltato il caro Dudamel… o quante volte è mai stato a teatro a sentire una recita… Quando faccio queste considerazioni, mi vien da pensare che forse i nostri amici qui sul blog saprebbero dirigere una Carmen molto meglio di quanto non possa fare lui.
Saluti
Nessuna mezzavoce paradisiaca, caro Antonio, né ho utilizzato per Dudamel le parole che avrei speso per Walter. Ho semplicemente raccontato quanto ho ascoltato la sera del 12. Circa la presunta esperienza fallimentare di Dudamel con l'opera in genere, non so che dire: io non me la sento di emettere sentenze dopo aver sentito solo 3 opere 3 da lui dirette. A me gli spunti di Dudamel piacciono, certo non si realizzano pienamente. La discontinuità di cui parlavo non era l'alternanza tra bandaccia e Wiener. Dico che da una sera all'altra Dudamel cambia molto. L'ho provato col Don Giovanni.
Comunque l'attenuante generica la darei eccome a Dudamel, pure con le sue mancanze…mi sembrerebbe doveroso, però, parlare anche del livello da bassa provincia a cui è giunta l'orchestra scaligera..
Però, mi sorge il sospetto, che se si ritengono incompetenti i vari Mehta, Salonen, Tate (lo stesso Abbado) e magari (leggendo la locandina scaligera del prossimo anno) Harding e Gergiev, forse abbiamo idee radicalmente diverse della funzione del direttore d'orchestra nel teatro d'opera.
Dimenticavo: Cesconegre hai sentito questa Carmen?
Il ruolo del direttore d'orchestra nel teatro d'opera non è forse quello di assicurare la maggior coesione e coerenza possibile fra le varie componenti musicali in gioco (solisti, orchestra, coro)? Un direttore che impone i SUOI tempi e non tiene conto ANCHE delle esigenze dei cantanti, dei loro limiti e potenzialità, non è forse un direttore d'opera da poco?
Quanto ai maestri scaligèri attuali e venturi, anche io attendo con interesse Harding e Gergiev (più il secondo che il primo), perché sono convinto che con loro l'orchestra possa funzionare non dico bene, ma senz'altro meglio che con Barenboim e i suoi allievi. Mehta mi pare che ormai faccia (con rispetto parlando) marchette degne del più svogliato Maazel, Salonen mi fa pensare a uno show room di arredamento per l'Expo 2015 (seriamente, il liscio scudo le sue glorie operistiche asconde… a parte la Casa di morti, ça va sans le dire), Tate mi sembra un routinier e Abbado.. Abbado, il più grande direttore vivente, che dovrebbe avere carta bianca su titoli e interpreti, dimostra che l'ultima generazione di direttori che ha capito qualcosa e si è curato di canto è stata quella dei Walter e dei Marinuzzi. Perché dal più grande direttore vivente non accetto che diriga Fidelio con la Stemme e Kaufmann. C'è un limite a tutto.
Faccio qualche esempio, ovviamente secondo il mio gusto:
Mehta l'ho visto e recensito più volte in questi anni e a parte qualche scivolone evitabile (Forza del destino e I atto di Siegfried) a me è sempre piaciuto e parlo di opere come Don Carlo (non era molto riuscito il duetto Posa-Filippo II, ma il resto era splendido), Ratto dal serraglio, RING (soprattutto Walkure e Gotterdammerung), Fidelio, Meistersinger, Die Frau ohne Schatten, tutte opere non semplicissime. Non cercherà l'innovazione, è vero, ma la sua personalità è sempre ben presente.
Eschembach negli ultimi anni ha realizzato un Ring ed un Parsifal assolutamente struggenti; Tate un Ring morbidissimo (una Clemenza brutta però); Pappano ha brillato in Lohengrin, Ring di trasparente lucentezza, Butterfly (con la Gallardo-Domas); Gatti mi ha convinto dirigendo Parsifal (S.Cecilia), Wozzeck, Lulu, Lady Macbeth (Scala); Steinberg a Torino ha diretto una Butterfly dignitosissima; Harding è una bella promessa; Salonen e Barenboim un bellissimo Tristan; Thielemann nel Ring, nel Tristan, nel Parsifal e Meistersinger fa della tradizione una carta vincente; Gergiev nel repertorio russo è spettacolare (Angelo di fuoco, Principe Borodin, Boris Godunov)… non solo accompagnatori (cosa che il direttore NON deve essere), ma VERI direttori che sostengono anche cantanti non proprio entusiasmanti e danno una interpretazione basate su idee coerenti.
Marianne Brandt
cara marianne, sarà per i miei gusto strettamente belcantistici con qualche berg e strauss, ma di direttori che sanno fare dignitosamente solo il Lohengrin, il Parsifal, Lulu, Lady Macbeth e simili, il teatro d'opera non se ne fa nulla. non sto togliendo valore nè alle opere sopra elencate, nè ai direttori che in esse si sono cimentanti, ma dico solo che direttori che sappiano dirigere a pari livello il Barbiere, i Puritani, i Vespri e simili non ce ne sono più. i maestri concertatori, tanto odiati da Ninci, ora farebbero tanto bene, sarebbero una bella cura contro il cancro odierno!
Invece di minacciarmi di espulsione, penso che i gestori del blog dovrebbero ringraziarmi. La morte di una grandissima come la Sutherland non ha suscitato praticamente nessun commento, come se non gliene fosse importato nulla a nessuno. Eppure tante cose si potevano dire, ricordi, analisi discografiche, inquadramento storico. Nulla di nulla. Quando invece intervengo io, i commenti fioccano, insulti (la maggior parte) o approvazioni che siano. Il blog diventa più vivace e si sottrae a quell'atmosfera un po' funerea che è l'unanimismo plaudente: "splendidi questi ascolti", "magnifico questo post", "era ora che si dicessero queste cose" e compagnia cantando.
Marco Ninci
Ma Francesco…il teatro d'opera è anche Lohengrin, il Parsifal, Lulu, Lady Macbeth e simili…non soltanto le opere "a cabaletta"… Questo è puro pregiudizio: l'opera non si ferma a Donizetti, a Verdi e alle primedonne che gorgheggiano (e poi del resto "chi se importa). A me piace molto il melodramma italico, e lo ritengo genere degno di ogni stima e autonomia artistica. Ma la "grande musica" è altra cosa… Berio scrsse che "L' Italia nell' 800 era un Paese già handicappato dal potere religioso, non ha conosciuto una vera borghesia, non ha avuto una letteratura o una pittura. E nemmeno una grande musica. Verdi non ha contribuito al pensiero musicale, è stato un genio assoluto nella sua concezione musicale ma la musica in Europa sarebbe rimasta la stessa senza di lui". Sono COMPLETAMENTE d'accordo.
Duprez, posso riderti in faccia?
ahahahahahahahahahahahahha!!!
senza offesa eh… di certo l'offesa è minore di quella che tu arrechi alla nostra grande musica ed al nostro vero canto…
Pentiti!
Ehm… Marco, con tutta la buona volontà, se vuoi analisi discografiche, commenti, ricordi, inquadramenti storici e quant'altro sulla Sutherland in alto a destra sotto il titolo del Blog puoi trovare un pratico e agevole link per trovare tutto quello che dal 2007 abbiamo scritto sulla "Stupenda" (ti pregherei di dare uno sguardo anche ai commenti dei lettori).
Un vecchio proverbio dice anche "chi si loda si imbroda" e ti ricordo anche che le discussioni qui e nella chat ci sono sempre state, quindi voliamo basso.
I ringraziamenti ai lettori ed ai commentatori li ho fatti ieri sera con la cara collega Carlotta Marchisio nella chat stessa e ti ricordo anche che ad ogni traguardo raggiunto facciamo fior-fiori di omaggi a chi partecipa e non.
Altro che nulla di nulla.
Ma per favore!
Marianne Brandt
Ecco un altro "papiro di Artemidoro" ninciano!!!!!!!!
I post sulla Sutherland hanno fatto circa 3500 ingressi al giorno, intasato la chat oltre i 40ingressi contemporanei, e boom di download degli ascolti.
Tu sei stato meno di una goccia d'acqua nell'oceano….
Come al solito Ninci, tu non sai, ma presumi di sapere!
mi rifiuto di rispondere, Duprez…
Mi spiace, ma con rispetto parlando, penso che Berio abbia scritto una TAVANATA GALATTICA e citarla è cosa molto infelice che non rende giustizia a nessuno.
Marianne Brandt
Ti rifiuterai pure di rispondere, ma che piaccia o meno è la verità. Naturalmente nulla tolgo ad un repertorio che, nell'opera, è il mio preferito (ossia Donizetti). Non capisco lo scandalo… Comprendo la maleducata reazione di Cesconegre (a cui suggerisco una buona dose di bromuro e un corso di buone maniere) visto il suo integralismo accecato, che gli impedisce di ragionare. Sfido chiunque a contestare la verità dell'affermazione di Berio. Non parlo di bellezza, di gusti o di piacevolezza, parlo di importanza nella storia della musica. E, volenti o nolenti, se non fosse mai stata scritta la Lucia o il Don Carlo (opere che adoro e che metto al vertice), la musica occidentale non sarebbe affatto cambiata, al contrario di quel che sarebbe successo se non esistessero la IX di Beethoven o il Guillaume Tell di Rossini.
Ma aldilà dell'aspetto provocatorio, soffermatevi sul contenuto. Mica ha scritto che Verdi fa schifo….
"il teatro d'opera è anche Lohengrin, il Parsifal, Lulu, Lady Macbeth e simili…non soltanto le opere "a cabaletta" (?????????)… Questo è puro pregiudizio: l'opera non si ferma a Donizetti, a Verdi e alle primedonne che gorgheggiano". sorvolando il discorso sulla letteratura e sull'arte che cmq nn condivido, qui sta il discorso che mi sembra un po' limitato da parte tua. qui nessuno sta negando il valore delle opere da te difese, cosa che tu invece fai sulle opere "a cabaletta". o il virus di ninci si sta diffondendo, ma ne dubito, o, duprez, di canto davvvero ti interessi poco, o nulla…
No no no Francesco: intendiamoci. E lasciamo stare le provocazioni. Ma lasciamole stare tutti. Il discorso su arte e letteratura è molto più complesso (l'Italia dell'800 era paese diviso e privo di identità culturale: fatti salvi alcuni grandi autori – tutti di formazione settecentesca però – lo stesso per l'arte e la pittura in particolare: mentre la Germania ci dava Friedrich, ad esempio, in Italia cosa c'era?). Ma torniamo alla musica. Non credo di dover dimostrare il mio interesse per il canto, e nel canto il repertorio che prediligo resta, nell'ordine Mozart, Rossini e il melodramma. Questo però non mi può far dimenticare il valore intrinseco e tecnico di un genere. E la sua importanza nella storia della musica. Solo questo volevo – provocatoriamente, certo – dire. Ora tu scrivi che Lohengrin, Parsifal, etc…sarebbero superflui, così come i direttori che dirigono i suddetti capolavori. Beh, se permetti, io credo che il teatro d'opera sia fatto di tanti aspetti e tanti generi, in alcuni prevale l'aspetto di consumo (come è l'opera italiana dell'800) in altri vi sono in gioco diversi valori musicali. Questo naturalmente non significa nulla per giudicare un compositore o un titolo: Donizetti resta un genio assoluto. Anche se storicamente Schubert ha un ruolo diverso. Tutto qui. La frase citata – in modo provocatorio, ripeto – mi sembra faccia il paio ad altre lette ultimamente. Mi sembra però disonesto, Francesco, rispondere ad un'idea (su cui magari discutere) con basse insinuazioni circa il fatto che mi sia beccato virus, che sia degno di "risate in faccia", che addirittura "offenda" la musica e il canto (personificati in chi, se mi è lecito chiedere?), o che di canto mi interessi poco o nulla. Pensavo, infine, si capisse bene la distinzione di livelli che l'affermazione di Berio comporta.
Ho ritrovato uno scritto di Bruno Cagli che vi propongo, soprattutto a chi ritenga la produzione lirica italiana dell'Ottocento un sottoprodotto per poveri di spirito:
"Non a caso tra le opere serie di Rossini, Semiramide è quella che negli ultimi decenni ha avuto il maggior numero di riprese. Come nei capolavori di Canova, lì era stato fissato nel marmo un mondo di bellezza ideale che giustifica l'ampietta e il fasto sfolgorante della vocalità, la dovizia di temi e di soluzioni musicali (quasi tutte nuovissime, dato che il ricordo agli autoimprestiti fu per quest'opera ridotto al minimo). Tutto questo presume un senso e una volontà di sfida e di cimento che di fatto è presente in ogni numero di questa partitura, dove invano si cercherebbe traccia di un'aria da sorbetto, di un coro riposante tra un numero e l'altro. La sfida è senza compromessi e ad essa sono chiamati gli interpreti se vogliono farla rivivere sulla scena così come sono chiamati gli ascoltatori. Tutto questo perché Semiramide non guarda a un passato vero, ma presunto e si nutre dunque, più d'ogni altra produzione del suo autore, dell'Utopia o forse soltanto di essa. Poiché il Paradiso perduto e agognato, non è in realtà perduto, ma frutto di una squisita operazione della mente che lo (re)inventa mettendo a frutto quanto la tradizione offre di meglio, ma tutto trascendendo, amplificando, portando ad un punto di coesione estrema. Per questo Semiramide non poteva e non può essere che opera ultima (della carriera teatrale italiana del suo autore, di un momento e di un portato storico, ma anche di una civiltà). Per questo, se posto nell'assurda ipotesi di condannare alla distruzione tutte le opere di Rossini, e tutte le opere italiane precedenti e a venire, salvo una, chiunque si troverebbe dilaniato da dubbi laceranti. Non, forse, il rossinista autentico, per il quale solo in Semiramide e solo da quest'opera un futuro ipotetico potrebbe tutto intuire e tutto sperar di far rinascere".
Con buona pace di Beethoven.
Ho ritrovato uno scritto di Bruno Cagli che vi propongo, soprattutto a chi ritenga la produzione lirica italiana dell'Ottocento un sottoprodotto per poveri di spirito:
"Non a caso tra le opere serie di Rossini, Semiramide è quella che negli ultimi decenni ha avuto il maggior numero di riprese. Come nei capolavori di Canova, lì era stato fissato nel marmo un mondo di bellezza ideale che giustifica l'ampietta e il fasto sfolgorante della vocalità, la dovizia di temi e di soluzioni musicali (quasi tutte nuovissime, dato che il ricordo agli autoimprestiti fu per quest'opera ridotto al minimo). Tutto questo presume un senso e una volontà di sfida e di cimento che di fatto è presente in ogni numero di questa partitura, dove invano si cercherebbe traccia di un'aria da sorbetto, di un coro riposante tra un numero e l'altro. La sfida è senza compromessi e ad essa sono chiamati gli interpreti se vogliono farla rivivere sulla scena così come sono chiamati gli ascoltatori. Tutto questo perché Semiramide non guarda a un passato vero, ma presunto e si nutre dunque, più d'ogni altra produzione del suo autore, dell'Utopia o forse soltanto di essa. Poiché il Paradiso perduto e agognato, non è in realtà perduto, ma frutto di una squisita operazione della mente che lo (re)inventa mettendo a frutto quanto la tradizione offre di meglio, ma tutto trascendendo, amplificando, portando ad un punto di coesione estrema. Per questo Semiramide non poteva e non può essere che opera ultima (della carriera teatrale italiana del suo autore, di un momento e di un portato storico, ma anche di una civiltà). Per questo, se posto nell'assurda ipotesi di condannare alla distruzione tutte le opere di Rossini, e tutte le opere italiane precedenti e a venire, salvo una, chiunque si troverebbe dilaniato da dubbi laceranti. Non, forse, il rossinista autentico, per il quale solo in Semiramide e solo da quest'opera un futuro ipotetico potrebbe tutto intuire e tutto sperar di far rinascere".
Con buona pace di Beethoven.
Premetto che non era mia intenzione essere disonesto nell’usare una terminologia magari offensiva. Volevo solo richiamarmi, magari in modo poco gentile e me ne scuso, alle idee del buon Ninci che poco si distaccano dalle tue. Comunque, mettendo da parte ironie e provocazioni, il tuo discorso continua a non convincermi.
Per quanto riguarda l’Italia, credo tu sia nel giusto parlando si divisione politica, sociale e in parte culturale. Ma non credo che una realtà politica smembrata sia incapace di dare alla luce grandi opere d’arte, quale che sia la loro natura. (pensa alla Grecia prima e durante la guerra del Peloponneso, pensa alla Spagna tardo medievale). Ma comunque passiamo alla musica.
Prima di tutto io non ho detto che Parsifal e Lohengrin come i direttori citati siano superflui. Io non tolgo l’enorme importanza musicale e storica delle opere di Wagner o Berg. ammetto che non amo molto la loro musica, ma è pura questione di gusti.
Il valore intrinseco e tecnico di un’opera, ha si importanza come per ogni opera artistica, ma credo che, a differenza del buon Croce, i fini emotivi e edonistici abbiano maggior valore nel giudizio estetico. anche rispetto credo al ruolo giocato dall’opera singola o dal compositore nella storia della musica.
Sono due aspetti diversi, credo: l’opera in quanto puro e mero oggetto artistico-storico e quindi esposto a certo tipo di critiche esclusivamente tecnico-specialistiche da una parte, e dall’altra l’opera in quanto oggetto estetico che suscita determinati sentimenti a chi entra in contatto con questo. Forse tu dai maggiore importanza al primo punto ponendolo come categoria di giudizio estetico??? Correggimi se sbaglio, ma questo mi pare di capire…
per allargare la discussione,nel corso della storia quali sono i nomi veramente indispensabili per il suo progresso?
Per esempio io ci metto Mozart Beethoven Rossini Wagner…tanto per fare qualche nome..ora mettiamo che Verdi non sia mai esistito,secondo voi che scenario ci sarebbe stato nella storia dell'opera in Europa passata e presente
Giulia Grisi è molto scomposta, perde la calma etc. Io non posso sapere quante persone sono entrate nel sito o il numero dei downloads. Noto che per una cantante adoratissima come la Sutherland ci sono stati una ventina di commenti e quando si è trattato invece di discutere del rapporto fra canto, orchestra e regia più di cento. Come siamo ad oltre cinquanta per Dudamel. Tutto qui. Ma perché così iraconda, così sensibile per tutto ciò che riguarda l'università, sensibile a tal punto da portarla ad una filippica completamente fuori contesto, praticamente senza babbo né mamma? Ora, a prescindere dal modo dilettantesco in cui sono trattati concetti come positivismo, assoluto, relativo etc., è proprio la suscettibilità su questo tema ciò che colpisce. Sarei pronto a scommettere che dietro ci sia qualche problemino con quell'istituzione, qualche rapporto non completamente risolto. Potrei sbagliarmi, ma la sensazione che dà è proprio questa. Altrimenti perché inventarsi certe mie supposte vanterie, dichiarazioni che non ho mai fatto, lamenti con cui non ho mai pianto? Comunque è tutto molto interessante.
Marco Ninci
Marco penso che ormai la discussione tra te e la Grisi sia al suo termine nel botta risposta,perche non parliamo di musica? perche non sviluppi e rispondi alla mia domanda che ho fatto nel commento precedente?penso che la discussione prenderebbe interesse
@Duprez
>"Sfido chiunque a contestare la verità dell'affermazione di Berio. Non parlo di bellezza, di gusti o di piacevolezza, parlo di importanza nella storia della musica. E, volenti o nolenti, se non fosse mai stata scritta la Lucia o il Don Carlo (opere che adoro e che metto al vertice), la musica occidentale non sarebbe affatto cambiata, al contrario di quel che sarebbe successo se non esistessero la IX di Beethoven o il Guillaume Tell di Rossini."
Duprez, questo concentrato di sciocchezzuole da bar non me lo sarei mai aspettato da parte tua… questa tua sparata cosa vorrebbe essere, forse una gara a chi ha scritto “la musica più grande”?! Cos’è, una classifica?! Cos’è questa maniera falsante e faziosa di osservare la storia della musica in base ai “se” ed ai “ma”??? Cosa c’entra questa tua maldestra provocazione con il discorso che si faceva??? Questa sì è sottocultura da parrucchieri, peggio anche del chiacchiericcio pseudo culturale che ci viene propinato in certi salotti televisivi!!! Duprez, la tua provocazione suona a me nello stesso modo in cui suonavano, alle orecchie del sommo Gioachino, i tuoi tristemente famosi e sgraziati acutazzi: bieche urla da cappone sgozzato!!
E poi con questa tua provocazione cosa vorresti dimostrare, o peggio, giustificare? Spiegamelo perché proprio non l’ho capito… Sarebbe un modo per giustificare il disinteressamento delle grandi bacchette nei confronti del nostro repertorio operistico??? Bella scusa!! La verità però è un’altra: i direttori d’orchestra detengono il primato d’ignoranza in fatto di canto e la loro mancanza di vergogna e di umiltà li porta a snobbare un repertorio di cui manco comprendono la grandezza e che credono di poter ripudiare con le loro pose da intellettualoidi dei miei stivali… ANALFABETI DEL CANTO!!!
@Ninci
Visto che Ninci insiste tanto con la Sutherland, dedico qui alla Stupenda un ricordo breve ma perfettamente calzante l’argomento qui dibattuto (Duprez è invitato caldamente alla commemorazione).
Joan Sutherland definiva Serafin “l’ultimo dei grandi direttori italiani, di quelli che CAPIVANO LA VOCE”.
Decise di cantare solo sotto la direzione del marito perché non poteva accettare che qualche direttore presuntuoso e arrogante si permettesse di correggerla nella scelta di tempi e abbellimenti: la Sutherland fu la più grande cantante del secondo Novecento perché ebbe sempre a sua disposizione un direttore suo succubo, prono alle sue esigenze.
La Sutherland usava per le regie moderne l’aggettivo “BALORDE” e, per contratto, fu sempre garantito a lei ed al marito l’approvazione nella scelta di costumi, scene, regia per ogni spettacolo: mai la Sutherland si esibì in una regia “moderna” come quelle che oggi vanno per la maggiore…
Grazie Stupenda, sei stata l’ultima vera diva. Avevi proprio ragione quando affermavi che “questi giovani non sanno più respirare, non sanno appoggiare, non sanno proiettare la voce nel teatro”. Grazie Stupenda, eri immobile sul palco, ma con la tua voce, frutto del tuo lavoro duro e costante, ci hai mostrato come solo attraverso il canto possa realizzarsi la poetica del nostro melodramma. Il resto lasciamolo alle sciacquette prive di capacità e temperamento ed ai critici sordi ed annoiati.
E voi, è inutile che continuiate a menarla con le vostre tiritere da intellettualoidi indottrinati e smidollati: è la stessa carriera della Sutherland dimostrarci come il canto sia possibile solo se ad esso il direttore sia asservito ed al regista sia concesso niente di più che uno squallido ruolo da comprimario.
Saluti
Cesco nella storia della musica ci sono compositori che hanno iniziato un nuovo percorso musicale,altri che lo hanno sviluppato,è migliorato stando ai tempi,per esempio per me per fare uno dei nomi Wagner è uno che ha iniziato un nuovo modo di fare musica,non mi sembra che dicono una bestemmia nell'affermare che se Verdi non fosse esistito,in Europa la musica sarebbe stata diversa nelle linee generali,certo avremmo perso una bella fetta di opere,ma la linea generale della musica non sarebbe cambiata.
Non si tratta di fare classifiche di musica si serie A e B
Vedin semplificando molto è stato un grande sviluppatore di un persorso iniziato da Rossini e continuato con Donizetti e Bellini.
Verdi lungo questo percorso ci ha messo poi la sua personalità e genialita,nel proporre del nuovo,regalandoci grande musica.
Forse Verdi ha cominciato a concepire un nuovo percorso nelle ultime due opere,stimolato dal successo di Wagner,ma di certo non ne ha cambiato la linea
CAro Ninci, Macchè rancore.Ma nondica fesserie provocatorie.
Si legga Carlucci-Castaldo: UN PAESE DI BARONI, che le fa bene. Un grande specchiodel mondo caccademico italiano.
Il giornalino Metro l'altra mattina pubblicava un articolino che descriveva bene l'estromissione di tutti gli atenei italiani dalle zone alte della graduatorie mondiale degli atenei…mi pare la Sapienza al169 posto grosso modo, il primo ateneo italiano.
Voi siete una casta presuntuosa ed incontrollata ( una delle tante del nostro paese) mai chiamata a rendere conto della propria reale efficienza ed inefficienza, che fa affondare la nostra università italiana …..non cambiate perchè vi credete perfetti. E sfornate medici che non diagnosticano una influenza, letterati che non conoscono le declizioni latine, ingegneri che senza supersap non sanno fare nulla…..ed i cervelli notoriamente fuggono da un sistema di concorsi accademici fasullii e truccati.
MA che rancore professore!!!! Questa è la realtà triste di cui fa parte.
Perciò in questo sito non venga con la presuzione di saperne di più dei ragazzi che scrivono qui perchè sta a parlare da una cattedra……che le potrei fare il nome e cognome di noti docenti di certe università i cui studenti possono seguire con il dito la dispensa che il prof declama dalla cattedra……
Non è la politica che sta facendo fallire il paese. La politica che abbiamo è solo l'espressione di ciò che purtroppo siamo diventati.
Ciò nonostante questo sito non sisente che la cultura e la tradizione musicale italiana debbano inginocchiarsi a quella tedesca et consimilia, anzi la rivendichiamo laddove i nostri cosiddetti "uomini di cultura", per debolezza intellettuale, si sono genuflessi ad altri.
saluti
Non vedrei molta provocazione nelle parole di Duprez, e proverei invece a leggerle anche (e soprattutto) alla luce di quel che sottendono. Vediamo intanto cosa non dicono: non dicono che Bellini, Donizetti e Verdi fanno schifo; non dicono che non sono musica; non dicono che meritano di essere cassati dal panorama culturale. Dicono, in realtà, ben altro. Prendiamo un manuale di armonia a caso (Piston, De La Motte, e così via): sfogliamolo e osserviamo gli esempi che sono portati a sostegno di ciascuno degli argomenti trattati. Come mai, tra di essi, i succitati compositori di opere non compaiono pressoché MAI? Perché gli studiosi di armonia ce l'hanno con loro? Perché sono degli antipatici odiatori dell'opera? Bizzarro invero… In realtà, i nomi dei nostri numi tutelari operistici non compaiono perché essi non innovano il linguaggio musicale; poggiano su quello preesistente, se ne servono e lo sfruttano fino alle estreme conseguenze. In questo, sono dei geni – o dei maestri, se la parola "genio" ci urta. Tuttavia non innovano, non creano un linguaggio nuovo, non forzano neppure quello preesistente. In questo senso, se le loro opere non fossero state scritte, l'armonia tonale (e, con essa, il corso della musica occidentale) non ne avrebbe risentito se non in minima parte.
Per questo le parole di Duprez, lungi dal provocare, fotografano un dato di fatto che non implica, in nessun caso, uno spostamento del giudizio in termini assiologici. Sarebbe evidentemente un errore marchiano identificare la storia della musica con quella del melodramma; quest'ultimo non ne è che una sfaccettatura, non sempre così essenziale come si vorrebbe credere. Ognuno, poi, la penserà nel modo che più gli aggrada – voglio dire: senza Richard Strauss (e senza Max Reger, per tornare al cuore pulsante della discussione), la storia della musica avrebbe oggi una diversa fisionomia; senza Donizetti, probabilmente no: ma nulla ci vieta, in pace con noi stessi e con il mondo, di ascoltare Gemma di Vergy fino alla consunzione dei timpani (e delle pudenda dei nostri vicini di casa), nauseandoci, allo stesso tempo, per l'orrido frastuono antibelcantistico di Elektra o delle sonate per viola sola del buon Max.
Non si tratta di una gara tra compositori (lasciamo i morti alle loro tombe e ai fiori che ci degneremo di portar loro), ma di semplici dati di fatto, sine ira et studio.
Tenendo fede alla promessa di non scrivere più niente in riferimento a commenti di un certo utente pruriginosamente fazioso, petulante e che pare che di tutto parli tranne che di musica, mi dispiaccio per la piega in cui stanno declinando i discorsi, e do il mio pienissimo supporto alla Zia Giulia!
AMOR VINCIT OMNIA
Sì Giulia, ha ragione Pasquale, questo botta e risposta tra te e Marco Ninci è completamente fuori tema e non fa che impoverire il livello della discussione. Marco Ninci è qui solo per provocare, dal mio punto di vista la sua presenza serve solo a rovinare il blog. Non capisco cosa aspettiate a buttarlo fuori. Senza tante chiacchiere, avreste già dovuto farlo parecchio tempo fa. Grazie a Marco Ninci questo blog si confonde sempre di più con la Voce del Loggione. Comunque, se sta bene a voi…
Saluti
Ciao a tutti! Devo dire che Escamillo ha fotografato benissimo le parole di JLD, però c'è da aggiungere una cosa. Il fatto è che questo modo di porre la questione, ossia incentrarla sull'IMPORTANZA STORICO-MUSICALE di questo o quel compositore, tutto sommato obiettivo, NON DOVREBBE ASSOLUTAMENTE influenzarne il giudizio dei critici, dei direttori d'orchestra e degli altri addetti ai lavori, nonché del pubblico (colto e non). Invece questo capita praticamente sempre. Al che sorge un'altra questione: vale la pena approfondire troppo le conoscenze, "radiografare" al micrometro le opere musicali, i contenuti e i loro inquadramenti storici, se poi questo ci fa perdere il lume del giudizio? Credo che molti "colti" (primi fra tutti i da voi cosiddetti "baroccari") dovrebbero recuperare il gusto del GODERE nell'ascoltare le note, la musica, che è anzitutto diletto e non solo esercizio culturale per lievitare l'ego del dotto, e diventare meno partigiani. Quanti direttori o critici ascoltando per la prima volta "Spargi d'amaro pianto" o "Il suon dell'arpe angeliche" rimangono estasiati, poi studiano e leggono certi mordaci commenti su Donizetti dei tedeschi (Schumann, Mendelssohn, Wagner, ecc.) e cominciano a rivalutarlo, o perché ascltano le tante opere commerciali che scrisse (e mbè? Non è perché uno scrive roba mediocre per guadagnare soldi che gli si debbono svalutare i capolavori…) Quanti mitizzano Bellini perché si sa che vinse la sfida col rivale con i Puritani, o perché Wagner ne espresse un giudizio positivo sulle melodie, o perché morì presto e si fantastica su una possibilie rivalità con Verdi… Karajan e Abbado amano Verdi al punto da mettere entrambi su disco per la DG le sinfonie di Verdi, la maggioranza delle quali (Giovanna D'Arco, Oberto, Legnano) sono assolutamente nella norma del tempo (se non meno belle di quelle di Weber o Spontini), mentre ignorano le tante di Donizetti stesso si sono ascoltati Maria Stuarda, Torquato Tasso, La Figlia, Don Pasquale, ecc.?); sicché nei libri di musica e nei salotti pare che il grande bergamasco non sia bravo ma piatto orchestratore; poi il mitico Karajan dirige una Lucia che più fracassona non si può (sentitevi l'ultima aria), indegna di un confronto con Rescigno/Schippers, e allora di che parliamo? Però siccome è Karajan siamo tutti più indulgenti… Troppe influenze esterne e condionamenti di gusto rischiano di sparigliare il giudizio più sano e genuino, libero, essenziale: quello iniziale.
Vedo che Escamillo ha perfettamente compreso il senso della mia frase – che poi non è mia, ma di Berio.
Quel che volevo dire – in risposta a certe prese di posizione (che a mio giudizio assolutizzano i gusti personali) – è che un certo repertorio (e il saperlo dirigerlo) non può essere ritenuto inutile o superfluo nell'ambito del teatro lirico.
Nessuna classifica tra compositori, nessuna eliminazione snob o intellettualistica, nessun intento discriminatorio nei confronti del melodramma. Già, perchè parlo del melodramma, che non è l'opera tout court (né la storia della musica è storia dell'opera). Questo aldilà della genialità di compositori come Bellini, Donizetti e Verdi (e anche di molti minori). Sia ben chiaro: da sempre sostengo la piena dignità dell'opera italiana dell'800! Contro ogni vulgata e semplificazione. Personalmente – e chi legge i miei interventi può ben avvedersene – ho particolare passione per Donizetti (che adoro anche nelle opere meno riuscite e dozzinali). Certo i miei favoriti restano Mozart e Rossini. Ma sono gusti, appunto e di gusti non parlo e non voglio parlare. Sgombrato il campo dagli equivoci che tali affermazioni hanno ingenerato (nessuna "tavanat", quindi, Marianne: spero ora il senso sia più chiaro), vale la pena soffermarsi sui contenuti e su qualche esempio. Vero che la storia non si fa con i "se" o i "ma", ma vi sono dati di fatto difficilmente ignorabili. Il melodramma italiano, fatto di genio, di trasporto, di abilità, capace di scaldare anime e cuori, è, musicalmente (almeno nella maggior parte degli esiti) povero e involuto: la strada intrapresa da Rossini non viene percorsa da nessuno (ritenuta troppo complessa, da parte di musicisti tecnicamente mal messi, rispetto ai colleghi francesi e tedeschi e soprattutto al Genio di Pesaro). Si preferisce la riproposizione di convenzioni in cui emerge chiaro l'intento "consumistico", l'opera è veicolo di esibizione. Solo con le contaminazioni francesi di Donizetti e poi con la maturità verdiana, la musica riacquista dignità e centralità (in senso lato naturalmente, giacchè anche il canto è musica, ma spesso veniva semplicemente accompagnato). Lo stesso Verdi, ad un certo punto, rifiuterà commissioni da parte di teatri che non disponessero di un ottimo direttore d'orchestra (e in Italia – in grave ritardo rispetto al resto d'Europa – solo pochi teatri ne disponevano).
Tuttavia anche il linguaggio verdiano resterà sempre autoreferenziale: non apre prospettive nuove (lo stesso Otello e Falstaff sono saldamente ancorati alla tradizione melodrammatica). E' un cerchio chiuso: splendido, geniale, ma privo di sviluppi. Al contrario di Puccini che davvero rivoluziona l'opera e traghetta quel che resta del melodramma nella grande cultura musicale europea (per non parlare poi del fatto che apre la strada ai nuovi generi, al musical e al cinema). Lo stesso Verdi non capiva Puccini. Credo non vi sia nulla di offensivo in questo. Tra Rossini e Puccini, l'Italia vive musicalmente "tra parentesi", impermeabile a spunti europei e soprattutto autarchica. Non si fa dunque alcuna classifica, ma si rileva solo un dato fattuale: Schubert e Mendelssohn portano all'opera romantica tedesca e poi a Wagner. Così come Rossini influenza Wagner e il grand-opéra francese. Lo stesso Wagner porta al cromatismo e all'espressionismo. Ma anche a Strauss. Per non parlare delle scuole nazionali (penso a quella russa). E vogliamo parlare dell'influenza di Bach, Handel e Mozart? O la rivoluzione classicista beethoveniana (che apre a Schubert, Schumann, Berlioz). O Reger che porta a Mahler e Bruckner. E poi Schonberg e Berg. Donizetti? Verdi? Certo si è sviluppato un sottobosco di minori che ne hanno scimiottato la genialità (Mercadante, Pacini, Apolloni etc..). Ma se – PER ASSURDO – si dovessere togliere perderemmo "solo" della splendida grandissima musica. E non sarebbe perdita da poco, intendiamoci. Ma se elimino Mozart, quel che viene dopo non sarebbe più come noi lo conosciamo. Sono discorsi teorici ovvio, ma che fanno riflettere. Naturalmente chi preferisce riflettere invece che insultare e "vomitare bile".
Inutile rispondere, poi ad amenità quali "i direttori d'orchestra sono analfabeti del canto". E' già, Cesco…forse ne capisci più di Verdi o di Wagner…mi inchino a tanta sapienza. E ti lascio tutti i battisolfa del mondo, o sono ancora meglio i pianisti accompagnatori? Certo che il direttore come servo del cantante è concetto che almeno da Handel in poi non si sentiva più (tra persone civili). Un ultimo suggerimento: allarga gli orizzonti, la musica non finisce con l'opera, e l'opera non si esaurisce nel melodramma.
@Duprez
E quindi???
La tua lezione di storia della musica è interessante anche se nei toni è un po' presuntuosa, così declamata come se i tuoi interlocutori non ne sapessero niente… sai, qua siamo tutti ignoranti vociomani, plebei che di musica non capiscono niente!
Sbaglio o si parlava del ruolo del direttore d’orchestra nell’opera??? Non si stava parlando dell’inettitudine di tanti direttori nell’affrontare questo repertorio???
Il tuo discorso qual è, l'opera italiana tra Rossini e Puccini non ha influenzato la musica occidentale e quindi i direttori fanno bene ad ignorarla o peggio a bistrattarla? E' questo che stai dicendo? La tua lezioncina di storia della musica vuole essere solo un pezzo di bravura a se stante, oppure serve ad argomentare qualcosa? Puoi arrivare al dunque?
Grazie.
Con questo chiudo la polemica con Giulia Grisi. Continuo a dire che non capisco. Io non ho mai pronunciato la parola "Università", non ho mai pronunciato la parola "professore", soltanto il mio nome. La questione dell'università è stata sollevata da altri. Non capisco che cosa c'entri io. Ho parlato con tutti, ho cercato a tutti di dare le mie ragioni. Avrò fatto qualche sberleffo, ma nessuno impediva agli altri di rendermeli. Se la gente sa solo minacciare e usare un tono pesante, se l'ironia le fa difetto, la colpa non è mia. Ho apprezzato moltissimo l'intervento di Escamillo, il solo ad aver compreso pienamente il significato delle parole sacrosante di Duprez, i cui scritti apprezzo sempre di più, per il loro senso della prospettiva storica e l'equilibrio che li motiva. Ho cercato forse di evangelizzare a sproposito, sostenendo con diversi interlocutori che Schubert, nel genere canto e pianoforte, è un compositore un poco (ma solo un poco) più importante di Tosti, ma tant'è; mi sono ritrovato novello Sant'Antonio, intento sulla sponda di un fiume o di un lago a predicare a trote, coregoni e lucci, tutto sommato più flessibili nell'ascolto che non alcuni miei stimabili interlocutori.
A presto (o mi devo considerare espulso?)
Marco Ninci
Niente espulsioni, epurazioni o purghe, caro Ninci, ma in avvenire cerca di astenerti, se puoi, dall'etichettare i tuoi interlocutori, che certo non abbisognano di siffatte etichette.
Rispomdo a Davide:
1) la riflessione sull'importanza storico-musicale di un certo repertorio (da taluno messa in discussione) è, ovviamente, questione ben distinta dal personale gradimento di pubblico, critica e addetti ai lavori, tuttavia non mi sembra un MALE parlarne, ogni tanto, soprattutto quando si tende a confondere il piano dei propri gusti (legittimi) con quello della esegesi storica;
2) riflettere criticamente, poi, non significa precludersi il mero "godimento" nell'ascolto delle note (io ho grande piacere nell'ascoltare Maria Padilla – soprattutto se ben eseguita – però non mi nascondo che trattasi di musica di poco valore: e va benissimo, Donizetti non aveva pretese superiori in questo caso);
3) su Donizetti: non si tratta di roba mediocre o capolavori, né della bellezza di alcune pagine, semplicemente di considerare dei dati di fatto – che nulla insegnano né contano nella valutazione estetica, intendiamoci – piuttosto dell'aspetto tecnico e storico che tali musiche hanno avuto. Dire che mentre Rossini ha aperto un mondo, Donizetti ha "ravanato" nel suo ristretto orticello (salvo nelle fasi finali della carriera), non significa che Donizetti faccia schifo e che vada eliminato. Resta il genio che tutti amiamo.
4) sui direttori: di nuovo si confonde gusto con dati fattuali. Hai ragione nel dire che la maggior parte delle sinfonie di Verdi siano brani di scarsissimo valore (ma Donizetti non è certo da meno: penso che a lui vadano ascritte alcune tra le ouvertures più brutte della storia del melodramma), ma proprio l'interpretazione di Abbado o Karajan riesce a trasformare quelle "cose" in grande musica. E questo, di per sé, varrebbe già a dimostrare la necessità di un direttore che non si limiti a battere il tempo e accompagnare i cantanti. Perché non hanno inciso quelle di Donizetti? Questione di gusti, credo (fermo restando l'irrimediabile bruttezza di talune). Del resto Abbado non ha mai inciso nulla di Puccini. Ogni interprete ha il diritto di scelta. No?
5) Donizetti, poi, resta un bravo orchestratore, certo, ma nella media della musica italiana dell'epoca (Bellini era ben peggiore in questo). E all'epoca, l'Italia era quasi al terzo mondo in questo campo (basti pensare che Mercadante, veniva considerato un "maestro" di contrappunto…e la cosa faceva GIUSTAMENTE sganasciare dal ridere il povero Nicolai, che ben conosceva la differenza tra contrappunto bachiano, forma sonata etc…e i canoni elementari che si insegnavano pure nei cori parrocchiali di Roccacannuccia). Del resto basta leggersi un trattato di armonia o contrappunto per avvedersene. Nell'Italia del melodramma inserire qualche assolo e uscire dagli accompagnamenti ad arpeggio era considerato "roba da tedeschi". Che poi Donizetti piaccia a me e a te non significa nulla: sono gusti, ma considera che mentre il "grande bergamasco" scriveva quella robaccia che è la sinfonia di Maria Stuarda, ad esempio, Schubert era già morto (e aveva scritto quel che sappiamo), Mendelssohn era in piena attività e Rossini scriveva lo Stabat Mater.
6) circa l'accusa di sopravvalutazione di Karajan: non so dove tu possa trovare "fracassona" la sua Lucia (che trovo invece molto lirica e poetica, interessata anche a far sentire musica, e non solo accompagnare il canto) salvo per la nefasta presenza di un Di Stefano al solito sguaiato e verista, laddove pure Schippers fa della discreta routine (parole non mie, ma di Celletti). Stesso dicasi per Rescigno o Cleva o Molinari-Pradelli. Poi naturalmente tu puoi benissimo preferire costoro a Karajan o ad Abbado, ma, senza offesa, mi sembra improbabile che tutti siamo stati presi da abbagli, condizionamenti radical chic e influenze esterne, e guardiamo con indulgenza all'"indegno" Karajan, non comprendendo la sublimità di Rescigno.
Poi giustamente ognuno avrà le sue passioni. Ma non vorrei, ripeto, confondere il piano del giudizio storico con quello delle mere preferenze.
Eh no, carissimo JLD, non ci sto proprio a quella "robaccia" con cui qualifichi l'Ouverture della Maria Stuarda. D'accordo, non è la Semiramide o la Vestale, ma è onestissimo lavoro che, proprio come dici tu, se diretto da qualcuno in gamba e non dall'ammorbante Parry renderebbe di più (la Roberto Devereux di Haider/Mackerras è degnissima, o la Don Pasquale Muti/Caldwell o Torquato Tasso di De Bernart). Altrimenti non si capisce perché tale discorso debba valere invece per l'Oberto e la Giovanna d'Arco che invece diventano alle tue orecchie "grande musica". Qui ritorna il discorso dei condizionamenti che facevo… Senti della musica, associ Verdi-Karajan/Abbado-potente performance ne plus ultra e trai la conseguenza bella musica. Anch'io faccio così, per carità… Ma Donizetti meriterebbe uguale considerazione. E poi gli austraci vanno orgogliosi e di Mozart/Schubart e dei loro valzer. Perché noi si deve sminuire i nostri prodotti? Insomma, non discuto (troppo) i gusti delle GRANDI BACCHETTE, che facciano quel che vogliono, ma poi non si debbono trarre giudizi in base ad essi, ma mantenere una propria indipendenza. L'avete sentito Muti da Fazio? Il suo compositore preferito è Verdi (ma non erano Gluck e Cherubini?). Nessuno mi leva dalla testa che oltre ad una passione genuina per il Nostro di Busseto ci siano anche quei condizionamenti extra di cui sopra (della serie che diventi popolare e amato se fai Verdi, non se fai Cherubini, anche tradendo il tuo impulso originario). Ciao D.C.
Mercoledì 17 novembre
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A parte qualche eccezione i grandi della bachetta non si interessano al repertorio operistico a cabaletta, un grande direttore dirigerà più facilemente un Franco Cacciatore o un Lohengrin piuttosto che una Norma o un Nabucco, e se si interessa al repertorio operistico intaliano dirigerà più facilmente Otello e Falsatff o Puccini. Questo penso che non dipenda dallo snobbismo ma semplicemente dal fatto che nell'opera ad aria e cabaletta l'orchestrazione è povera e quinda da poca materia prima al direttore per brillare, sinfonicamente è senza interesse. Questa povertà non è dovuta a un deficit dei compositori in questione ma all'esigenza della poïetica stessa di tale genere, è una concezione che da il primato assoluto al canto e l'orchestra serve solo ad accompagnarlo, essa esiste solo in funzione di esso, non possiede autonomia sinfonica, se mi si permette l'espressione, è solo accompagnamento. Coloro che hanno da ridire sull'orchestra di Donizetti Bellini o il del primo Verdi mi fanno pensare a coloro che arricciavano il naso davanti ai quadri di Tiziano e Tintoretto affermando che non sapevano disegnare paragonandoli a Michelangelo e Raffaello. Sono concezioni diverse con esigenze diverse, il colore per esprimersi doveva liberasi dal disegno e dalla forma plastico-lineare, così come nel belcanto l'orchestra non può prevaricare, lo stile e la stessa scrittura vocale e melodica lo impediscono.
La figura del direttore d'orchestra in senso moderno nasce proprio con Carl Maria von Weber. Nell'opera italiana da Haendel al primo Verdi l'orchestra si limitava a seguire il cantante nei suoi intenti e bisogni, c'è un trattato di Leopold Mozart su come l'orchestra a teatro debba stare attenta a seguire il cantante nelle sue esigenze! il direttore in senso moderno NON serve, pretenderlo è antistorico, antibelcantistico e snatura l'essenza stessa di tale repertorio.
Per le sudette ragioni sono convinto che una belcantista come la Sutherland abbia avuto perfettamente ragione ad esigere SOLO il marito, che è stato in campo belcantistico un grande accompagnatore, ma purtroppo ha dimostrato le sue debolezze e i suoi limiti quando ha dovuto affrontare opere più sinfoniche.
Per quanto riguarda la storia della musica sono d'accordo con Duprez ad eccezione della solita solfa su Mozart! Beethoven e Schubert sarebbero impensabili senza Haydn compositore molto più importante di Mozart il quale stesso Mozart non esisterebbe senza Haydn!
Compositori più importanti di Mozart sono stati quelli della scuola di Mannheim, tanto per dire che Stamitz è MOLTO più importante di Mozart perchè senza di lui non ci sarebbe stato nemmeno Haydn. Ma penso che Haydn Schubert e Beethoven sarebbero tranquillamente esistiti senza Mozart.
io penso chi piu chi meno tutti hanno contribuito al progresso della musica.
Non sono d'accordo con Semolino su Mozart che è stato una pietra miliare nella composizione e concenzione musicale,anche se è vero che Beethoven si è ispirato e iniziato da Haydn.
Se Mozart non fosse esistito la linea musicale dei decenni successivi sarebbe cambiata,naturalmente questa è un ipotesi,ritengo una discussione dei musicologi su questo argomento molto interessante e istruttivo
Dunque, ricapitoliamo. Nell'opera italiana da Haendel al primo Verdi il direttore in senso moderno non serve. Quindi non serve circa dalla prima metà del Settecento ai primi anni Quaranta dell'Ottocento. Quindi non serve per le Nozze di Figaro, per il Don Giovanni, per Così fan tutte (quanta fatica inutile hanno fatto Furtwaengler, Krauss, Jochum, Boehm, Busch, Walter, Abbado, Muti etc.),
per tutto il Rossini comico, con buona pace di Abbado, per il Rossini serio, con buona pace di Muti. Per parafrasare un'espressione ora molto di moda, mi pare un taglio un po' troppo orizzontale. Poi vorrei far notare a Semolino che sicuramente Haydn sarebbe esistito senza Mozart (la sua nascita precede quella di Mozart di ventiquattro anni), ma Haydn non avrebbe avuto lo sviluppo che ha avuto senza Mozart. Infatti se è vero che noi dobbiamo all'incontro di Mozart con i quartetti op. 33 di Haydn uno dei vertici della musica occidentale (certe volte sono tentato di definirli "il" vertice), i"Sei quartetti dedicati ad Haydn", è vero anche che lo stile di Haydn non è più stato lo stesso dopo quell'incontro, né nel quartetto né nella musica sinfonica. I quartetti a partire dall'op. 50, i grandi esiti sinfonici della maturità haydniana non sono pensabili senza la grande lezione dell'orchestra mozartiana.
Marco Ninci
Marco Ninci
Oh là, bravo Semolino, hai espresso meglio di chiunque quel che volevo dire io! L'oggi bistrattatissimo Haydn (e Kraus)ebbe un'influenza decisiva su tutti i successivi (da Mozart a Rossini passando per l'allievo Ludwig Van), va rimarcato; ciò tuttavia non sradica Mozart dall'Olimpo da cui guarda tutti dall'alto. Sull'accompagnamento belcantista non bisogna sminuire troppo gli italiani, volete che non fossero consci di queste differenze? Verdi in una tarda lettera scriverà con decisione che l'opera italiana non è e non deve essere "instrumentale" (nel senso di costruzioni armoniche raffinate, contrappunti, e quant'altro)… Insomma, il concetto è: dopo aver fatto le giuste precisazioni storico-tecniche alla JLD (come al solito impeccabili) ci si goda la buona musica, come Muti, che ad un recente concerto alla Camera ha dato la 5a di Beethoven e ha chiosato con l'Ouverture del Don Pasquale, premettendo pressapoco: "Qualcuno storcerà il naso, l'accoppiamento sarà considerato inadatto (MA PERCHE' DIAVOLO, DICO IO?), ma sapete che vi dico? Non me ne importa nulla!". L'ho già fatto sto paragone, ma repetita iuvant: il grande cinema non è solo il profondo Bergman, è anche il tranche de vie di Hitch. Saluti D.C.
P.S. Spero la divina non si riferisse alla presente discussione, che, ancorché fuori tema, IMHO non è affatto banale (visto che in fondo è da queste considerazioni che nascono le scelte che portano sui palchi dei teatri questo o quel programma o che determinano le vendite dei cd da Ricordi & Co.) e oltretutto è civilissima, e da parte mia di massima stima per gli interlocutori.
Il criterio adottato da Semolino implica che ci sia una sfasatura fra opera italiana e opera tedesca. Il direttore d'orchestra moderno nasce con Weber. La sua attività si situa più o meno negli anni venti dell'Ottocento, come negli anni venti si situano i suoi sublimi tre capolavori operistici. Nel repertorio italiano (non solo in Italia) c'è evidentemente un ritardo di circa venti anni, fino ai capolavori del primo Verdi. Quindi il direttore in senso moderno non è qui necessario. E' un'idea come un'altra, la quale si fonda però su un presupposto necessario: l'opera crea la necessità dei propri interpreti in un parallelismo assoluto e coerente. Un tipo di opera esige un tipo di interpreti. Questo implica lo stabilirsi di categorie fisse e rigide. Un certo tipo di opera esigerà sempre un approccio di un certo genere. Direttore di tipo moderno l'Euryanthe, direttore di tutt'altro genere una delle opere napoletane di Rossini o la Semiramide, nonostante la complessità orchestrale. Appunto per la sfasatura di cui si diceva. Io penso che questo ragionamento non stia in piedi. Perché non sta in piedi questo parallelismo. Un'opera, specialmente una grande opera, proietta al di là di se stessa le proprie esigenze, che sono superiori ai mezzi che sono consentiti nel momento in cui è creata. Io non voglio parlare né di Mozart né di Rossini. L'ho già fatto. Ma anche la Norma, pur con le sue abnormi esigenze vocali, che bisogna fare di tutto per rispettare ed esaltare, ha tutto da guadagnare dall'esecuzione di un grande direttore, di un Levine, di un Muti, anche se questi in un simile repertorio non possono rimediare alla mancanza di purezza della linea vocale. Ma il loro valore interpretativo non è semplice servizio alle voci, è coerenza, brillantezza orchestrale, slancio, mordente; cose che l'anmmirevole filologia di un Bonynge non può dare. E per fare un paragone: la tragedia francese del Seicento non sa nulla né di linguistica né di psicanalisi. Dal proprio seno estrae canoni interpretativi diversi e coerenti con i tempi. Ma non per questo esclude che la si possa interpretare con i canoni della linguistica strutturale e della psicanalisi e non con l'analisi dei contenuti biografici alla Sainte-Beuve. Perché essa può incarnare il suo significato di letteratura, con i referenti psicologici, sociali ed artistici corrispondenti, in una sfaccettatura infinita. Ogni tempo può dire qualcosa su di lei, e sempre giustamente. Senza di questo noi non avremmo avuto uno dei più bei testi di critica letteraria in Italia del secondo dopoguerra: "Lettura freudiana della 'Phèdre'" di Francesco Orlando, Einaudi 1971.
Marco Ninci
Scusi, Davide, ma da dove tira fuori questa stranissima idea che Haydn sia oggi bistrattato? E da chi? Non c'è quartetto d'archi che non abbia in repertorio tutti i suoi molti e sublimi capolavori.I grandi cicli sinfonici sono presenti in tutte le stagioni concertistiche e in pregevoli edizioni discografiche. La "Creazione" l'ho ascoltata più volte dal vivo, diretta da direttori del calibro di Muti, Sawallisch, Karajan, con cantanti come la Janowitz, Van Dam, la Ludwig. Brendel ha fatto delle sonate di Haydn un suo cavallo di battaglia, eseguendole in tutto il mondo. Non capisco proprio. Non parliamo poi della reputazione di cui gode criticamente.
Marco Ninci
Premetto che fare classifiche è giochino sterile – e quasi mi pento di averlo cominciato io – tuttavia non è sterile discutere sul ruolo di un compositore nell'ambito della storia musicale. Questo naturalmente non implica la privazione del mero "gusto estetico": in ambito esecutivo si deve seguire solo il gusto e il gradimento o meno di un compositore e di un repertorio, non piò certo discendere dall'importanza di questo nella storia musicale. Accostare Beethoven a Don Pasquale, non è un'eresia, né un insulto, né un azzardo. Se entrambi gli autori sono ben eseguiti, sarà solo una serata di grande musica.
Detto questo rispondo ai diversi spunti.
DAVIDE: ho parlato dell'overture della Stuarda perchè la ritengo una delle cose più brutte scritte da Donizetti – gusto personale? anche – di certo appare come un lavoro svogliato, chiassoso e con l'unica finalità di avvertire il pubblico in sala do prendere posto poichè lo spettacolo sta cominciando! Per dire, non ha nulla a che vedere con quella del Don Pasquale (frutto, GUARDA CASA, dell'ultimo periodo donizettiano, scritta per Vienna, con la consapevolezza che non bastavano 4 accordi e due arpeggi per il pubblico austriaco). Certo se è ben diretta può essere quasi piacevole (esattamente come quella di Giovanna d'Arco). Fosse per me la ometterei da qualsiasi rappresentazione della Stuarda (è solo una aggiunta tardiva).
SEMOLINO: sono perfettamente d'accordo – il mio discorsao era riferito ad altro -nel senso che le esigenze dell'opera e quelle della musica sinfonica restano differenti. Tuttavia nello stesso periodo in cui in Italia si sfornavano Regine e Duchesse, in cui l'orchestra era mero accompagnamento, altrove la tecnica orchestrale (anche nell'opera) era assai più rifinita. Penso a Weber. Ma restando all'Italia, non si può negare una certa scadenza tecnica se si confronta Cimarosa o Piccinni o Paisiello, a Donizetti, Pacini, Mercadante, Bellini etc… Col che non dico assolutamente che le opere di costoro siano "inferiori" alle prime! Devo dire, poi, che nonostante il melodramma italiano sia oggettivamente povero dal punto di vista della scrittura musicale, ciò non significa che in mano a bacchette più consapevoli potesse rivelare prospettive nuove e inimmaginate.
Ps: lo stesso Verdi, che scrisse come l'opera non deve essere "istumentale" appare come boutade che lascia il tempo che trova ed appare assai divertente, soprattutto in bocca a Verdi, che primo tra gli autori del melodramma, ad un certo punto pretese la figura del direttore d'orchestra (altrimenti non accettava commissioni)..senza contare che nel Falstaff contrappunti, fughe e forma-sonata vengono largamente utilizzate. Insomma è l'ennesimo esempio della mancata corrispondenza tra ciò che Verdi scrive e ciò che fa (come il famigerato "torniamo all'antico e sarà progresso").
Non sono affatto d'accordo su Mozart che, per me, resta il punto di svolta nella storia musicale occidentale. Senza nulla togliere ad Haydn (della cui omissione mi scuso). Basta in effetti guardarne la produzione operistica: tanto rivoluzionaria quella di Mozart quanto scontata quella di Haydn. Aldilà dei gusti e dell'interesse (andrei molto volentieri ad ascoltare Il mondo della Luna o L'isola disabitata, piuttosto che l'ennesimo Don Giovanni).
MARCO: la sfasatura tra opera tedesca e opera italiana della medesima epoca è evidente. E la mancata propensione dei geandi direttori ad eseguire partiture complesse ed elaboratissime come il Rossini francese e napoletano, risiede anche in eventi storici e culturali che hanno portato alla scomparsa di un dato repertorio, fagocitato dal più facile e commerciale melodramma. Oltre che dal ritardo culturale in cui versava l'Italia dell'800. La stessa cosa si ha nel campo editoriale musicale: mentre a Parigi la partitura a stampa e la pubblicazione dello spartito era diffuso fin dagli anni '40 del secolo, in Italia si dovrà aspettare sino al tardo Verdi. Sintomatico dello stato delle cose, direi.
Caro Duprez, il mio discorso non era assolutamente quello a cui tu rispondi. Certo che c'è una sfasatura fra opera di stile italiano e opera tedesca.Io assumevo soltanto le premesse di Semolino e ne contestavo le conseguenze, dimostrando (o almeno credo) che l'opera di stile italiano, anche antecedente al primo Verdi, può avere in sé la necessità della presenza di un direttore inteso in senso moderno. E poi ne traevo la conseguenza generale sul fatto che l'opera d'arte ha in sé possibilità infinite, cosa che la teoria di Semolino nei fatti nega. Scusa, ma io sono abituato a ricostruire con la massima esattezza la posizione del mio interlocutore, magari anche in alcuni presupposti impliciti, per poi ragionare con lui. E' quello che ho fatto con Papageno, con Cesconegre, con Francesco Benucci, con tutti.
Marco Ninci
Da umile ma attento lettore di questo blog e dei commenti sulle recensioni, confesso la mia perplessità riguardo agli sviluppi delle recenti discussioni. Aprire continue parentesi non aiuta certo la chiarezza del confronto, i cui toni spigolosi sono – purtroppo- ineludibili in questo paese.
Passando al tema del dibattito e cercando di evitare la selva di "se…" a cui sono piuttosto allergico, condivido la preoccupazione di alcuni riguardo all'inadeguatezza di alcuni direttori d'orchestra a gestire la vocalità dei protagonisti all'interno di un certo repertorio operistico quale quello in cui si inquadra la Carmen, ma non me la sento di addossare a questi, specie se molto giovani, la colpa di una recita non riuscita.
Molto banalmente mi tornano alla memoria le parole di un direttore d'orchestra di una certa esperienza, collaboratore ai tempi di Serafin, che al primo giorno di sala della produzione di un’opera disse ancor prima di sedersi: “mettiamo subito in chiaro che qui dentro non c’è uno che comanda e gli altri che eseguono, l’opera si fa insieme, siamo qui per far musica tutti assieme e da questa capacità di collaborazione dipende il risultato dello spettacolo”
Banale, ma molto chiaro.
In un’opera lavorano più di 200 persone. A mio modo di vedere il problema più evidente, ma non l’unico, è che spesso ognuna di queste 200 – in particolar modo chi ha maggiori responsabilità individuali, sia esso cantante, regista, direttore o sovrintendente – arriva al primo giorno di produzione con un’idea dell’opera non so quanto chiara, ma sicuramente molto rigida. E non la discute.
Essere rigidi non aiuta la collaborazione: ci si chiude, ci si ostina, si va a creare un clima di malumore e spesso si arriva al litigio, mentre le situazioni “critiche” vanno sedimentandosi una sull’altra; situazioni nelle quali uno o più elementi non si trovano a proprio agio, il che in sede di spettacolo non aiuta.
L’aspetto più preoccupante della vicenda è che questo clima lo si respira anche nella piccola provincia, cioè nella fucina di nuove leve per il futuro. Che per colpa di questo meccanismo non hanno la possibilità di riflettere sui propri limiti e quindi di imparare davvero: tanto è colpa di un altro…
Alcuni teatri, in tutta risposta a questo problema, vanno a risparmiare sul direttore di palcoscenico, figura cruciale in una produzione, uno dei pochi ad avere la possibilità di mediare tra le diverse esigenze.
Ecco, questa è miopia. Ma d’altronde chi ha detto che i responsabili dei teatri vengono scelti in base al loro “occhio”?
Ma ho capito benissimo, caro Ninci, solo che temo vi sia una sovrapposizione tra due differenti aspetti, quello della possibilità e quello della realtà. Che vi sia una profonda cesura tra realtà europea e realtà italiana nell'opera ottocentesca, nessuno lo mette in dubbio; che tale cesura derivi da sviluppi culturali diversi ed esigenze estetiche differenti (nonchè da altre sensibilità estetiche) nessuno lo nega. Ma pure nessuno nega l'utilizzo di strumenti di infinita varietà nel leggere testi del passato, strumenti anche estranei alla cultura in cui i suddetti testi venivano formandosi. Nessuno nega – tanto meno io – che il melodramma (ma anche le farse più innocue e "commerciali") si avvantaggerebbero dalla presenza di un direttore d'orchestra inteso in senso "moderno". Sono almeno 70 commenti che riportano questo mio convincimento, tuttavia un conto sono le possibilità (infinite, stimolanti, splendide etc…) altro discorso è la "cruda realtà": il melodramma italiano post rossiniano si è adagiato su convenzioni e ha dedicato molta più attenzione al cantante, tanto da trascurare l'aspetto orchestrale. Spesso la strumentazione avveniva a ridosso delle prove, o durante le stesse, era inaccurata, largamente improvvisata e poco cristallizzata nella pagina scritta (a differenza del resto d'Europa, in Italia sino agli anni '60/70, opereranno ancora i copisti dei teatri, mentre altrove già vi era una seria industria editoriale). Questo non significa che il grande direttore non serva a nulla: tutt'altro, aprirebbe orizzonti largamente "imprevisti" anche dagli stessi compositori. Semolino – che non necessità certo di un avvocato d'ufficio – semplicemente fotografa una situazione di fatto. Nulla dice in merito alle infinite possibilità di lettura di un certo repertorio. Questo neppure significa dividere il mondo musicale in serie A e serie B. Semplicemente vi sono livelli differenti. E dati di fatto oggettivi: aldilà di gusti, suggestioni e possibilità (stimolantissime). Poi ovviamente vi è la prova del nove dell'esecuzione: se ascolto i Puritani diretti da Bonynge ammiro le splendide performance vocali, l'efficacia dell'accompagnamento, la meraviglia dell'esibizione vocale; se ascolto quelli diretti da Muti, sconterò un dato vocale meno strabiliante (salvo un Kraus fantastico), certo, ma ascolto una "vera" direzione d'orchestra…tesa, poetica e perfettamente autonoma. A ognuno le sue preferenze, io – personalmente – preferisco la seconda. Ma ripeto, sono solo gusti.
Scusami, Duprez (mi piacerebbe poterti chiamare per nome, almeno quello, se non per cognome, vista la comunanza di tante nostre idee), ma Semolino non fotografa una situazione di fatto. La sua affermazione è, come di consueto, assoluta: la presenza di un direttore inteso in senso moderno snatura l'essenza dell'opera italiana da Haendel al primo Verdi. Punto e di qui non si scappa, per saecula saeculorum: "La figura del direttore d'orchestra in senso moderno nasce proprio con Carl Maria von Weber. Nell'opera italiana da Haendel al primo Verdi l'orchestra si limitava a seguire il cantante nei suoi intenti e bisogni, c'è un trattato di Leopold Mozart su come l'orchestra a teatro debba stare attenta a seguire il cantante nelle sue esigenze! il direttore in senso moderno NON serve, pretenderlo è antistorico, antibelcantistico e snatura l'essenza stessa di tale repertorio". Credo di averlo interpretato bene.
Ciao
Marco Ninci
Per Semolino l'opinione di Leopold Mozart sul repertorio italiano dell'epoca predetta vale come un Vangelo; il rapporto direttore- voci non può essere diverso da quello che ne pensavano all'epoca e amen. Il Maestro Muti, al momento di eseguire la "Donna del lago", o esce dalla sua pelle moderna per conformarsi a quei canoni o è meglio che sia dia all'ippica, perché cade nella negazioone della storia. Tant'è.
Marco Ninci