Pure secondo la mia opinione vi sono destinatari di misericordia.
Dell’opinione espressa sono convinto ed oggettivamente confortato da quella che per parte del pubblico e per quasi tutti gli addetti ai lavori sono una vera croce, ossia gli ascolti comparati.
Premessa prima
Al giorno d’oggi non esistono voci di autentico contralto e con la terminologia ottocentesca la cautela è d’obbligo, quando mezzosoprano era sinonimo di seconda donna sotto la qualifica di contralto militavano e mezzosoprani acuti come Giuditta Pasta o Geltrude Righetti Giorgi ed autentici contralti come Rosmunda Benedetta Pisaroni. A complicare le idee: la medesima Pisaroni saliva al do 5, probabilmente utilizzando quell’emissione, che veniva definita “falsetto femminile” e la Righetti Giorgi scendeva al sol sotto il rigo, ma il baricentro della voce della Pisaroni era più basso di quello di Geltrude. A mezza strada e per estensione e per tessitura le parti scritte per Marietta Marcolini e l’unica pensata per Adelaide Malanotte (Tancredi). A parte il vero monstre delle voci gravi femminili, ossia il Falliero dell’omonimo titolo, scritto per Carolina Bassi Manna, di tale complessità e peculiarità da imporre, salvo un caso, considerevoli accomodi nelle moderne riprese del titolo.
Al di là del nome il problema rimane uno solo adeguatezza tecnica ed interpretativa delle odierne cantanti ad affrontare i titoli pensati per contralto.
Premessa seconda
La voce di mezzosoprano, come tutte e voci femminili, ha il cosiddetto primo passaggio che cade in zona do 3 e che costituisce il vero problema, perché i mezzosoprani, prese dall’ansia di esibire suoni scuri per non dire maschili, incorrono in emissione forzate e scurite sul passaggio che in breve tempo spaccano la voce in due, dando luogo a quello che si chiama in gergo “buco” o “scalino”.
Per sentire come mezzosoprani di assoluto controllo tecnico gestiscano le zone critiche della voce propongo tre ascolti:
a) Zara Dolukhanova nell’aria dall’Amadigi
b) Sigrid Onegin nella famosa scena “O Prêtres de Baal” del Profeta
c) Ebe Stignani in quella contralteggiante della Cieca di Gioconda.
Per capire l’ubi consistam del cantante ed interprete rossiniano, lo abbiamo detto molte, volte basta leggere le pagine di Stendhal quando parla di accenti nascosti, quando descrive la varietà di accento di Giuditta Pasta nel dire una frasetta assolutamente elementare, sotto il profilo vocale come “Tremar Tancredi” e basta aver chiaro che il modello di tecnica, la declinazione della perfezione più volta vaneggiata e rimpianta da Rossini, è il suono astratto, levigato, prerogativa dei castrati, pregio non solo tecnico, ma anche mezzo interpretativo, in quanto elideva qualsivoglia realismo e naturalismo. Per averne un’idea, certo incompleta e parziale, perché il gusto era tramontato è sufficiente sentire l’esecuzione di “Ah non credea mirarti “ di qual che avanza della Patti o di Amelita Galli Curci in confronto e contrasto con quella, altrettanto pregevole, di Maria Callas.
Il contralto rossiniano, come tutti i personaggi del melodramma italiano del primo ottocento si esprime in situazioni standard, ovvero recitativo, aria (in genere in tempo andante o andantino) e cabaletta. Questi numeri rispondono ad uno standard drammaturgico ben preciso del personaggio, che esplica nel recitativo quanto accade o prova, amplia il sentimento nell’aria e, a seguito dell’intervento di un personaggio o della modificazione della situazione canta una seconda sezione in tempo veloce, sì da giustificare il proseguire dell’opera e della musica per un certo numero di scene. In ogni caso il personaggio dell’opera belcantista è astratto dalla realtà dalla situazione contingente. Rossini non racconta un sentimento lo contempla, lo esibisce sul piedistallo quel piedistallo su cui si ergono eroi ed eroine dei suoi drammi.
I RECITATIVI
Con il solito sistema della comparazione, abbiamo scelto l’arrivo di Falliero, trionfatore in battaglia e che reputa di aver diritto nella vita privata alla gratifica per la vittoria militare. Dalla contrastata pretesa iniziano i suoi guai o, per dirla con Foscolo, le situazioni tragiche e un altro arrivo, quello di Arsace, pure lui innamorato, ma guardingo in un luogo sacro ed ignoto, anche lui all’inizio di una topica serie di situazioni drammatiche, che lo renderanno re e matricida e quasi un novello Edipo.
Premetto, ancora contralto profondo Arsace, mezzo acuto Faliero . Nei recitativi la regola, anzi l’obbligo, era non andare a tempo per dare rilevanza al testo ed alle esigenze drammatiche. Solo che in Bianca e Falliero le ornamentazioni, come le terzine di “in questo istante aduna”, impongono nettezza di esecuzione e scansione, difficoltosa perchè siamo nel passaggio dalla zona media alla grave. Subito emerge la differenza di esecuzione fra Martine Dupuy e Daniela Barcellona. La conseguenza interpretativa è che il controllo del fiato del Falliero del Rof 1989 consente di essere larga e fiera alla frase “che il temuto leone pur vince e regna”, mentre quello del 2005 alle prese con il mi 3, che chiude la frase, emette un suono mal sicuro e l’effetto drammatico va perso. Lo stesso effetto è precluso al “patria” conclusivo, perchè il fa acuto di Daniela Barcellona non è al proprio posto nella maschera e la preoccupazione della cantante per il controllo del suono non la fa accentare, come previsto in partitura.
Quanto all’altro recitativo, quello che introduce Arsace nel tempio,ometto qualsivoglia osservazione sulle scelte che ciascuna delle cantanti proposte in ascolto effettua alla chiusa sul “qui volava sull’ali dell’amore”, dove sia la Horne che la Dupuy rivelano il loro essere mezzi acuti e con pochi inserimenti e scelte di dinamica imprimano la loro –differente- sigla interpretativa. Devo rilevare come il vero mezzo soprano, o quanto meno la voce più dotata in natura, ossia Daniela Barcellona, alle prese con le frasi più gravi come “ è questo di Belo il tempio” ed il sol basso di “sacro rispetto” evochi non già l’eroe e il mistero, che evoca l’ambiguità del registro grave femminile, ma la Quickly, perchè il suono non raccolto e sostenuto sul fiato è privo dello smalto, dell’astrattezza dovute e, quindi, l’interprete della capacità evocativa delle altre due artiste, che, pure, costruiscono per mera tecnica quella zona della voce.
In un altro post quest’estate abbiamo comparato l’esecuzione dell’arietta “Ah che scordar non so” di Marilyn Horne e Lucia Valentini, la cui qualità naturale per bellezza e rotondità supera quella della collega, anche perchè di autentico mezzo soprano, come, oggi, Daniela Barcellona. Eppure la Barcellona in una scrittura vocale che non presente difficoltà (salvo un paio di duine e qualche terzina), eseguita alla lettera senza gli “abbellimenti” e l’esasperata dinamica della Horne,è in difficoltà appena si scenda sotto il rigo, emette suoni gonfiato artificiosamente sulla a e sulla o, ovvero stretti in gola quando cadano una “i” e nel salto dal do centrale al mi abbiamo l’esempio perfetto di suoni “nel fiato” e non “sul fiato” e, pertanto di perfetta opacità. La solitudine, il dolore, la contenuta disperazione dell’eroe vengono colte solo dai fans e non da chi ascolti con le orecchie delle centrali del consenso, a suo tempo ben descritte dal solito Celletti.
Quando, poi, l’andante del contralto è quello, in tessitura gravissima e di suo molto fiorita, di Malcolm Groeme o di Arsace nella cosiddetta scena del tempio andare a caccia di imperizie tecniche e ovvie e conseguenti carenze interpretative è prima che cattivo, inutile. Gli ascolti comparati sono da soli eloquenti e confermano che con suoni dal do grave in giù fuori della maschera ( non che lo siano quelli più sopra, ma la natura è generosa e, perciò, mistificatrice ) e acuti spinti dal fa 4 in su (quei pochi scritti o che vengono interpolati) il legato è compromesso, la linea vocale procede a strappi. In pratica il controllo del fiato serve ora a Marilyn Horn, ora a Martine Dupuy -entrambe con linee vocali accomodate- a spiegarci che l’oppressione del cor non è la fatica di cantare e che il sogno di possedere Elena non è la smania di possesso sessuale della Bouillon. E chi abbia chiaro che l’arte di Rossini non rappresenta, ma idealizza, DEVE cogliere la differenza.
Poi i difensori di ufficio ripeteranno che le cantanti, scelte ad esempio, ricorrano ad accomodi e trasporti. Difesa priva di argomenti e più ancora antistorica perchè Rossini iniziò, bambino, la propria carriera predisponendo accomodi ed accomodi, trasporti e varianti autografe di Rossini superano e di molto le prime versioni del Maestro.
E poi ad accomodi nella ardua scrittura di Faliero ricorre anche Daniela Barcellona. Anche Marilyn Horne aveva abbassato la cosiddetta scena delle catene, che alla cabaletta conclusiva “ del mio morir la perfida” prevede una doppia salita al do5 e tessitura piuttosto alta. In tono esegue le catene Martine Dupuy.
Ma in merito all’interpretare Rossini l’oggetto di riflessione non è la tonalità di esecuzione quanto la capacità di una Dupuy di reggere un tempo lento, che conferisce all’agitato “tu non sai qual colpo” ampiezza e tragicità, o meglio ad esemplificare quello che, per noi, sono ampiezza e tragicità che sono la peculiarità di una scena ove apertamente Rossini parafrasò Beethoven. Sottolineo nell’esecuzione del mezzo soprano marsigliese la precisione di esecuzione della fiorettatura, ovvero la serie di duine di “umana voce” e “sino il pianto a me mancò” eseguite a mezza voce e con grande suggestione, contrapposta all’impeto drammatico dell’inizio della scena. Tutto questo nel tempo esageratamente veloce staccato dalla Barcellona manca, ma per reggere il tempo solenne del Faliero Rof 1989 ovvero la scrittura ampiamente diminuita di Marilyn Horne, che come stacco dei tempi è a mezza strada, occorre, more solito, una distribuzione del fiato di altra tempre e di altra scuola.
Anche qui l’abusata difesa “ma non avete sentito la Bassi” oppure “non ci sono i dischi della Bassi” è solo una scadente difesa d’ufficio vuoi perchè il cantante oggi come all’epoca della Bassi doveva, per superare quel settimo grado della vocalità, cantare in un solo modo, che è quello che consente di esemplificare il sublime tragico per dirla con Stendhal. In difetto non si è interpreti e neppure cantanti. Il timbro di qualità in un musicista, che non ha mani parlato di “bella voce” come pure non ne hanno mai parlato i suoi primi esegeti, nulla può, a maggior ragione, in una scrittura vocale, che è un ballo sulle punte e dove è “bella” la voce emessa in maniera ortodossa.
LE CABALETTE
La terza situazione drammatica in cui il cantante rossiniano è chiamato ad esprimere la propria arte è la cabaletta, che prevede la ripetizione con varianti dell’esecutore. E qui sorgono alcuni problemi: la capacità di rispettare la scrittura vocale, che nel tempo diviene sempre più minuta; la difficoltà di inserire in una scrittura vocale, che nel corso della produzione rossiniana è sempre più diminuita, ulteriori ornamentazioni; l’obbligo irrinunciabile per essere interprete rossiniano di destare stupore e meraviglia per la facilità di esecuzione e la fantasia degli abbellimenti. Scontato dire che l’abbellimento deve essere predisposto per esaltare la qualità del vocalista e per ampliare l’idea interpretativa.
Quando taluni Flamini della filologia rossiniana riciclano gli abbellimenti per cantanti dalle caratteristiche differenti assistiamo all’ennesimo truffaldino tradimento di Rossini.
Invito al confronto nella cabaletta di Arsace fra la Horne e la Dupuy, che, seguendo la propria natura, abbelliscono e fioriscono in zona acuta; poi e giustamente ciascun ascoltatore ha le proprie preferenze, rilevando la maggior fluidità della vocalizzazione della Horne o quella degli acuti e la fantasiosa fluidità dei trilli della Dupuy. In entrambe le cantanti non percepiamo la fibra della voce, la difficoltosa esecuzione di terzine e quartine e dei cosiddetti passaggi di registro, che comportano, inesorabile conseguenza, la scarsa fantasia degli inserimenti, il sistematico evitare le zone estreme della voce tanto che i “da capo” sono quasi letterali e gli abbellimenti non amplificano nulla, ma sanno tanto di espletamento di un dovere d’ufficio.
Spiace per chi mi ritenga da TSO, per chi propagandi la terza generazione di cantanti rossiniani, quale esempio di dedizione alla musica e non di esibizione della propria bravura, come se Rossini avesse scritto per cantanti di tecnica scadente e con la presunzione che la terza generazione sia di esempio per le future, che infatti non appaiono all’orizzonte, ma siamo cresciuti con il piacere dionisiaco del suono morbido e rotondo, della variazione ardita del pianissimo o del trillo nella zona più scomoda della voce senza compromettere la qualità del suono e dell’emissione. E solo ai cantanti, magari non perfetti, ma con queste qualità siamo disposti a riconoscere la qualità di interprete rossiniano.
Buon ascolto!
Gli ascolti
Rossini
Tancredi
Atto II
Ah, che scordar non so – Marilyn Horne (1983), Lucia Valentini-Terrani (1985), Daniela Barcellona (2005)
La donna del lago
Atto I
Elena, o tu che chiamo – Martine Dupuy (1990), Daniela Barcellona (2004)
Atto II
Fato crudele e rio – Martine Dupuy (1990), Daniela Barcellona (2004)
Bianca e Falliero
Atto I
Inclito prence – Martine Dupuy (1989), Daniela Barcellona (2005)
Atto II
Va, crudel – Martine Dupuy & Lella Cuberli (1989), Daniela Barcellona & Maria Bayo (2005)
Tu non sai qual colpo atroce – Martine Dupuy (1989), Daniela Barcellona (2005)
Maometto II
Atto II
Non temer d’un basso affetto – Marilyn Horne (1969), Daniela Barcellona (2008)
Semiramide
Atto I
Eccomi alfine in Babilonia – Marilyn Horne (1969), Martine Dupuy (1990), Daniela Barcellona (2005)
Oh, come da quel dì – Marilyn Horne (1969), Martine Dupuy (1990), Daniela Barcellona (2005)
Atto II
In sì barbara sciagura – Marilyn Horne (1969), Martine Dupuy (1990), Daniela Barcellona (2005)
Haendel
Amadigi di Gaula
Atto I
Ah! spietato, e non ti muove – Zara Dolukhanova (1958)
Meyerbeer
Le Prophète
Atto V
O prêtres de Baal – Sigrid Onégin (1929)
Ponchielli
La Gioconda
Atto I
Voce di donna o d’angelo – Ebe Stignani (1927)
Mi chiedo perché non aver fatto riferimento agli unici due veri contralti in gran forma 30-20 anni quali Ewa Podles e Bernadette Manca di Nissa.
Peraltro due interpretazioni e due stili molti diversi nell'affrontare Rossini (vedi Tancredi) che meriterebbero una riflessione!
EWA PODLES
Tancredi
http://www.youtube.com/watch?v=WRsmQIzxnR8&translated=1
Donna del lago
http://www.youtube.com/watch?v=tuihcLIU-ow&translated=1
Maometto II
http://www.youtube.com/watch?v=GjmCgOIkhPY
Semiramide
http://www.youtube.com/watch?v=BjuRJTZhNgQ&translated=1
Rinaldo
http://www.youtube.com/watch?v=joh6kaUvBNM&translated=1
BERNADETTE MANCA DI NISSA
Tancredi
http://www.youtube.com/watch?v=yR9MWfRh36g
Semiramide (con Ildebrando d'Arcangelo)
http://www.youtube.com/watch?v=Sq23-bDtZW4
Gazza ladra (con Katia Ricciarelli)
http://www.youtube.com/watch?v=pEUjjjhW460&translated=1
Questi ascolti però non fanno altro che peggiorare le cose ^_^
(che sadici)
Marianne Brandt
Bellissimo post, bello bello bello bello!!! L'ho letto con gioia!!
Donzelli, grazie per questo servizio che svolgi per noi appassionati oltreché per la musica di Rossini!!
Solo un sordo, dopo aver comparato questi istruttivi ascolti, non confermerebbe che la Barcellona è la negazione del canto!! E con la Barcellona, tante altre e tanti altri…
Viva sempre Rossini e viva sempre il "bel canto", cioè l'unico vero modo di cantare, che non è solo strumento tecnico, ma che è anche traguardo interpretativo, in quanto lo stile si realizza prima di tutto attraverso l'astrattezza e la levigatezza del suono. E non solo in Rossini! C’è un solo modo di cantare!! UNO SOLO!!
Ancora grazie.
Il Tancredi della Podles mi è sempre piacuto.
Grazie a Donzelli per il testo e gli ascolti meravigliosi.
bellissimo, bravo Donzelli!!
P.S.: io credo che la vera "cattiveria" non siano gli ascolti comparati con Horne e Dupuy vs Barcellona, ma "die Drei Damen" che hai messo come ascolti finali. CHE MERAVIGLIA! grazie grazie grazie
Maometto II
Bellissimo post.
Miei super complimenti!
La Dolukhanova in certi suoni assomiglia Dame Janet Baker.
"O pretres" della Onégin conoscevo già e mette un pò di vergogna in giro a colleghe più "moderne".
La cara Stignani di "Voce di donna" cosa è!!! Riascoltarla è sempre una meraviglia e un balsamo alle orecchie. Non esistono parole.
Spero che questi ascolti vengano apprezzati per la loro "istruzione".
Ancora grazie.
La Dolukhanova in certi suoni assomiglia Dame Janet Baker.
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Cosa c'entra una cantante dall'emissione ingolata e dai suoni aspri come la Baker con una canatante come la Dolukhanova che possedeva una emissione immascheratissima con suoni tersi e cristallini!