La qualità vocale preziosa ed unica, la conseguente sfolgorante carriera e la fama, che ancor oggi investe Rosa Ponzillo, in arte Rosa Ponselle, sono uno dei miti più duraturi dell’opera. E con moltissime ragioni. Maria Callas medesima sempre dichiarò di essersi appassionata al melodramma grazie all’ascolto delle registrazioni di Rosa Ponselle e di essersi inspirata a lei.
Mai cantanti, a parte una misurata comunanza di repertorio, furono più differenti.
Di qualità eccezionale la voce della Ponselle, sempre discussa sotto questo profilo quella della Callas, che, però, era estesissima in alto mentre Rosa Ponselle pativa negli acuti estremi e nelle tessiture acute. Donna molto bella, spontaneamente femminile e dotata di un fisico da attrice la Ponselle, grassa, goffa sino ad un ricercato, voluto ed esagerato restyling la Callas. Carriera esclusiva al Met la Ponselle, rapporto tardo e conflittuale quello della Callas con il massimo teatro americano. In comune l’essere americane di nascita, figlie di immigranti, Norma e Vestale, che la Callas, si dice abbia voluto cantare per la Ponselle, che a sua volta assumeva la qualità di “riposo per la voce“ per la parte di Giulia, che, per contro, le testimonianze in studio e live documentano costar sforzo alla Divina Maria. Aggiungo esordi non proprio facili quelli della Callas, che fuggitiva dagli Stati Uniti trovò in Italia ospitalità personale ed artistica; debutto come cantante d’opera “buona la prima” quello di Rosa al Met, protagonista di Forza del destino la sera del 15 novembre 1918. Era, appunto, il debutto in scena della figlia di immigranti, praticamente imposta da Caruso, che era alla ricerca di parti centrali, le più consone alle sue condizioni vocali nella fase finale della carriera. La Ponselle, però, era arrivata a quella scrittura dopo un’audizione, al cospetto del gotha del Met. L’audizione ed i commenti molto realistici delle colleghe di area mitteleuropea (chi riferisce Frieda Hempel, chi la Schumann-Heink) fanno parte anch’essi, se non della storia, almeno della cronaca e del gossip d’annata del teatro d’opera.
Ma una cosa è certa: Rosa resse il debutto e al Met ci rimase sino alla stagione 1937. Il debutto fu un trionfo, anche se la critica non si associò ai pena a del pubblico, rilevando come la voce avesse del soprano drammatico il colore ed il peso in zona bassa e media, ma fosse carente in quella acuta.
Della medesima opinione Giacomo Lauri Volpi in Voci parallele, che parla di una sorta di terrore della Ponselle ad emettere Si naturali e Do acuti. Per quanto mi consta mai nessun critico, per certo affascinato dal timbro raggiante e splendido della Rosa napoletana, ha mai indagato e dubitato di eventuali limiti tecnici della cantante, neppure Rodolfo Celletti che nelle grandi voci elogia anche il virtuosismo della Ponselle ed alla fine la antepone sia a Giannina Arangi Lombardi che a Rosa Raisa. Io dissento. Invito ad ascoltare l’attacco di “D’amor sulle ali rose”, piuttosto che il duetto del Trovatore con Riccardo Stracciari e si percepirà nella zona grave e del primo passaggio che la cantante emette suoni, che possono definirsi aperti o almeno non adeguatamente sostenuti, donde l’impressione di suoni aperti o chiocci.
Poi certo più sopra il centro la voce della Ponselle è dolce, femminile, calda, duttile e rotonda, perché, credo, la natura era stata non generosa, ma generosissima. Ed infatti il primo passaggio difettoso porta immediatamente più sopra, non solo agli acuti periclitanti (vedi il do dei Cieli azzurri) ma alla difficoltà nelle tessiture acute così come accade con gli staccati del “Vedi per noi si affretta” del duetto della Tomba con Radames.
Non sarà certo un caso che nelle ultime due stagioni di carriera la Ponselle si limitò ad eseguire Carmen e Cavalleria Rusticana e che a quarant’anni di età la carriera fosse terminata.
Il limite vocale della Poselle, fra l’altro, è assai meno percepibile quando la cantante esegue passi di agilità come accade nel duetto con Adalgisa o più ancora nel Bolero dei Vespri dove gli staccati sono davvero precisi e la qualità tecnica del suono esemplare. Tutto questo ci dice, credo, che affascinata dal soprannome “Caruso in gonnella”, dall’indubbia qualità del centro la cantante tendesse a compiacersi di questa zona della voce, oltretutto con il primo passaggio piuttosto difettoso e con i noti risultati nella zona acuta.
Chi sentì in teatro la voce della Ponselle o anche chi, come Beverly Sills la udì cantare negli anni ’50 parla di una bellezza fisica del suono come poche altre cantanti.
Tebaldi e Leontyne Price.
E’ evidente quindi che le registrazioni, pure quelle elettriche, rendono un cattivo servizio a Rosa Ponselle. Come accade per tutte le voci particolarmente ricche e dotate.
C’è poi un ultimo aspetto della cantante italoamericana, quello dell’interprete. Da un lato Rosa Ponselle è priva (salvo che nel ruolo di Carmen) da qualsivoglia caduta di gusto e di stile di molti soprani spinti coevi.
L’interprete è però solo misurata e contenuta e mai sentiremo nei brani della Ponselle quelle “trovate” da interprete di una Claudia Muzio ma anche di altri soprani drammatici del tempo, come la Arangi Lombardi, Raisa e Leider, certamente composte, ma con risorse tecniche che si trasformavano in uscite di grandi interpreti.
D’altra parte né teatri frequentati (in pratica il solo Metropolitan, oltre a due stagioni al Covent Garden di Londra e due recite al Maggio Musicale Fiorentino 1933) né il repertorio furono estesi e vari, se pensiamo che mai la Ponselle affrontò un titolo Pucciniano o Wagneriano in un tempo in cui fuori dal Metropolitan Wagner veniva eseguito costantemente in italiano.
Con tutti questi limiti dalle registrazioni emerge costante, continuo e vorrei dire impertinente che nessun soprano abbia mai vantato, nella storia del disco dieci note del colore, della bellezza e della compattezza di questa figlia di immigranti trasformata in diva del muto.
E perdonatemi, non è poco, anche se non è tutto!
Mai cantanti, a parte una misurata comunanza di repertorio, furono più differenti.
Di qualità eccezionale la voce della Ponselle, sempre discussa sotto questo profilo quella della Callas, che, però, era estesissima in alto mentre Rosa Ponselle pativa negli acuti estremi e nelle tessiture acute. Donna molto bella, spontaneamente femminile e dotata di un fisico da attrice la Ponselle, grassa, goffa sino ad un ricercato, voluto ed esagerato restyling la Callas. Carriera esclusiva al Met la Ponselle, rapporto tardo e conflittuale quello della Callas con il massimo teatro americano. In comune l’essere americane di nascita, figlie di immigranti, Norma e Vestale, che la Callas, si dice abbia voluto cantare per la Ponselle, che a sua volta assumeva la qualità di “riposo per la voce“ per la parte di Giulia, che, per contro, le testimonianze in studio e live documentano costar sforzo alla Divina Maria. Aggiungo esordi non proprio facili quelli della Callas, che fuggitiva dagli Stati Uniti trovò in Italia ospitalità personale ed artistica; debutto come cantante d’opera “buona la prima” quello di Rosa al Met, protagonista di Forza del destino la sera del 15 novembre 1918. Era, appunto, il debutto in scena della figlia di immigranti, praticamente imposta da Caruso, che era alla ricerca di parti centrali, le più consone alle sue condizioni vocali nella fase finale della carriera. La Ponselle, però, era arrivata a quella scrittura dopo un’audizione, al cospetto del gotha del Met. L’audizione ed i commenti molto realistici delle colleghe di area mitteleuropea (chi riferisce Frieda Hempel, chi la Schumann-Heink) fanno parte anch’essi, se non della storia, almeno della cronaca e del gossip d’annata del teatro d’opera.
Ma una cosa è certa: Rosa resse il debutto e al Met ci rimase sino alla stagione 1937. Il debutto fu un trionfo, anche se la critica non si associò ai pena a del pubblico, rilevando come la voce avesse del soprano drammatico il colore ed il peso in zona bassa e media, ma fosse carente in quella acuta.
Della medesima opinione Giacomo Lauri Volpi in Voci parallele, che parla di una sorta di terrore della Ponselle ad emettere Si naturali e Do acuti. Per quanto mi consta mai nessun critico, per certo affascinato dal timbro raggiante e splendido della Rosa napoletana, ha mai indagato e dubitato di eventuali limiti tecnici della cantante, neppure Rodolfo Celletti che nelle grandi voci elogia anche il virtuosismo della Ponselle ed alla fine la antepone sia a Giannina Arangi Lombardi che a Rosa Raisa. Io dissento. Invito ad ascoltare l’attacco di “D’amor sulle ali rose”, piuttosto che il duetto del Trovatore con Riccardo Stracciari e si percepirà nella zona grave e del primo passaggio che la cantante emette suoni, che possono definirsi aperti o almeno non adeguatamente sostenuti, donde l’impressione di suoni aperti o chiocci.
Poi certo più sopra il centro la voce della Ponselle è dolce, femminile, calda, duttile e rotonda, perché, credo, la natura era stata non generosa, ma generosissima. Ed infatti il primo passaggio difettoso porta immediatamente più sopra, non solo agli acuti periclitanti (vedi il do dei Cieli azzurri) ma alla difficoltà nelle tessiture acute così come accade con gli staccati del “Vedi per noi si affretta” del duetto della Tomba con Radames.
Non sarà certo un caso che nelle ultime due stagioni di carriera la Ponselle si limitò ad eseguire Carmen e Cavalleria Rusticana e che a quarant’anni di età la carriera fosse terminata.
Il limite vocale della Poselle, fra l’altro, è assai meno percepibile quando la cantante esegue passi di agilità come accade nel duetto con Adalgisa o più ancora nel Bolero dei Vespri dove gli staccati sono davvero precisi e la qualità tecnica del suono esemplare. Tutto questo ci dice, credo, che affascinata dal soprannome “Caruso in gonnella”, dall’indubbia qualità del centro la cantante tendesse a compiacersi di questa zona della voce, oltretutto con il primo passaggio piuttosto difettoso e con i noti risultati nella zona acuta.
Chi sentì in teatro la voce della Ponselle o anche chi, come Beverly Sills la udì cantare negli anni ’50 parla di una bellezza fisica del suono come poche altre cantanti.
Tebaldi e Leontyne Price.
E’ evidente quindi che le registrazioni, pure quelle elettriche, rendono un cattivo servizio a Rosa Ponselle. Come accade per tutte le voci particolarmente ricche e dotate.
C’è poi un ultimo aspetto della cantante italoamericana, quello dell’interprete. Da un lato Rosa Ponselle è priva (salvo che nel ruolo di Carmen) da qualsivoglia caduta di gusto e di stile di molti soprani spinti coevi.
L’interprete è però solo misurata e contenuta e mai sentiremo nei brani della Ponselle quelle “trovate” da interprete di una Claudia Muzio ma anche di altri soprani drammatici del tempo, come la Arangi Lombardi, Raisa e Leider, certamente composte, ma con risorse tecniche che si trasformavano in uscite di grandi interpreti.
D’altra parte né teatri frequentati (in pratica il solo Metropolitan, oltre a due stagioni al Covent Garden di Londra e due recite al Maggio Musicale Fiorentino 1933) né il repertorio furono estesi e vari, se pensiamo che mai la Ponselle affrontò un titolo Pucciniano o Wagneriano in un tempo in cui fuori dal Metropolitan Wagner veniva eseguito costantemente in italiano.
Con tutti questi limiti dalle registrazioni emerge costante, continuo e vorrei dire impertinente che nessun soprano abbia mai vantato, nella storia del disco dieci note del colore, della bellezza e della compattezza di questa figlia di immigranti trasformata in diva del muto.
E perdonatemi, non è poco, anche se non è tutto!
Gli ascolti
Rosa Ponselle
Bellini – Norma
Atto I
Sediziose voci…Casta Diva…Ah! Bello a me ritorna (1929)
Atto II
Mira, o Norma (con Marion Telva – 1929)
Di Capua – Maria Marì (1925)
Foster – My old Kentucky home (1925)
Halévy – La Juive
Atto II
Il va venir (1929)
Atto II
Sur mes genoux (1925)
Rossini – Guglielmo Tell
Atto II
Selva opaca (1929)
Spontini – La Vestale
Atto II
Tu che invoco (1926)
O nume tutelar (1926)
Tosti – A vucchella (1926)
Verdi – Ernani
Atto I
Ernani, Ernani involami (1929)
Verdi – Il trovatore
Atto IV
D’amor sull’ali rosee (1923)
Mira d’acerbe lagrime (con Riccardo Stracciari – 1923)
Verdi – I Vespri siciliani
Atto V
Mercé, dilette amiche (1926)
Verdi – Aida
Atto III
O patria mia (1923)
Riemerso da poco da un periodo in cui non ho trovato mai un attimo per scrivere nemmeno un rigo da queste parti…mi rifaccio del tempo perduto, non già per rinfocolare polemiche ormai fortunatamente sopite (anche se vorrei almeno dire che il penultimo post a me è veramente piaciuto tanto: l'ho trovato di una intelligenza alla quale di questi tempi, è difficile abituarsi), ma per ringraziare di questo, ennesimo ultimo e bellissimo post. Era da molto che mi aspettavo questa (promessa) disamina sulla voce d'oro della Ponselle:
trovo, come al solito, centratissimo il punto di vista. Mi permetto di aggiungere che GLV faceva intendere che il limite in zona acuta, più che tecnico, fosse psicologico. Poi si può chiaramente replicare che si "soffre" se si è incerti etc. Ma, penso che il punto sia proprio quello che scrivevi tu (mi permetto il tu in ragione della grande stima che i suoi/tuoi scritti mi ispirano): una voce tanto bella nel centro (più che bella direi, ricca, generosa etc…) tende naturalmente all'autocompiacimento. E' quasi un problema fisiologico (non della sola Ponselle, intendo).
Cari saluti, MB
caro commendator battistini,
francamente non usare termini da santificazione ed agiografia per la ponselle non è facile e mette a rischio di insulti, che attendo.
Le voci che si sono autocompiaciute le abbiamo sentite tutti a finire con Lucia Valentini e per cominciare con Renata Tebaldi ed Anita Cerquetti, che in una intervista dichiarò che da ragazza eseguiva la scena di Violetta con il mi bem. Testimonianza, quella relativa alla grande Anita, che mi è giunta anche da altre persone ed indirettamente da colleghi.
credoc he ad una voce eccezionale per dote la registrazione arrechi cospicui limiti e danni, però scusate quando sento Leider (cui dedicherò ben due puntate perchè siamo dinnanzi ad un autentico mostro sacro) Arangi-Lombardi, Raisa ed anche la mia predilette Elisabeth Rethberg sono prontissimo a riconoscere di non sentire lo strumento unico di Rosa Ponselle, ma sento altro e sotto il profilo di interprete e sotto il profilo della completezza della tecnica di canto. Forse è un mio limite. Io a quel maggio musicale 1933 dove si esibirono in un mese Ponselle, Arangi-Lombardi e Raisa ( seppure alla fine della carriera) avrei proprio voluto assistere. Mi preparo psicologicamente per la cantatrice fiorentina di cotesta serata Violeta Urmana e mi ….zzo!!!
saluti e grazie veramente per l'apprezzamento, sincere, pertinente e senza penna bicolore delle prof di latino e greco di un tempo!!
dd
callas e ponselle cantanti diverse: di fronte alle argomentazioni apportate, direi di sì (è stato un interessante spunto di riflessione, però se si compara, ad esempio, il "nume tutelar" io trovo tantissimi elementi in comune, gli accenti, il fraseggio: la somiglianza è sbalorditiva, tanto da rendere lapalissiano il fatto che la callas si sia ispirata alla ponselle per fare norma e giulia.
Anche io ritorno dopo un po' di tempo a mostrarvi l'attenzione che ben meritate.
Rosa Ponselle. Parafrasando la Strepponi viene proprio da esclamare: "Che voos!"
Nulla da aggiungere a quanto detto da Donzelli, al quale rivolgo solo qualche osservazione del tutto personale sulla sua "dissenting opinion" rispetto a quella di Celletti. Ho ascoltato i punti che indicavi (anche io mi permetto di usare il "tu", sol perché rende più fluido il colloquio) e ad essere sincero non ho trovato aperto l'attacco di "D'amor sull'ali rosee" né prive di appoggio le note basse nel duetto trobadorico. Semmai ho sentito il tutto tenuto, accortamente, alto. E ben avanti, posto che per me un suono aperto è necessariamente arretrato.
Quanto al Do dei "Cieli azzurri", si avverte effettivamente una lieve flessione della nota quasi a denotare una vaga incertezza; ma l'imprecisione è a mio avviso così minima che sta lì solo a ricordarci che anche rosa Ponselle fu umana.
Quanto al confronto con la Arangi e la Raisa, beh… meschino il giudice di cotanto titanico scontro!
Ma volendo fare proprio due appunti limitatamente ai passaggi dal Trovatore da te portati ad esempio, devo confessare che nell'aria di Leonora, proprio alle prime battute, preferisco la Ponselle alla Raisa (mi riferisco alla registrazione del '18 reperibile su Youtube), laddove la Raisa porta il il suono su "D'amor" poi rende udibili come se fossero due sonori colpi di glottide in "sull'a.." e "..li rosee".
Quanto al duetto, ho fatto un confronto con quello Arangi lombardi – Galeffi. Mah… l'unica differenza che trovo, ad essere sincero, non è tecnica ma espressiva: la coppia Galeffi Arangi è sicuramente più vibrante.
Che ne dici?
Per concludere, un ringraziamento per queste monografie: quando parlate delle voci del passato a mio modesto parere date il meglio di voi stessi.
E a proposito di promesse, Donzelli, non so se ricordi, ma o tu o Tamburini tempo fa mi diceste che non era troppo lontata una puntata sul baritenore. Io ridò una voce, speranzoso di essere prima o poi esaudito!
t.
arriveranno anche i baritenori. E non solo quelli meno-ambito del canto rossiniano. Quanto alla sorelle è il solito caso delle voci d'oro, ossia che i difetti sono molto difficili da sentire.
Ammetto che tantissime cose della Ponselle mi lasciano sbigottito ogni volta che mi capita di sentirla. La pura bellezza ed omogeneità della linea vocale, ed insieme la compostezza del canto e l'agilità davvero insolita, per una voce così ricca di corpo.
Vi confesso però che, la prima volta che sentii il suo "Sediziose voci" (era anche la prima volta in assoluto che sentivo la Ponselle), non potei fare a meno di "saltare sulla sedia" pensando che era lei la vera ed unica antesignana della Callas! …davvero impressionanti certe similitudini, da brivido lungo la schiana, al di là delle notorie differenze di estensione e di omogeneità nelle loro voci "naturali".