I tempi in cui il pubblico madrileno divideva i propri favori per i grandi tenori come Roberto Stagno ed Angelo Masini sono tramontati irreparabilmente.
L’esame della stagione della capitale spagnola dà conferma, se mai ne avessimo avuto bisogno, dei due mali che affliggono il teatro d’opera e che, credo, ne stanno accelerando la fine, ossia la carenza di elementi, in qualsiasi corda, che possano dividere i favori del pubblico e la assoluta soggiacenza ai dettami delle grandi centrali del consenso, che paghe della propria insipiente opinione, pretendono di imporla al pubblico con ogni mezzo, buono o cattivo, lecito o meno.
Per loro l’importante è vendere e se il prodotto è avariato non si cerca una alternativa, bensì si continua ad infliggerlo al pubblico.
Potrei anche piantarla qui perchè le doglianze, nello specifico, riferite alla programmazione madrilena sono le stesse riservate agli altri teatri, un tempo i GRANDI TEATRI.
Il primo errore è sempre quello di scegliere i titoli senza disporre dei cantanti idonei. Basta pensare alla follia di proporre Ugonotti, sia pure in forma di concerto, piuttosto che Montezuna di Graun. Denominati l’opera delle sette stelle gli Ugonotti nello schieramento della capitale spagnola di stelle non ne presentano punto, anzi certi nomi di comprovato declino (Massis) o di palese inadeguatezza (il protagonista, Eric Cutler) servono solo a provare la qualità dei soggetti deputati alle scelte, prima ancora che dei prescelti interpreti. Analogo discorso per Montezuma che come tutti i titoli d’occasione e di rapido consumo si regge solo se i protagonisti rendono facili le previste difficoltà vocali e ne aggiungono altre di propria iniziativa. Inutile richiamare il famoso disco di dame Joan.
Quanto poi alla motivazione della scelta ossia celebrazione della conquista mi permetto di “tirar fuori” un titolo ben più affascinante ossia Fernando Cortez e se si voleva scegliere soli titoli dedicati al colonialismo post scoperta dell’America forse non sarebbe bastata un’intera stagione. Basta leggere la Garzantina !!!!!
Ancora i nostri e gli stranieri programmatori credono di ammorbidire e secondare il pubblico servendo pietanze, rectius cantanti, ormai più che stagionati, decotti. Accade ad esempio con Placido Domingo nel ruolo di Oreste dell’Ifigenia in Tauride. Dimostrano, invece, la cupidigia e la mancanza di coraggio e la forza di accettare l’ineluttabile decorso del tempo per quanto riguarda i cantanti, la poca fantasia e l’assenza di pensieri alternativi alla communis opinio da parte degli organizzatori.
Altra zecca delle nostre attuali programmazioni è la foia di svecchiare e culturalizzare il pubblico e allora dosi massicce di ‘900 post Strauss e Puccini, così il pubblico sente titoli, che hanno giusto qualche anno in meno delle incriminate Turandot e Capriccio, ignora la maggior parte della produzione del ‘900 (di qualità o di routine che sia) ed i responsabili della programmazione superano il problema che non ci sono più cantanti per il repertorio. E il pubblico di quindici titoli si sorbetta Il giro di vite, la Ascesa e caduta di Mahagonny e il San Francesco d’Assisi di Messiaen. Tanto per capire che aspetta il pubblico madrileno ricordo che nel Giro di vite si produrranno Emma Bell, di recente salutata da fischi nel don Giovanni scaligero e una vecchia gloria come Marie McLaughlin, che il tributo di fischi, sempre in Scala, lo lucrò nell’anno di Dio 1987 quale Adina di Elisir d’Amore.
E per proseguire sulla strada della modernità abbiamo anche l’opera nuova e prodotta apposta per il teatro, ovvero La pagina en blanco. Mi domando se questo titolo al pari di quelli operistici di 150 anni or sono godrà della stessa durata sui palcoscenici, ovvero una stagione. Mi limito a segnalare il proficuo scambio di voci fra teatri di pari gestione rappresentato da Natascha Petrinsky che fischiante Flora all’ultima Traviata milanese lucra un ruolo in questa première.
Poi abbiamo la modernità nell’antico ovvero l’infliggere al pubblico le versioni baroccare di titoli, quali la Finta giardiniera, anche credendo che il sovvertire la tradizione musicale e, prima ancora vocale, sia la strada per far conoscere ed amare questi titoli, che , invece, ed alla faccia dei modaioli si reggono sull’ortodossia del canto e dell’esecuzione.
Quindi alla fine rimangono cinque titoli ossia Werther, Rosenkavalier, Eugenio Onegin, Nozze e Tosca. I cantanti prescelti sono quelli che abitano i vari cosiddetti grandi teatri, in alcuni dei quali applauditi ospiti in altri riprovati. Secondo una regola che è ben più antica dei singoli episodi per i quali solo oggi si cercano astruse scusanti e motivazioni.
Vorrei però rilevare, al di là dei nomi consunti come Violeta Urmana Tosca, Susan Graham protagonista di Ifigenia, Ramón Vargas di Werther ed in altro cast la Ganassi Charlotte o non altrove proponibili come il Cherubino di Alesandra Marianelli o la Sofia di Ofelia Sala, che due sono i motivi sui quali, chiudendo, invito a riflettere ovvero come l’idea di proporre titoli non dico sconosciuti (Chatterton di Leoncavallo, piuttosto che Maria di Scozia di Pacini), ma un minimo al di fuori di quei trenta abusati (ossia Iris o Maria di Rohan) sia assolutamente non recepita e contemplata e come grandi bacchette ormai rifiutino o evitino il grande repertorio o la grande tradizione. Basta guardare chi accompagna, dirige, concerta Tosca ed Ugonotti.
Non me la sento, in tutta onestà di augurare buon ascolto ai melomani madrileni che un tempo impazzivano per acuti e smorzature tenorili, quelli che Ugonotti e Werther, almeno, impongono!!!
L’esame della stagione della capitale spagnola dà conferma, se mai ne avessimo avuto bisogno, dei due mali che affliggono il teatro d’opera e che, credo, ne stanno accelerando la fine, ossia la carenza di elementi, in qualsiasi corda, che possano dividere i favori del pubblico e la assoluta soggiacenza ai dettami delle grandi centrali del consenso, che paghe della propria insipiente opinione, pretendono di imporla al pubblico con ogni mezzo, buono o cattivo, lecito o meno.
Per loro l’importante è vendere e se il prodotto è avariato non si cerca una alternativa, bensì si continua ad infliggerlo al pubblico.
Potrei anche piantarla qui perchè le doglianze, nello specifico, riferite alla programmazione madrilena sono le stesse riservate agli altri teatri, un tempo i GRANDI TEATRI.
Il primo errore è sempre quello di scegliere i titoli senza disporre dei cantanti idonei. Basta pensare alla follia di proporre Ugonotti, sia pure in forma di concerto, piuttosto che Montezuna di Graun. Denominati l’opera delle sette stelle gli Ugonotti nello schieramento della capitale spagnola di stelle non ne presentano punto, anzi certi nomi di comprovato declino (Massis) o di palese inadeguatezza (il protagonista, Eric Cutler) servono solo a provare la qualità dei soggetti deputati alle scelte, prima ancora che dei prescelti interpreti. Analogo discorso per Montezuma che come tutti i titoli d’occasione e di rapido consumo si regge solo se i protagonisti rendono facili le previste difficoltà vocali e ne aggiungono altre di propria iniziativa. Inutile richiamare il famoso disco di dame Joan.
Quanto poi alla motivazione della scelta ossia celebrazione della conquista mi permetto di “tirar fuori” un titolo ben più affascinante ossia Fernando Cortez e se si voleva scegliere soli titoli dedicati al colonialismo post scoperta dell’America forse non sarebbe bastata un’intera stagione. Basta leggere la Garzantina !!!!!
Ancora i nostri e gli stranieri programmatori credono di ammorbidire e secondare il pubblico servendo pietanze, rectius cantanti, ormai più che stagionati, decotti. Accade ad esempio con Placido Domingo nel ruolo di Oreste dell’Ifigenia in Tauride. Dimostrano, invece, la cupidigia e la mancanza di coraggio e la forza di accettare l’ineluttabile decorso del tempo per quanto riguarda i cantanti, la poca fantasia e l’assenza di pensieri alternativi alla communis opinio da parte degli organizzatori.
Altra zecca delle nostre attuali programmazioni è la foia di svecchiare e culturalizzare il pubblico e allora dosi massicce di ‘900 post Strauss e Puccini, così il pubblico sente titoli, che hanno giusto qualche anno in meno delle incriminate Turandot e Capriccio, ignora la maggior parte della produzione del ‘900 (di qualità o di routine che sia) ed i responsabili della programmazione superano il problema che non ci sono più cantanti per il repertorio. E il pubblico di quindici titoli si sorbetta Il giro di vite, la Ascesa e caduta di Mahagonny e il San Francesco d’Assisi di Messiaen. Tanto per capire che aspetta il pubblico madrileno ricordo che nel Giro di vite si produrranno Emma Bell, di recente salutata da fischi nel don Giovanni scaligero e una vecchia gloria come Marie McLaughlin, che il tributo di fischi, sempre in Scala, lo lucrò nell’anno di Dio 1987 quale Adina di Elisir d’Amore.
E per proseguire sulla strada della modernità abbiamo anche l’opera nuova e prodotta apposta per il teatro, ovvero La pagina en blanco. Mi domando se questo titolo al pari di quelli operistici di 150 anni or sono godrà della stessa durata sui palcoscenici, ovvero una stagione. Mi limito a segnalare il proficuo scambio di voci fra teatri di pari gestione rappresentato da Natascha Petrinsky che fischiante Flora all’ultima Traviata milanese lucra un ruolo in questa première.
Poi abbiamo la modernità nell’antico ovvero l’infliggere al pubblico le versioni baroccare di titoli, quali la Finta giardiniera, anche credendo che il sovvertire la tradizione musicale e, prima ancora vocale, sia la strada per far conoscere ed amare questi titoli, che , invece, ed alla faccia dei modaioli si reggono sull’ortodossia del canto e dell’esecuzione.
Quindi alla fine rimangono cinque titoli ossia Werther, Rosenkavalier, Eugenio Onegin, Nozze e Tosca. I cantanti prescelti sono quelli che abitano i vari cosiddetti grandi teatri, in alcuni dei quali applauditi ospiti in altri riprovati. Secondo una regola che è ben più antica dei singoli episodi per i quali solo oggi si cercano astruse scusanti e motivazioni.
Vorrei però rilevare, al di là dei nomi consunti come Violeta Urmana Tosca, Susan Graham protagonista di Ifigenia, Ramón Vargas di Werther ed in altro cast la Ganassi Charlotte o non altrove proponibili come il Cherubino di Alesandra Marianelli o la Sofia di Ofelia Sala, che due sono i motivi sui quali, chiudendo, invito a riflettere ovvero come l’idea di proporre titoli non dico sconosciuti (Chatterton di Leoncavallo, piuttosto che Maria di Scozia di Pacini), ma un minimo al di fuori di quei trenta abusati (ossia Iris o Maria di Rohan) sia assolutamente non recepita e contemplata e come grandi bacchette ormai rifiutino o evitino il grande repertorio o la grande tradizione. Basta guardare chi accompagna, dirige, concerta Tosca ed Ugonotti.
Non me la sento, in tutta onestà di augurare buon ascolto ai melomani madrileni che un tempo impazzivano per acuti e smorzature tenorili, quelli che Ugonotti e Werther, almeno, impongono!!!
Gli ascolti
Meyerbeer – Les Huguenots
Atto I
Plus blanche que la blanche hermine – Hipólito Lázaro (1924)
Piff! Paff! – José Mardones (1919)
Atto II
O beau pays de la Touraine – Josefina Huguet (1906)
Puccini – Tosca
Atto II
Vissi d’arte – Lotte Lehmann (1929)
Strauss – Der Rosenkavalier
Atto I
Da geht er hin – Montserrat Caballé (1965)
o signore ti prego, ridacci le piaghe d'Egitto, ma liberaci per sempre dalla malalirica!
Carissimo Donzelli, non posso che condividere le riflessioni circa la stagione del teatro madrileno (riflessioni che, purtroppo, possono essere adattate a molte realtà musicali europee e italiane: i mali sono comuni e, ahimè, comuni sono le soluzioni adottate). Ho notato, però, che il cartellone spagnolo potrebbe benissimo essere stato sottoscritto da Lissner: e per la scarsezza di idee e per le scelte di cast improbabili (Londra e Parigi – pur con i loro problemi – presentano un'offerta musicale più varia e completa). Repertorio trito e ritrito offerto con cast che non ne giustificano l'ennesima riproposizione (Tosca e Werther). L'immancabile Britten. Il solito Strauss di Rosenkavalier (pare che i sovrintendenti di mezza Europa non conoscano altre opere di Strauss a parte Rosenkavalier, Salome ed Elektra, più raramente Ariadne). Discorso identico per Onegin (mai che venga proposta la splendida Yolanta). Il Gluck preso a mera occasione per l'ennesima sbracatura pseudo baritonale di Domingo (interpreterà l'Oreste dell'Ifigenia in Tauride) e la solita regia di Carsen che – ci scommetto – trasformerà la vicenda nel solito dramma borghese con riferimenti a psicanalisi, drammi familiari e tensioni assortite, per la gioia e gli applausi dei tanti "beoni" (anche nostrani) che si spelleranno le mani convinti di aver assistito al capolavoro che la stampa gli avrà fatto credere d'essere. Non manca il Mozart bistrattato da Jacobs e SOPRATTUTTO da una compagnia di canto semplicemente sciagurata. Taccio dei grotteschi Ugonotti diretti da Palumbo (evidentemente "repetita non juvat") e con quel Cutler che già conosciamo per l'Arturo della Netrebko dei Puritani del MET (e tanto sarebbe bastato). Poi l'inutile riscoperta dell'opera di Graun (che certamente non la merita, né la si può permettere in assenza di fuoriclasse del virtuosismo); l'operetta di Weill/Brecht (che non capisco perchè mai venga tradotta in inglese: sarebbe stato più logico proporla in spagnolo per far "godere" al pubblico il testo dell'ormai ammuffito Brecht); e l'opera di nuova commissione. Ma il meglio arriva con la parte più chic del cartellone: l'opera di Messiaen sarebbe da inserire come tortura nel protocollo della Convenzione di Ginevra e come tale proibirne l'esecuzione (sono 4 ore abbondanti di sussurri e cigolii interrotti da un salmodiante declamato…) per il bene di interpreti e pubblico pagante; e infine Krol Roger, opera di indescrivibile pesantezza e noia che temo presto ci verrà imposta pena la scomunica…