Scorrendo i programmi delle nuove stagioni dei teatri lirici di Berlino, Monaco di Baviera e Dresda, il melomane passatista si pone alcune questioni, il cui peso è direttamente proporzionale all’importanza e al valore del melomane stesso. Peso nullo, quindi, o almeno così ci sentiamo rammentare ogni giorno da svariati pulpiti.
Tanto per cominciare, i titoli allestiti sono sempre e invariabilmente gli stessi, con rare eccezioni. Senza pretendere chissà quali azzardi di programmazione (Weber o altre opere “esotiche”), per un Mitridate (naturalmente in salsa baroccara e contorno di controtenore, oltre che insaporito dall’Aspasia di Patricia Petibon) bisogna attendere il Münchner Opernfestspiele, dato che il resto della stagione bavarese non conosce altro Mozart che quello della trilogia italiana e dei Singspiel. Le cose vanno un poco meglio per il repertorio italiano, a condizione che si tratti di opere verdiane o pucciniane (sempre nell’ambito della “trilogia” Bohème/Tosca/Butterfly), perché a dir poco latitanti risultano Bellini (salvo i Capuleti, allestiti a Monaco con il tramontato Romeo di Vesselina Kasarova, e la Norma, proposta ancora alla Bayerische Staatsoper con l’immarcescibile Gruberova), il Donizetti serio extra Lucia (con l’eccezione della Borgia sempre a Monaco e sempre con Frau Edita, e della Bolena, stavolta a Dresda ma sempre con la Gruberova, forse l’ultima diva, per quanto acciaccata, a poter imporre questo autore nei teatri tedeschi) e più ancora Rossini, la cui sopravvivenza in cartellone è legata essenzialmente alla trilogia buffa e a qualche sporadico esperimento (Gazza ladra a Dresda, affidata alla pertinace bacchetta di Michele Mariotti e con il Giannetto di Michael Spyres, alle prese con un ruolo sulla carta a lui ben più adatto del Rodrigo di Donna del lago, pure presente a breve scadenza nel suo calendario, o ancora Turco in Italia a Berlino, peraltro affidato a una coppia di assai discutibile tenuta, Alexandrina Pendatchanska e Lorenzo Regazzo, e alla bacchetta non esattamente lieve di Antonello Allemandi) che comunque non intacca il serbatoio delle opere napoletane, vera e propria rara avis della programmazione moderna. E forse, anche in considerazione di quello che si è in tempi recenti uditi nell’adriatico penetral più sacro della musica rossiniana, la scelta non è poi priva di fondamento. Questa impressione si alimenta e sostenta, allorché si consideri il cast schierato per un’opera in potenza (e per cast) già pienamente rossiniana, quale la Medea in Corinto di Mayr, allestita appunto in Monaco con Iano Tamar (già periclitante Semiramide una ventina d’anni fa proprio in Pesaro) quale novella Colbran e il ruolo Nozzari consegnato alle cure di Ramón Vargas, antico tenore contraltino che, perso lo smalto degli acuti, ha ancora qualche carta da giocare al centro della voce, sia pure gestita con una fatica sempre più evidente (ricordiamo la Manon viennese di alcuni mesi fa).
Quanto poi al verismo, occorre che siano i Divi ad imporre il titolo, o meglio, che le case discografiche, che i suddetti Divi costruiscono, appoggiano e sostengono, sempre e comunque, impongano il titolo ai teatri. È con ogni verosimiglianza il caso dell’Adriana Lecouvreur allestita alla Deutsche Oper berlinese, che schiera nel cast, accanto alla Principessa di Anna Smirnova (che saprà approfittare dell’occasione e della scrittura decisamente contraltile della parte per offrirci l’ennesimo saggio di rigore stilistico e fraseggio ammaliatore, così come imperdibile appare fin d’ora la sua Lady Macbeth verdiana nello stesso teatro), i celebrati – da altre penne – Angela Gheorghiu e Jonas Kaufmann. Di quest’ultimo è peraltro in arrivo nei migliori negozi di dischi un album, dedicato ai grandi ruoli della Giovine Scuola. Album che, ne siamo certi, susciterà in certa critica e in certo pubblico rapimenti mistici paragonabili solo a quelli di Teresa di Lisieux. Chi avesse seguito la nostra chat nelle ultime settimane, avrà registrato, a proposito delle preview di questo bel disco, ben altre reazioni.
Kaufmann si produrrà, fra l’altro, anche in un nuovo Fidelio, allestito a Monaco dall’iconoclasta (o presunto tale) Calixto Bieito con la direzione di Daniele Gatti (la cui Leonore beethoveniana non suscitò certo entusiasmi, anni fa, in Bologna) e, per alcune repliche, Fabio Luisi. Non dubitiamo che il regista spagnolo, sempre attentissimo alla fisicità dei cantanti, saprà trarre conveniente partito dalla presenza del tenore bavarese (ultimamente un poco in disarmo sotto il profilo scenico, vedi la recente Tosca sempre da Monaco), ma ci domandiamo come il medesimo tenore potrà risolvere il ruolo, vista la recente e tutt’altro che brillante prova di Lucerna. È pur vero che Kaufmann sarà affiancato da Anja Kampe, ma una Leonora d’intonazione sistematicamente calante non giustifica di per sé un Florestano afonoide e fibroso, anzi. Assolutamente da non perdere, sempre a Monaco, la Carmen che vedrà l’incontro/scontro del Don José di Kaufmann (di cui ben ricordiamo la claudicante performance scaligera) e della Carmen di Kate Aldrich, che dopo avere cancellato la prevista Cenerentola pesarese è stata duramente riprovata in Arena (non proprio un teatro incline al fischio, almeno oggi) per l’appunto nei panni della fatale gitana. La Aldrich è poi attesa a Berlino quale Didone dei Troiani di Berlioz, opera in cui sarà affiancata da Ian Storey e, in alcune repliche, da Anna Caterina Antonacci nel ruolo di Cassandra.
E l’opera contemporanea? Tramontato o quasi l’astro di Janácek (del resto le platee tedesche non necessitano certo delle campagne kulturali di cui è dedicatario così frequente il pubblico italiano), sorge quello di Poulenc, ovviamente nel suo titolo più complesso ed esigente in fatto di cast. I Dialoghi delle Carmelitane saranno allestiti alla Deutsche Oper con la bacchetta di Yves Abel e un cast in cui spiccano (si fa per dire) Rachel Harnisch, Julia Juon, Michaela Kaune e Ulrike Helzel, mentre a Monaco Kent Nagano dirigerà nei medesimi ruoli Susan Gritton, Felicity Palmer, Soile Isokoski e Kristine Jepson. Sempre Nagano dirigerà l’altro must novecentesco della stagione, il Saint François di Messiaen (c’è qualche anniversario incombente? lo chiediamo perché lo stesso titolo verrà proposto, come notato da Donzelli, a Madrid), con Paul Gay nel ruolo del titolo e Christine Schäfer in quello dell’Angelo. Il direttore sarà, ancora una volta, Nagano.
Per rimanere a Monaco, e sempre nell’ambito del prestigiosissimo teatro di regia, va segnalata la ripresa del Lohengrin “di” Richard Jones, che tanti consensi – e qualche dissenso – ha suscitato l’anno scorso e anche di recente, stante la pubblicazione di un dvd. Tale e tanta è stata la riuscita musicale di quella mitica produzione, che il cast risulta radicalmente mutato, a Kaufmann e Anja Harteros subentrando rispettivamente Ben Heppner (sic) e Peter Seiffert e Elza van den Heever (?) e Adrianne Pieczonka. Come Ortruda, in luogo di Michaela Schuster, il pubblico bavarese potrà applaudire, a scelta, Janine Baechle o la mai doma Waltraud Meier, mentre Telramondo sarà Evgeny Nikitin. Confermata in sostanza solo la bacchetta di Kent Nagano, ma va bene così: il pubblico che accorre a frotte per assaporare la sceltissima regia poco si cura, in fondo, dei cantanti. Quanto alle opere del repertorio italiano, dovremmo trovarci, salvo errori, in una fase di rinnovamento del parco voci in dotazione nei teatri tedeschi, visti l’alto numero di ruoli in condominio fra cantanti diversi nel medesimo teatro (caso limite la Deutsche Oper, che affida otto recite di Tosca a cinque soprani, cinque baritoni e ben sei tenori) e la comparsa in cartellone di nomi ignoti o quasi al melomane di provincia (ma siamo certi che basteranno un paio di stagioni per rendere tali nomi universalmente noti, accettati e necessari per qualunque programmazione operistica, a Berlino come a Milano). Se resiste Anja Harteros (Traviata a Dresda e Monaco e Mimì sempre a Monaco), se alquanto ridimensionate appaiono Marina Poplavskaja (Traviata alla Staatsoper di Berlino, in alternanza con Anna Samuil), Micaela Carosi (Aida a Monaco, in alternanza con Norma Fantini) e Krassimira Stoyanova (Luisa Miller a Monaco), se morde il freno l’emergente Oksana Dyka (Tosca a Dresda, prossimamente in Scala con ben due titoli, e non solo, visto che la biografia pubblicata sul sito della Semperoper cita un prossimo debutto meneghino quale Abigaille), se l’Abigaille bavarese di Alessandra Rezza fa pensare a un errore di stampa o a uno scherzo di cattivo gusto, così come la rinnovata Maddalena di Coigny di Maria Guleghina (Deutsche Oper), sono le Tosche a suscitare la maggiore perplessità, perché fatta salva (almeno in parte) Hui He, nessuna delle alternative schierata dalla Deutsche Oper, dall’evanescente Sunnegardh (già censurabile Salome a Bologna), alle scomposte Serjan (impegnata anche a Monaco nella ripresa dello spettacolo di Luc Bondy, con Marcello Giordani e Juha Uusitalo) e Urmana, alla fine dicitrice Pieczonka, sembra sulla carta in grado di risultare non dico plausibile, ma non interamente censurabile. E lo stesso dicasi per i Cavaradossi, che spaziano dal tenero Riccardo Massi (già cover di Kaufmann nella “primina” della Carmen scaligera), al futuro Siegmund ambrosiano Simon O’ Neill, al poker composto da Roberto Aronica, Thiago Arancam, Salvatore Licitra e Massimo Giordano, e lo stesso ribadiscasi per gli Scarpia, capitanati sempre alla Deutsche Oper da George Gagnidze, che si alternerà a Franz Grundheber (!), Carlos Almaguer, Greer Grimsley e nientemeno che Samuel Ramey. Quanto poi alla Staatsoper unter den Linden, sarà Amanda Echalaz a incarnare Tosca, accanto a Riccardo Massi e Andrzej Dobber, sotto la bacchetta di Omer Meir Wellber, pupillo di Daniel Barenboim, che dirigerà il medesimo titolo in Scala. La signora Echalaz sarà poi, sempre nella sala berlinese, Elisabetta di Valois (accanto a Sartori, Pape, Krasteva e Daza, direttore Zanetti). Da citare quindi per esteso il cast dell’Aida di Monaco, diretta da Paolo Carignani e Ascher Fisch: oltre alle già menzionate protagoniste, Amneris sarà Luciana d’Intino, come Radames si alterneranno Carlo Ventre e Walter Fraccaro, mentre le voci gravi saranno quelle di Anatoli Kotscherga (sic), Kwangchul Youn, Lado Ataneli e Michael Volle.
Ben più numerose sarebbero le osservazioni da fare su queste stagioni, assai più “in difesa” e caute, seppur sempre spregiudicatissime, rispetto a precedenti edizioni, ma il timore di annoiare, o peggio, ci induce a concludere qui. Naturalmente, con qualche ascolto.
Tanto per cominciare, i titoli allestiti sono sempre e invariabilmente gli stessi, con rare eccezioni. Senza pretendere chissà quali azzardi di programmazione (Weber o altre opere “esotiche”), per un Mitridate (naturalmente in salsa baroccara e contorno di controtenore, oltre che insaporito dall’Aspasia di Patricia Petibon) bisogna attendere il Münchner Opernfestspiele, dato che il resto della stagione bavarese non conosce altro Mozart che quello della trilogia italiana e dei Singspiel. Le cose vanno un poco meglio per il repertorio italiano, a condizione che si tratti di opere verdiane o pucciniane (sempre nell’ambito della “trilogia” Bohème/Tosca/Butterfly), perché a dir poco latitanti risultano Bellini (salvo i Capuleti, allestiti a Monaco con il tramontato Romeo di Vesselina Kasarova, e la Norma, proposta ancora alla Bayerische Staatsoper con l’immarcescibile Gruberova), il Donizetti serio extra Lucia (con l’eccezione della Borgia sempre a Monaco e sempre con Frau Edita, e della Bolena, stavolta a Dresda ma sempre con la Gruberova, forse l’ultima diva, per quanto acciaccata, a poter imporre questo autore nei teatri tedeschi) e più ancora Rossini, la cui sopravvivenza in cartellone è legata essenzialmente alla trilogia buffa e a qualche sporadico esperimento (Gazza ladra a Dresda, affidata alla pertinace bacchetta di Michele Mariotti e con il Giannetto di Michael Spyres, alle prese con un ruolo sulla carta a lui ben più adatto del Rodrigo di Donna del lago, pure presente a breve scadenza nel suo calendario, o ancora Turco in Italia a Berlino, peraltro affidato a una coppia di assai discutibile tenuta, Alexandrina Pendatchanska e Lorenzo Regazzo, e alla bacchetta non esattamente lieve di Antonello Allemandi) che comunque non intacca il serbatoio delle opere napoletane, vera e propria rara avis della programmazione moderna. E forse, anche in considerazione di quello che si è in tempi recenti uditi nell’adriatico penetral più sacro della musica rossiniana, la scelta non è poi priva di fondamento. Questa impressione si alimenta e sostenta, allorché si consideri il cast schierato per un’opera in potenza (e per cast) già pienamente rossiniana, quale la Medea in Corinto di Mayr, allestita appunto in Monaco con Iano Tamar (già periclitante Semiramide una ventina d’anni fa proprio in Pesaro) quale novella Colbran e il ruolo Nozzari consegnato alle cure di Ramón Vargas, antico tenore contraltino che, perso lo smalto degli acuti, ha ancora qualche carta da giocare al centro della voce, sia pure gestita con una fatica sempre più evidente (ricordiamo la Manon viennese di alcuni mesi fa).
Quanto poi al verismo, occorre che siano i Divi ad imporre il titolo, o meglio, che le case discografiche, che i suddetti Divi costruiscono, appoggiano e sostengono, sempre e comunque, impongano il titolo ai teatri. È con ogni verosimiglianza il caso dell’Adriana Lecouvreur allestita alla Deutsche Oper berlinese, che schiera nel cast, accanto alla Principessa di Anna Smirnova (che saprà approfittare dell’occasione e della scrittura decisamente contraltile della parte per offrirci l’ennesimo saggio di rigore stilistico e fraseggio ammaliatore, così come imperdibile appare fin d’ora la sua Lady Macbeth verdiana nello stesso teatro), i celebrati – da altre penne – Angela Gheorghiu e Jonas Kaufmann. Di quest’ultimo è peraltro in arrivo nei migliori negozi di dischi un album, dedicato ai grandi ruoli della Giovine Scuola. Album che, ne siamo certi, susciterà in certa critica e in certo pubblico rapimenti mistici paragonabili solo a quelli di Teresa di Lisieux. Chi avesse seguito la nostra chat nelle ultime settimane, avrà registrato, a proposito delle preview di questo bel disco, ben altre reazioni.
Kaufmann si produrrà, fra l’altro, anche in un nuovo Fidelio, allestito a Monaco dall’iconoclasta (o presunto tale) Calixto Bieito con la direzione di Daniele Gatti (la cui Leonore beethoveniana non suscitò certo entusiasmi, anni fa, in Bologna) e, per alcune repliche, Fabio Luisi. Non dubitiamo che il regista spagnolo, sempre attentissimo alla fisicità dei cantanti, saprà trarre conveniente partito dalla presenza del tenore bavarese (ultimamente un poco in disarmo sotto il profilo scenico, vedi la recente Tosca sempre da Monaco), ma ci domandiamo come il medesimo tenore potrà risolvere il ruolo, vista la recente e tutt’altro che brillante prova di Lucerna. È pur vero che Kaufmann sarà affiancato da Anja Kampe, ma una Leonora d’intonazione sistematicamente calante non giustifica di per sé un Florestano afonoide e fibroso, anzi. Assolutamente da non perdere, sempre a Monaco, la Carmen che vedrà l’incontro/scontro del Don José di Kaufmann (di cui ben ricordiamo la claudicante performance scaligera) e della Carmen di Kate Aldrich, che dopo avere cancellato la prevista Cenerentola pesarese è stata duramente riprovata in Arena (non proprio un teatro incline al fischio, almeno oggi) per l’appunto nei panni della fatale gitana. La Aldrich è poi attesa a Berlino quale Didone dei Troiani di Berlioz, opera in cui sarà affiancata da Ian Storey e, in alcune repliche, da Anna Caterina Antonacci nel ruolo di Cassandra.
E l’opera contemporanea? Tramontato o quasi l’astro di Janácek (del resto le platee tedesche non necessitano certo delle campagne kulturali di cui è dedicatario così frequente il pubblico italiano), sorge quello di Poulenc, ovviamente nel suo titolo più complesso ed esigente in fatto di cast. I Dialoghi delle Carmelitane saranno allestiti alla Deutsche Oper con la bacchetta di Yves Abel e un cast in cui spiccano (si fa per dire) Rachel Harnisch, Julia Juon, Michaela Kaune e Ulrike Helzel, mentre a Monaco Kent Nagano dirigerà nei medesimi ruoli Susan Gritton, Felicity Palmer, Soile Isokoski e Kristine Jepson. Sempre Nagano dirigerà l’altro must novecentesco della stagione, il Saint François di Messiaen (c’è qualche anniversario incombente? lo chiediamo perché lo stesso titolo verrà proposto, come notato da Donzelli, a Madrid), con Paul Gay nel ruolo del titolo e Christine Schäfer in quello dell’Angelo. Il direttore sarà, ancora una volta, Nagano.
Per rimanere a Monaco, e sempre nell’ambito del prestigiosissimo teatro di regia, va segnalata la ripresa del Lohengrin “di” Richard Jones, che tanti consensi – e qualche dissenso – ha suscitato l’anno scorso e anche di recente, stante la pubblicazione di un dvd. Tale e tanta è stata la riuscita musicale di quella mitica produzione, che il cast risulta radicalmente mutato, a Kaufmann e Anja Harteros subentrando rispettivamente Ben Heppner (sic) e Peter Seiffert e Elza van den Heever (?) e Adrianne Pieczonka. Come Ortruda, in luogo di Michaela Schuster, il pubblico bavarese potrà applaudire, a scelta, Janine Baechle o la mai doma Waltraud Meier, mentre Telramondo sarà Evgeny Nikitin. Confermata in sostanza solo la bacchetta di Kent Nagano, ma va bene così: il pubblico che accorre a frotte per assaporare la sceltissima regia poco si cura, in fondo, dei cantanti. Quanto alle opere del repertorio italiano, dovremmo trovarci, salvo errori, in una fase di rinnovamento del parco voci in dotazione nei teatri tedeschi, visti l’alto numero di ruoli in condominio fra cantanti diversi nel medesimo teatro (caso limite la Deutsche Oper, che affida otto recite di Tosca a cinque soprani, cinque baritoni e ben sei tenori) e la comparsa in cartellone di nomi ignoti o quasi al melomane di provincia (ma siamo certi che basteranno un paio di stagioni per rendere tali nomi universalmente noti, accettati e necessari per qualunque programmazione operistica, a Berlino come a Milano). Se resiste Anja Harteros (Traviata a Dresda e Monaco e Mimì sempre a Monaco), se alquanto ridimensionate appaiono Marina Poplavskaja (Traviata alla Staatsoper di Berlino, in alternanza con Anna Samuil), Micaela Carosi (Aida a Monaco, in alternanza con Norma Fantini) e Krassimira Stoyanova (Luisa Miller a Monaco), se morde il freno l’emergente Oksana Dyka (Tosca a Dresda, prossimamente in Scala con ben due titoli, e non solo, visto che la biografia pubblicata sul sito della Semperoper cita un prossimo debutto meneghino quale Abigaille), se l’Abigaille bavarese di Alessandra Rezza fa pensare a un errore di stampa o a uno scherzo di cattivo gusto, così come la rinnovata Maddalena di Coigny di Maria Guleghina (Deutsche Oper), sono le Tosche a suscitare la maggiore perplessità, perché fatta salva (almeno in parte) Hui He, nessuna delle alternative schierata dalla Deutsche Oper, dall’evanescente Sunnegardh (già censurabile Salome a Bologna), alle scomposte Serjan (impegnata anche a Monaco nella ripresa dello spettacolo di Luc Bondy, con Marcello Giordani e Juha Uusitalo) e Urmana, alla fine dicitrice Pieczonka, sembra sulla carta in grado di risultare non dico plausibile, ma non interamente censurabile. E lo stesso dicasi per i Cavaradossi, che spaziano dal tenero Riccardo Massi (già cover di Kaufmann nella “primina” della Carmen scaligera), al futuro Siegmund ambrosiano Simon O’ Neill, al poker composto da Roberto Aronica, Thiago Arancam, Salvatore Licitra e Massimo Giordano, e lo stesso ribadiscasi per gli Scarpia, capitanati sempre alla Deutsche Oper da George Gagnidze, che si alternerà a Franz Grundheber (!), Carlos Almaguer, Greer Grimsley e nientemeno che Samuel Ramey. Quanto poi alla Staatsoper unter den Linden, sarà Amanda Echalaz a incarnare Tosca, accanto a Riccardo Massi e Andrzej Dobber, sotto la bacchetta di Omer Meir Wellber, pupillo di Daniel Barenboim, che dirigerà il medesimo titolo in Scala. La signora Echalaz sarà poi, sempre nella sala berlinese, Elisabetta di Valois (accanto a Sartori, Pape, Krasteva e Daza, direttore Zanetti). Da citare quindi per esteso il cast dell’Aida di Monaco, diretta da Paolo Carignani e Ascher Fisch: oltre alle già menzionate protagoniste, Amneris sarà Luciana d’Intino, come Radames si alterneranno Carlo Ventre e Walter Fraccaro, mentre le voci gravi saranno quelle di Anatoli Kotscherga (sic), Kwangchul Youn, Lado Ataneli e Michael Volle.
Ben più numerose sarebbero le osservazioni da fare su queste stagioni, assai più “in difesa” e caute, seppur sempre spregiudicatissime, rispetto a precedenti edizioni, ma il timore di annoiare, o peggio, ci induce a concludere qui. Naturalmente, con qualche ascolto.
E pensare che questi, insieme agli altri già vivisezionati, sarebbero i programmi dei "maggiori teatri". Figuratevi quelli cosiddetti di provincia.
Ormai un programma standard si può già mettere giù a priori senza aspettarne l'annuncio: CARMEN TOSCA TRAVIATA BARBIERE CARMEN TOSCA TRAVIATA BARBIERE CARMEN TOSCA TRAVIATA BARBIERE CARMEN…
AIDA RIGOLETTO BOHEME TETRALOGIA WAGNERIANA LUCIA NORMA Mozart/Da Ponte
+ altre a seconda dei ghiribizzi dei direttori artistici (ma con un rapporto 1 a 100 rispetto alle suddette).
Le arie dei recital? Libiamo (l'unico duetto che si conosca) Figaro Vincerò Gelida manina ElucevanLeStelle DonnaMobile Va pensiero (unico coro)…
La teoria della stategia conservativa è una grossa cantonata, soprattutto in questi teatri dove il problema di riempirli non sussiste (perlomeno fino ad ora). Un conto è in provincia (per es. qui a Padova daranno Carmen e Rigoletto, forse perché se mettono l'Anna Bolena qua la gente fra poco non sa manco chi l'ha scritta e non ci va); invece certi signori che hanno in mano il pallino dei grandi teatri dovrebbero capire che programmi un po' originali, ma fatti con impegno, possono produrre negli anni successi (e quattrini) non meno di paranze fritte e rifritte. E qui, chiudendo, getto un amo riallacciandomi a un mio vecchio cavallo di battaglia che molti del blog stentano a capire: democratizzare ed estendere la cultura operistica non è un vezzo, ma è fatto più che importante, perché questo va ad incidere sull'offerta che alla fine ci viene proposta. Sapete meglio di me che la maggioranza della gente che va all'opera (per curiosità o status symbol) al massimo conosce sì e no una dozzina di opere al massimo… Quindi il melomane vero deve sorbirsi programmi cuciti su misura di codeste persone. Tanto vale istruirle.
Saluti
Nessun mezzo come Internet si presta alla divulgazione della cultura operistica: si possono acquistare dischi altrove introvabili, si può ascoltare o scaricare gratis molta musica, si trovano saggi critici e programmi di sala fino a stancarsene. Tutto questo però presuppone, da parte del pubblico, una curiosità, una voglia di scoprire cose nuove, con l'entusiasmo e l'umiltà di chi si accosta a quello che viene da un passato magari remoto. E' questo atteggiamento che oggi riscontro sempre più raramente, negli addetti ai lavori come negli amatori. Solo gli ascolti, e le riflessioni che ne scaturiscono, possono "istruire", è una chimera (per non dire di peggio) sperare che lo faccia la televisione, o magari certi critici.