Nella Turandot areniana va in scena Giovanna Casolla e con lei ricompare il finale di Alfano, eliso per volontà del regista la sera dell’inaugurazione della stagione.
Rassicurante la pagoda zeffirelliana, in nuances di giallo e verde acqua, con la solita chincaglieria sparsa qua là, scene e controscene déjà-vue, pontili in legno ed altre cineserie sparse! Il povero melomane scaligero, ancora scosso dai ridicoli orrori del Walpurgys lituano, ritrova la serenità nel guardare per guardare, senza pensieri né spaventi. Ci si può anche abbandonare ad una serata da turisti, perchè semel in anno licet…., e ritrovare così un poco di quel sapore delle prime serate all’opera da ragazzini, nella conca dell’anfiteatro romano, a ricordare tutti quelli che si sono visti sbucare da quelle quinte nel corso degli anni…
Noi non siamo certo come un grazioso signore novantacinquenne, amico di un amico, che in occasione della prima della signora Guleghina, gli ha inventariato, quale preambolo all’elegante stroncatura della diva russa e a termine di paragone, le Turandot sentite dal vivo, da Bianca Scacciati a Gina Cigna, Gertrude Grob Prandl, la Callas, quindi la Nilsson e la Dimitrova, citando le maggiori. Gran curriculum per un utente dell’Arena, non c’è che dire!!
Lette le recensioni della prima, ce ne siamo andati un po’ per sport e un po’ per affezione a rivedere Giovanna Casolla, prefigurandoci lo sfracello scaligero che ci attende nella prossima stagione con altra protagonista. La signora arriva e canta, con tutto l’onere della sua età, che non è mica uno scherzo: canta onorevolmente, con acciacchi sensibili ed evidentissimi, ma onorevolmente. Il risultato è stato assai diverso dai naufragio del duo maschile del recente Faust, tanto per intenderci, perché ai momenti difficili si sono alternati ancora momenti assai validi, pure alcuni “numeri” da cantante di rango in forma ed il personaggio è uscito nella sua pienezza.
La cosa peggiore? Di certo l’entrata. Il legato non è mai stato sopraffino nemmeno negli anni d’oro, ma adesso le frasi escono spezzettate e soprattutto ghermite duramente negli attacchi, con suoni duri e chiocci. Poi, però, arrivano gli enigmi, e la signora cambia marcia. Alterna frasi aggressive a piani e pianissimi di grande effetto, che danno smalto al fraseggio e rendono la scena impressionante. La cantante esperta sa come si bara, e qui bara con classe e furbizia.
La cosa migliore? Il duetto finale. Sarà che dopo una certa età le signore impiegano parecchio a scaldarsi, sarà la scrittura del duetto….sta di fatto che lo ha proposto con una facilità cui il buon Berti poteva solo rispondere per il collo, mentre la signora gli stava di fronte fresca come un rosa! Eppoi, vera invenzione registica, i due si sono inventati un paio di gesti a distanza ravvicinata, fin tanto che la Principessa …si è seduta, perché alla sua età se lo può concedere.
E i do? Ci sono ancora…faticosi, non più grandi né facili come un tempo, ma tutto ancora funziona nel gran vuoto dell’arena quando arriva la signora Casolla, anche alla sua veneranda età, perché è sempre una “cantante” quando è in scena, in un mondo di gente che passa di lì per caso senz’arte né parte. Ecco, e di questi casi uno era proprio lì ier sera, ad agitarsi affannosamente, senza la capacità di dire un acca che avesse senso o che ci dicesse qualcosa. La signor Tamar Iveri, con tutte le sue velleità di soprano drammatico di agilità da Vespri Siciliani, ha cantato Liù con una voce al limite dell’udibile, pigolando acidamente e con ingenuità da apprendista del canto la prima aria; spinte con poco esito le frasi concitate “ Legatemi straziatemi…”, letteralmente compitata la morte di Liù. Nei tempi del simpatico novantaciquenne le Liù si chiamavamo Pampanini, Olivero, Carteri, Chiara, Scotto, Sighele……
Qui manca tutto per essere all’altezza dei propri impegni futuri, ma ciò che di più stupisce è il consenso intorno a questa cantante. Ma di quali Boccanegra, di quali Vespri stiamo parlando di fronte ad una voce che non ha né il peso né la punta né l’omogeneità di qual modello di correttezza di soprano lirico-leggero quale Alida Ferrarini?? Ma le sentiamo (anzi le sentono!) le voci prima di scritturarle o no??
Il signor Marco Berti è voce superdotata per volume e timbro, ma ahimè non per tecnica, si sa. Ogni tanto gli riesce di squillare anche (ha beccato il primo si bem della serata e gli è uscita una bomba dalla bocca! ), poi crolla miseramente sulla puntatura del “Ti voglio tutta ardente d’amor”: si capiva bene all’inizio della frase che non ci poteva arrivare nemmeno in sogno, attesi i suoni aperti con cui ha principiato la stessa. Ha cercato di “fraseggiare” nel primo atto, esibendo mezze voci, che sono falsetti purissimi ( pieni, però, perché la dote è notevole ..), poi da lì in poi ha innestato il forte e con quello è andato fino in fondo….alla sua maniera. Il personaggio esce piatto, l’eroe piuttosto loffio in assenza di squillo…ed è un peccato ma così è l’arte dei tenori spinti di oggi.
Il signor Carlo Cigni, mio assiduo ed affezionato lettore, ieri sera mi è piaciuto di più che non nella Lucia parmigiana. Il personaggio era giusto, sobrio e non caricaturale. La voce un po’ più sfogata, ma non è ancora là dove dovrebbe suonare. Ho sentito meno Ghiaurov, cioè meno stomaco. Credo che sia il centro da proiettare e sostenere di più, cercando di scurire meno la voce in modo artificioso, che non serve, perché tanto che sia un basso non c’è dubbio.
Pessime le tre maschere, e tra i pessimi il peggiore è stato il signor Bettoschi, che si sente pochissimo, ma quanto basta per capire che è tutto scombicchierato. Più sonori l’imperatore del signor Ceron e il mandarino del signor Ceriani.
Quanto al maestro Carella ha diretto con professionismo. L’orchestra è stata nella norma areniana, sicura ma non molto sonora rispetto al palco, con i fiati che arrivano più degli archi. I momenti migliori sono stati il finale II, e l’inizio del III, mentre e si è udita una certa fiacchezza nel primo atto, nella scena tra le maschere e Calaf, dove la buca deve tirare di più il palco che non gira. C’è però qualcosa nell’acustica che non mi pare più quella di un tempo, perché la buca si sente in maniera assai differente spostandosi dalle zone basse a quelle alte delle gradinate ed anche gli strumenti arrivano in maniera diversa.
Tutto secondo previsione, in una serata caldissima, e con i fan della Casolla che urlavano dalla platea “ Giovanna …Giovanna… Giovanna!!!!!! ” E come dar loro torto!
Rassicurante la pagoda zeffirelliana, in nuances di giallo e verde acqua, con la solita chincaglieria sparsa qua là, scene e controscene déjà-vue, pontili in legno ed altre cineserie sparse! Il povero melomane scaligero, ancora scosso dai ridicoli orrori del Walpurgys lituano, ritrova la serenità nel guardare per guardare, senza pensieri né spaventi. Ci si può anche abbandonare ad una serata da turisti, perchè semel in anno licet…., e ritrovare così un poco di quel sapore delle prime serate all’opera da ragazzini, nella conca dell’anfiteatro romano, a ricordare tutti quelli che si sono visti sbucare da quelle quinte nel corso degli anni…
Noi non siamo certo come un grazioso signore novantacinquenne, amico di un amico, che in occasione della prima della signora Guleghina, gli ha inventariato, quale preambolo all’elegante stroncatura della diva russa e a termine di paragone, le Turandot sentite dal vivo, da Bianca Scacciati a Gina Cigna, Gertrude Grob Prandl, la Callas, quindi la Nilsson e la Dimitrova, citando le maggiori. Gran curriculum per un utente dell’Arena, non c’è che dire!!
Lette le recensioni della prima, ce ne siamo andati un po’ per sport e un po’ per affezione a rivedere Giovanna Casolla, prefigurandoci lo sfracello scaligero che ci attende nella prossima stagione con altra protagonista. La signora arriva e canta, con tutto l’onere della sua età, che non è mica uno scherzo: canta onorevolmente, con acciacchi sensibili ed evidentissimi, ma onorevolmente. Il risultato è stato assai diverso dai naufragio del duo maschile del recente Faust, tanto per intenderci, perché ai momenti difficili si sono alternati ancora momenti assai validi, pure alcuni “numeri” da cantante di rango in forma ed il personaggio è uscito nella sua pienezza.
La cosa peggiore? Di certo l’entrata. Il legato non è mai stato sopraffino nemmeno negli anni d’oro, ma adesso le frasi escono spezzettate e soprattutto ghermite duramente negli attacchi, con suoni duri e chiocci. Poi, però, arrivano gli enigmi, e la signora cambia marcia. Alterna frasi aggressive a piani e pianissimi di grande effetto, che danno smalto al fraseggio e rendono la scena impressionante. La cantante esperta sa come si bara, e qui bara con classe e furbizia.
La cosa migliore? Il duetto finale. Sarà che dopo una certa età le signore impiegano parecchio a scaldarsi, sarà la scrittura del duetto….sta di fatto che lo ha proposto con una facilità cui il buon Berti poteva solo rispondere per il collo, mentre la signora gli stava di fronte fresca come un rosa! Eppoi, vera invenzione registica, i due si sono inventati un paio di gesti a distanza ravvicinata, fin tanto che la Principessa …si è seduta, perché alla sua età se lo può concedere.
E i do? Ci sono ancora…faticosi, non più grandi né facili come un tempo, ma tutto ancora funziona nel gran vuoto dell’arena quando arriva la signora Casolla, anche alla sua veneranda età, perché è sempre una “cantante” quando è in scena, in un mondo di gente che passa di lì per caso senz’arte né parte. Ecco, e di questi casi uno era proprio lì ier sera, ad agitarsi affannosamente, senza la capacità di dire un acca che avesse senso o che ci dicesse qualcosa. La signor Tamar Iveri, con tutte le sue velleità di soprano drammatico di agilità da Vespri Siciliani, ha cantato Liù con una voce al limite dell’udibile, pigolando acidamente e con ingenuità da apprendista del canto la prima aria; spinte con poco esito le frasi concitate “ Legatemi straziatemi…”, letteralmente compitata la morte di Liù. Nei tempi del simpatico novantaciquenne le Liù si chiamavamo Pampanini, Olivero, Carteri, Chiara, Scotto, Sighele……
Qui manca tutto per essere all’altezza dei propri impegni futuri, ma ciò che di più stupisce è il consenso intorno a questa cantante. Ma di quali Boccanegra, di quali Vespri stiamo parlando di fronte ad una voce che non ha né il peso né la punta né l’omogeneità di qual modello di correttezza di soprano lirico-leggero quale Alida Ferrarini?? Ma le sentiamo (anzi le sentono!) le voci prima di scritturarle o no??
Il signor Marco Berti è voce superdotata per volume e timbro, ma ahimè non per tecnica, si sa. Ogni tanto gli riesce di squillare anche (ha beccato il primo si bem della serata e gli è uscita una bomba dalla bocca! ), poi crolla miseramente sulla puntatura del “Ti voglio tutta ardente d’amor”: si capiva bene all’inizio della frase che non ci poteva arrivare nemmeno in sogno, attesi i suoni aperti con cui ha principiato la stessa. Ha cercato di “fraseggiare” nel primo atto, esibendo mezze voci, che sono falsetti purissimi ( pieni, però, perché la dote è notevole ..), poi da lì in poi ha innestato il forte e con quello è andato fino in fondo….alla sua maniera. Il personaggio esce piatto, l’eroe piuttosto loffio in assenza di squillo…ed è un peccato ma così è l’arte dei tenori spinti di oggi.
Il signor Carlo Cigni, mio assiduo ed affezionato lettore, ieri sera mi è piaciuto di più che non nella Lucia parmigiana. Il personaggio era giusto, sobrio e non caricaturale. La voce un po’ più sfogata, ma non è ancora là dove dovrebbe suonare. Ho sentito meno Ghiaurov, cioè meno stomaco. Credo che sia il centro da proiettare e sostenere di più, cercando di scurire meno la voce in modo artificioso, che non serve, perché tanto che sia un basso non c’è dubbio.
Pessime le tre maschere, e tra i pessimi il peggiore è stato il signor Bettoschi, che si sente pochissimo, ma quanto basta per capire che è tutto scombicchierato. Più sonori l’imperatore del signor Ceron e il mandarino del signor Ceriani.
Quanto al maestro Carella ha diretto con professionismo. L’orchestra è stata nella norma areniana, sicura ma non molto sonora rispetto al palco, con i fiati che arrivano più degli archi. I momenti migliori sono stati il finale II, e l’inizio del III, mentre e si è udita una certa fiacchezza nel primo atto, nella scena tra le maschere e Calaf, dove la buca deve tirare di più il palco che non gira. C’è però qualcosa nell’acustica che non mi pare più quella di un tempo, perché la buca si sente in maniera assai differente spostandosi dalle zone basse a quelle alte delle gradinate ed anche gli strumenti arrivano in maniera diversa.
Tutto secondo previsione, in una serata caldissima, e con i fan della Casolla che urlavano dalla platea “ Giovanna …Giovanna… Giovanna!!!!!! ” E come dar loro torto!