Gentile dottor Celletti,
oggi inizia la trentaseiesima edizione del festival della Valle d’Itria, il Suo festival, il suo “gioco”. Quel gioco che tutti i melomani vorrebbero avere perché teatri e “bar Sport” sono uguali e nei primi noi italiani siamo tutti direttori artistici e soprintendenti mentre nei secondi allenatori della nazionale e della locale squadra.
Voglio immaginare che nella Sua attuale dimensione in cui si trova stia parlando di canto con Francesco Lamperti o discutendo sui suoni aperti al centro con Emma Carelli, che continuo ad immaginare, risponderà con la partenopea partecipazione e protervia, che conosciamo e dalle registrazioni e dalla aneddotica.
Se è ammissibile verso un coelicola una raccomandazione: eviti sguardi su questa terra e su alcuni luoghi in particolare. Che gli insulti nei suoi confronti fiocchino ora come allora, quando stava in viale Montenero, non La interessa. Questi insulti Le dicono e ci dicono che la Sua presenza era ed è ancora, detto alla latina tanta. Ingombrante insomma. E tutte le volte in cui si vogliono insultare i sopravvissuti alle campagne dei potenti, come noi del corriere, ancora muniti di apparato uditivo, i termini sono sempre gli stessi “cellettiani”, “cellettini” , “cellettismo”. Però devo dirle che hanno coniato altri due termini “grisini” e “grisalidi”. Radice differente significante medesimo.
Non guardi nei teatri perché oggi più di allora: imperano registi e scenografi ignoranti e presuntuosi, che si arrogano il diritto di audizionare cantanti anche per ruoli di comprimariato anteponendo alle doti vocali quelle del phisique, maschile in primis, sprecando citazioni di Jung e Freud; hanno luogo, sede e laute prebende direttori artistici, che novelli Godefroy de Bouillon, vogliono culturalizzare i patri pubblici infangando e misconoscendo, buona o cattiva che sia, la tradizione musicale del paese che, comunque, canto e melodramma ha creato, operano direttori d’orchestra che poco sanno dirigere e nulla concertare, circolano con consulenti filologici, che si sdegnano di suoni immascherati; taccio di agenti, critici e cantanti, all’esercizio quotidiano hanno tutti sostituito tante ore di feisbuk.
Tenga più lontano che mai lo sguardo da Martina Franca.
Lo sa che a Martina non tutto era perfetto, a partire da compagini orchestrali mediocri, da mezzi talvolta limitati ed anche da scelte vocali che avrebbero potuto essere migliori. Alcune, però, furono azzeccatissime come Mariella Devia Elvira dei Puritani, che ha dato alla signora un personaggio nel quale è stata interprete di riferimento oltre che, come sempre esimia cantante. Oggi, ossia quest’anno alla signora sarà conferito il premio Rodolfo Celletti e mi auguro che accanto al nome di Jolanda Magnoni venga fatto il Suo, dottor Celletti.
Altre volte mancò il coraggio di scelte che potevano essere ancor più estreme di quelle fatte come Pirata e Semiramide integrali, come nel Barbiere dinanzi al rinunciatario Raffanti sul rondò si sarebbe potuto affidarlo alla Rosina di turno, riproponendo la prassi della Righetti Giorgi nel 1817 a Bologna. Erano queste le scelte, che stimolavano i giovani di allora, e oggi attuali signore e signori di mezz’età, figli della Rossini renaissance. Erano queste le idee nel proporre l’opera che hanno, con sommo dispiacere dei critici a Lei successivi, formato un pubblico e contro le quali varie crociate sono state bandite e se ne bandiranno ancora.
Proprio per queste idee proseguiamo e persistiamo, anticipatamente le rappresentazioni, nel consiglio di non volgere lo sguardo verso Martina Franca. Perché a Martina Franca quando si propone Handel lo si deve fare per essere ancora Martina Franca, contro ogni stilema baroccaro ossia affidando Bertarido ad una voce femminile in assenza di castrati. Solo in questo modo si è ancora Martina Franca dove erano d’obbligo, contrariamente a quanto allora accadeva nei maggiori teatri e dai maggiori direttori esecuzioni integrali, inserimenti e varianti degli esecutori, rispetto o tentativo dello stile coevo alla nascita e rappresentazione del titolo. Insomma negli anni Suoi Rodelinda se la sarebbero disputata Lella Cuberli o Mariella Devia e Bertarido Martine Dupuy. Lo scrivo e lo ricordo così regalo a qualcuno la possibilità di tacciarmi di passatismo e di ricavarsi il proprio spazietto mal dicendo di quelle o di altri cantanti, come se la cosa potesse far dispetto ad un coelicola e ad un vecchio contadino bergamasco.
oggi inizia la trentaseiesima edizione del festival della Valle d’Itria, il Suo festival, il suo “gioco”. Quel gioco che tutti i melomani vorrebbero avere perché teatri e “bar Sport” sono uguali e nei primi noi italiani siamo tutti direttori artistici e soprintendenti mentre nei secondi allenatori della nazionale e della locale squadra.
Voglio immaginare che nella Sua attuale dimensione in cui si trova stia parlando di canto con Francesco Lamperti o discutendo sui suoni aperti al centro con Emma Carelli, che continuo ad immaginare, risponderà con la partenopea partecipazione e protervia, che conosciamo e dalle registrazioni e dalla aneddotica.
Se è ammissibile verso un coelicola una raccomandazione: eviti sguardi su questa terra e su alcuni luoghi in particolare. Che gli insulti nei suoi confronti fiocchino ora come allora, quando stava in viale Montenero, non La interessa. Questi insulti Le dicono e ci dicono che la Sua presenza era ed è ancora, detto alla latina tanta. Ingombrante insomma. E tutte le volte in cui si vogliono insultare i sopravvissuti alle campagne dei potenti, come noi del corriere, ancora muniti di apparato uditivo, i termini sono sempre gli stessi “cellettiani”, “cellettini” , “cellettismo”. Però devo dirle che hanno coniato altri due termini “grisini” e “grisalidi”. Radice differente significante medesimo.
Non guardi nei teatri perché oggi più di allora: imperano registi e scenografi ignoranti e presuntuosi, che si arrogano il diritto di audizionare cantanti anche per ruoli di comprimariato anteponendo alle doti vocali quelle del phisique, maschile in primis, sprecando citazioni di Jung e Freud; hanno luogo, sede e laute prebende direttori artistici, che novelli Godefroy de Bouillon, vogliono culturalizzare i patri pubblici infangando e misconoscendo, buona o cattiva che sia, la tradizione musicale del paese che, comunque, canto e melodramma ha creato, operano direttori d’orchestra che poco sanno dirigere e nulla concertare, circolano con consulenti filologici, che si sdegnano di suoni immascherati; taccio di agenti, critici e cantanti, all’esercizio quotidiano hanno tutti sostituito tante ore di feisbuk.
Tenga più lontano che mai lo sguardo da Martina Franca.
Lo sa che a Martina non tutto era perfetto, a partire da compagini orchestrali mediocri, da mezzi talvolta limitati ed anche da scelte vocali che avrebbero potuto essere migliori. Alcune, però, furono azzeccatissime come Mariella Devia Elvira dei Puritani, che ha dato alla signora un personaggio nel quale è stata interprete di riferimento oltre che, come sempre esimia cantante. Oggi, ossia quest’anno alla signora sarà conferito il premio Rodolfo Celletti e mi auguro che accanto al nome di Jolanda Magnoni venga fatto il Suo, dottor Celletti.
Altre volte mancò il coraggio di scelte che potevano essere ancor più estreme di quelle fatte come Pirata e Semiramide integrali, come nel Barbiere dinanzi al rinunciatario Raffanti sul rondò si sarebbe potuto affidarlo alla Rosina di turno, riproponendo la prassi della Righetti Giorgi nel 1817 a Bologna. Erano queste le scelte, che stimolavano i giovani di allora, e oggi attuali signore e signori di mezz’età, figli della Rossini renaissance. Erano queste le idee nel proporre l’opera che hanno, con sommo dispiacere dei critici a Lei successivi, formato un pubblico e contro le quali varie crociate sono state bandite e se ne bandiranno ancora.
Proprio per queste idee proseguiamo e persistiamo, anticipatamente le rappresentazioni, nel consiglio di non volgere lo sguardo verso Martina Franca. Perché a Martina Franca quando si propone Handel lo si deve fare per essere ancora Martina Franca, contro ogni stilema baroccaro ossia affidando Bertarido ad una voce femminile in assenza di castrati. Solo in questo modo si è ancora Martina Franca dove erano d’obbligo, contrariamente a quanto allora accadeva nei maggiori teatri e dai maggiori direttori esecuzioni integrali, inserimenti e varianti degli esecutori, rispetto o tentativo dello stile coevo alla nascita e rappresentazione del titolo. Insomma negli anni Suoi Rodelinda se la sarebbero disputata Lella Cuberli o Mariella Devia e Bertarido Martine Dupuy. Lo scrivo e lo ricordo così regalo a qualcuno la possibilità di tacciarmi di passatismo e di ricavarsi il proprio spazietto mal dicendo di quelle o di altri cantanti, come se la cosa potesse far dispetto ad un coelicola e ad un vecchio contadino bergamasco.
Suo affezionatissimo Donzelli
Gli ascolti
Bellini – Il pirata
Atto I
Ascolta! Nel furor delle tempeste – Giuseppe Morino (1987)
Bellini – I puritani
Atto II
Oh, rendetemi la speme…Qui la voce sua soave…Vien diletto – Mariella Devia (con Giorgio Surjan & Luigi De Corato – 1985)
Paisiello – Nina, o sia la pazza per amore
Atto I
Il mio ben quando verrà – Lella Cuberli (1978)
Rossini – Semiramide
Atto II
In sì barbara sciagura…Sì, vendicato il genitore – Martine Dupuy (1986)
Rossini – Stabat Mater
Inflammatus et accensus – Maria Dragoni (1987)
Più che con la Carelli, io mi immagino il maestro che discute di tecnica con Cotogni, Schipa o Lauri Volpi.
Scherzi a parte, grazie a Donzelli per il ricordo. Certo, chi crede di insultarci chiamandoci cellettiani non sa che in realtà ci sta facendo un grande complimento.
Saluti.
ciao dalla chat vedo la nostalgia per martina.
se ho reso un buon servizio ed un buon ricordo a celletti ne sono felice pur con i suoi difetti una siffatta personalita manca. con quelli citati lidiscuteva con la carelli litigherebbe e lei andremme di moccoli e vaffa come saluto l audizione della arangi lombardi allieva del padre e che poi scritturo al costanzi
Personalmente, secondo me, Celletti fu uno dei responsabili di quello che vediamo e sentiamo oggi.
Non me ne vogliate.
Perdona scattare, puoi spiegarti meglio?
Perché io di Arsaci ed Elvire come quelli postati in coda all'articolo, oggi come oggi, proprio non ne sento né saprei dove trovarli.
bello il ricordo su Celletti,e la quasi letterina spedita lassù perche non guardi quello che accade quaggiù..ma penso che Celleti lassu abbia altro da fare che interessarsi di quello che succede in questa valle di lacrime,quindi tocca a voi e quelli che la pensano come voi,perchè quello che Celletti diceva venga ancora ascoltato,e recepito…però bello essere chiamati “grisini” e “grisalidi”.
Non sono bravo come voi spiegare le cose, ma ho vissuto l'epoca e mi ricordo il potere d'acquisto che suo nome portava con se.
Tutti facevano a gara per potere avere un marchio Celletti associato alla propria carriera per poter facilitare il lavorare in Italia.
Non voglio aprire un discorso negativo nei suoi confronti che poi andra' finire da qualche parte sbagliata.
sul mio commento precedente
volevo aggiungere dove ho scritto..siete voi e quelli come voi….. che siete voi che avete in mano la penna, di portare avanti le idee cellettiane,naturalmente dal vostro punto di vista,da parte mia una buona parte le condivido.
caro scattare penso di capire il tuo pensiero era celletti un uomo per certi versi ingenuo ne hanno profitta in molti. Se ci conosceremo ne parleremo attendo sempre le tue memorie di ascoltare. Ciao domenico.
@DDonzelli: Grazie della comprensione.
Innanzitutto: grazie per tutto quello che scrivete e per come lo scrivete.
Su Celletti: io mi considero “cellettiano”; e non trovo nessuna connotazione negativa nel termine “cellettismo” e affini. Bisognerebbe forse anche riflettere, quanto alla lezione attuale e più in generale al lascito culturale di RC: non mi risulta ci sia (ancora) stato una ricostruzione storico-critica del suo contributo. E qualcosa vorrà pur dire.
Tre addenda, credo connessi:
I. C’è un Celletti laurivolpiano e c’è un Celletti moriniano: eppure GLV e GM sono agli antipodi (e penso che GLV non avrebbe apprezzato GM, che io apprezzo, e molto); quali le possibili ragioni, all’interno dell’estetica cellettiana?
II. Apprezzo, e molto, Cecilia Bartoli: ha una civiltà vocale che i cantanti “moderni” non vogliono, o non possono o non sanno avere. Apprezzo sempre più i controtenori, perché non gridano. Il mal canto, cioè il non sapere cantare sfumato, non potrebbe avere un contravveleno in qualcuno di coloro che voi qualificate “baroccari”?
III. Come tener vivo il ricordo e soprattutto l’insegnamento di Celletti? Si potrebbe pensare ad una sottoscrizione per raccogliere e far pubblicare da qualche piccolo editore ad esempio tutti i suoi interventi sparsi in varie riviste? Voi magari potreste lanciare l’idea della sottoscrizione tra gli appassionati e tra i (moltissimi) vostri lettori, e curare anche il volume.
mg
Sono sicuramente d'accordo con voi, di un "Celletti" si sente la mancanza, ha lasciato un vuoto che non è stato colmato.
Ho solo due piccoli appunti da porre alla vostra attenzione, primo: “La scuola del muggito”, spero non sia anche causa di questo suo “pallino” del perché oggi non abbiamo più baritoni con voci “importanti”.
Secondo: non mi spiego perché, un “Celletti”, abbia sentito la necessità di immischiarsi negli ingranaggi non proprio “candidi” del management lirico, lo avrei preferito “perfido” censore senza il tarlo del dubbio riguardo alla limpidezza dei suoi giudizi.
Mauro: vero che ancora non c'è stata una trattazione sistematica sul pensiero di Celletti, e del resto come potrebbe conciliarsi tale trattazione con la sistematica – quella sì – damnatio memoriae di cui il critico è fatto oggetto? tanto più che oggi il pensiero critico (o meglio, il pensiero della critica) assomiglia più a un costante seguire o inseguire l'ultima moda nel disperato tentativo di essere "à la page". Quindi tanto più inattuale e incomprensibile il pensiero di Celletti, che era invece di una coerenza e di una inattualità estreme.
Il mal canto, ahimè, non è solo quello degli urlatori, ma anche quello di chi canta in bocca, con voce spoggiata e non proiettata. La civiltà vocale a poco serve, senza le basi del canto professionale. Comunque ora che a Martina Franca approdano ufficialmente i baroccari in Haendel (basta leggere la locandina della Rodelinda per sincerarsene), vedremo se ciò comporterà un miglioramento…
mayqrnin: le voci "importanti" ci sarebbero anche, ma chi le possiede non sa usarle e finisce per bruciarle in pochi anni di carriera. E comunque si può muggire anche senza la voce o con poca voce.
quanto all'attività di Celletti organizzatore di festival, credo rispondesse al desiderio di verificare in teatro la validità delle sue teorie sulla voce e la prassi del Belcanto. Naturalmente, se non si fosse mai avventurato in quel territorio, alcuni lo avrebbero di certo accusato di non volersi "sporcare le mani" con la pratica…
Non posso perdonare a Celletti la sua poca stima nei confronti di un autentico genio come Berlioz. Oltretutto, quando si scrive per un pubblico, il "de gustibus" non vale assolutamente e ognuno ha il dovere di immedesimarsi nelle espressioni d'arte veramente grandi.
Marco Ninci
Io credo che Celletti non sia stato uno studioso, né del canto, né della vocalità, né dello stile interpretativo; fu soprattutto un giornalista, nel senso di: divulgatore.
Di qui le sue note idiosincrasie espresse con foga, che stanno benissimo negli scritti d'occasione, molto meno in libri scientifici.
Certo, in Italia non so chi fossero e chi siano gli studiosi della vocalità, e quindi meglio Celletti di niente.
Il che però pone il seguente problema per chi si sente cellettiano: dove stanno le rigorose basi scientifiche non solo per dichiararsi cellettiani ma anche per sostenere seriamente posizioni cellettiane?
Altrimenti tutto si riduce effettivamente al de gustibus di cui sopra, che naturalmente va anche bene, ma non è formativo.
rıspondo per donzellı prıma dı cellettı cı sono moltı ed ınteressantı scrıttı dı canto e dı crıtıca al cantante. cıto eugenıo gara monaldı e sopratutto scudo ınteressantıssımı tuttı
Caro Marco,
ognuno ha le sue idiosincrasie. Strawinskj non sopportava Vivaldi e Wagner, D´Amico ha scritto cose severe su Berlioz, per non parlare di Buscaroli e Isotta che odiano Mahler e lo considerano autore per necrofili. Celletti aveva solo la caratteristica della sincerità.