Lunedì pomeriggio, alle 17.00, presso il ridotto dei palchi “Arturo Toscanini”, alla Scala di Milano, la Fondazione Rossini e Casa Ricordi, hanno ufficialmente presentato la “nuova” edizione critica del Barbiere di Siviglia, a cura, ça va sans dire, dell’immarcescibile Alberto Zedda. Non avendo potuto partecipare all’evento, mi riservo di entrare nel merito delle scelte editoriale – se ve ne sarà occasione – allorquando avrò modo di poter consultare le novità contenute nella fresca pubblicazione (non illudendomi di leggerne un qualche riscontro, anche minimo, sulla stampa di settore: troppo impegnata nel costruir consensi o nel tutelarli, ovvero nel più degradante pettegolezzo da foyer, reali o virtuali, più degno delle cronache di costume – quando non di un triviale “Bar Sport” – che della critica musicale “togata”). Tant’è.
Il sito internet del teatro meneghino recita con una certa pompa: “L’edizione si inserisce nel monumentale lavoro degli opera omnia rossiniana che da trent’anni restituiscono al mondo un patrimonio musicale di straordinaria bellezza. Tutte le fonti degli archivi e delle biblioteche italiane ed estere, i libretti, le fonti a stampa, nonché i documenti relativi alla storia dell’opera, sono stati analizzati al fine di stabilirne un profilo coerente per chiarire e precisare il contesto nel quale il capolavoro rossiniano è nato e cresciuto, stabilizzandosi nel repertorio teatrale. Grazie a nuove ricerche su fonti autografe è stato possibile localizzare manoscritti finora non considerati o sconosciuti agli studiosi e di approntare un testo fedele sia dal punto di vista del musicista che del musicologo”. Un’iperbole un po’ fumosa che dice tutto e niente. Innanzitutto colpisce la tempistica dell’iniziativa: verso la fine del 2008 la tedesca Barenreiter pubblicava una nuova edizione critica del Barbiere di Siviglia, nell’ambito della serie dedicata a Gioachino Rossini (prevista sino ad ora in dieci volumi, comprendenti lavori in gran parte non contenuti nell’Opera Omnia curata dalla Fondazione Rossini di Pesaro). Lo staff scientifico (composto da importanti studiosi della musica rossiniana) è guidato e coordinato da Philip Gossett. E’ fatto noto la burrascosa interruzione del rapporto tra l’autorevole studioso americano e la Fondazione presso cui svolgeva l’incarico di Direttore dell’Edizione Critica delle Opere di Rossini. I motivi sono da ricercare nella sempre più evidente distanza tra i comportamenti pratici assunti dalla Fondazione e i principi che ne avrebbero dovuto guidare l’operato: circostanza mal tollerata da Gossett e polemicamente stigmatizzata. In particolare i problemi sarebbero sorti in rapporto al ROF, da sempre considerato emanazione della Fondazione stessa: strumento e occasione, cioè, per mostrare e mettere in scena i risultati delle ricerche filologiche svolte. Purtroppo col passare del tempo, la serietà e la coerenza musicologica han ceduto il passo a più concreti e prosaici interessi pratici (e probabilmente economici): sono state prodotte opere non revisionate criticamente, sono stati apportati cambiamenti e inserti ad uso e consumo di dive e divi (probabilmente per garantirsi la loro presenza), si è giocherellato con le fonti in modo poco serio, si sono spalancate le porte ad interpreti ancora acerbi o inadeguati alle prestazioni richieste. Insomma, la Fondazione è stata ridotta ad un settore del ROF (incaricata di fornirgli una patente di accuratezza filologica e di eccellenza scientifica, da appiccicare come un marchio ai suoi “prodotti”) e non, com’era nei piani originari, l’esatto contrario. Gli affari sono affari…evidentemente. Tuttavia ciò non poteva essere tollerato da Gossett che non ha fatto mistero di non condividere la nuova politica della Fondazione (lo racconta anche nel suo libro, quando parla, ad esempio, di una recente produzione di La Scala di Seta: l’inserto arbitrario di un’aria che nulla c’entra con l’opera – e che è stata pesantemente riadattata a causa delle notevoli differenze tra l’orchestrazione originale e la struttura tonale, al fine di inserirla pur con evidenti forzature, nel corpus della farsa – è stato presentato come operazione legittima filologicamente e tecnicamente riuscita). Le polemiche seguite a questo e ad altri episodi, le prese di distanza, i malumori e i disagi, hanno condotto al licenziamento dello studioso americano (un’ente che si permette di allontanare il suo miglior elemento – quello più accreditato nell’ambito scientifico internazionale – per mero puntiglio, interessi politici, e convenienze commerciali, la dice lunga sullo stato della gestione! Ma siamo in Italia: mai dimenticarlo). Gossett, si sa, ha poi firmato un contratto con l’editore Barenreiter per la pubblicazione di quella serie di volumi dedicati a Rossini di cui parlavo poc’anzi: volumi in gran parte contenenti lavori ignorati da Pesaro. Da qui una piccola guerra di ripicche è stata condotta dalla Fondazione (lo racconta il diretto interessato in interviste facilmente consultabili, a cui rimando), che pare abbia cercato in tutti i modi di “mettere il bastone tra le ruote” dello studioso americano, impedendogli, ad esempio, di consultare agevolmente gli autografi e le fonti contenute nella sua Biblioteca (Gossett ebbe molte difficoltà nel consultare il manoscritto della Petite Messe Solennelle, in vista di una revisione critica per conto della casa tedesca, a causa degli scogli burocratici che il bizantinismo della Fondazione ha pensato bene di elaborare). Ma nonostante gli ostacoli, le pubblicazioni di Barenreiter proseguono. Alla fine del 2008, dicevo, è stata data alle stampe la nuova edizione del Barbiere di Siviglia. L’edizione precedente, firmata da Zedda, risale al 1969 e fu presa a simbolo della Rossini Renaissance. Complice il successo commerciale della versione discografica firmata da Abbado (che però non si premurò di seguirne troppo le indicazioni: abbondano i tagli, Basilio gigioneggia come e più del solito, il Conte d’Almaviva è il consueto tenorino sbiancato e fragile, come nella più deprecabile tradizione, altro che il recupero della virilità di Garcia!), essa è stata considerata la capostipite del rinnovato interesse verso il compositore. In realtà se pure Zedda ha risolto egregiamente tanti problemi connessi alle tristi sorti che hanno accompagnato la partitura nel corso degli anni (alterazioni di ogni tipo, tagli, riorchestrazioni, arbitri, manomissioni…certamente fisiologici in una universale diffusione e popolarità) riportando finalmente l’opera alla sua veste autentica, ne ha lasciati aperti molti altri. In particolare le fonti: Zedda basa le sue ricerche essenzialmente sul manoscritto autografo conservato a Bologna (lo stesso sul quale Gui elaborerà la sua edizione, una decina d’anni prima: lavoro encomiabile, ma totalmente ignorato dalla miopia di Casa Ricordi) ed ignora tutto il resto. Certamente il difficile reperimento delle fonti, la complessità nel consultare archivi (spesso non catalogati), la mancata conoscenza di molto materiale (a stampa o manoscritto), lo stato stesso e il livello della scienza musicologica di allora, vanno a discolpare Zedda da qualsiasi accusa di inaccuratezza o semplicismo. Di certo però la sua edizione è invecchiata. E, per le esigenze moderne, appare superata. Oggi che ben conosciamo stile e prassi d’epoca, oggi che abbiamo ben presente il tipo d’emissione e la tecnica necessaria ad eseguire quel genere particolarissimo, non è più sufficiente avere un testo integrale e ripulito dalle croste della tradizione: ecco, dunque, che le edizioni critiche più recenti ci forniscono tutto un bagaglio di informazioni aggiuntive. Varianti d’autore, scritture differenti, brani alternativi e, soprattutto, abbellimenti, cadenze e variazioni, ora di mano del compositore stesso ora scritte dagli interpreti più importanti e celebrati. Tutto ciò ha il duplice vantaggio di farci meglio conoscere la storia compositiva dell’opera e di fornire agli interpreti odierni, una guida per quel difficile, ma necessario compito che è l’elaborazione del virtuosismo (componente fondamentale, anche se non scritta, dell’opera italiana nel primo ‘800). Di tutto questo non c’è traccia nella classica edizione di Zedda. Gossett vi pone rimedio. Innanzitutto non si basa più sul solo manoscritto bolognese, ma considera molteplici fonti (copie manoscritte e a stampa, riduzioni, rielaborazioni e libretti): questo consente ai curatori di seguire l’intero percorso dell’opera, dalla genesi alle riprese successive alla prima romana del 1816. Ecco dunque che, per la prima volta vengono considerate le tante copie manoscritte (e dal contenuto più vario) che hanno accompagnato l’opera nel suo percorso nei teatri italiani ed europei: Bologna e Firenze nel 1816, Pesaro e Napoli nel 1818, Venezia e Vienna nel 1819. Manoscritti spesso dispersi in diverse biblioteche e non sempre ben conservati. Gossett e Patricia B. Brauner, la curatrice effettiva del volume, hanno poi utilizzato le fonti a stampa: le partiture complete esistenti (quella parigina del 1821 edita da Castil-Blaze che in realtà rielabora completamente l’opera, quella romana del 1825 pubblicata da Ratti, Cencetti & C., infine quella fiorentina del 1864) e gli spartiti per canto e pianoforte (un intreccio “avviluppato” di stampe e ristampe, parziali o complete, di pezzi singoli o di singoli atti, difficile da districare). Si aggiungano poi le arie sostitutive per Rosina (“La mia pace, la mia calma” scritta per la Righetti-Giorgi nel 1816 in sostituzione dell’aria della lezione; “Ah se è ver”, composta nel 1819 per la Fodor-Mainvielle) e quella scritta da Pietro Romani per Bartolo (“Manca un foglio” del 1816). Infine l’ornamentazione: l’edizione di Gossett mette a disposizione per la prima volta un ricchissimo apparato di variazioni e cadenze di mano rossiniana (limitatamente alla sola parte di Rosina) oltre che alla raccolta completa e ordinata delle ornamentazioni composte dai tanti cantanti che affrontarono l’opera in tutto il XIX secolo (e che fino ad ora erano disorganicamente contenute nei loro privati taccuini e quaderni d’appunti). L’edizione Barenreiter corregge, infine, i tanti errori contenuti nella versione Zedda, a cominciare dalla Sinfonia. Rimando a quanto scrive la Brauner nella sua introduzione alla partitura, limitandomi qui a brevi cenni. Si sa che Rossini utilizzò per il Barbiere la Sinfonia dell’Aureliano in Palmira, tuttavia essa non è stata trascritta nell’autografo (che indica le sole parti di violoncelli e contrabbassi): ecco perchè le copie manoscritte derivate da quello, o non contengono Sinfonia, o ne comprendono una sostitutiva (di solito quella del Turco in Italia), ovvero riproducono quella dell’Elisabetta Regina d’Inghilterra. Mancando l’autografo dell’Aureliano in Palmira (su cui, probabilmente, Rossini aveva segnato le necessarie modifiche per adattarla al nuovo lavoro), certi problemi appaiono di difficilissima soluzione: in particolare le differenze nell’orchestrazione tra la Sinfonia originale dell’Aureliano (così come risulta dalle fonti secondarie) e il resto dell’opera. Zedda non considera affatto il problema e, semplicemente, indica in partitura strumenti (timpani, 2 flauti e 2 oboi) che non suonano più nel resto dell’opera (l’orchestra per cui scrisse Rossini, disponeva di due soli strumentisti per ottavino, flauto e oboe, e nessuno per i timpani). Gossett e la Brauer optano invece per una soluzione diversa: pur lasciando la Sinfonia dell’Aureliano completa, ne propongono una versione rispettosa dell’orchestrazione del Barbiere. Queste dunque le principali novità della nuova edizione Barenreiter (oltre naturalmente a tutta una serie di interventi minori). Con l’edizione presentata ieri siamo alla terza. Quali novità conterrà la nuova versione di Zedda? Quali fonti diverse da quelle consultate da Gossett, saranno state confrontate? Quale apporto può venire da un’edizione che, presumibilmente, non si potrà certo discostare di molto da quella pubblicata da Barenreiter? A chi giova? Le indicazioni in merito, da parte di Casa Ricordi, sembrano richiamare il lavoro svolto dalla Brauer (confronto di tutte le fonti conosciute, inclusione delle arie alternative e aggiunte, tra cui una trascrizione mezzosopranile di “Cessa di più resistere” di autenticità assai dubbia però, ampio corredo di variazioni rossiniane e non, sistemazione coerente della Sinfonia). Nessuna novità, pare, rispetto a Barenreiter. E dunque? “A pensare male si fa peccato – diceva qualcuno – ma spesso si indovina”. Infatti, aldilà dei meriti scientifici che questa nuova edizione sicuramente potrà vantare, come non considerare il fatto che segue di un annetto soltanto la pubblicazione della casa editrice concorrente? Come non tener conto dei rapporti tra i due studiosi o i comportamenti ultimamente tenuti dalla Fondazione Rossini? Come non pensare, seppur con malizia, che la diffusione e l’utilizzo dell’edizione Barenreiter (di cui sono evidenti i molti pregi) avverrebbe a discapito dell’obsoleta edizione Ricordi, togliendo così, alla casa editrice milanese, quella percentuale di introiti (non certo irrilevante: il Barbiere di Siviglia è una delle opere più rappresentate al mondo) che l’opera garantisce, in un mercato in cui Ricordi tuttora detiene il monopolio, e che, certo, non è suo interesse aprire alla concorrenza? Ovvio che per salvaguardare i propri privilegi occorre intervenire. Anche rapidamente. E non permettere al concorrente di appropriarsi di uno spazio tenuto pericolosamente sguarnito. Il breve lasso temporale che separa le due edizioni, suggerisce proprio questo: l’intento di marcare il territorio. E’ un messaggio a Barenreiter e a Gossett. Non so da quanto tempo era prevista la nuova edizione Ricordi del Barbiere, certo questo improvviso risveglio dopo 40 anni pare sospetto. E pensare che molte opere di Rossini sono tutt’ora prive di edizione critica o di una revisione sulle fonti esistenti: da Le siége de Corinthe a Le Comte Ory, dal Moise et Pharaon all’Aureliano in Palmira e a Eduardo e Cristina. Certo, sono lavori difficili su fonti corrotte (spesso mancano gli autografi), ma forse, invece di rieditare un nuovo Barbiere di Siviglia (di cui l’eccellente edizione Barenreiter sembra più che sufficiente), ricominciando a confrontare le stesse fonti consultate da Gossett, perchè non esplorare i settori del catalogo rossiniano ancora confusi e incerti? Perchè solo oggi ricordarsi della necessità di aggiornare Zedda (rectius, di autoaggiornare)? Per fortuna il piano di pubblicazione predisposto da Gossett per la Barenreiter non comprende altri titoli confliggenti: altrimenti nei prossimi 10 anni avremmo assistito ad un “rigurgito” di furore musicologico da parte di Casa Ricordi. Circostanza che avrebbe divertito il diretto interessato! A ben vedere, però, l’eccellenza, la cura e la serietà dell’edizione Barenreiter, fa rimpiangere che Gossett abbia previsto solo 10 volumi… Ma mai dire mai: forse l’atteggiamento di ripicca (ne ha tutta l’aria) della Fondazione Rossini, potrebbe spingere lo studioso americano a ripensarci. Si preannuncia un “duello tra edizioni critiche”? Rossini, divertito, citerebbe l’opera di un suo collega: “Io son uomo di pace, e duelli non ne fo, se non a mensa!”
Il sito internet del teatro meneghino recita con una certa pompa: “L’edizione si inserisce nel monumentale lavoro degli opera omnia rossiniana che da trent’anni restituiscono al mondo un patrimonio musicale di straordinaria bellezza. Tutte le fonti degli archivi e delle biblioteche italiane ed estere, i libretti, le fonti a stampa, nonché i documenti relativi alla storia dell’opera, sono stati analizzati al fine di stabilirne un profilo coerente per chiarire e precisare il contesto nel quale il capolavoro rossiniano è nato e cresciuto, stabilizzandosi nel repertorio teatrale. Grazie a nuove ricerche su fonti autografe è stato possibile localizzare manoscritti finora non considerati o sconosciuti agli studiosi e di approntare un testo fedele sia dal punto di vista del musicista che del musicologo”. Un’iperbole un po’ fumosa che dice tutto e niente. Innanzitutto colpisce la tempistica dell’iniziativa: verso la fine del 2008 la tedesca Barenreiter pubblicava una nuova edizione critica del Barbiere di Siviglia, nell’ambito della serie dedicata a Gioachino Rossini (prevista sino ad ora in dieci volumi, comprendenti lavori in gran parte non contenuti nell’Opera Omnia curata dalla Fondazione Rossini di Pesaro). Lo staff scientifico (composto da importanti studiosi della musica rossiniana) è guidato e coordinato da Philip Gossett. E’ fatto noto la burrascosa interruzione del rapporto tra l’autorevole studioso americano e la Fondazione presso cui svolgeva l’incarico di Direttore dell’Edizione Critica delle Opere di Rossini. I motivi sono da ricercare nella sempre più evidente distanza tra i comportamenti pratici assunti dalla Fondazione e i principi che ne avrebbero dovuto guidare l’operato: circostanza mal tollerata da Gossett e polemicamente stigmatizzata. In particolare i problemi sarebbero sorti in rapporto al ROF, da sempre considerato emanazione della Fondazione stessa: strumento e occasione, cioè, per mostrare e mettere in scena i risultati delle ricerche filologiche svolte. Purtroppo col passare del tempo, la serietà e la coerenza musicologica han ceduto il passo a più concreti e prosaici interessi pratici (e probabilmente economici): sono state prodotte opere non revisionate criticamente, sono stati apportati cambiamenti e inserti ad uso e consumo di dive e divi (probabilmente per garantirsi la loro presenza), si è giocherellato con le fonti in modo poco serio, si sono spalancate le porte ad interpreti ancora acerbi o inadeguati alle prestazioni richieste. Insomma, la Fondazione è stata ridotta ad un settore del ROF (incaricata di fornirgli una patente di accuratezza filologica e di eccellenza scientifica, da appiccicare come un marchio ai suoi “prodotti”) e non, com’era nei piani originari, l’esatto contrario. Gli affari sono affari…evidentemente. Tuttavia ciò non poteva essere tollerato da Gossett che non ha fatto mistero di non condividere la nuova politica della Fondazione (lo racconta anche nel suo libro, quando parla, ad esempio, di una recente produzione di La Scala di Seta: l’inserto arbitrario di un’aria che nulla c’entra con l’opera – e che è stata pesantemente riadattata a causa delle notevoli differenze tra l’orchestrazione originale e la struttura tonale, al fine di inserirla pur con evidenti forzature, nel corpus della farsa – è stato presentato come operazione legittima filologicamente e tecnicamente riuscita). Le polemiche seguite a questo e ad altri episodi, le prese di distanza, i malumori e i disagi, hanno condotto al licenziamento dello studioso americano (un’ente che si permette di allontanare il suo miglior elemento – quello più accreditato nell’ambito scientifico internazionale – per mero puntiglio, interessi politici, e convenienze commerciali, la dice lunga sullo stato della gestione! Ma siamo in Italia: mai dimenticarlo). Gossett, si sa, ha poi firmato un contratto con l’editore Barenreiter per la pubblicazione di quella serie di volumi dedicati a Rossini di cui parlavo poc’anzi: volumi in gran parte contenenti lavori ignorati da Pesaro. Da qui una piccola guerra di ripicche è stata condotta dalla Fondazione (lo racconta il diretto interessato in interviste facilmente consultabili, a cui rimando), che pare abbia cercato in tutti i modi di “mettere il bastone tra le ruote” dello studioso americano, impedendogli, ad esempio, di consultare agevolmente gli autografi e le fonti contenute nella sua Biblioteca (Gossett ebbe molte difficoltà nel consultare il manoscritto della Petite Messe Solennelle, in vista di una revisione critica per conto della casa tedesca, a causa degli scogli burocratici che il bizantinismo della Fondazione ha pensato bene di elaborare). Ma nonostante gli ostacoli, le pubblicazioni di Barenreiter proseguono. Alla fine del 2008, dicevo, è stata data alle stampe la nuova edizione del Barbiere di Siviglia. L’edizione precedente, firmata da Zedda, risale al 1969 e fu presa a simbolo della Rossini Renaissance. Complice il successo commerciale della versione discografica firmata da Abbado (che però non si premurò di seguirne troppo le indicazioni: abbondano i tagli, Basilio gigioneggia come e più del solito, il Conte d’Almaviva è il consueto tenorino sbiancato e fragile, come nella più deprecabile tradizione, altro che il recupero della virilità di Garcia!), essa è stata considerata la capostipite del rinnovato interesse verso il compositore. In realtà se pure Zedda ha risolto egregiamente tanti problemi connessi alle tristi sorti che hanno accompagnato la partitura nel corso degli anni (alterazioni di ogni tipo, tagli, riorchestrazioni, arbitri, manomissioni…certamente fisiologici in una universale diffusione e popolarità) riportando finalmente l’opera alla sua veste autentica, ne ha lasciati aperti molti altri. In particolare le fonti: Zedda basa le sue ricerche essenzialmente sul manoscritto autografo conservato a Bologna (lo stesso sul quale Gui elaborerà la sua edizione, una decina d’anni prima: lavoro encomiabile, ma totalmente ignorato dalla miopia di Casa Ricordi) ed ignora tutto il resto. Certamente il difficile reperimento delle fonti, la complessità nel consultare archivi (spesso non catalogati), la mancata conoscenza di molto materiale (a stampa o manoscritto), lo stato stesso e il livello della scienza musicologica di allora, vanno a discolpare Zedda da qualsiasi accusa di inaccuratezza o semplicismo. Di certo però la sua edizione è invecchiata. E, per le esigenze moderne, appare superata. Oggi che ben conosciamo stile e prassi d’epoca, oggi che abbiamo ben presente il tipo d’emissione e la tecnica necessaria ad eseguire quel genere particolarissimo, non è più sufficiente avere un testo integrale e ripulito dalle croste della tradizione: ecco, dunque, che le edizioni critiche più recenti ci forniscono tutto un bagaglio di informazioni aggiuntive. Varianti d’autore, scritture differenti, brani alternativi e, soprattutto, abbellimenti, cadenze e variazioni, ora di mano del compositore stesso ora scritte dagli interpreti più importanti e celebrati. Tutto ciò ha il duplice vantaggio di farci meglio conoscere la storia compositiva dell’opera e di fornire agli interpreti odierni, una guida per quel difficile, ma necessario compito che è l’elaborazione del virtuosismo (componente fondamentale, anche se non scritta, dell’opera italiana nel primo ‘800). Di tutto questo non c’è traccia nella classica edizione di Zedda. Gossett vi pone rimedio. Innanzitutto non si basa più sul solo manoscritto bolognese, ma considera molteplici fonti (copie manoscritte e a stampa, riduzioni, rielaborazioni e libretti): questo consente ai curatori di seguire l’intero percorso dell’opera, dalla genesi alle riprese successive alla prima romana del 1816. Ecco dunque che, per la prima volta vengono considerate le tante copie manoscritte (e dal contenuto più vario) che hanno accompagnato l’opera nel suo percorso nei teatri italiani ed europei: Bologna e Firenze nel 1816, Pesaro e Napoli nel 1818, Venezia e Vienna nel 1819. Manoscritti spesso dispersi in diverse biblioteche e non sempre ben conservati. Gossett e Patricia B. Brauner, la curatrice effettiva del volume, hanno poi utilizzato le fonti a stampa: le partiture complete esistenti (quella parigina del 1821 edita da Castil-Blaze che in realtà rielabora completamente l’opera, quella romana del 1825 pubblicata da Ratti, Cencetti & C., infine quella fiorentina del 1864) e gli spartiti per canto e pianoforte (un intreccio “avviluppato” di stampe e ristampe, parziali o complete, di pezzi singoli o di singoli atti, difficile da districare). Si aggiungano poi le arie sostitutive per Rosina (“La mia pace, la mia calma” scritta per la Righetti-Giorgi nel 1816 in sostituzione dell’aria della lezione; “Ah se è ver”, composta nel 1819 per la Fodor-Mainvielle) e quella scritta da Pietro Romani per Bartolo (“Manca un foglio” del 1816). Infine l’ornamentazione: l’edizione di Gossett mette a disposizione per la prima volta un ricchissimo apparato di variazioni e cadenze di mano rossiniana (limitatamente alla sola parte di Rosina) oltre che alla raccolta completa e ordinata delle ornamentazioni composte dai tanti cantanti che affrontarono l’opera in tutto il XIX secolo (e che fino ad ora erano disorganicamente contenute nei loro privati taccuini e quaderni d’appunti). L’edizione Barenreiter corregge, infine, i tanti errori contenuti nella versione Zedda, a cominciare dalla Sinfonia. Rimando a quanto scrive la Brauner nella sua introduzione alla partitura, limitandomi qui a brevi cenni. Si sa che Rossini utilizzò per il Barbiere la Sinfonia dell’Aureliano in Palmira, tuttavia essa non è stata trascritta nell’autografo (che indica le sole parti di violoncelli e contrabbassi): ecco perchè le copie manoscritte derivate da quello, o non contengono Sinfonia, o ne comprendono una sostitutiva (di solito quella del Turco in Italia), ovvero riproducono quella dell’Elisabetta Regina d’Inghilterra. Mancando l’autografo dell’Aureliano in Palmira (su cui, probabilmente, Rossini aveva segnato le necessarie modifiche per adattarla al nuovo lavoro), certi problemi appaiono di difficilissima soluzione: in particolare le differenze nell’orchestrazione tra la Sinfonia originale dell’Aureliano (così come risulta dalle fonti secondarie) e il resto dell’opera. Zedda non considera affatto il problema e, semplicemente, indica in partitura strumenti (timpani, 2 flauti e 2 oboi) che non suonano più nel resto dell’opera (l’orchestra per cui scrisse Rossini, disponeva di due soli strumentisti per ottavino, flauto e oboe, e nessuno per i timpani). Gossett e la Brauer optano invece per una soluzione diversa: pur lasciando la Sinfonia dell’Aureliano completa, ne propongono una versione rispettosa dell’orchestrazione del Barbiere. Queste dunque le principali novità della nuova edizione Barenreiter (oltre naturalmente a tutta una serie di interventi minori). Con l’edizione presentata ieri siamo alla terza. Quali novità conterrà la nuova versione di Zedda? Quali fonti diverse da quelle consultate da Gossett, saranno state confrontate? Quale apporto può venire da un’edizione che, presumibilmente, non si potrà certo discostare di molto da quella pubblicata da Barenreiter? A chi giova? Le indicazioni in merito, da parte di Casa Ricordi, sembrano richiamare il lavoro svolto dalla Brauer (confronto di tutte le fonti conosciute, inclusione delle arie alternative e aggiunte, tra cui una trascrizione mezzosopranile di “Cessa di più resistere” di autenticità assai dubbia però, ampio corredo di variazioni rossiniane e non, sistemazione coerente della Sinfonia). Nessuna novità, pare, rispetto a Barenreiter. E dunque? “A pensare male si fa peccato – diceva qualcuno – ma spesso si indovina”. Infatti, aldilà dei meriti scientifici che questa nuova edizione sicuramente potrà vantare, come non considerare il fatto che segue di un annetto soltanto la pubblicazione della casa editrice concorrente? Come non tener conto dei rapporti tra i due studiosi o i comportamenti ultimamente tenuti dalla Fondazione Rossini? Come non pensare, seppur con malizia, che la diffusione e l’utilizzo dell’edizione Barenreiter (di cui sono evidenti i molti pregi) avverrebbe a discapito dell’obsoleta edizione Ricordi, togliendo così, alla casa editrice milanese, quella percentuale di introiti (non certo irrilevante: il Barbiere di Siviglia è una delle opere più rappresentate al mondo) che l’opera garantisce, in un mercato in cui Ricordi tuttora detiene il monopolio, e che, certo, non è suo interesse aprire alla concorrenza? Ovvio che per salvaguardare i propri privilegi occorre intervenire. Anche rapidamente. E non permettere al concorrente di appropriarsi di uno spazio tenuto pericolosamente sguarnito. Il breve lasso temporale che separa le due edizioni, suggerisce proprio questo: l’intento di marcare il territorio. E’ un messaggio a Barenreiter e a Gossett. Non so da quanto tempo era prevista la nuova edizione Ricordi del Barbiere, certo questo improvviso risveglio dopo 40 anni pare sospetto. E pensare che molte opere di Rossini sono tutt’ora prive di edizione critica o di una revisione sulle fonti esistenti: da Le siége de Corinthe a Le Comte Ory, dal Moise et Pharaon all’Aureliano in Palmira e a Eduardo e Cristina. Certo, sono lavori difficili su fonti corrotte (spesso mancano gli autografi), ma forse, invece di rieditare un nuovo Barbiere di Siviglia (di cui l’eccellente edizione Barenreiter sembra più che sufficiente), ricominciando a confrontare le stesse fonti consultate da Gossett, perchè non esplorare i settori del catalogo rossiniano ancora confusi e incerti? Perchè solo oggi ricordarsi della necessità di aggiornare Zedda (rectius, di autoaggiornare)? Per fortuna il piano di pubblicazione predisposto da Gossett per la Barenreiter non comprende altri titoli confliggenti: altrimenti nei prossimi 10 anni avremmo assistito ad un “rigurgito” di furore musicologico da parte di Casa Ricordi. Circostanza che avrebbe divertito il diretto interessato! A ben vedere, però, l’eccellenza, la cura e la serietà dell’edizione Barenreiter, fa rimpiangere che Gossett abbia previsto solo 10 volumi… Ma mai dire mai: forse l’atteggiamento di ripicca (ne ha tutta l’aria) della Fondazione Rossini, potrebbe spingere lo studioso americano a ripensarci. Si preannuncia un “duello tra edizioni critiche”? Rossini, divertito, citerebbe l’opera di un suo collega: “Io son uomo di pace, e duelli non ne fo, se non a mensa!”
Non voglio criticare il Barbiere della Scala . Lo lascio fare ad altri. Voglio solo precisare: che bello vedere ancora dopo quasi 50 anni, lo spettacolo di Ponnelle. Ti apre il cuore, ti incanta gli occhi ed insegna alla dirigenza della Scala che in anni di vacche magre, fare tante produzioni nuove , avendo nei magazzini produzioni incantevoli è follia, spreco, malcostume.
Completamente d'accordo!