Horror-Tosca da Monaco di Baviera

Probabilmente vi diranno che si è trattata di “Tosca” sublime, sganciata da tutte quelle convenzioni, che per oltre un secolo l’hanno scelleratamente incatramata nel torbido mare dei luoghi comuni; che assistere a questo spettacolo è stato come ascoltare quest’opera per la prima volta; che la regia ha rivelato cose che voi umani non potete neanche immaginarvi; che il cast scelto è il migliore in assoluto dell’intera discografia pucciniana; che la Mattila ha finalmente rivelato chissà quali pieghe della psiche di questa primadonna con una recitazione moderna ed esemplare; che Kaufmann con le sue “mezzevoci paradisiache”, il suo fraseggio analitico e nevrotico, il suo timbro così sfaccettato è un Cavaradossi finalmente pieno di inedite “nuances” ed ha con sol gesto mandato in cantina tutti quei menzogneri, poco stilizzati cantanti del passato, anticaglia mistificatrice di uno stile che solo oggi è stato ripristinato; che Uusitalo è probabilmente lo Scarpia più ambiguo e blasfemo che un artista abbia mai concepito; che l’allestimento di Bondy ha finalmente rivelato con la sua geniale sfrontatezza e grazie ai “non luoghi” scenografici disegnati da Peduzzi, ciò che di più recondito è nascosto nelle parole di Sardou-Illica-Giacosa e tra le note di Puccini e che nessuno, prima d’ora, ha mai osato affrontare. Il tutto infarcito con uno stile pomposo, ricco di aggettivazioni inaudite, soavissime metafore, emozionanti iperboli, metafisiche paranoie, degne di Liala, Carolina Invernizio, o, meglio ancora, un “Harmony”!
E se invece prevarrà un minimo di decenza e onestà intellettuale, abbonderanno i distinguo, i prudenti rilievi, le frasi a metà, scandite dai mantra “tanto non c’è di meglio” e “sempre meglio che la provincia italiota”.
Probabilmente…
Sicuramente, la realtà dei fatti è ben altra.

Quello che ARTE ha trasmesso in diretta dall’ Opern-Festspiele di Monaco di Baviera è la constatazione che scavando oltre il fondo si trova sempre qualcos’altro da spalare che cela un limite immediatamente successivo e pronto per essere superato.
Si, perché questa “Tosca” musicalmente e vocalmente ha dimostrato come oggi nemmeno Puccini sia esente da quell’alone di “rappresentabilità”, che affligge molti compositori, se i cast proposti sono di tale livello; a meno che non si voglia mettere in scena una sua comicissima parodia, cioè quello che esattamente è accaduto a Monaco.
Quando i teatri decidono di comune accordo ed in maniera molto intelligente, di produrre insieme un nuovo allestimento, sanno riconoscere la qualità delle proposte a cui daranno vita con i loro investimenti ? Oppure con superficiale fiducia accordano i finanziamenti in base alla “griffe”?
A osservare questo allestimento nato al Metropolitan di New York, e subito contestato, penso che la fiducia in Bondy sia stata molto mal riposta per non dire insensata.
Lasciamo perdere le bruttissime non-scenografie di Richard Peduzzi, riciclatore di se stesso all’infinito che propone, ormai imbiancati di colore diverso, ma sono sempre quelli, i medesimi muri di mattoni alti e incombenti di varie fogge e di vari tagli, accessoriati con scale, scalini, rampe e torrette, che ci perseguitano dal “Lucio Silla”, passando poi per “Tristan und Isolde”, “Così fan tutte” e “Carmen” e che creano non-luoghi potenzialmente adatti a qualunque opera (dal “Pirata” a “Elektra”, da “Otello” a “Gli Ugonotti”, etc.); lasciamo perdere gli inappropriati e comici costumi di Milena Canonero che addobba Scarpia come un rettile (che ardita metafora, eh!) e la povera Tosca come una “damazza” dal gusto pacchiano (le fasce per capelli e le calze rosse velate al secondo atto abbinate all’abito: particolari di gran classe!); lasciamo perdere la regia dalla comicità involontaria di Luc Bondy che sfrutta particolari e controscene inutili facendoli passare per approfondite analisi sui personaggi, trasformandoli invece in maschere grottesche.
Qualche esempio: Tosca che lacera il quadro della “Maddalena”; Scarpia che compie gesti blasfemi sulla statua della Madonna; Spoletta innamorato di Tosca; le vogliose Scarpia-Girls al posto della cena; Tosca in varie posizioni ginecologiche; il ventaglio dell’Attavanti usato da Tosca per farsi aria dopo il ridicolo omicidio del suo aguzzino; il finale in odor di bungee jumping che dovrebbe essere invece un coup de théâtre (presente al Met, del tutto assente a Monaco, che termina con una corsa nella torretta).
Cogliamo l’occasione per ringraziare le dirigenze del Teatro alla Scala, grazie al quale potremo ammirare anche noi in Italia tale obbrobrio nella prossima stagione.
Concentriamoci sul canto, anche se non abitava più qui.
Fuori parte Karita Mattila, la protagonista, che con Puccini (vedi “Manon Lescaut”) ha fatto sempre a botte: voce ormai spaccata in due registri, quello “parlato” per il grave e quello strillato per il centro acuto. Timbro ormai inafferrabile, emissione oscillante, tremula ed in debito, oltre che di ossigeno, anche di intonazione; fraseggio dal gusto becero e prepotente mantenuto coerentemente talmente sopra le righe da stridere con le note, tanto da risultare irritante nella sua monotonia: così il personaggio che ne esce fuori è quello di una nevrastenica in costante affanno e fuori controllo, dotata di ben poco sensuali occhiatacce killer e volto tagliato da una bocca serrata e digrignante. Parlare di rispetto per le note, per il legato e per le espressioni previste sarebbe argomento da barzelletta.
Sullo stesso livello lo Scarpia interpretato da Juha Uusitalo: lo avevo lasciato come Wotan di tutto rispetto a Firenze e Valencia, lo ritrovo a Monaco con un timbro essiccato più vicino a Spoletta, un’emissione totalmente rozza per non dire disordinata aggrappata disperatamente alle corde vocali ed allo stomaco al posto di essere sostenuta dal diaframma e dal fiato; il bass-baritono letteralmente reinventa note (“Te deum” e tutto l’inizio del II atto) stonandole, perde la coesione con l’orchestra, perché troppo impegnato a sedersi su divani e poltroncine o a stendersi sulla Mattila, gli acuti si spezzano tutti, perché l’estensione non gli permette di raggiungerli ed il personaggio, di fronte a questi deficit, non è nemmeno sbozzato.
Kaufmann è più furbo, ma non viene premiato dal pubblico al termine delle arie, passate praticamente sotto silenzio.
Le “mezze voci paradisiache” che il tenore sistema a macchia di leopardo un po’ dove capita in realtà sono sbadigli; le “nuances” tanto care ai suoi fans hanno un nome proprio: falsettini. Il timbro è baritonale, più scuro in molti casi, come alcuni attacchi al III, atto di quello di Uusitalo, e non ricorda affatto né Vickers, né Thill, né van Dyck, né Wittrisch, ma più un Vinay senescente, un Giacomini in serata sfortunata, un Cura prima di perdere il registro acuto, che Kaufmann ancora possiede, sforzato, fumoso, ma lo possiede. L’emissione aperta non gli permette di ammorbidire il canto nei recitativi che così risultano ruvidi e grossolani come nei dialoghi con il Sagrestano e con Angelotti. Il fraseggio ritrae un Cavaradossi scostante, spaesato, non molto coinvolto, né tantomeno coinvolgente.
Il basso-buffo Enrico Fissore non maschera i segni del tempo data l’emissione traballante, ma cerca di evitare la macchietta nonostante la regia gli imponga tale atteggiamento. Kevin Conners, Spoletta, che poco tempo fa avevo ascoltato nel “Die Entführung aus dem Serail” fiorentino risulta molto a disagio se non addirittura usurato nei panni dello scherano di Scarpia. Ruvidi sia l’Angelotti di Christian van Horn che lo Sciarrone di Rüdiger Trebes.
La direzione di Fabio Luisi è attentissima a sottolineare tutti i temi ed i preziosismi sinfonici pucciniani, indugiando su tempi fin troppo dilatati e dilavati da quella verità teatrale che deve coinvolgere il pubblico e creare l’intesa con il palcoscenico: che in questo caso si risolve in scollamenti vistosi soprattutto nel II atto ed in perdite di intonazione nel settore degli archi e dei fiati che si perdono in fastidiosi stridori.
Una “Tosca”, nel complesso, di bassa provincia Tedesca che vorrebbero farci passare per prelibato caviale.

7 pensieri su “Horror-Tosca da Monaco di Baviera

  1. Finalmente una recensione seria su questo sito pieno di inesattezze di tutti i tipi, siano con la storia del canto, la tecnica del canto o i cantanti stessi di oggi che superano ogni sogno possibile di quello che e' veramente il canto lirico.
    Poi… la rovinate con "la realta' dei fatti…." a parte il sentito ringraziamento alle dirigenze del Teatro all Scala, che meritano tutto il rispetto nel regalarci questo tipo di gemma preziosa insieme ad una compagnia di canto degna solo del compositore stesso!
    Ma cosa volete voi?
    Una Tebaldi, Callas o Olivero?
    Un Corelli, del Monaco o che ne so io, un Tucker?
    Un Gobbi, London o forse Colzani?
    Illusi!
    Il mondo e' questo oggi e avremo noi in questo paese, ormai "ad personam", l'onore di assitere personalmente a questa Tosca mondiale universale e perfetta in tutti i sensi.
    Saremo all'altezza di apprezzare questo avvenimento?
    Si dovrebbe invitare I dirigenti del bel paese ad assistere a quest'avvenimento.
    Dopo tutto sono loro che pagano per una buona parte di questa che sara' una serata "unica" nella storia del teatro milanese!

  2. Complimenti vivissimi per il post.

    Ma una domanda, come si dice, sorge spontanea. Ma chi è che può ardirsi a definire "mezzevoci paradisiache" quelle di Kaufmann?

    A parte l'aggettivo, direi proprio che è il sostantivo ad essere sostanzialmente inappropriato ma talmente tanto da sconfinare nella pura comicità…

    Negli anni '40, a leggere le cronache, già c'era una certa penuria di cantanti capaci di "autentiche" mezzevoci…

    Ben prima, lo stesso Verista Caruso dedica (con fini "didattici") molto spazio di un suo sobrio libretto proprio alla Mezza-Voce, centrale nella sua concezione del canto.

    Tralascio tutta la trattatistica precedente per ovvie ragioni…

    Il fatto è che, se uno non ha mai sentito una corretta emissione in Mezza Voce non avrà nessuna speranza di imparare…E questo studio richiede molti anni (e anche se non molti, almeno qualcuno!!!)

    Esempio, Studio, Fatica…

    Grazie ancora.
    Devotamente vostro, MB

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