Siamo giunti al giorno fatidico, il giorno che avrebbe dovuto segnare il ritorno di Claudio Abbado alla Scala, ventiquattro anni dopo il Pelléas che costituì l’ultima collaborazione del direttore milanese con il teatro della sua città.
Grande la risonanza, anche mediatica, dell’Evento, celebrato dalla sovrintendenza Lissner non solo a mezzo stampa ma per tramite del terzo canale della televisione, nel famoso speciale consacrato alla Carmen “di” Barenboim ed Emma Dante, speciale che vide il ritorno di Abbado, sia pure “virtualmente” e per una manciata di minuti, sul podio della Filarmonica scaligera.
Grande l’aspettativa del pubblico (spinta a volte sino al fanatismo e, di conseguenza, al ridicolo) per questi due concerti mahleriani, proposti peraltro fuori abbonamento e a prezzi francamente esorbitanti, tanto da suscitare le sia pur velate e timide proteste degli stessi abbadiani.
Grande, per conseguenza, la delusione nell’apprendere che il ritorno di Claudio in patria non avrebbe avuto luogo, a causa di problemi di salute del direttore, che ha cancellato, con quelli milanesi, altri concerti previsti alla Salle Pleyel e al Ravenna Festival.
A parziale riparazione ed indennizzo del mancato concerto, offriamo ai nostri lettori una storica esecuzione della Seconda sinfonia di Mahler, affidata al direttore mahleriano per antonomasia, anche in ragione della consuetudine biografica.
E – cosa importante per melomani atrocemente passatisti, quali ci vantiamo di essere – anche il canto, che ha parte non irrilevante in questa sinfonia, è affidato in questo caso a due solide professioniste, seppure colte in una fase avanzata delle rispettive carriere.
Buon ascolto.
Grande la risonanza, anche mediatica, dell’Evento, celebrato dalla sovrintendenza Lissner non solo a mezzo stampa ma per tramite del terzo canale della televisione, nel famoso speciale consacrato alla Carmen “di” Barenboim ed Emma Dante, speciale che vide il ritorno di Abbado, sia pure “virtualmente” e per una manciata di minuti, sul podio della Filarmonica scaligera.
Grande l’aspettativa del pubblico (spinta a volte sino al fanatismo e, di conseguenza, al ridicolo) per questi due concerti mahleriani, proposti peraltro fuori abbonamento e a prezzi francamente esorbitanti, tanto da suscitare le sia pur velate e timide proteste degli stessi abbadiani.
Grande, per conseguenza, la delusione nell’apprendere che il ritorno di Claudio in patria non avrebbe avuto luogo, a causa di problemi di salute del direttore, che ha cancellato, con quelli milanesi, altri concerti previsti alla Salle Pleyel e al Ravenna Festival.
A parziale riparazione ed indennizzo del mancato concerto, offriamo ai nostri lettori una storica esecuzione della Seconda sinfonia di Mahler, affidata al direttore mahleriano per antonomasia, anche in ragione della consuetudine biografica.
E – cosa importante per melomani atrocemente passatisti, quali ci vantiamo di essere – anche il canto, che ha parte non irrilevante in questa sinfonia, è affidato in questo caso a due solide professioniste, seppure colte in una fase avanzata delle rispettive carriere.
Buon ascolto.
Gli ascolti
Mahler – Sinfonia n. 2 in do minore “Resurrezione”
Allegro maestoso (Totenfeier)
Andante moderato
In Ruhig fliessender Bewegung
Urlicht
Im Tempo des Scherzos
Maria Cebotari, soprano
Rosette Anday, mezzosoprano
Coro della Staatsoper di Vienna
Wiener Philharmoniker
Bruno Walter, direttore
Vienna 1948
Registrazione dal vivo
Ho sempre guardato a Mahler come a un operista mancato. Le sue sinfonie dimostrano un desiderio di raccontare una storia, tant'è che la prima doveva essere un poema sinfonico in origine e raccontare la storia di un eroe; la seconda è poi interpretata dai più come la morte (e resurrezione) di quest'ultimo.
Proprio questa impronta carica di messaggi spesso complessi e non esplicitati, in musica sinfonica risulta spesso pesante a mio parere, per non dire ossessiva e ripetitiva. Chiedo a voi, di certo più esperti di me, un parere
Caro Schoener Goetterfunken, è abbastanza singolare che col tuo nickname ti richiami alla nona sinfonia beethoveniana, che è poi il capostipite di tutta quella musica di cui tu deplori il carattere programmatico.
Marco Ninci
Volevo anche ringraziarvi per il meraviglioso ascolto della seconda sinfonia diretta da Walter, un'esecuzione di una tale intensa drammaticità da schiudere orizzonti che Abbado, pur ottimo interprete mahleriano, nelle occasioni in cui l'ho ascoltato non riesce neppure a intravedere.
Marco Ninci
@Marco: Sì è vero!
Poi, non capisco perchè Abbado non ha pensato bene di riposare prima di quest'impegno per essere totalmente "in forma" per i suoi amatissimi milanesi.
Poi, la storia (una tragicommedia degli errori, direi) degli alberi. E' scherzo od è follia?
Poi, Mamma sentite…
Al di là del fatto che Beethoven non l'ho citato in questo commento (se il nickname dovesse condizionare i commenti allora Grisi e Donzelli non dovrebbero scrivere metà dei loro articoli per ragioni cronologiche), io parlo di mahler nello specifico, che a mio parere, traendo spunto dal capolavoro beethoviano non è riuscito a rendere in maniera scorrevole e spontanea (com'era riuscito a fare il compositore di Bonn) quello che aveva in mente. Forse perché appunto cercava di comprimere in una sinfonia ciò che sarebbe dovuto stare in un'opera.
Caro Schoener Goetterfunken, e di Berlioz cosa pensa? E di Liszt? Della Symphonie fantastique" del primo e della "Faustsymphonie" del secondo? Ambedue avevano Beethoven come modello. Anche queste due sono opere mancate, poco scorrevoli, poco spontanee? E, a dire la verità, la scorrevolezza non mi sembra la caratteristica che viene per prima in mente scorrendo le pagine del grande capolavoro beethoveniano.
Marco Ninci
L'Ottava sinfonia di Mahler è, a mio parere, una delle piu grande "opere" dell'intera storia musicale del occidente – sinfonia da cima a fondo cantata e con un "messagio" (s'è necessario di ricercare un messagio oltre la pura musicalità della musica se stessa) che, sopratutto nella seconda parte dove ha musicato il finale di Faust II di Goethe,è anchè piu chiaro del "messagio" meramente verbale del testo goethiano.
Poi l'altra sinfonia cantata che non si chiama sinfonia… Das Lied von der Erde… Se aveva fatto di questa "cantata" una opera lirica, tutto quello ch'è cosi intimo e prezioso, per me, in questo pezzo sarebbe divenuto volgare e esagerato.
E poi ci sono anchè sinfonie mahleriane dove non si canta – la Nona in modo particolare ch'è tutt'altro che ripetitiva o pesante e noiosa.
Gentile Marco, mi fa molto piacere che la sua cultura musicale si estenda a Berlioz e a Listz oltre che, come ha già avuto modo di dimostrarci, a Janacek. Ma mi vedo costretto a ricordarle per la seconda volta che la mia critica era riferita a Mahler nello specifico, prendendo come esempio la seconda sinfonia. Detto ciò non condivido la sua opinione sulla nona di Beethoven, ma sarebbe un dibattito troppo lungo e complesso per portarlo avanti in questa sede.
Ringrazio invece Giuditta Pasta per aver risposto alla mia origiaria richiesta.
Gentile Schoner,
cercando di passar sopra alla fastidiosa ironia che lei usa rivolgendosi a Marco Ninci, le faccio notare che proprio la direzione di Walter, qui come altrove, sottolinea l'aspetto della intirnseca cantabilità di Mahler, che va ben oltre al mero melodismo, e che si esprime appieno nella forma sinfonica ibrida inaugurata da Beethoven, ma evolutasi durante quasi un secolo di musica che non ha potuto prescindere, certo, dal capostipite.
Ritengo quindi che questa specifica lettura di Walter illumini la compiutezza tutt'altro che confusa e affastellata di Mahler e che restituisca un grande compositore che per scelta non affronta l'opera, ma che la sfiora, la gioca e la reinventa entro schemi diversi, quali sono quelli cui allude Giuditta Pasta.
Ampliando quel che le chiedeva Ninci, poi, le chiedo cosa pensa di Puccini, se Mahler le appare così. Non avrebbe dovuto scrivere 40 o 50 opere invece di quelle poche che ha composto?
Scusi ma non seguo il suo ragionamento. Non trovo logico fare un paragone fra due ambiti musicali eterogenei come il mondo operistico e quello sinfonico.
Puccini, così come gli altri operisti, nel comporre un'opera crea una storia, fatta di parole, spiegate dalla musica ossia dal pensiero/interpretazione del compositore, recitate teatralmente da personaggi, per favorire l'azione scenica.
Le sinfonie invece hanno lo scopo di creare musica, ossia solo la parte di pensiero, la parte metafisica dell'essere.
Quando Beethoven compose la nona, musicando i versi di Schiller ed aggiungendone di suoi, si limitò all'aspetto sinfonico di essi, le voci pur essendo in tedesco, sembrano italianizzate, vista la chiarezza e la limpidezza con cui sono pronunciate, non cantano per esprimere un sentimento, non sono "umane", come in Wagner, esse sono strumenti d'orchestra che esplicano il messaggio di tutta la sinfonia.
Mahler invece fa qualcosa di diverso perchè nella Resurrezione c'è un personaggio, un "umano" appunto, il che a mio parere non centra nulla col concetto di sinfonia che ho spiegato prima (che rimane pur sempre un'opinione personale). Io avrei visto questo personaggio, meglio in un'opera, in un contesto vivo, attivo.
Per questa sorta di fuori luogo non apprezzo particolarmente la seconda sinfonia di Mahler.
Dico subito che l'ottava non la conosco abbastanza approfonditamente per parlarne con dovizia di particolari
Io credo che, parlando della musica a programma, occorra pensare che essa è lo sviluppo di un linguaggio sinfonico. Uno sviluppo che accglie in sé elementi teatrali, ma non è teatro, né in atto né in potenza. In altre parole, non "vuole" essere teatro, ma accoglie in sé alcune istanze provenienti da quest'ultimo per creare a se stessa un proprio linguaggio innovativo. Una sinfonia può avere una struttura narrativa, come la "Fantastique" di Berlioz (a proposito, caro amico Goetterfunken, non le sembra che sarebbe sciocco fare esibizione di cultura per uno dei titoli più fre- quentati dell'intero repertorio?). Ma la narrazione non è semplicemente un'opera abortita, è una narrazione incarnata in un sinfonismo che non è quello di Haydn, Mozart, Schubert, Bruckner. Il fatto è che la contaminazione è proprio lo strumento del progresso dei linguaggi, di ogni linguaggio. Del resto, un processo inverso è stato operato da Wagner, il quale ha portato nell'opera la complessità sinfonica della grande tradizione tedesca. Vogliamo dire per questo che le opere di Wagner sono sinfonie che non hanno avuto il coraggio, la ventura o l'abilità di realizzarsi come tali? Nessuno, penso, oserebbe proporre una simile interpretazione.Del resto, il cammino dell'interpretazione wagneriana (senza per questo voler parlare di meglio e di peggio)è proprio stato quello di valorizzare sempre di più gli elementi del canto, del teatro, del personaggio, allontanandosi da una certa tradizione che vedeva nel canto solo un rigo di una partitura estremamente complessa. Per queste ragioni mi allontano sempre di più da un'interpretazione che vede nei linguaggi innovativi, per esempio di Berlioz, di Liszt o di Mahler, delle potenzialità non concretatesi in un atto, per vedere invece in loro l'affermazione di un'autonomia. Un'autonomia che però non è solipsismo, perché riesce ad accogliere in sé stimoli esterni al fine di rinnovare la propria linfa.
Saluti
Marco Ninci