Nel breve volgere di un mese sono mancati tre cantanti che hanno calcato reiteratamente e con successo i palcoscenici italiani. Ultimo ed ultranoventacinquenne Giacinto Prandelli, bresciano nato, appunto l’8 febbraio 1914.
Nelle grandi voci Giacomo Lauri-Volpi si chiedeva dove fossero finiti quei tenori che al Metropolitan come Palet, Jagel non erano i divi strapagati, ma cantavano eleganti, preparati e sicuri tutte le sere, garantendo al teatro la possibilità di proseguire costante la propria produzione.
Visto che Giacinto Prandelli debuttò nel 1940 quando, sebbene prossimi ai cinquanta nei teatri italiani cantavano Gigli, Schipa e Lauri Volpi ed erano in carriera due cantanti di qualità vocali preziose come Giuseppe Lugo e Giovanni Malipiero e, nell’immediato dopo guerra, si trovò sui palcoscenici la eccezionale natura di Giuseppe di Stefano è pacifico che la carriera fosse nei grandi teatri, ma la notorietà limitata. Come lo fu almeno per altri due tenori ossia Francesco Albanese e, poco dopo Gianni Poggi.
Eppure le qualità di Giacinto Prandelli a partire dall’eleganza discreta in scena anche in titoli dove i più famosi si lasciavano andare come la Francesca da Rimini, e il timbro chiaro, dolce ed al tempo stesso maschile c’erano eccome.
Edgardo, sia pure con l’ausilio dell’abbassamento di mezzo tono, pratica modo vocali e dettagli interpretativi, che oggi tenori con una carriera du tre lustri ignorano per limiti tecnici. E se vogliamo fare un polemico riferimento all’epoca di esecuzione (1957) il divo amato ed osannato Pippo di Stefano non era più in grado di praticare.
E lo stesso valga per l’esecuzione della Messa da requiem, che Prandelli cantò con tutti i grandi driettori da Toscanini a de Sabata. Musicale, elegante e forbito con la qualità timbrica che garantisce il sostegno tecnico, ossia suoni immascherati facili e lucenti anche se il timbro in natura non è quello di Beniamino Gigli o di Jussi Bjorling.
E quanto possa rendere il sostegno della tecnica ed il gusto misurato è evidente nei duetti con due partner di qualità timbriche eccezionali come la giovane Tebaldi (Violetta) e Maria Caniglia quale Francesca da Rimini. Giacinto Prandelli declina quello che nel gergo del teatro di prosa era l’attor giovane ossia l’amore dal timbro innamorato e dall’espressione accorata. Sentire al riguardo l’attacco di Parigi o cara che prepara l’attacco sognante del timbro aurato della Tebaldi e il successivo saldo espandersi della voce in zone della voce dove il divo Kaufmann ha mostrato impietosi i propri limiti ed è stato duramente riprovato dal loggione scaligero o il timbro fresco e giovanile del duetto con Francesca, che ben rende l’idea del giovane innamorato e sedotto dalla maliarda cognata.
Oggi e credo sia il miglior ricordo per Giacinto Prandelli in teatro non disponiamo di una voce e di un interprete solido e sicuro come fu per un ventennio il tenore di Lumezzane. Si badi non è nostalgia, rimpianto è la logica conseguenza cui ci costringono gli ascolti che seguono e volendo moltio altri.
Nelle grandi voci Giacomo Lauri-Volpi si chiedeva dove fossero finiti quei tenori che al Metropolitan come Palet, Jagel non erano i divi strapagati, ma cantavano eleganti, preparati e sicuri tutte le sere, garantendo al teatro la possibilità di proseguire costante la propria produzione.
Visto che Giacinto Prandelli debuttò nel 1940 quando, sebbene prossimi ai cinquanta nei teatri italiani cantavano Gigli, Schipa e Lauri Volpi ed erano in carriera due cantanti di qualità vocali preziose come Giuseppe Lugo e Giovanni Malipiero e, nell’immediato dopo guerra, si trovò sui palcoscenici la eccezionale natura di Giuseppe di Stefano è pacifico che la carriera fosse nei grandi teatri, ma la notorietà limitata. Come lo fu almeno per altri due tenori ossia Francesco Albanese e, poco dopo Gianni Poggi.
Eppure le qualità di Giacinto Prandelli a partire dall’eleganza discreta in scena anche in titoli dove i più famosi si lasciavano andare come la Francesca da Rimini, e il timbro chiaro, dolce ed al tempo stesso maschile c’erano eccome.
Edgardo, sia pure con l’ausilio dell’abbassamento di mezzo tono, pratica modo vocali e dettagli interpretativi, che oggi tenori con una carriera du tre lustri ignorano per limiti tecnici. E se vogliamo fare un polemico riferimento all’epoca di esecuzione (1957) il divo amato ed osannato Pippo di Stefano non era più in grado di praticare.
E lo stesso valga per l’esecuzione della Messa da requiem, che Prandelli cantò con tutti i grandi driettori da Toscanini a de Sabata. Musicale, elegante e forbito con la qualità timbrica che garantisce il sostegno tecnico, ossia suoni immascherati facili e lucenti anche se il timbro in natura non è quello di Beniamino Gigli o di Jussi Bjorling.
E quanto possa rendere il sostegno della tecnica ed il gusto misurato è evidente nei duetti con due partner di qualità timbriche eccezionali come la giovane Tebaldi (Violetta) e Maria Caniglia quale Francesca da Rimini. Giacinto Prandelli declina quello che nel gergo del teatro di prosa era l’attor giovane ossia l’amore dal timbro innamorato e dall’espressione accorata. Sentire al riguardo l’attacco di Parigi o cara che prepara l’attacco sognante del timbro aurato della Tebaldi e il successivo saldo espandersi della voce in zone della voce dove il divo Kaufmann ha mostrato impietosi i propri limiti ed è stato duramente riprovato dal loggione scaligero o il timbro fresco e giovanile del duetto con Francesca, che ben rende l’idea del giovane innamorato e sedotto dalla maliarda cognata.
Oggi e credo sia il miglior ricordo per Giacinto Prandelli in teatro non disponiamo di una voce e di un interprete solido e sicuro come fu per un ventennio il tenore di Lumezzane. Si badi non è nostalgia, rimpianto è la logica conseguenza cui ci costringono gli ascolti che seguono e volendo moltio altri.
Gli ascolti
Donizetti – Lucia di Lammermoor
Atto III
Tombe degli avi miei…Fra poco a me ricovero…Tu che a Dio spiegasti l’ali (1957)
Puccini – Madama Butterfly
Atto I
Bimba, bimba non piangere (con Mafalda Favero – 1947)
Verdi – La traviata
Atto III
Parigi, o cara…Gran Dio! Morir sì giovane (con Renata Tebaldi – 1952)
Verdi – Requiem
Ingemisco (1951)
Zandonai – Francesca da Rimini
Atto III
Benvenuto signore mio cognato (con Maria Caniglia – 1950)
Simionato Taddei,e adesso Giacinto Prandelli grandi artisti che il pubblico e melomani ricorderanno con rimpianto.
Un mio amico, ormai oltre 90enne pure lui, consoceva l'arte del tenore Prandelli e diceva sempre che era un "gran Signore" sia come cantante che come artista in scena.
Potesse servire come ispirazione a questa generazione visto che quella precedente non offre questo tipo di insegnamento!
caro scattare grazie dell'intervento
ci hai deliziato d un raccontino, ma noi apsettiamo il guerra e pace o i karamazov delle tue esperienze di ascoltatore
ciao dd