Elina Garanca, ossia Cenerentola da primo premio allo Zecchino d’Oro.

Cari amici,
eccovi una nuova recensione del nostro amico, affezionato lettore, ascoltatore attentissimo Semolino, alle prese con una sua simpatia personale, Elina Garanca, di cui più volte ha avuto occasione di parlare, in termini assai positivi, in questo sito. Guardate un po’ che effetto gli ha fatto la visione di questo nuovo dvd della Cenerentola rossiniana prodotta al Met l’anno passato.


Questo DVD, dell’etichetta DG, uscito all’inizio del 2010 propone la rappresentazione del Metropolitan Opera House del maggio 2009.
Regia, scene e costumi sono d’impronta tradizionale, è uno spettacolo che si guarda con piacere e divertimento, ma l’ascolto della parte audio è alquanto raccapricciante. Scenicamente, come attori, i migliori sono stati coloro che hanno dato la peggior prestazione vocale e viceversa.
La parte del leone, musicalmente, l’ha fatta il maestro Maurizio Benini. Non so quale sia il livello medio delle prestazioni dell’orchesrta del Metropolitan in questi ultimi anni, nello specifico suonano benissimo e l’interpretazione della partitura è eccellente a cominciare dalla sinfonia eseguita con brio ed eleganza. Il maestro Benini azzecca sempre il fraseggio giusto adatto al momento scenico, basti ascoltare la pseudo solennità conferita all’introduzione dell’aria di Angelina “sprezzo quei don”, aria che ha tutte le caratteristiche di scrittura della grande scena da opera seria inserita, però, in un contesto di opera buffa, Benini sa renderne tutti gli aspetti al contempo, quello solenne e quello buffo, con una sorta di pomposità finto-aulica. Benini, pur mantenendo uno stile omogeneo a tutta la partitura, improntato sulla finezza, l’eleganza e il brio, trova il giusto colore per ogni singola aria, per ogni singola scena. Il temporale è realizzato in uno spirito sturm und drang da manuale e al contempo con il giusto clin d’oeil, che serve a sdrammatizzare la situazione, è un dramma certo, ma giocoso.

Di tutti i cantanti quello che mi ha meno soddisfatto scenicamente, ossia che mi è parso il più impacciato nelle vesti del suo personaggio, è stato il tenore Lawrence Brownlee ed è vocalmente il migliore di tutta la compagnia : la voce è quella del tenore lirico leggero, l’emissione è correttamente sostenuta, sul fiato, le agilità sono eseguite fluide e precise, gli acuti sono facili e timbrati, è una voce abbastanza ben impostata ma non perfettamente immascherata perchè di quest’ultima gli mancano le caratteristiche più tipiche. E su questo punto apro una parentesi: l’immascheramento perfetto arrichisce la voce di una serie di armonici, che conferiscono una brillantezza, uno squillo e uno smalto che la voce di Lawrence Brownlee non ha e che, invece, avevano tutte le voci che sono state registrate nel periodo 1895-1940. Nonostante una tecnica di registrazione la cui resa potrebbe essere equiparata alla risposta di frequenza di un telefono a cornetta le voci di quell’epoca ci risultano terse e brillantissime, eppure tale tecnica toglieva la stragrande maggioranza degli armonici, prova ne è il suono del pianoforte e degli strumenti in genere, che ci giungono stimbrati e mortificati in quelle registrazioni, se si tiene conto poi anche del fatto che proprio per la sua richezza di armonici una voce fortemente timbrata è più difficile da registrare chissà come dovevano essere ricchissime di armonici già alla base quelle voci poichè, nonostante la tecnica rudimentale, ci giungono smaltatissime e squillanti . Dal vivo di voci così penetranti e timbrate, con il vero smalto brillante come quelle dei cilindri e dei 78 giri ne ho sentite poche, la Sutherland (ed era già al caffé!), la Dupuy, la Cuberli, gli acuti di Ramey, la Gruberova, la Freni, le mezzevoci di Blake, questi sono i primi nomi che mi vengono in mente, chiusa parentesi e ritorniamo al nostro Don Ramiro che nonostante l’emissione appena corretta ci da un risultato finale comunque noiosetto per due motivi : primo latitano le mezze voci, penso che nel suo caso si tratti più di pigrizia che di carenza tecnica perchè nella sezione centrale dell’aria dell’ultimo atto ne emette una, e la modula anche bene. Ma una sola su tutto il ruolo è troppo poco. Secondo punto negativo si ingarbuglia nel sillabato rapido , basti ascoltare come pasticcia nel duetto con Dandinio “zitto zitto, piano piano” dove è in palese difficoltà anche perchè non padroneggia la lingua italiana, la pronuncia infatti lascia molto a desiderare. Altra piccola parentesi : una cantante come la Sutherland, che articolava tutto quello che cantava in maniera poco chiara per curare la bellezza del suono e la purezza del legato mi sta benissimo, in Brownlee invece c’è una volontà di articolare in maniera chiara e netta, cercando di conferire una certa autorità d’accento a quello che dice, ma se poi la pronuncia italiana è a tratti da film comico, il risultato non è meno risibile di quello che è ottenuto dai baroccari inglesi, che pasticciano Monteverdi. Insomma il solo merito che personalmente trovo a questo tenore è quello di non emettere suoni che mi disturbano le orecchie punto.

Elina Garanca è mezzosoprano solo sulla carta, in realtà ci si rende conto subito che è un soprano lirico-leggero non sfogato. La voce esce appoggiata solo dal centro verso l’acuto quando la emette nella gamma dinamica che va dal mezzo-forte al piano e soprattutto sul pianissimo (tipo Caballé declinante) e nei punti in cui può sfruttare una tessitura da soprano corto. Quando vuole invece, come d’altronde il ruolo lo richiede, cantare a piena voce, e da mezzosoprano, l’emissione è priva di appoggio, la prima ottava è opaca, per nulla sonora, gommosa, perchè è rimasticata in bocca e non appoggiata nella maschera. In tutti i momenti in cui deve fraseggiare in zona centrale tipo “Cenerentola vien quà, Cenerentola va là” e deve legare i suoni a piena voce l’emissione pare quella di una principiante, che ha vinto il primo premio del concorso, per piccoli cantanti, Lo Zecchino d’Oro. Con la voce in bocca le agilità non possono risultare che sfarfalleggiate. Almeno, ha la decenza di non essere ingolata. Quando tenta un passaggio ascendente a piena voce c’è tensione, e quindi sfocia sempre su di un acuto indietro e tendenzialmente fibrosetto, come in un passaggio del rondo finale. Nei momenti più ardui quando l’agilità diventa fitta e serrata la nostra cerca rifugio quasi sempre nei piani e nei pianissimi e così facendo l’agilità non è di forza, come dovrebbe esserlo in Rossini, bensì smammolata, perchè mollemente mormorata in bocca invece di essere a piena voce appoggiata sul fiato. Basti paragonare per rendersene conto le due grandi arie, l’entrata a corte e il rondò finale, cantate prima dalla Garanca e poi dalla Berganza o dalla Dupuy e si capirà la differenza fra una agilità sul fiato e granitico di forza (Berganza, Dupuy) degna di Rossini e una agilità da colabrodo.

Nemmeno Alessandro Corbelli, tanto vantato come rossiniano, è il mio ideale di cantante, certo per questo ruolo è buon attore, e scenicamente impagabile, purtroppo la voce è avanti e immascherata solo nei centri , pasticcia aspirandole le parche fiorettature del suo ruolo, e non appena la voce sale sia pur moderatamente si opacizza e va indietro, un caso limite lo si può ascoltare nell’acuto-urlaccio che emette in coppia con Alberghini alla conclusione del duetto “un segreto d’importanza”.

John Relyea è la prova che da una settantina d’anni circa a questa parte possono fare carriera solo i superdotati. Tutti sanno, o dovrebbero saperlo, che la tecnica non solo permette di cantare, ma anche di preservare la voce. Un cantante per natura superdotato, con nervi d’acciaio e salute di ferro, di robusta costituzione, insomma un baciato dalla Natura, può preservarsi la voce ed essere sonorissimo fino a tarda età anche emettendo la voce come si suol dire sulla gola e sforzando. La prova ne è che oramai, poichè i cantanti di tecnica corretta non ce sono più o quasi fanno carriera solo i superdotati in natura. Questo è il caso di John Relyea che è dotatissimo ma l’emissione è di una gutturalità raccapricciante, è l’antitesi del canto, il registro grave è suono di stomaco purissimo, le agilità sono tutte appoggiate di gola, gli acuti duri come sassi, il legato inesistente e i tentativi di modulare sono versacci rauchi, sono suoni strozzati. E’ una vergogna che si permetta a gente così impreparata di calcare palcoscenici di rinomanza e pagandoli per giunta. La grande aria di Alidoro è un supplizio per le orecchie, tutto raschiato da faringite cronica. Pensavo che dopo l’evento di un Ramey e di un Pertusi certa robaccia non costumasse più, pare, invece, ritorni di moda.

Per Simone Alberghini vale lo stesso discorso fatto per Relyea, con una differenza: a volte cerca l’appoggio, ahimè riesce solo a trovarlo nelle narici, basti sentire come approssima di naso tutta l’aria dell’ape, con le agilità sbrodolate che si dibattono niaisement fra naso e gola. Nei momenti di agilità serrata “oggi che fo da principe”, “alfine sul bracciale” la vocalizzazione è una purea informe di suoni sbrololati in bocca, la voce pare bella sonora, ma è sonorità da faringite cronica non è canto. Il legato questo sconosciuto! ma d’altronde quando non si padroneggia il canto sul fiato……

Clorinda e Tisbe rispettivamente Rachel Durkin e Patricia Rosley sono, per qualità di voce e di emissione, l’incarnazione vocale nel senso più naturalista della due brutte sorellastre, paiono due baroccare riciclate di fortuna, aspre e ingolate, ma scenicamente spiritossime e anche loro valide scenicamente quanto indecenti vocalmente.

Insomma delle somme un DVD piacevole da guardare, ma per la parte audio bisognerebbe fare un montaggio con altro materiale.

Il vostro
Semolino
………………e sempre il motto : abbasso la Venexiana!

Gli ascolti

Rossini – La Cenerentola

Atto I

Un soave non so cheUgo Benelli & Frederica Von Stade (1974), Luigi Alva & Lucia Valentini-Terrani (1978)

Sprezzo quei donMartine Dupuy (1990)

Atto II

Nacqui all’affannoTeresa Berganza (1968), Martine Dupuy (1990)

2 pensieri su “Elina Garanca, ossia Cenerentola da primo premio allo Zecchino d’Oro.

  1. Spero vivamente che lei sappia cantare, ma ne dubito. In particolare mi fa dubitare la descrizione della voce, quando interpreta l'emissione del cantante. Parla di maschera, ma questa risonanza è intenzionale o derivata? In ogni caso complimenti per la sua fantasia, che forse sarebbe meglio impiegare senza maldicenze gratuite.

  2. Quando un cantante ha una emissione corretta sente la propria voce risuonare nella parte del volto in cui si suole mettere la maschera cioè nella parte alta, nella zona frontale e paranasale, ma si tratta solo di una sensazione, di una risonanza simpatica per così dire, in realtà la risonanza vera e propria si crea nella gola che deve rimanere aperta e rilassata.

    L'ascoltatore ha la stessa sensazione, anche se la voce, ovvero la risonanza, si crea nella gola aperta, il fruitore ha la sensazione che la voce del cantante non venga dalla gola ma nasca come una risonanza libera da ogni sforzo, come se il suono scaturisse dalla parte alta del volto del cantante. La voce è avanti e non indietro nella gola.

    Il "cantare in maschera" e il suo contrario cioè il "cantare aperto" sono solo modi di dire che traduco la sensazione del cantante e dell'ascoltatore, in realtà il suono è sforzato proprio perchè la gola si stringe e si chiude invece di restare aperta.
    Non c'è nessuna maldicenza, il suono di quel DVD è lì da ascoltare, c'è chi si chiede se io sappia cantare ed io mi chiedo se c'è gente ancora che sappia ascoltare, visto i "cantanti" che oggi hanno successo e vanno di moda.

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