Contavo molto sulle voci dei cinque ruoli principali, che almeno sulla carta potevano suscitare interesse.
Avrei voluto scrivere di un successo pari a quello della “Frau”; di quanto il cast assemblato fosse il meglio che la scena odierna possa offrire (non c’è riuscito recentemente nemmeno il Liceu di Barcellona); di quanto le voci suonassero belle e timbrate; di quanto ognuno brillasse nel rispettivo ruolo.
Così non è stato, purtroppo.
Davanti a voci quasi tutte dello stesso fragile spessore, con i medesimi diffusi problemi tecnici, con le stesse caratteristiche in materia di fraseggio e di interpretazione vien voglia scrivere un’unica recensione cumulativa, ma non sarebbe giusto; basti pensare che gli applausi maggiori, quelli più convinti, sono stati indirizzati verso Selim (ruolo recitante) ed il “Coccodrillo”!
La direzione di Zubin Mehta, prima di tutto, creava un contrasto sorprendente con quanto avveniva in scena: se la spumeggiante (ma anche un po’ statica nelle introduzioni alle arie) regia di Eike Gramss si concentrava sui toni comici e farseschi, sbilanciando, così, l’equilibrio drammatico del libretto, Mehta ribaltava la finzione scenica leggendo la partitura con un piglio serioso e meditativo, già presente nell’incisione ufficiale del ’65 e nel DVD del medesimo allestimento, che non vuol dire mancanza di tensione e lentezza agogica, poiché tutti i tempi sono rispettati, tranne nel quartetto finale del II atto, che si trascina stancamente, ed una certa velocità nel finale del III.
E’ una questione di interpretazione, che non sacrifica mai la compattezza del suono e la morbidezza frizzante dei momenti buffi e l’orchestra risponde con un bel gioco di fraseggi e bellezza timbrica.
Nella lettura di Mehta c’è, dunque, la giovinezza malinconica e soave di Belmonte e Konstanze, c’è quella più vitale di Pedrillo e Blondchen, c’è la superficialità di Belmonte e la monolitica e sospetta virtù di Konstanze, c’è l’idea di possesso, violenta e goffa, di Osmin e l’intelligenza amara e ironica di Selim. “Die Entführung aus dem Serail” in fondo è una elegante e avventurosa commedia, dolce-amara certo, in cui un mondo giovane e acerbo si contrappone all’ambiguità della dimensione adulta da cui riceve, però, una dura lezione di vita nel finale; ed è questo il coerente punto di partenza della regia di Gramss.
Le scene di Christoph Wagenknecht, nate in realtà per il palcoscenico del Teatro della Pergola di Firenze, si costituiscono di coloratissimi pannelli mobili e trasparenti, decorati alla maniera turca, in cui prevalgono toni sgargianti e sapientemente accostati che fusi all’abile e intenso gioco di luci ocra, rosate e azzurre di Jacques Battocletti, scompongono e ricompongono continuamente gli ambienti della vicenda creando un vortice scenografico irresistibile ed un po’ ingenuo.
I costumi di Catherine Voeffray possiedono un loro sfarzo ed una loro bellezza, ma anche un accenno “carnevalesco”, soprattutto nei riguardi di Osmin e Blondchen, che sa di posticcio.
Ora, Konstanze è un ruolo estremamente complicato: esige un registro centrale compatto e sonoro; deve scendere con facilità e fare udire note sotto al rigo; deve salire vocalizzando sul passaggio; deve emettere sovracuti; quindi occorre un soprano agile, duttile, con la voce da lirico spinto e dalla buona estensione. Ingrid Kaiserfeld è più un soprano lirico dai bei centri, dal timbro genericamente gradevole, ma dal retrogusto acidulo e dall’emissione molto ingolata. Possiede un buon controllo del fiato, che le permette di sostenere le note e variarle, ma gli attacchi sono fissi e poi vibrati, i gravi sono sbuffi di aria, gli acuti sono secchi, sfibrati, sgradevoli. Poi l’interprete purtroppo è inesistente, così a parte la compitazione delle note c’è ben poco, e cioè: un po’ di grinta nel “Martern aller Arten”, ma per il resto, I aria “Ach ich liebte”, la celebre “Traurigkeit”, i duetti con Belmonte, a parte una certa musicalità, il fraseggio è piatto, senza palpito con il sospetto che il soprano si canti addosso.
La Blondchen di Chen Reiss si distingue per la voce piccolina e aguzza da soubrette che con fatica supera l’orchestra. Negli acuti è affetta da vibrato stretto, mentre i sovracuti risultano fissi e mediamente calanti. Completamente inudibile, invece, nei gravi (la micidiale discesa al La nel duetto con Osmin), si disimpegna passabilmente nei vocalizzi delle due arie “Durch Zärtlichkeit und Schmeicheln” e “Welche Wonne, welche Lust”, però almeno riesce a giocare, al contrario della sua collega, con un fraseggio spigliato e volutamente caricaturale a cui si aggiunge una buona abilità di attrice.
Belmonte, come la sua innamorata, ha il pregio di essere un ruolo la cui scrittura dovrebbe spingere il cantante a essere ovunque malioso e soave; valori che soprattutto nel cantabile delle arie e dei duetti può mettere in luce l’abilità di fraseggiatore e la robustezza tecnica della voce; eppure possiede anche il difetto di far risultare il tenore eccessivamente riservato se non addirittura gelido nella caratterizzazione del personaggio se i colori non vengono gestiti con perizia. Jörg Schneider, già visto e sentito a Firenze come gustoso David nei “Meistersinger” di qualche anno fa, fa purtroppo parte del secondo gruppo: possiede oggi voce piccola, genericamente gradevole nel timbro, afflitta, però, da emissione tutta di gola, la quale non lascia scampo alcuno all’intonazione, soprattutto del registro acuto, delle agilità e dei vocalizzi tutti rigorosamente imprecisi se non proprio pasticciati. L’accento poi è circoscritto ad un’ altrettanta generica mestizia, dal colore uniforme e terribilmente noioso, così il suo Belmonte, che ha bisogno di un canto che esprima l’ansia per il destino dell’amata, l’innamoramento spontaneo e giovanile, l’esaltazione di morire con l’oggetto del proprio amore, ma anche quel filo sospeso tra superficialità ed eroismo, si tramuta in una figura solo ridanciana.
Kevin Conners, Pedrillo, è un tenore caratterista dalla voce chiara, ovviamente piccola e ingolata come i suoi colleghi, con “a” ed “e” aperte in maniera sgradevole alla vana ricerca di maggior volume, dall’emissione fragile e vibrata, ma almeno possiede, più per sola virtù di attore che di cantante, il fraseggio e l’accento giusto per interpretare i momenti più frizzanti come l’aria “Frisch zum Kampfe! Frisch zum Streite!”, il bellissimo duetto con Osmin “Vivat Bacchus! Bacchus lebe!” e la canzone notturna del III atto.
Maurizio Muraro, Osmin, in questo contesto di vocine e vocette, può facilmente fare la parte del leone: voce scura da vero basso, ma dal timbro un po’ impastato, tuttavia che “corre” bene e si espande con facilità soprattutto nei centri. Il registro grave, molto sollecitato, è sonoro, ma il Re è una nota quasi inudibile; gli acuti sono a rischio di intonazione, a volte ruvidi, anche se timbrati ed emessi con cautela, e discorso non dissimile per le agilità previste, come i trilli ed i vocalizzi, omaggio mozartiano alle fenomenali doti di Karl Ludwig Fischer. L’interprete convince di più grazie al carisma naturale ed al fraseggio volutamente violento e caricaturale riuscendo tranquillamente a ritagliarsi uno spazio di spicco in tutti i momenti che lo vedono in scena, come nell’arietta che lo presenta al I atto “Wer ein Liebchen hat gefunden” che poi darà l’avvio al gustoso duetto con Belmonte, oppure la successiva “Erst geköpt” tutta cantata tra i denti ed il duetto del vino con Pedrillo. L’inserimento anche di brevi e divertenti battute in italiano, crea una immediata complicità con il teatro; il pubblico apprezza e ride di gusto!
Ottima prestazione quella dell’attore Karl-Heinz Macek nei panni del Pascià Selim; una recitazione vibrante e rabbiosa nei confronti di Konstanze, che sapeva aprirsi a inedite tenerezze paterne prosciugate da intellettualismi. Ironico e pacato nel III atto, riceve un meritato successo personale al termine della recita.
Trionfatore assoluto della serata, il Coccodrillo!
Figura creata dal regista con l’ausilio del bravissimo attore Tiziano Goli, ha la funzione di “cane da guardia” del serraglio del Pascià, ma anche di amico (in)fedele di Osmin il quale lo coccola con carne fresca e lo vezzeggia allo scopo di scatenarne fauci e artigli contro Belmonte e Pedrillo. Sarà il Coccodrillo stesso apparendo comicamente sulla barca dei quattro protagonisti ad impedirne la fuga, ma nel finale si unirà al coro nei saluti ritmati agli amorosi e a tessere le lodi di Selim.
Andranno a lui, a Macek, a Muraro e a Mehta con la sua orchestra schierata al proscenio gli applausi più fragorosi della serata… e questo la dice lunga!
(recita del 16 Maggio)
Gli ascolti
Mozart – Die Entführung aus dem Serail
Atto I
Hier soll ich dich denn sehen – Helge Rosvaenge (1937)
Wer ein Liebchen hat gefunden – Alexander Kipnis (1931)
Ach ich liebte, war so glücklich – Margherita Perras (1934)
Atto II
Durch Zärtlichkeit und Schmeicheln – Adele Kern (1929)
Martern aller Arten – Maria Ivogün (1919)
Welche Wonne, welche Lust – Elisabeth Schumann (1917)
Atto III
Ich baue ganz auf deine Stärke – Hermann Jadlowker (1909)
Im Mohrenland gefangen war – Peter Anders (1935)
Oh, wie will ich triumphieren – Wilhelm Hesch (1906)
Cara Marianne, dispiace sentire di un difficile ratto del serraglio. SI consoli però, almeno la direzione è stata a tratti salvabile. Io sono invece reduce dal Don Giovanni veneziano, e il primo cast è stato inquietante a dire poco (con le uniche, parziali, eccezioni della Cuzak e della Remigio).
E' stato tale il mio sdegno da risvegliare le ansie di una maschera e qualche anziana signora, preoccupate per il decoro della Fenice. Probabilmente gridare "cambiate lavoro", a metà del cast e al regista e al direttore è parso troppo volgare….
pazienza.