Milano e Torino ebbero, nel lontano 1905, un conflitto per la priorità di rappresentazione di un titolo, allora, inedito per l’Italia. Si trattava di Salome: sul podio torinese l’autore e su quello scaligero Toscanini. I due non si amavano o meglio Toscanini non amava Strauss e per dispetto e vanità direttoriale (male assai antico) aprì la prova generale al pubblico nel tentativo di garantire una priorità al proprio teatro nel proporre Salome.
Nulla di così importante in questi giorni, ma una “battaglia” a breve distanza con oggetto uno dei titoli del catalogo wagneriano. Titolo che deve godere di molti favori perchè il teatro milanese lo ha proposto ben tre volte in ventotto anni. Norma, ad esempio, manca dal 1977.
Sono e rimango ascoltatore radiofonico insoddisfattto della rappresenteazione torinese, e ancor di più di quella milanese, vista dal vivo.
A Torino ha giovato la decisione di allestire in forma di concerto il titolo, che a questa modalità rappresentativa ben si presta per argomento, quasi da oratorio, e per staticità scenica. ben evidente a Milano.
Milano per contro, ansiosa di essere polo culturale, ha affidato l’allestimento ad una compagine chiamata Fura dels Baus, che ha celebrato Wagner in Spagna ed a Firenze con trionfi, ricavando invece, sonora riprovazione in terra ambrosiana.
Persino il Corriere della Sera, oggi, ha riferito e spiegato quelli che possono essere stati i motivi della riprovazione del pubblico manifestata in maniera misurata dopo il secondo atto e sonoramente alla fine all’uscita dei responsabili (sic!) dell’allestimento.
Quindi eviterò di raccontare, ampliando il massimo quotidiano milanese, che le lagrime di Elisabeth rassomigliano assai a due scivoli del Tivoli, che la vasca del prologo ricorda i film anni ’50 con Ester Williams (qualcuno in vena di entuasismi infantili si crogialava nell’idea che si trattasse di brodo primordiale), che molte delle natiche femminili esposte nei filmati del prologo e del terzo necessiterebbero di sedute in palestra ed in sala massaggi, che il coro dei pellegrini ricorda un funerale di terza classe a Benares, che le lavandaie del terzo atto, intente a risciaquare i panni intrisi delle lagrime della protagonista possono evocare molti proverbi ambrosiani per la loro evidente carenza di energia, che il cataletto di Elisabeth sarebbe stato sbeffeggiato in una Gioconda di provincia se utilizzato per la Laura Adorno di fresco addormentata, oppure la diatriba se la semisfera su cui giacevano nel prologo protagonista e Venus fosse la riproduzione del monte di Venere ben noto ai chiromanti e citato in apertura, un clitorite o una protesi per seni un po’ ringrinzita.
Vorrei domandare a chi non condivida la mia opinione e antecendente lo spettacolo sorridente e ingenua come il Fanciullino pascoliano ha pronisticato l’esito infausto della serata quale rapporto India, letture della mano, personaggi inseriti in teche che ricordano l’ampolla di San Gennaro, quando puniti o assunti al cielo abbiamo con un argomento come quello del capolavoro wagneriano.
Buona parte delle trovate (ma altro, più moderno e pregnante sarebbe il termine idoneo) disturbano la musica, distolgono il pubblico dagli aspetti peculiari dell’opera ossia canto ed orchestra.
Non solo le trovate sono un palliativo per uno spettacolo che non ha regia che non ha un gesto che possa illuminare l’ascoltare circa l’azione drammatica e i sentimenti, che i personaggi sono chiamati ad esprimere.
Oltre a mancare alle funzioni essenziali del regista questi “allestitori” difettano anche di una minima informazione e cultura. Proporre, come pontefice cattivo e moralista, Giovanni Paolo II è da taztebao degli anni ’80 nei licei di provincia italiana o iberica. Forse epoca e luogo di formazione dei nostri allestitori.
Ai signori della Fura dels Baus, così desiderosi di apparentare un tema profondamente ed innegabilmenre cattolico come quello trattato da Tannhauser con il mondo indiano dedichiamo una delle più spettacolari esecuzione dell’aria delle campanelle per il semplice motivo che la loro India sarebbe massimamente idonea a quella oleografica del melodramma di Delibes.
Aspetto dalla nostra entusiatica fanciulla, che direttamente o indirettamente ci legge una illuminazione alla mia sconfinata e deserta ignoranza.
Come attendo, prima di riflettere sulla parte musicale una risposta da una proterva Vestale del loggione, che apostrofa le sparute leve del pubblico giovanile intimorendole (povera illusa!!!) ed intimando loro di stare a casa se lo spettacolo non piace. Prima del cattivo esempio, signora, la coerenza. Come si può sapere, a priori, se uno spettacolo sarà o meno di gradimento. Forse la signora in questione crede che tutti ragionino come Lei ossia lo spettacolo è della Scala quindi è bello, è culturale ed è, sicuramente, il meglio!!!
Il massimo quotidiano milanese nel riportare i fischi si è rivelato approssimato per difetto.
Infatti il pubblico ha riservato fischi a Julia Gertseva (Venus) Robert Dean Smith (protagonista), Roman Trekel (Wolfram).
Il protagonista ha, in natura, peso, colore e volume da Nemorino o Rodolfo, tecnica da principiante e allora nelle tre strofe iniziali se canta forte non si sente, se cerca di addolcire ed ammobidire è stonato, inesistente per volume ed accento (che dovrebbe essere quanto mai vario per le corde che toccano) al duetto con Elizabeth, alla tenzone manca di ardore nel canto e di slancio nell’invettiva, accenna il finale secondo arriva, ovvio, esausto e stravolto al pesantissimo finale terzo di tessitura centrale e l’orchestrale comincia ad essere wagneriano secondo la comune accezione.
Scomposta vocalmente, incapace di un fraseggio vario ed eloquente o di una esibizione di voce ricca e doviziosa in una scrittura centrale Julia Gertseva, fra l’altro abbigliata tipo casalinga disperata dedita, per frustrazione, alla lap dance. Parlo di fraseggio vario ed eloquente o di voce doviziosa perchè il personaggio di Venus, scritto per le cospicue doti interpretative ossia per le limitate vocali di Wilhelmine Scoroeder-Devrient può essere proficuamente reso da esecutrici di entrambe le estrazioni. Non per nulla sono state Venus famosissime Rose Pauly o Frida Leider.
Dei tre “fischiati” il peggiore è stato Roman Trekel. Poco volume, nessuna tecnica impediscono l’esecuzione rispettosa del legato e della dinamica delle tre pagine principali dedicate a Wolfram. Il famossimo “O du, mein holder Abendstern” senza una sfumature, senza dinamica, senza nessuna magia e potere di evocazione. Un disastro, un insulto a Wagner. Per altro Herr Trekel è uno dei cantanti che agisce in più serate al teatro berlinese di Staatsoper unter den Linden ossia il teatro di Daniel Barenboim. E allora……
Il pubblico non ha riprovato Anja Harteros nel ruolo di Elisabeth. Anzi l’ha applaudita. Da qui ad essere una grande interprete corrono mille miglia. La Harteros “canta basso” come moltissimi soprani di oggi per simulare un colore ed un peso di cui non dispone in natura. Per conseguneza nel centro la voce appare poco stilizzata e la zona acuta a piena voce crescente di intonazione e ballante sul forte, fissa nei pochi tentativi di ammorbidire e colorire, inoltre il legato è piuttosto carente come ben percepibile nella grande preghiera del terzo atto. In buona sostanza la cantante regge la sortita, sempre con i difetti di cui sopra ed il duetto con il protagonista formato mignon poi i limiti sono di tutta evidenza. Anche lei è di casa a Berlino e quindi lo sarà a Milano. Rammento che dopo il titolo wagneriano vestirà i panni di Amelia/Maria Boccanegra.
Da ultimo Zubin Metha, che credo sia vicino ai cinquant’anni di podio scaligero, sia pure con una lunghissima assenza. Non è stato un bel dirigere il suo. Certo due aspetti non gli sono imputabili o meglio la soluzione non rientra nelle sue competenze. Alludo al limitato volume ed alla limitata ampiezza dei cantanti, che costringono a sonorità attuite e l’altra la precisione dell’orchestra, poco allenata a suonare Wagner.
Abbiamo però sentito un preludio meccanico e con archi davvero brutti, un coro dei pellegrini privo di solennità ed ampiezza (gli alleluja finali , in particolare) un Venusberg senza colore erotico. In realtà il principale difetto di questo Wagner è stata la mancanza di un colore dell’orchestra e la circostanza che anche le limitate sonorità che i limitati cantanti impongono non escludono vibrazioni e pulsazioni e vigore. Con buona pace dei nostri detrattori Wagner non deve essere per forza roboante, ma vibrante sì!
Notazione di colore: la più applaudita della serata Sofia Scicolone, in arte Sofia Loren, che troneggiava nell’ex palco reale!
Nulla di così importante in questi giorni, ma una “battaglia” a breve distanza con oggetto uno dei titoli del catalogo wagneriano. Titolo che deve godere di molti favori perchè il teatro milanese lo ha proposto ben tre volte in ventotto anni. Norma, ad esempio, manca dal 1977.
Sono e rimango ascoltatore radiofonico insoddisfattto della rappresenteazione torinese, e ancor di più di quella milanese, vista dal vivo.
A Torino ha giovato la decisione di allestire in forma di concerto il titolo, che a questa modalità rappresentativa ben si presta per argomento, quasi da oratorio, e per staticità scenica. ben evidente a Milano.
Milano per contro, ansiosa di essere polo culturale, ha affidato l’allestimento ad una compagine chiamata Fura dels Baus, che ha celebrato Wagner in Spagna ed a Firenze con trionfi, ricavando invece, sonora riprovazione in terra ambrosiana.
Persino il Corriere della Sera, oggi, ha riferito e spiegato quelli che possono essere stati i motivi della riprovazione del pubblico manifestata in maniera misurata dopo il secondo atto e sonoramente alla fine all’uscita dei responsabili (sic!) dell’allestimento.
Quindi eviterò di raccontare, ampliando il massimo quotidiano milanese, che le lagrime di Elisabeth rassomigliano assai a due scivoli del Tivoli, che la vasca del prologo ricorda i film anni ’50 con Ester Williams (qualcuno in vena di entuasismi infantili si crogialava nell’idea che si trattasse di brodo primordiale), che molte delle natiche femminili esposte nei filmati del prologo e del terzo necessiterebbero di sedute in palestra ed in sala massaggi, che il coro dei pellegrini ricorda un funerale di terza classe a Benares, che le lavandaie del terzo atto, intente a risciaquare i panni intrisi delle lagrime della protagonista possono evocare molti proverbi ambrosiani per la loro evidente carenza di energia, che il cataletto di Elisabeth sarebbe stato sbeffeggiato in una Gioconda di provincia se utilizzato per la Laura Adorno di fresco addormentata, oppure la diatriba se la semisfera su cui giacevano nel prologo protagonista e Venus fosse la riproduzione del monte di Venere ben noto ai chiromanti e citato in apertura, un clitorite o una protesi per seni un po’ ringrinzita.
Vorrei domandare a chi non condivida la mia opinione e antecendente lo spettacolo sorridente e ingenua come il Fanciullino pascoliano ha pronisticato l’esito infausto della serata quale rapporto India, letture della mano, personaggi inseriti in teche che ricordano l’ampolla di San Gennaro, quando puniti o assunti al cielo abbiamo con un argomento come quello del capolavoro wagneriano.
Buona parte delle trovate (ma altro, più moderno e pregnante sarebbe il termine idoneo) disturbano la musica, distolgono il pubblico dagli aspetti peculiari dell’opera ossia canto ed orchestra.
Non solo le trovate sono un palliativo per uno spettacolo che non ha regia che non ha un gesto che possa illuminare l’ascoltare circa l’azione drammatica e i sentimenti, che i personaggi sono chiamati ad esprimere.
Oltre a mancare alle funzioni essenziali del regista questi “allestitori” difettano anche di una minima informazione e cultura. Proporre, come pontefice cattivo e moralista, Giovanni Paolo II è da taztebao degli anni ’80 nei licei di provincia italiana o iberica. Forse epoca e luogo di formazione dei nostri allestitori.
Ai signori della Fura dels Baus, così desiderosi di apparentare un tema profondamente ed innegabilmenre cattolico come quello trattato da Tannhauser con il mondo indiano dedichiamo una delle più spettacolari esecuzione dell’aria delle campanelle per il semplice motivo che la loro India sarebbe massimamente idonea a quella oleografica del melodramma di Delibes.
Aspetto dalla nostra entusiatica fanciulla, che direttamente o indirettamente ci legge una illuminazione alla mia sconfinata e deserta ignoranza.
Come attendo, prima di riflettere sulla parte musicale una risposta da una proterva Vestale del loggione, che apostrofa le sparute leve del pubblico giovanile intimorendole (povera illusa!!!) ed intimando loro di stare a casa se lo spettacolo non piace. Prima del cattivo esempio, signora, la coerenza. Come si può sapere, a priori, se uno spettacolo sarà o meno di gradimento. Forse la signora in questione crede che tutti ragionino come Lei ossia lo spettacolo è della Scala quindi è bello, è culturale ed è, sicuramente, il meglio!!!
Il massimo quotidiano milanese nel riportare i fischi si è rivelato approssimato per difetto.
Infatti il pubblico ha riservato fischi a Julia Gertseva (Venus) Robert Dean Smith (protagonista), Roman Trekel (Wolfram).
Il protagonista ha, in natura, peso, colore e volume da Nemorino o Rodolfo, tecnica da principiante e allora nelle tre strofe iniziali se canta forte non si sente, se cerca di addolcire ed ammobidire è stonato, inesistente per volume ed accento (che dovrebbe essere quanto mai vario per le corde che toccano) al duetto con Elizabeth, alla tenzone manca di ardore nel canto e di slancio nell’invettiva, accenna il finale secondo arriva, ovvio, esausto e stravolto al pesantissimo finale terzo di tessitura centrale e l’orchestrale comincia ad essere wagneriano secondo la comune accezione.
Scomposta vocalmente, incapace di un fraseggio vario ed eloquente o di una esibizione di voce ricca e doviziosa in una scrittura centrale Julia Gertseva, fra l’altro abbigliata tipo casalinga disperata dedita, per frustrazione, alla lap dance. Parlo di fraseggio vario ed eloquente o di voce doviziosa perchè il personaggio di Venus, scritto per le cospicue doti interpretative ossia per le limitate vocali di Wilhelmine Scoroeder-Devrient può essere proficuamente reso da esecutrici di entrambe le estrazioni. Non per nulla sono state Venus famosissime Rose Pauly o Frida Leider.
Dei tre “fischiati” il peggiore è stato Roman Trekel. Poco volume, nessuna tecnica impediscono l’esecuzione rispettosa del legato e della dinamica delle tre pagine principali dedicate a Wolfram. Il famossimo “O du, mein holder Abendstern” senza una sfumature, senza dinamica, senza nessuna magia e potere di evocazione. Un disastro, un insulto a Wagner. Per altro Herr Trekel è uno dei cantanti che agisce in più serate al teatro berlinese di Staatsoper unter den Linden ossia il teatro di Daniel Barenboim. E allora……
Il pubblico non ha riprovato Anja Harteros nel ruolo di Elisabeth. Anzi l’ha applaudita. Da qui ad essere una grande interprete corrono mille miglia. La Harteros “canta basso” come moltissimi soprani di oggi per simulare un colore ed un peso di cui non dispone in natura. Per conseguneza nel centro la voce appare poco stilizzata e la zona acuta a piena voce crescente di intonazione e ballante sul forte, fissa nei pochi tentativi di ammorbidire e colorire, inoltre il legato è piuttosto carente come ben percepibile nella grande preghiera del terzo atto. In buona sostanza la cantante regge la sortita, sempre con i difetti di cui sopra ed il duetto con il protagonista formato mignon poi i limiti sono di tutta evidenza. Anche lei è di casa a Berlino e quindi lo sarà a Milano. Rammento che dopo il titolo wagneriano vestirà i panni di Amelia/Maria Boccanegra.
Da ultimo Zubin Metha, che credo sia vicino ai cinquant’anni di podio scaligero, sia pure con una lunghissima assenza. Non è stato un bel dirigere il suo. Certo due aspetti non gli sono imputabili o meglio la soluzione non rientra nelle sue competenze. Alludo al limitato volume ed alla limitata ampiezza dei cantanti, che costringono a sonorità attuite e l’altra la precisione dell’orchestra, poco allenata a suonare Wagner.
Abbiamo però sentito un preludio meccanico e con archi davvero brutti, un coro dei pellegrini privo di solennità ed ampiezza (gli alleluja finali , in particolare) un Venusberg senza colore erotico. In realtà il principale difetto di questo Wagner è stata la mancanza di un colore dell’orchestra e la circostanza che anche le limitate sonorità che i limitati cantanti impongono non escludono vibrazioni e pulsazioni e vigore. Con buona pace dei nostri detrattori Wagner non deve essere per forza roboante, ma vibrante sì!
Notazione di colore: la più applaudita della serata Sofia Scicolone, in arte Sofia Loren, che troneggiava nell’ex palco reale!
Gli ascolti
Delibes – Lakmé
Atto II
Où va la jeune Hindoue – Amelita Galli-Curci (1917)
Wagner – Tannhäuser
Atto II
Dich, teure Halle – Elisabeth Grümmer (1960)
Freudig begrüssen wir die edle Halle – Hans Beirer, Renata Tebaldi, Carlo Tagliabue, Boris Christoff & Augusto Romani, dir. Karl Böhm (1950)
Atto III
O du, mein holder Abendstern – Carlo Tagliabue (1946)
Caro Donzelli, sono d’accordo sulle tue impressioni sul Tannhauser scaligero.
La direzione è stata pallida e statica, non ho sentito quel respiro, quella energia e quelle vibrazioni che sono necessarie per rendere correttamente le varie parti dell’Ouverture: dal tema di Venere ben poco sensuale al tema di Tannhauser privato di ogni corposità; sarà per la “limitata ampiezza” dei cantanti? Al concerto Myto del settembre 2009 con il Maggio era riuscito a dare la giusta veste a questa magnifica pagina.
Sui cantanti non c’è molto da aggiungere: Tannhauser strozzato sugli acuti e stonato in mezzo e con nessuna presenza scenica, la Venere schiamazzante e starnazzate (e poi, come l’hanno conciata!?!?!?) e Wolfram, tanto per citare i più meritatamente fischiati, penoso, conciato miseramente e con una voce rigida e stonata. Certamente il peggiore.
Anche il coro, che di solito riesce a sfuggire dalle grinfie della critica, stavolta ci è cascato: nel coro del primo atto e in quello del terzo non ha reso il misticismo e la grandezza che pervade queste due pagine. E poi era spesso fuori tempo, vabbè…
E poi la regia su cui davvero non aggiungo proprio nulla.
“Non ragioniam di lor, ma guarda e passa”.
La cosa più bella della serata? Donna Sofia, ovviamente.
I risultati però sono stati alterni, pur non privi di fascino in taluni momenti: mi è piaciuto il primo atto, le proiezioni, i simboli i giochi di luce, il groviglio di corpi del Venusberg – non originalissimo, saranno 40 anni che il baccanale è risolto in orgia: ma credo che così debba essere, certo meglio così che gli sculettamenti pseudo viscontiani (ma assai prossimi al peggior Tinto Brass) del solito Zeffirelli o della sciagura coreografica della Scala ai tempi di Muti, Micha Van Hoecke… Belli certi fondali "dinamici": cieli inquietanti, nuvole che si diradano, panorami lunari. Suggestivo l'atto terzo (a parte gli orribili scivoli di metallo), con l'arrivo del corpo di Elisabeth su di una piroga piena di lanterne colorate su di uno sfondo scuro, coi bastoni dei pellegrini che – fedelmente al libretto – fioriscono, in segnio di redenzione. Di cattivo gusto le immagini di Giovanni Paolo II proiettate su panni insanguinati: sia perchè inefficaci a rappresentare un papato reazionario, retrogrado, aggressivo e bigotto (meglio ricorrere all'attuale occupante del soglio di Pietro per questo), sia per l'involontaria comicità di certe immagine: il marchio dell'Alitalia ad esempio… Fa storia a sè l'atto secondo: orribile! Una bollywood mal riuscita (e grazie a Dio non più di moda…) infarcita di balletti da veglione di capodanno a Nuova Deli, uomini in turbante e costumi variopinti: particolarmente ridicola la contesa dei cantori, giocata su specie di "autoscontro" montanti un'arpa e un'arpista discinta che si rubavano la scena a spintni e strattoni…
Insomma, dopo lo stupore iniziale – e a parte taluni momenti – lo spettacolo non decollava. Tra l'altro era chiaramente concepito per essere visto e compreso solo da una visione frontale ed in platea…immagino che in alto e sui lati non si riuscisse a capir nulla…e questo non mi sembra di gran servizio all'opera e al pubblico.
Si aggiunga la mancanza di una vera regia: degna dei concerti in costume tanto denigrati dai moderni sostenitori della nuova età dell'oro dell'opera lirica… Ma nessuno pare essersene accorto.
Tuttavia una ventata d’aria nuova in Scala, francamente ci voleva nella tetraggine teutonica impostaci dall’accoppiata Lissner/Barenboim: almeno stavolta non si sono visti i cappottonni delle SS, il passo dell’oca, gli incesti e i riferimenti all’olocausto….
Per lo stesso motivo mi è piaciuta la direzione: il Wagner di Mehta è una valida alternative al bolso stile Bayreuth. Mehta è lirico, cantabile, romantico. Purtroppo l’orchestra non sempre lo segue.
Per il cast nulla da aggiungere, anche se io attribuirei la palma del peggiore a Dean Smith: un Tannhauser offensivo e ridicolo. La caricatura di un tenore. La Harteros invece mi è piaciuta: la migliore per distacco in un cast ridicolo. La voce correva e mi pareva sicura e ben timbrata (meglio nell’atto II che nel III comunque).
Alla fine spettacolo non memorabile, che si è meritato i fischi (anche se in parte dissento da quelli dedicati alla Fura). Ma spettacolo migliore dell’ultima media scaligera (soprattutto la direzione).
Pure io sono reduce dalla prima del Tannhauser e le impressioni collimano in gran parte con quelle di Donzelli. Con alcuni distinguo di cui ho già parlato con lui tra le chiacchiere di foyer…in particolare in merito ad allestimento e direzione d'orchestra. Ma procederei con ordine.
Rappresentare oggi – ma anche ieri – un'opera di Wagner comporta il superamento di un primo grandissimo ostacolo: la drammaturgia. Wagner, si sa, scrisse da solo i propri libretti, rivelando una dimestichezza con versi e teatro inversamente proporzionale alla sua genialità di musicista: i suoi drammi sono verbosi, poeticamente discutibili, retorici, drammaturgicamente insulsi, inutilmente complessi nella messinscena e privi di una vera e propria azione drammatica (quanto sono più efficaci e "teatrali" i tanto vituperati libretti della tradizione del melodramma italiano: Solera, Romani, Piave…per non parlare della perfezione di quelli di Da Ponte). Due le strade lasciate all'interprete:
a) cercare di seguire le indicazioni e l'ambientazione dell'autore: col rischio matematico di sfociare nel "ridicolo" (oltre alle difficoltà sceniche di cui Wagner non s'è curato affatto nel tradurre su carta le sue personali elucubrazioni), con arzigogolate tirate su salvazionie condanne, miti rimasticati, filosofia spiccia, buddhismo mal compreso e uno Schopenauer totalmente frainteso. Tradiotto in scena significa cartapesta e cattivo gusto, da boudoir di fine ottocento…;
b) giocare la chiave del simbolismo e dell'evocazione, estrapolare dall'astrusa drammaturgia un qualche embrione di teatro vero e costruirci un dramma, con tutti i rischi del caso…
La Fura dels Baus ripropone una formula fortunata: efficace nel Ring, dove più spazio vi è alla componente cosmica e mitica di una vicenda "senza tempo e senza spazio", più difficoltosa nel Tannhauser, dove certe "menate" ideologiche e religiose dell'autore condizionano la vicenda. Vicenda del tutto assente (o insulsa, a seconda di come si voglia interpretare l'astruseria della trama, a mezza via tra esaltazioni neocattoliche edeliri da pangermanesimo guglielmino).
L'idea è buona, ottima: togliere ogni suggestione brechtiana o para nazista (che infestano ogni rappresentazione wagneriana, a cominciare dal tempio consacrato…ove immancabilmente l'ingresso dei cantori nella grande sala, assume il significato di una sfilata dei reparti delle SA a Norimberga…), e cogliere il significato simbolico, ancestrale, mistico della vicenda – vecchia come il mondo: ossia il dualismo carne/spirito.
Che peccato che Robert Dean Smith non ha una voce piu potente. Ha tutte le buone intenzioni come anche una linea vocale molto dolce e calda. Mi sembra che oggi Dean Smith e il solo tenore chi potrebbe CANTARE Wagner invece di abbaiare (o invece di "cantare" a la Kaufmann), ma… manca la forza per i ruoli come Tannhäuser & Co. Molto peccato.
A Bayreuth nel 2009 avevo asistito a tutte le rappresentazioni salvo Tristan sapendo che la direzione di Schneider era troppo neutrale e che cantavano Theorin e Michele Breedt (che avevo buato nella Walküre "a perdere la voce"). Per questo ho ascoltato Dean Smith dal vivo sola una volta, alla filarmonia di Essen, come Doctor Marianus nella Ottava sinfonia di Mahler. Naturalmente, anche se la tessitura di Doctor Marianus e abbastanza acuta, il "ruolo" non e lungo. Percio Dean Smith ha avuto la possibilita di concentrare tutta la sua energia nelle due "arie" e ha donnato tutto che aveva. Donde il risultato che ha riuscito di mi fare piangere, l'unica volta nella mia breve vita di 22 anni (riguardo alla musica). Non ho giammai ascoltato un canto cosi sincero e caldo. Potevi pensare che cantava veramente un mistico infiammato per la Vergine.
Poi avevo ascoltato una radiotrasmissione di "Das Lied von der Erde" con Haitink dove Dean Smith cantava con una grande delicatezza. (http://www.youtube.com/watch?v=geFkFXFpLdQ – http://www.youtube.com/watch?v=pgUnaLHgnnM )
Poi – il suo "Kaiser" nel "Die Frau ohne Schatten" trasmesso da Chicago e, malgrado certi problemi evidenti con la "stamina", lo avevo trovato meraviglioso perche era una esecuzione molto coerente.
E poi avevo scoperto una registrazione del suo Tristano di Bayreuth… una delusione completa.
Forse deve lasciare l'opera e cantare piuttosto come cantante di concerto. "L'economia" del esecuzione concertante dovrebbe essere piu adeguado al suo potenziale.
http://www.youtube.com/watch?v=Wk_1_imYThw
Mehta nel '94 diresse un affascinante Tannhauser a Monaco, testimoniato dal, per me, bel video con gli amabili resti di Kollo, la carnale Secunde, il duro, ma sempre poetico Weikl, la meravigliosa Meier ed il tenebroso Rootering.
Spero di vedere ed ascoltare questo spettacolo, se gli impegni lo permetteranno, altrimenti confido, in una differita di Radio3.
Robert Dean Smith invece di perder tempo con Tristan e Tannhauser farebbe meglio a pensare da tenore lirico qual è e approfondire ruoli adatti alla sua voce per non danneggiare uno strumento adatto a ruoli meno massacranti.
Taccio su Trekel e Gertseva, due artisti, soprattutto la seconda, che mi hanno lasciato con l'amaro in bocca, quindi comprendo bene la reazione del pubblico.
Sulla regia non mi pronuncio perchè non l'ho vista, ma la Fura dels Baus a Firenze allestì una Tetralogia notevolissima che destò l'entusiasmo di pubblico e critica… a ragionissima secondo me, quindi l'intelligenza c'è… basta saperla usare positivamente.
Trovo SCANDALOSO E VERGOGNOSO che una pseudo-Vestale-del-loggione si prenda la briga, (con quale autorità poi se non quella dettata dall'ignoranza, dall'arroganza e dalla prepotenza) di apostrofare col ditino puntato dei giovani ragazzi del PUBBLICO PAGANTE cercando di intimorirle "Qui-siamo-alla-Scala-e-non-si-fischia! Se non piace si resti a casa!".
Ma ci resti lei "cara" signora, ci resti lei!!!
Eviterebbe figure da "Signorina Rottermeier" in sedicesimo ed eviterebbe anche che la gente dubiti della sua buona fede da "Giovanna d'Arco", non richiesta, delle cause perse!
Sa, comprare il biglietto da diritto ad esprimere DEMOCRATICAMENTE un'opinione, che può essere il FISCHIO o l'APPLAUSO.
Se uno spettatore trova lo spettacolo VERGOGNOSO, (come il suo comportamento) ha il diritto di fischiare e buare; se lo trova magnifico, (come nel suo caso) ha il diritto di applaudire.
Quindi, "cara" signora, la invito a dare maggior peso agli affari suoi evitando di impicciarsi dei gusti altrui usando metodi poco montessoriani e molto vicini alla scuola del ventennio.
Applauda, applauda pure a tutto, accusi il pubblico buante di "provincialismo", perchè non possiede la sua bocca buona, ma si tenga per se queste ridicole esternazioni.
Marianne Brandt (incassèe nera)
Marianne, pure io ho trovato molto bello il Ring della Fura (non l'ho visto dal vivo, ma attraverso i DVD dell'edizione di Valencia: forse spettacolo più da TV che da teatro). Però non mi stupiscono i fischi destinati alla messinscena: innanzitutto perchè alcune soluzioni erano più che discutibili (atto II da cancellare ad esempio); e poi perchè ovviamente una regia del genere non può che dividere il pubblico, può piacere e non piacere (entrambe le opinioni sono legittime: e se a un buon numero di spettatori la regia non è parsa convincente, ha fatto benissimo a contestarla. E' vita teatrale, vera: provincialismo è il comportamento della "vestale del loggione" di cui dirò oltre). E poi credo che un'esito del genere fosse largamente previsto (immagino che pure a Firenze abbia diviso il pubblico presente, almeno alla prima).
Tornando alla Vestale del loggione…mi è stato raccontato l'episodio, direi increscioso, ma pure consueto (mi è capitato spesso di assistere a siparietti siffatti (e che disturbano molto di più dei fischi finali, giacchè questi non interferiscono durante l'esecuzione, mentre le prediche vengono sempre effettuate durante l'opera…). Le Vestali del loggione sono in febbrile agitazione, giacchè la loro vedovile attesa sta per essere appagata e tra breve ricomparirà l'oggetto dei loro turbamenti, ma pare che molti resteranno estromessi dalla "festa" ecologica del Divo Claudio (eh sì…si trasforma la città in una serra, ma per Lui questo e altro…e chissenefrega dei denari pubblici e SOPRATTUTTO chissenefrega della trasparenza nella vergognosa manfrina della distribuzione dei biglietti: prelazione agli abbonati per per un concerto che dovrebbe essere fuori abbonamento…e giacchè lo paga la comunità cittadina – o gli abitanti della regione, visto il costo dell'operazione – mi sembra una vergogna che i biglietti vengano prima offerti al novero ristretto degli abbonati, delle agenzie, delle banche etc…). La Vestale del loggione è tesa, preoccupata e agitata: prepara il terreno, ara il campo affinchè non vi siano rischi di semi portati dal vento, che disturbino quelli asettici e controllatissimi che la macchina dell'evento ha fornito…
Ma pensa ad una cosa, le Vestali del culto abbadiano sono solo presuntuosi e arroganti, ma si accontentano di adorare l'immagine, quando verrà il turno delle falangi mutiane, verrà dato sfogo alla rabbia furiosa per il vile tradimento e al "25 luglio" succederà un clima da "processo di Verona"…e della sala del Piermarini "sorda e grigia" verrà fatto un bivacco di manipoli!
beh allora per successo di pubblico 1 a 0 per Torino
Non ho visto ne sentito il Tannhauser alla Scala. Per mia ignoranza sono poco interessato a Wagner, anche se proprio l'opera in questione mi piace abbastanza (unitamente al Parsifal). E dirò qui che sono poco interessato a Wagner proprio per la sua drammaturgia che da quando ho cominciato a ragionarci sopra ho trovato che sia qualcosa di assolutamente imbecille. Sono quindi contento di leggere che una persona certamente competente (sicuramente più di me) come Duprez la pensi allo stesso modo.
Non posso non irritarmi quando, per esempio nella Tetralogia ,assisto
alla stupidità drammaturgica di tanti (lunghissimi)momenti.Pensate, ad esempio, alla sterminata scena dell'inizio del Sigfrid, tra Mime e il Viandante dove praticamente, con un espediente drammaturgico stupidissimo (gli indovinelli) non si fa che ricapitolare quello che si è già visto nelle precedenti due opere. Ma vi sembra un drammaturgo questo?!A me sembra uno che ricapitola il tutto per un pubblico duro di comprendonio. E di momenti come questi ce ne sono a josa in tutta la produzione di Wagner. Da questo punto di vista quindi ritengo la rivoluzione wagneriana (poeta e musicista uniti insieme in una indissolubile e sublime unione nel nome dell'Arte…o cose simili)un autentico fallimento e mi sono sempre stupito che i tanti esegeti abbiano trascurato questo aspetto. Secondo me non è trascurabile in un discorso globale riguardante questo musicista, la sua estetica e i suoi intendimenti rivoluzionari. Ma è vero anche che mi rendo conto che le ragioni della musica prevalgono sempre. Eppure, da uno che non capisce niente, ho sempre avuto l'impressione che anche queste ragioni a volte siano compromesse dalla stupidità di questa drammaturgia. O no? Non trovate che nelle opere di Wagner ci siano momenti eterni di stanchezza musicale? E questa faccenda dei motivi riccorenti alla fine non è un pò un giochino, trattato certo con una sapienza da musicista profetico (e io non ho certo la competenza per metterla in dubbio)
ma forse anche un pò furbetto?
Scusatemi le sciocchezze e mi scusino soprattutto i wagneriani che so che costituisco una specia di casta di adoranti. Del resto forse siamo un pò tutti affezzionati ai nostri "guru". I miei sono Rossini e Verdi, con tutti gli altri a seguire…
Ciao a tutti, Antonio
Je voudrais répondre à la question de la dramaturgie wagnérienne:
Bien sûr, c'est surtout le Ring qui démontre un caractère très "rétrograde" de la construction dramatique; tout est raconté et re-conté mille fois, dans "Rheingold" on nous raconte ce qui c'est passé avant le "Rheingold", dans "Walkuere" on nous raconte ce qui c'est passé dans "Rheingold", dans "Siegfried" on nous raconte ce qui c'est passé dans "Rheingold" et "Walkuere"; et dans "Goetterdaemmerung" on nous raconte (et même plusieurs fois!) ce qui c'est passé dans "Rheingold", "Walkuere" et "Siegfried".
Je ne dirai pas que c'est la structure générale de tous les drames de Wagner, parce que, par exemple, dans Tristan ainsi que dans Parsifal les contes d'Isolde ou de Gurnemanz n'ont pas cette gravité retrograde, ils n'arrêtent pas l'action, ils se laissent complètement transcender par la musique. Dans le Ring la raison pour cette "paralysie" de la dramaturgie est un fait tout à fait concret et même biographique: Ayant tout d'abord concu "Goetterdaemmerung", c'est-à-dire "Siegfrieds Tod", comme un seul opéra, Wagner a raconté là-dedans tout ce qu'on connait des trois parties précédentes de ce qui est ensuite devenue une tétralogie. Après, ayant ajouté un autre livret("Der junge Siegfried") où il racontait une histoire encore plus ancienne, Wagner a finalement écrit le livret pour "Das Rheingold" et à la fin "Die Walkuere".
Comme ça, c'était un travail à rebours, d'où aussi le caractère retrograde du Ring intégral.
Mais je me demande si on ne peut pas tout de même "sauver" la dramaturgie du Ring en faisant attention à l'aspect suivant:
Si Th. Adorno dit que la musique du Ring avec toute sa longueur parfois insupportable effectue une négation de chaque instant passé et consumé pour sa propre exécution, est-ce que l'assassinat de Siegfried par Hagen n'est pas une réponse directe précisément contre ce caractère retrograde du Ring entier: Siegfried meurt, parce qu'il se trouve fatalement exposé à la conspiration de Hagen PAR le fait même d'avoir trop parlé, trop raconté, d'avoir permit de se faire impliquer dans l'intrigue que Hagen nouait précisément en lui faisant racontér le passé. Siegfried succombe à l'épique, à l'épos dont il fait partie et qu'il raconte lui-même. D'un coté, c'est ce qu'il a oublié dans la chaîne épique (c'est-à-dire Bruennhilde) qui permet à l'action d'avancer et qui permet à Siegfried aussi d'avancer et d'épousser Gutrune, mais, de l'autre, c'est justement cet oubli que Hagen utilisera pour le lui faire ressouvenir afin de lui apporter le coup mortel.
C'est là qu'émerge l'Orchestre, la grandiose Marche funèbre, muette et hostile à toute expression vocale, en pleurant le sort de Siegfried: "Pourquoi n'as-tu pas gardé le silence, Siegfried? Pourquoi as-tu autant parlé? Tu vois que de toute façon je suis plus capable que toi de raconter non seulement ce qui c'est passé avec toi, mais également tout ce qui c'est passé pendant les quatres jours entiers."
L'épos tue son héros de par sa propre implication fatale dans l'épique et se laisse transcender et transfigurer par l'élément orchestral. Finalement. Après quatres jours. Après 14 heures d'attente.
http://www.youtube.com/watch?v=nkOiKy6sXfM
Dici bene Antonio: la drammaturgia wagneriana è una vera astruseria. Un indigeribile minestrone di suggestioni filosofiche e religiose, rubacchiate a destra e a manca, completamente fraintese nell'essenza e affogate in un brodo limaccioso di retorica, versi goffi e pomposi, verbosità, mistica da due soldi. Ridote all'osso le trame sono deliri mistici senza alcuna efficacia teatrale: riportano in modo maldestro e prolisso questioni e problematiche che fan parte della storia del pensiero occidentale e che sono state affrontate (con efficacia inconmmensurabilmente maggiore) da chiunque altro. In tale guazzabuglio è facile trovarvi di tutto: e infatti le opere di Wagner sono state e sono oggi pretesto per le esternazioni ideologiche o le paranoie psicologiche dei vari registi che ne hanno affrontato la drammaturgia! Vi trova spazio qualsiasi elucubrazione, dal nzionalsocialismo alla rivoluzione industriale, dall'ecologia all'antisemitismo, dall'incesto alle teorie marxiane del plusvalore… Io credo che se qualcosa vale per tutte le stagioni, forse, in realtà, non ne vale davvero per nessuna: se nelle opere wagneriane vi è spazio per qualsiasi lettura, forse significa che le tesi che le fondano sono assai deboli e vuote.
Certo poi c'è la musica, grazie al cielo: ovviamente condizionata dalla prolissità verbale, ma pur sempre grande. Ci sono momenti di stanchezza, vero, ripetizioni, inutili lungaggini, eppure non si può tagliar nulla senza rovinare l'impianto. Wagner fu mediocre poeta, uomo gretto e moralmente riprovevole, calcolatore senza scrupolo, arrogante e ingrato, politicamente dubbio, amante interessato. Un personaggio discutibile su tutti i punti di vista, ma musicista superbo…
Salve, molto interessante la recensione e molto ben scritta.
Non ho visto lo spettacolo ma l'ho immaginato…attraverso la cronaca e la descrizione degli eventi.
Sulla questione 'fischi' sono perfettamente e , se volete, teppisticamente d'accordo con chi ha esercitato il proprio diritto a dissentire. Tutto il mio disprezzo verso quella tizia che ha minacciato i contestatori, sventolando un immondo buonismo: è proprio quella forma ottusa di 'buonismo' che ammorba l'atmosfera dei teatri e crea lo stato delle cose.
….dai, la tizia è anche una buona signora, garbata…almeno con me.
il fatto è che hanno la testa imbottita di fesserie…!
Sono molto contento che una persona sicuramente molto più colta di me come Duprez condivida sostanzialmente le mie considerazioni su Wagner. Anche quelle sulla sua persona che mi trovano consenziente parola per parola. Evviva! Qualcuno che ha il coraggio di dire parole chiare su un artista (artista, si badi, non Musicista)intorno al quale troppo spesso si sono creati miti. Per quanto riguarda poi la precisazione della gentile Pasta mi sentirei di aggiungere che anch'io conosco benissimo tutta la vicenda della composizione del Ring ma questo non giustifica il fallimento come drammaturgo del sig.Wagner. Voglio dire che nel momento in cui il compositore ha deciso di non limitarsi alla composizione di una sola opera riguardante la morte di Sigfrido (da qui quindi, sembra, la necessità di raccontare all'interno di questa opera tutti gli antefatti), quando,cioè tu compositore, decidi di mettere in musica anche gli antefatti, è chiaro che devi cambiare tutto l'impianto drammaturgico, se no che razza di drammaturgo sei? (visto che hai la pretesa di esserlo!). Va beh, mi rendo conto che sono quisquiglie forse davanti alla grandezza del compositore. C'è poi anche la questione dei lunghi racconti non dedicati al semplice riassunto del già visto (citati dalla gentile Pasta) Gurnemanz del Parsifal e la stessa Isolde del Tristanto…Qui si potrebbe invocare un pò più di sintesi; a mio modesto parere avrebbe fatto un gran bene ad entrambe le opere! Ma a voi non viene mai in mente mentre le ascoltate "Si, ho capito vai avanti!", ma certo in questo campo si entra nel carattere proprio della letteratura, dell'arte e anche del teatro tedeschi.Nel pensiero stesso tedesco, pensiero così complesso che ha potuto creare cose sublimi e cose terribili come tutti hanno potuto constatare in due secoli. Schiller, per esempio, pur essendo stato certamente un grande non era certo un esempio di sintesi. E si potrebbe continuare. Però mi rendo anche conto che si stà parlando di una grande cultura che ha segnato e plasmato gran parte dell'Europa e quindi non è giusto liquidare il tutto con dei semlicismi da "italiota", per cui non voglio nenache addentrarmi ad analizzare le affermazioni di Adorno riportate sempre dalla gentile Pasta: non sono in grado. Per quanto riguarda il melodramma io sono rimasto fermo a Verdi: Semplicità-brevità-sintesi. Solo Shakespeare poteva permettersi la non brevità, ma lui è stato il più grande drammaturgo forse della storia del mondo.
Saluti cordiali a tutti e scusate se rompo. Antonio
Ps. Forse avete capito che non amo Wagner!!!!
anche con me lo è stata (a suo tempo…) ma quando impedisce a certe persone di esercitare la propria libertà di espressione mostrando il proprio dissenso verso lo spettacolo…(penso che basti la foto messa da Donzelli come copertina all'articolo per esprimere le parole necessarie…)
e non è il primo caso del genere che si manifesta in sede scaligera: gente che impedisce altre persone di stare e parlare con determinati individui è un'altra squallida e becera moda che si sta iniziando a diffondere largamente.
ma è possibile che la gente non può mai farsi i c… propri sperando in vano di imporre una utopica autorità su chi può all'apparenza sembrare ancora un poppante ingenuo e quindi facile preda??
Caro Antonio, non c'è da adorare nessuno, né Wagner né altri. Wagner è soltanto un immenso artista, come Beethoven, come Mozart, come Bach, come Verdi. E come tale va considerato. Tu stesso hai definito le tue parole come sciocchezze; e lo sono davvero. Ma non è grave; peccato confessato è mezzo perdonato. Se poi si tratta di falsa modestia, ne viene una colpa un po' più grave; ma solo un pochino.
Marco Ninci
Ti comprendo, caro Antonio, perché finalmente ho le stessi problemi con Wagner che hai discutato piu alto, ma con la grande differenza fra noi che io AMO PAZZAMENTE Wagner. :)))
Ho tentato di "salvare" la dramaturgia di Wagner con la mia interpretazione del carattere epico del Ring. Ma i suoi libretti non sono meno verbosi e loquaci per via di avere questa struttura "interessante" di un epos chi, alla fine, si nega se stesso (j'espère qu'on le dit comme ça en italien…).
Vorrei parlare piu della struttura particolare de ciascuna drama wagneriana, sopratutto di Tristan, ma sono troppo stanco del Don Carlo che questi tedesci hanno separato solamente in DUE parte!!!
Facciamo un'altra volta.
P.S. Ammiro e amo passionamente anche la tradizione italiana dell'opera – c'e forse la sola di avere il modo di essere di une tradizione nel migliore senso di questa parola. I tedesci non sembranno RICORDARE chi ha cantato e come hanno cantato quando sono all'opera. Una Christa Ludwig o une Elisabeth Gruemmer sono perfettamente cambiabili con "n'importe quelle" dei desastri contemporanei. Il publicco applaude collo stesso entusiasmo…
PP.SS. E si credono anzi avere inventato il migliore metodo di salvare l'opera: Regie-oper!
Non capisco dove, le parole di Antonio, siano "una sciocchezza"! Credo, anzi, che siano più che condivisibili: la drammaturgia wagneriana è stata caricata – da esegeti improvvisati, fanatici e fedeli – di significati che mai neppure si è sognata di avere. E' un fatto: come è un fatto lo scarso livello letterario dei libretti, la scarsissima efficacia teatrale e i discutibilissimi presupposti ideologici. Poi la musica salva tutto, e siamo d'accordo, ma il resto non è una "sciocchezza"! Nè si può nascondere, con la scusa della grandezza dell'artista, la miseria e la grettezza dell'uomo.
Della Fura, conosco i video della Damnation de Faust salisburghese e del Ring di Valencia.
A mio parere, qui non si tratta di regia. Per regia si intende un lavoro sulla recitazione degli attori che in questo caso non viene proprio fatto.
Queste sono installazioni di arte contemporanea che usano la musica come colonna sonora. Molto interessante, ci mancherebbe, ma la regia teatrale è altra cosa
Rivisto ieri mi confermo: cast e direzione non all'altezza. allestimento sontuoso,lontano dalle fuorvianti interpretazioni nazi-brechtiane del secolo scorso.
A pare mio l'edizione più vicina alla gesamtkunstwerk tanto cara al genio di Lipsia
Bravi voi… niente da aggiungere.
Visto.
Non digerito, però, questa versione falso naif.
Già Wagner e il suo logorroico trattamento del testo è difficile poi aggiungi cartoni animati – veramente il secondo atto sembrava fatta da neo teenager per fare stare bravi i bambini loro piccoli fratellini – altrochè "genialità e ispirazione baus/mehtiana"!
Ormai vado all'opera e invece di immedesimarmi in quello che potrebbe essere un'altro mondo o un'altra dimensione mi ritrovo a ridere, e non tanto sottovoce, scuotendo la testa.
Fosse stato un cast degno…
Sarò curioso di sentire l'Amelia Grimaldi del soprano Harteros, quì, secondo me, appena accettabile perchè nel contesto della regia non si capiva bene se doveva cantare l'aria "dei campanelli" dal Lakme o se i maschi poi avrebbero cantato il bel duetto da Les Pêcheurs de Perles.
A proposito se dovessero fare queste opere, QUALE sarebbe "l'ispirazione registica, ecc., ecc.?
In più, per quanto riguarda Simone Boccanegra, scopro che c'è stata una aggiunta come Amelia di un altro soprano, Ailyn Perez.
Mah…
Complimenti per tutte le altre pubblicazioni recenti e gli ascolti. Non ho avuto il tempo per commentarli, ma vi seguo sempre, anche se da lontano.
Di teatro wagneriano ne so poco essendo soprattutto una giovane leva della lirica. Quello che mi è stato insegnato lo devo ai cinque anni di liceo classico appena conclusi e a qualche lettura sporadica qua e là di grande interesse.
La grandezza di Wagner non è da cercare nelle singole scene delle varie opere ma in una visione d’insieme e generale che permetta di avere una concezione ampia della sua poetica teatrale.
Innanzitutto bisogna dire che è stato il primo a riprendere tutta la poetica e la struttura del teatro greco tragico, certamente rileggendolo in una chiave molto romantica e fortemente influenzata dalla scuola filologica classica tedesca, ma prendendo da questo gli aspetti più originali, autentici e certamente più adatti alle sue esigenze.
Certo non è il primo che riprende il teatro greco come modello da seguire: tutta la scuola operistica tragica sei – settecentesca si rifà apertamente a questo del quale però si limita a riprendere solo alcuni aspetti contenutistici, talvolta anche contaminati da scelte ed aggiunte dettate da ideologie preilluministe, e, in casi più sporadici riguardanti soprattutto la scuola francese di Lully e Rameau, aspetti di tipo strutturale (la presenza del prologo, eredità del teatro euripideo).
Quindi è Wagner il primo a riprendere nella sua luce più originale la tragedia greca: quello che a lui interessa però non sono gli aspetti di tipo formale-strutturale, e quindi la divisione in cori, stasimi, episodi, etc… ma la concezione di fondo che lo regola: come lo stesso Aristotele ci dice, l’obbiettivo della rappresentazione tragica è la catarsi e la purificazione. Wagner riprende a mio parere alla lettera questa concezione attraverso espedienti pratici di particolare interesse finalizzati a concentrare lo spettatore sulla sola scena: creazione del golfo mistico che copre totalmente l’orchestra, lo spegnimento totale delle luci in sala…
Anche nelle singole opere Wagner credo che abbia sempre cercato di imitare il teatro tragico greco ponendo come tema centrale un mondo mitologico geograficamente e storicamente distante da quello greco ma che in fondo ha con questo molte cose in comune, o creando scene di grande delicatezza e raffinatezza accompagnate da un grande senso tragico e costruendo un grande ciclo ad imitazione delle trilogie di Eschilo o Sofocle.
Insomma, la grandezza del teatro wagneriano sta nell’aver tentato di recuperare a mio parere con risultati più che modesti il teatro greco e la sua concezione di fondo adattandola con grande sensibilità al suo tempo e alle differenti circostanze.
E non dimentichiamoci che questo nuovo modo di fare e rappresentare teatro ha segnato tutte le esperienze artistiche successive!
Wagner è il mio compositore preferito, eppure:
taglierei senza pietà la scena degli enigmi in Siegfried.
Alleggerirei senza pietà il delirio di Tristan al III atto.
Taglierei senza remore tutto ciò che avviene dopo il canto del pastore al I atto del Tannhauser, o almeno lo aggiusterei.
Farei lo stesso con il caotico concertatone alla fine del II atto del Tannhauser.
Accorcerei buona parte del I e III atto del Parsifal.
Alleggerirei tutti i Maestri Cantori.
Lascerei invece intatte Olandese, Lohengrin, Oro del Reno, Valchiria e Crepuscolo.
Wagner umanamente era mostruoso, drammaturgicamente coltissimo, ma prolisso, verboso, pedante, maniacale oltre l'inumano; scenicamente, alla lettura del solo libretto, staticissimo e al limite con l'antiteatralità; però la musica è sempre SUBLIME ed è lei che rende l'azione efficace e credibile, e almeno i libretti per quanto strampalati danno sempre spunti interessanti sia per riflessioni personali sia per risultato scenico (il teatro di regia infatti si è accanito visceralmente proprio su Wagner per poi diffondersi come una pestilenza agli altri repertori).
Marianne Brandt
Marianne, "willst du mich verderben??" :))))
Je suis d'accord sur Siegfried, sur Tannhaeuser, sur les Meistersinger, mais pas sur Parsifal et surtout pas sur Tristan. Ca serait un crime d'abréger même une seule phrase du texte et, par là, de la musique aussi dans ces deux opéras. Dans le cas de Parisfal, je n'ai aucun argument rationel, pourquoi il ne faut pas le faire, mais, pour Tristan, il y a, a mon avis, une raison fondamentale:
Le livret de Tristan montre une écriture radicalement différente de celle des autres drames wagnériens. Déjà, on ne peut pas reprocher à Tristan de racconter trop, de répéter trop les histoires. Ce qui est presque opprimant dans le Ring, c'est-à-dire, la narration et la permanente ré-narration des faits, n'a lieu qu'une seule fois dans Tristan: c'est la narration d'Isolde dans le 1er acte. Or, je comprends qu'est-ce qui peut poser un problème pour toi, chère Marianne. Si l'avis de plusieurs des participants de cette discussion devait être correct et si le livret du Ring dit trop de choses, celui de Tristan, tout en étant aussi loquace, ne dit rien! La majeure partie du deuxième acte est un balbutiement et le troisième acte est un balbutiement d'un bout à l'autre. Mais justement en cela consiste aussi la magie de Tristan. Les mots qui sont là, qui comblent les actes aussi abondamment, ne sont finalement qu'un prétexte pour faire de la musique – une musique qui est musique dans un sens plus élevé d'autant que le texte dans sa pertinence verbale se retire complètement pour céder la place au déploiement absolu de l'élément purement musical. Le texte du duo du 2ème acte et, à plus forte raison, le délir de Tristan du 3ème acte, ne peuvent et ne doivent être que ce balbutiement et ce vide verbal, parce que c'était justement leur vacuité qui, peut-être, a permise à Wagner d'aller beaucoup plus loin musicalement qu'il ne l'a fait dans d'autres oeuvres.
Je voudrais savoir, par pure curiosité, quelles sont les parties dans le 3ème acte que ton coeur cruel sacrifierait?
Sa musique est tellement homogène, chaque note semble tellement nécessaire et inévitable que, quand je pense que quelqu'un des amis de Wagner aurait pu lui conseiller d'omettre des parties entières du texte avant de commencer à écrire la partition, il me semble que ça aurait été un désastre, parce que Wagner aurait eu moins de place pour déployer cette musique qui – c'est ma plus profonde conviction – aurait pu aller encore plus loin s'il y avait eu encore plus de mots à mettre en musique…
Tristan EST cette infinité, parce qu'il est toujours capable d'ouvrir sur des plus en plus grands abîmes. Tout en ayant une forme délimitée comme n'importe quelle oeuvre d'art, avec cette musique précise et ce texte précis, Tristan EST une ouverture absolue, toujours à-la-limite, et cela en tant que sa forme même.
Gentile Marianne, io non adoro il teatro wagneriano (come ho già avuto occasione di esprimere su questo blog)però non posso non riconoscerne la grandezza e l'importanza storica (dal punto di vista della musica). Sono però contento di leggere, da parte di una persona competente come lei e che oltrettutto afferma essere Wagner il suo compositore preferito, tutti i tagli che apporterebbe alle opere di questo compositore. Sono contento perchè lei esprime esattamente quello che io ho sempre pensato e i punti che lei indica come "da tagliare" sono proprio gli stessi ai quali anch'io ho sempre pensato. La cosa mi conforta molto, mi fa pensare che in fondo non sono poi così cretino. Anche sulle opere da lasciare intatte mi trovo d'accordo con Marianne (sarà un caso però che quasi tutte appartengono al Wagner "pre-riforma"?). Posso permettermi però di suggerire tra i tagli anche parte del lungo (interminabile) racconto di Wotan alla figlia del 2° atto di Walkiria? Sarei curioso di leggere il parere della gentile Marianne su questo punto.
Tanti cordiali saluti da Antonio.
Per Giuditta:
Personalmente il mio intervento sul III atto del Tristan sarebbe di sfoltire i lunghissimi, e ripetitivi, monologhi di Tristan.
Così per una volta il tenore arriverebbe sano alla fine ^_^
Per il Parsifal sfoltirei i cori, bellissimi, necessari, ma interminabili in molti casi.
Non sai cosa farei a Turandot, Suor Angelica e Forza del destino… meglio che taccia!:-D
Per Antonio:
il monologo di Wotan è forse, assieme alla scena delle Norne, il "riassunto delle puntate precedenti" più necessario all'interno della tetralogia, sia per la musica, sia per la sua teatralità.
In esso Wotan per la prima volta nella Tetralogia analizza se stesso e la sua storia, si confida con la parte migliore di se, sua figlia, ammettendo il fallimento del suo essere dio, negando ciò che brama e accettando ciò che vorrebbe fuggire, un pezzo quindi fondamentale.
Sarebbe come togliere "Ella giammai m'amò" dal Don Carlo.
Marianne Brandt
Sono d'accordissimo sulla prolissità di Wagner e sui luoghi indicati come quelli dove l'ispirazione dell'autore è stata notevolmente annacquata da verbosità e lungaggini…però – dal punto di vista pratico – credo fermamente che sia impossibile tagliare qualcosa senza creare squilibri o scompensi armonici e strutturali: la musica è così legata al testo da renderli inscindibili tanto che le lunaggini dell'uno si riverberano sull'altra, e qualsiasi taglio fa assomigliare il risultato ad una specie di antologia. Purtroppo l'autore non aveva il dono della sintesi.
Ps: io resto fermamente contrario ad ogni taglio (che deturpa sempre l'opera come pensata dall'autore), e giammai leverei una sola nota a quel capolavoro che è la Forza del Destino. Per Suor Angelica, invece, adotterei un taglio più drastico, della durata di un'ora circa, che eliminerebbe l'intera opera (non riesco proprio a sopportarla MAI)
Anche io sono per l'integralità assoluta dell'opera in teatro e nelle incisioni, il pubblico ha il diritto di godere di tutta la composizione e il compositore va sempre rispettato (cosa ad esempio che Oren non fa proponendo moncherini e "estratti")… però nel silenzio delle mura domestiche ove tutto è possibile grazie ad un pratico tasto, le opere possono essere "riaggiustate" seguendo il proprio gusto ^_^
Marianne Brandt
Certo…e lo uso spessissimo quel tasto: pure in presenza di "sacri testi"…
Si è vero. Anch'io come Duprez detesto i tagli di qualsiasi genere e sono da molti anni per le edizioni integrali.Mi rendo conto che la mia adesione alle proposte della gentile Marianne era dovuta soprattutto alla mia avversione per il teatro wagneriano e quindi faccio ammenda.Non sarebbe giusto e credo anche che le osservazioni di Duprez virca l'impalcatura dell'opera che ne verrebbe deturpata siano più che giuste. Del resto è molto semplice: basta non ascoltarlo e non andare a vederlo. Eppure…faccio fatica a rassegnarmi a questa avversione, perchè sento che è come se mi privassi di un'esperienza importante, che so, come non apprezzare e non amare Dostoievski o Shakespeare…insomma i giganti della cultura occidentale in genere. Chissà se un giorno ce la farò? Forse sarà la lingua? Può essere. O forse anche i cantanti tedeschi che non amo particolarmente. Sapete, vi confesso un sogno che farà inorridire i wagneriani: a volte ascoltando per esempio Lohengrin e annoiandomi molto e molto irritandomi in certi punti, cerco di immaginarmi come potrebbe essere se quella stessa opera fosse cantata dalla Freni, Pavarotti, Capuccilli, e che so? la Stignani..Terribile no? Magari anche cantata in italiano (certo in una traduzione nuova e non in quella orribile dell'800…)ancora peggio no? Si, so che esistono dei CD con la giovane Tebaldi da Napoli (credo)ma sono praticamente insentibili e oltrettutto sono nell'orrenda traduzione di cui sopra…Insomma non mi va bene niente, voi direte, E avete ragione. Il tutto forse fa parte della mia lotta per imppossessarmi del mistero Wagner… Scusatemi le bestialità e vogliatemi ancora bene, come dice Cio-cio-san
Saluti cari Antonio
caro antonio
sarà anche orribile la traduzione non lo escludo, ma debbo fare atto di fede non sapendo il tedesco.
Però ti lascio due pensieri
anno di grazie 1970 un teatro italiano
Lohengrin: Carlo Bergonzi
Elsa: Mirella Freni/Maria Chiara/Rita Orlandi Malaspina
Telramondo: Aldo Protti
Ortruda Fiorenza Cossotto/Bianca Berini
anno di grazia 1950
Lohengrin: Beniamino Gigli
Elsa: Renata Tebaldi/Maria Caniglia/Elisabetta Barbato/Caterina Mancini
Telramondo: Carlo Tagliabue/
Ortruda Elena Nicolai/Ebe Stignani
anno di grazia 1930
Lohengrin: Aureliano Pertile/Miguel Fleta/Antonio Cortis/FRancesco Merli
Elsa: Claudia Muzio/Giannina Arangi-Lombardi/Maria Farneti
Telramondo: Carlo Galeffi/ Domenico Viglione Borghese/ Benvenuti Franci/
Ortruda: Giuseppina Cobelli/ Tina Poli Randaccio
sognare è lecito?
Se posso permettermi, avrei un consiglio da dare ad Antonio. Faccia un bel corso di tedesco, che non è utile solo per Wagner, ma anche per esempio per quella cosa sublime che è la produzione liederistica di Schubert, Schumann e Wolf. Wagner è uno dei giganti della civiltà occidentale e, oltre a questo, una intelligenza poderosa e finissima, capace di utilizzare in maniera affascinante suggestioni storiche e filosofiche. Ma è impossibile apprezzarne la musica senza essere capaci di seguire il testo parola per parola, aderendo in profondità alla sua raffinata trama letteraria. Inoltre, ti consiglio di leggere la sua autobiografia, una delle più belle che si conoscano, degna di stare a pari con i "Mémoires" di Berlioz. Scusami per questo consiglio, magari non richiesto.
Marco Ninci
caro marco,
francamente quanto a musica da camera sono pago della mia ignoranza, che ti farà inorridire e scrivere un paio di post e mi tengo Arditi, Rotoli, Tosti, Tirindelli, oltre naturalmente agli operisti italiani in veste di compositori da camera.
Campassi mille anni (ossia fossi longevo come la signora Olivero) non capirò mai per quale motivo dobbiamo essere proni e succubi della musica da camera tedesca.
La quale è da almeno cinquant'anni eseguita malucci, male e malissimo
ciao marco e perdona se mi sono fatto gli affari altrui, visto che il consiglio era rivolto ad altra persona, certo più attenta e disponibile di un povero contadino bergamasco.
dd
capiti a fagiolo donzelli!!! potresti consigliarmi una buona discografia su arditi, rotoli, tosti e tirindelli? avrei bisogno di consigli…