Simon Keenlyside in concerto alla Scala

Programma raffinato per una delle voci più importanti della scena internazionale: Simon Keenlyside ha scelto alcuni fra i più ispirati Lieder di Schubert, di Wolf e di Brahms per il suo concerto di canto alla Scala. Le recensioni dei suoi recital, in diverse capitali della musica, sono tutte da cinque stelle.

Lo scritto sopra riportato è la presentazione che il Teatro alla Scala ha dedicato al baritono inglese.

E’ molto istruttiva e per la lingua e per lo stile. Apprendiamo che esiste il super superlativo e che i cantanti lucrano recensioni da Guide Michelin.
Lo diciamo a beneficio di chi, leggendoci, spulcia il nostro latino, privo, credo, di altri e consistenti argomenti di polemica e dibattito.
Sappiamo, per averlo letto più volte, che i programmi dei concerti di canto rispondono al deliberato e nobile scopo, proclamato dalla dirigenza scaligera, di educare il pubblico.
Anche certe case di correzione e di punizione, anche i metodi educativi del Vescovo Vergerus del film Fanny ed Alexander rispondevano al medesimo scopo.
Solo che al pari di quegli educatori, i cui esiti, anche senza essere fanatici del metodo Montessori, erano nefasti, il processo di rieducazione fallisce per le energie artistiche messe in campo. Faccio un esempio chiaro, ma lampante: riproporre, anno 1983, Maometto secondo con un bel cast Ghiaurov, Obraztsova, Carreras, Baltsa sarebbe stato un errore imperdonabile, una operazione per nulla culturale e pure fallimentare sotto il profilo commerciale.
Infliggere una serata di 19 Lieder di Schubert, Wolf e Brahms affidandoli ad un cantante che: non si capisce se sia un basso o un baritono, tanto bituma la voce nella quarta grave (quarta di quell’ottava centrale, che utilizza); che canta o mezzo forte o con un tenue falsettino; che ha problemi di volume e di ampiezza e che non dispone, per limiti tecnici, della tavolozza espressiva minimale per tali programmi, offrendo, per contro, un legato molto, molto approsimativo, è abortire l’operazione in partenza.
Siccome completezza impone di dettagliare ricordo come i difetti fossero particolarmente evidenti nel secondo e terzo Lied di Schubert (Der Tod und das Mädchen, op. 531 e Dass sie iher gewesen, op. 775) e quanto al legato soprattutto in Wolf.
Tanto per chiudere: la liederistica femminile post bellica è il frutto delle affettazioni della signora Legge, la maschile di quello -identico- del signor Fischer-Dieskau. Sentire il proposto Heinrich Schlusnus in brani della letteratura del salotto di lingua tedesca.
A riprova dell’esito e della stima del pubblico, per le scelte proposte, siano, se “il botteghino” ha valore e significato, i circa ottanta (di centocinquanta) palchi vuoti, la platea piuttosto rara di pubblico e le due gallerie dove tutti, anche i miseri come Donzelli, entrati con l’ingresso da Euro 5, si sono seduti in prima fila.
Si potrà facilmente obiettare che il pubblico è ignorante e sogna solo il repertorio, ossia i famosi dieci titoli, che si crede nelle direzioni artistiche germano-italiche essere il repertorio italiano e francese.
Con altrettanta facilità si può obiettare che siffatte scelte, affidate a siffatti esecutori non possono che nascer morte o di breve vita.
E non con facilità, ma con buon senso e minima nozione della storia della musica da camera, si DEVE replicare per non subire ulteriori vessazioni che la musica da salotto è esperienza culturale comune all’Europa tutta, pure mediterranea ed agli Stati Uniti d’America!!! E’ scritto sulla Garzantina.
E per dimostrare che la Garzantina non mente abbiamo pescato il re del salotto italiano a cavallo fra Otto e Novecento (Francesco Paolo Tosti), in corda di baritono (vero!). Per chi voglia mettere i “puntini sulle i” precisiamo che è una delle venti o trenta scelte possibili, tutte atte a dimostrare che ci sono tanti ed ugualmente importanti salotti.

Gli ascolti

Brahms

Von ewiger Liebe Heinrich Schlusnus (1939)

RegenliedHeinrich Schlusnus (1939)

Tosti

AncoraMattia Battistini (1902)

InvanoAntonio Scotti (1902)

L’ultima canzoneGiuseppe Bellantoni (1910)

Denza

Occhi di fataMattia Battistini (1902)

6 pensieri su “Simon Keenlyside in concerto alla Scala

  1. Ascoltato nel Macbeth:

    Keenlyside che vuole fare il cattivone fa ridere!
    Ha un timbro bello, ma perennemente mortificato dalla pretesa di analizzare ogni sillaba come fa chi volendo trovare chissà quali chiavi di lettura, non dice nulla e sembra "cantare" solo per se stesso.
    Aggiunge risatine, rantoli, stupori camuffando una estensione di fatto corta e traballante e cantando tutto mezzoforte con una voce leggera e leggiadra ammazzando il personaggio con l'espressione grifagna senza mai interagire con nessuno all'infuori di se stesso.
    Inutile e fuori parte.

    Marianne Brandt

  2. Rilevo una persistente divergenza col vostro modo di pensare: anche altri vi ha fatto notare che il lied, specie quello schubertiano, non è paragonabile con la romanza italiana francese o spagnola, nè rossiniana, nè, tanto meno, tardoromantica. Sarebbe come paragonare Bellini al singspiel.
    Per parte mia ritengo che le composizioni di Schubert siano dei microcosmi di enorme valore musicale: capitalizzano l'esperienza mozartiana e beethoveniana, aprono la strada a un romanticismo anticipato e nello stesso tempo tengono ben a fuoco i limiti di un equilibrio compositivo ancora indiscutibile all'epoca.

  3. Il compositore per altro non aveva avuto alcun successo di pubblico con i suoi lavori vocali d'ampio respiro, eccettuati alcuni corali e messe, e riversò tutto il suo lirismo e la sua nobile passionalità in componimenti di minor ambizione ma che nello stesso tempo rispecchiavano l'eleganza e l'elevata intimità dei salotti viennesi dell'epoca. Non è che musicasse solo Goethe, ma neppure è un caso, vista l'atmosfera culturale. Sulle svariate centinaia, almeno centocinquanta sono capolavori. Lo stesso non si può dire di Schuman, ma pazienza…

  4. Quanto poi a Fischer-dieskau, ritengo che le sue incursioni nel repertorio italiano siano censurabili ma che una buonissima parte della sua carriera, almeno 15 anni, abbia fatto onore al repertorio bachiano schubertiano e non solo. Naturale che non è uno Husch o uno Schlusnus. Esattamente come Bruscantini non è Pasero, o come il grande Franco non è mai stato Lauri Volpi.

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