E’ solo per dovere e spirito di contraddizione che siamo andati a vedere questo Don Giovanni. Solo per non sentirci dire che siamo preconcetti.
La recita domenicale e pomeridiana è immagine e ricordo di altri tempi. Come agli altri e passati tempi appartiene la cospicua carica di fischi che, alla quarta recita, ha salutato le uscite singole di Carmela Remigio (donna Anna), Emma Bell (donna Elvira) e del direttore Louis Langrée.
Domani la centrale del cosenso minimizzerà la riprovazione, stigmatizzandola quale frutto della mania di protagonismo di pochi, cattivi, facinorosi, che non vogliono bene alla Scala e non sono in capaci di apprezzare il programma di rifondazione culturale che il soprintendente e direttore artistico dona plenibus manibus.
Conti e resoconti su questa inutile ripresa di don Giovanni sono presto fatti. L’allestimento è la ripresa di quello proposto un paio di anni fa a firma Peter Mussbach dove a parte la Lambretta, guidata da donna Elvira, un Bignami delle più usate posizioni per l’accoppiamento dell’homo sapiens, qualche sottoveste e i pettorali di Erwin Schrott proprio non c’è nulla. Ove proprio nulla significa nessuna idea registica, che illustri ed illumini e non sia una brutta esibizione di ciò che il libretto dice in maniera che chiunque possa capire.
La direzione di Langrée è stata lenta, priva di solennità ed aulicità, fiacca, imprecisa in ogni ensemble, una sorta di noiosa e meccanica mignardise. Perché questo don Giovanni evocava un intermezzo napoletano della prima metà del ‘700. I momenti peggiori il finale primo, la scena del lugubre pranzo di don Giovanni, il finale dell’opera, con la chicca di una entrata delle maschere, né solenne né misteriosa, ma da avanspettacolo.
Fischi per tutti i cantanti, che, italiani o stranieri che siano, non sanno eseguire i recitativi, mai chiari nella dizione, mai scanditi, talora come accade per servo e padrone inficiati da caccole e cachinni.
I fischi dello scocciato, offeso, annoiato pubblico hanno colpite le due donne. Emma Bell: emissione greve e volgare, incapace di eseguire decentemente le elementari agilità della parte, voce veramente brutta e sgraziata, per giunta maldestramente accompagnata nelle arie. Ha un solo pregio, un certo volume, unica nella compagnia di canto.
Carmela Remigio, a suo tempo assolta quale Elettra del recente autunnale Idomeneo, ha il peso, il colore di Zerlina, accento da personaggio comico e popolare e non certo da gran dama, spagnola e vendicativa. Possiamo rilevare e censurare la mancanza di vigore e furore della prima aria, l’imprecisione e la difficoltà del rondò e peggio ancora i pigolati e flautati vocalizzi dell’entrata delle maschere. Donna Anna parla di vendetta, signora Remigio!
Inudibile Veronica Cangemi, ex mezzo soprano baroccaro, oggi soprano leggero, senza appoggio e sostegno, senza ampiezza e sonorità. Insomma nemmeno la parvenza del canto professionale. Avrebbe meritato parità di trattamento rispetto alle altre protagoniste femminili.
Quanto a volume limitato, fraseggio da pesce lesso, nessun accento, nessun vigore, nessun colore Juan Francisco Gatell, don Ottavio. Accenna con grazia i passi di flamenco (sic!) che il genio della regia impone all’entrata delle tre lugubri maschere, che sembrano i Blues Brothers. Gravi i problemi di intonazione, specie nella prima aria, farcita di variazioni assolutamente inutili.
Erwin Schrott ha esibito un torace ben costruito. Erwin Schrott dovrebbe cantare e non fare lo stripper o qualche cosa di analogo. E oltre al torace muscoloso non c’è altro, perché la voce non c’è, parlotta nei recitativi, accenna molti dei cantabili (Fin ch’han dal vino, scena del cimitero e della festa, accoglienza delle maschere al finale), quando prova a mettere la voce al posto (serenata) percepiamo suoni nasali e fiati piuttosto corti.
Il fedele Leporello, Alex Esposito, canta da basso, non è un basso. La voce è vuota in basso e corta in alto per l’incapacità di una corretta esecuzione del passaggio di registro, si sforza di interpretare, esagerando, però in mosse e mossette e arrivato al cantabile dell’aria del catalogo esibisce i limiti della voce e della tecnica, privo di legato e di ampiezza di suono, che deriva dall’esatto sostegno del fiato.
Degli altri due bassi Mirco Palazzi, Masetto è corretto e composto, ma è un basso sulla carta. Basso vero per timbro ed alla slava per tecnica Georg Zeppenfeld, il Commendatore.
Dite pure che siamo passatisti, ignoranti e retrogradi, ma a questo don Giovanni abbiamo, noi e altri che condividono il nostro pensiero, subito molti assalti di Morfeo.
La recita domenicale e pomeridiana è immagine e ricordo di altri tempi. Come agli altri e passati tempi appartiene la cospicua carica di fischi che, alla quarta recita, ha salutato le uscite singole di Carmela Remigio (donna Anna), Emma Bell (donna Elvira) e del direttore Louis Langrée.
Domani la centrale del cosenso minimizzerà la riprovazione, stigmatizzandola quale frutto della mania di protagonismo di pochi, cattivi, facinorosi, che non vogliono bene alla Scala e non sono in capaci di apprezzare il programma di rifondazione culturale che il soprintendente e direttore artistico dona plenibus manibus.
Conti e resoconti su questa inutile ripresa di don Giovanni sono presto fatti. L’allestimento è la ripresa di quello proposto un paio di anni fa a firma Peter Mussbach dove a parte la Lambretta, guidata da donna Elvira, un Bignami delle più usate posizioni per l’accoppiamento dell’homo sapiens, qualche sottoveste e i pettorali di Erwin Schrott proprio non c’è nulla. Ove proprio nulla significa nessuna idea registica, che illustri ed illumini e non sia una brutta esibizione di ciò che il libretto dice in maniera che chiunque possa capire.
La direzione di Langrée è stata lenta, priva di solennità ed aulicità, fiacca, imprecisa in ogni ensemble, una sorta di noiosa e meccanica mignardise. Perché questo don Giovanni evocava un intermezzo napoletano della prima metà del ‘700. I momenti peggiori il finale primo, la scena del lugubre pranzo di don Giovanni, il finale dell’opera, con la chicca di una entrata delle maschere, né solenne né misteriosa, ma da avanspettacolo.
Fischi per tutti i cantanti, che, italiani o stranieri che siano, non sanno eseguire i recitativi, mai chiari nella dizione, mai scanditi, talora come accade per servo e padrone inficiati da caccole e cachinni.
I fischi dello scocciato, offeso, annoiato pubblico hanno colpite le due donne. Emma Bell: emissione greve e volgare, incapace di eseguire decentemente le elementari agilità della parte, voce veramente brutta e sgraziata, per giunta maldestramente accompagnata nelle arie. Ha un solo pregio, un certo volume, unica nella compagnia di canto.
Carmela Remigio, a suo tempo assolta quale Elettra del recente autunnale Idomeneo, ha il peso, il colore di Zerlina, accento da personaggio comico e popolare e non certo da gran dama, spagnola e vendicativa. Possiamo rilevare e censurare la mancanza di vigore e furore della prima aria, l’imprecisione e la difficoltà del rondò e peggio ancora i pigolati e flautati vocalizzi dell’entrata delle maschere. Donna Anna parla di vendetta, signora Remigio!
Inudibile Veronica Cangemi, ex mezzo soprano baroccaro, oggi soprano leggero, senza appoggio e sostegno, senza ampiezza e sonorità. Insomma nemmeno la parvenza del canto professionale. Avrebbe meritato parità di trattamento rispetto alle altre protagoniste femminili.
Quanto a volume limitato, fraseggio da pesce lesso, nessun accento, nessun vigore, nessun colore Juan Francisco Gatell, don Ottavio. Accenna con grazia i passi di flamenco (sic!) che il genio della regia impone all’entrata delle tre lugubri maschere, che sembrano i Blues Brothers. Gravi i problemi di intonazione, specie nella prima aria, farcita di variazioni assolutamente inutili.
Erwin Schrott ha esibito un torace ben costruito. Erwin Schrott dovrebbe cantare e non fare lo stripper o qualche cosa di analogo. E oltre al torace muscoloso non c’è altro, perché la voce non c’è, parlotta nei recitativi, accenna molti dei cantabili (Fin ch’han dal vino, scena del cimitero e della festa, accoglienza delle maschere al finale), quando prova a mettere la voce al posto (serenata) percepiamo suoni nasali e fiati piuttosto corti.
Il fedele Leporello, Alex Esposito, canta da basso, non è un basso. La voce è vuota in basso e corta in alto per l’incapacità di una corretta esecuzione del passaggio di registro, si sforza di interpretare, esagerando, però in mosse e mossette e arrivato al cantabile dell’aria del catalogo esibisce i limiti della voce e della tecnica, privo di legato e di ampiezza di suono, che deriva dall’esatto sostegno del fiato.
Degli altri due bassi Mirco Palazzi, Masetto è corretto e composto, ma è un basso sulla carta. Basso vero per timbro ed alla slava per tecnica Georg Zeppenfeld, il Commendatore.
Dite pure che siamo passatisti, ignoranti e retrogradi, ma a questo don Giovanni abbiamo, noi e altri che condividono il nostro pensiero, subito molti assalti di Morfeo.
Gli ascolti
Mozart – Don Giovanni
Atto I
Bisogna aver coraggio…Protegga il giusto Cielo – Rose Bampton, Jarmila Novotna, Charles Kullman, Ezio Pinza & Alexander Kipnis, dir. Bruno Walter (1942)
Atto II
Deh vieni alla finestra – Antonio Scotti (1902), Mariano Stabile (1926)
Il mio tesoro intanto – Hermann Jadlowker (1908)
In quali eccessi, o Numi…Mi tradì quell’alma ingrata – Johanna Gadski (1910)
Ero presente anche io. Davanti ad orrori istituzionali(zzati) come il Don Giovanni in questione, vien davvero voglia di darsi alla sinfonica e chiudere baracca (barocca) e burattini con l'opera. Certo che se poi a dirigere chiamano dispensatori di tavor della risma di Langrée, siamo punto e a capo.
Il vero problema è che alle ignobili trovate registiche, che hanno provocato risatine involontarie in loggione (Elvira che esce di scena "mesta, mesta" accompagnando la lambretta per mano, Leporello e Don Giovanni impegnati a mimare fornicazioni e cunnilingus, commentati appena dopo con un paio di declamati fantozziani), non c'è un contraltare vocale decente, ma solo complementare all'idiozia generale della messinscena. Dopo aver udito una Bell (nomen omen…) scampanare urla (ad onta di un mezzo vocale spesso inudibile), una Remigio produrre suoni fissi, senza appoggio e acida anche nei centri, uno Schrott fibroso in acuto e vuoto sotto (non è una novità, perché è un tenore…), un Esposito appena sufficiente, un buon Commendatore (bella voce e di buon volume, ben adatta al ruolo) e un pessimo concertatore (vergognosi certi suonacci d'accompagnamento alle parti d'insieme)… dopo aver ascoltato una corte dei miracoli di tale fattura, ci si chiede perché i fondi pubblici non vengano impiegati in maniera più proficua. Come la salvaguardia del porcino in val padana. O un fondo per indagare la scomparsa di Maria Teresa Ruta dalla tv di stato.
concordo pienamente con tripsinogeno e con quanto espresso nell'articolo: non serviva neppure presenziare a questo don Giovanni per accorgersi che nessun interprete era minimamente all'altezza della parte. Esposito e Schrott mi sembrano particolarmente offensivi, perdonate… specie se i confronti si possono ancora fare… col passato (sì, perchè col futuro è difficile farli, oltre che avvilente).
Lo scandalo del "Don Giovanni" scaligero è nella regia: è stato messo in soffitta un allestimento magnifico e ancora attuale (Strehler-Frigerio-Squarciapino) per uno orribile, inguardabile, scontatissimo nella suo preteso anticonformismo.
Il lato musicale è nella media di ciò che circola in giro per il mondo, sicuramente non all'altezza della Scala. Ma vi faccio una domanda: quale spettacolo ormai è all'altezza dei fasti passati (ormai remoti) del Piermarini?
carissimi tutti,
parto da ludwig e dalla sua osservazione, che condivido in pieno.
La verità è che ormai la scala, anzi la scalà è una colonia dei teatri tedeschi, Berlino in primis.
Gli spettacoli di un realismo valido per Brecht sono nel mondo tedesco l'idea di modernità, la sciocca pretesa di dire qualche cosa in una forma d'arte che dobbiamo accettare così come è. Per altro l'idea si avvia al suo centesimo compleanno in quanto il primo allestimento in abiti moderni fu nel 1929 a Berlino. Si trattava di Macbeth di Verdi. Per la cronaca e per il giusto passatismo la Lady si nomava Sigrdi Onegin. Mica le urlone che oggi ci vengono inviate da Berlino e dalal provincia tedesca, con riferimento alla quale anche negli anni trenta Rudolf Bing, che da lì veniva, diceva di avere sentito molti cani e cagnacce. Poi sentiva anche Sigrid Onegin o Frida Leider.
ciao dd.
Una domanda. Quando si parla dei fasti, ormai remoti, del Piermarini, a quale epoca ci si riferisce? Forse agli anni Cinquanta e all'inizio degli anni Sessanta, intendendo con ciò che nel '68, con l'arrivo di Abbado, è finito tutto?
Marco Ninci
caro Marco Ninci,
ho letto quanto Tu hai scritto circa questo don Giovanni nel sito degli abbadiani itineranti.
Ritengo che questo Tuo intervento sia un tentativo di cercare ulteriore tenzone, atteso l'epiteto di "grisini", speso con abbondanza al nostro indirizzo.
E potrei anche troncarla qua.
Mi illudo, invece, che il Tuo intervento voglia offrire lo spunto per riflessioni riguardo un arte, che appassiona e coinvolge tutti noi.
Non metto una data, lascio a chi legge -te per primo- la scelta. Cito, invece, degli elementi che hanno determinato la fine dell'aetas aurea o dei cosiddetti fasti scaligeri:
a) pensare ed illudersi che un direttore d'orchestra tutto possa risolvere in uno spettacolo d'opera, anche se non ama il canto ed i cantanti. Il che riguarda i maestri, che dirigono per dovere d'ufficio pochi titoli d'opera, abdicando volentieri gli impegni istituzionali o quelli che non chiamano, sostituiscono, protestano cantanti rei, a loro avviso, il torto di oscurare la loro demiurgica fama.
b) lasciare ad un direttore d'orchestra o peggio alla sua agenzia e casa discografica la scelta dei cantanti. Se l'uno o l'altra fanno ostracismo o piantano grane esistono le conferenze stampa per sbugiardarli ed il direttore artistico della Scala è tale di una istituzione forte e potente jure et nomine suo, senza bisogno di puntelli.
c) nominare direttori artistici incompetenti, ignoranti, preconcetti ed incapaci, magari anche supportandoli con esperti di voci, bacchette ed consimilia, scelti ovviamente dall'incapace, incompetente ed imposto di turno o da i di lui mentori, quale mercede dell'incarico conferitogli. Risultato denaro pubblico sprecato. Per scegliere i cast bastano idee chiare, buone orecchie e conoscenza del repertorio, nonché un paio di segretarie, che scrivano e parlino bene un paio di lingue straniere.
d) illudersi ed illudere il pubblico che il passato sia brutto e,comunque, sorpassato. Se fossero sinceri saprebbero che è solo un elemento col quale confrontarsi;
e) illudere ed illudere che un regista alla moda, la scenografia da teatro di tendenza, un soprano gnocca o i fondoschiena ed i pettorali di tenori e bassi e ballerini possano ammorbidire le orecchie ed il gusto del pubblico.
Circa la data di inizio di questo funesto fenomeno fai tu.
Io l'ho ben chiara in testa.
saluti dd
Scusami, Donzelli, io non ho mai scritto sul sito degli Abbadiani itineranti. Io non vi ho mai chiamato "grisini".Io non ho mai pensato che il passato sia da buttare. Anzi, penso proprio che il passato, che peraltro non è affatto omogeneo, sia un mondo con cui confrontarsi. Mi dispiace che tu pensi che il mio commento al Don Giovanni si riferisse al vostro Corriere; si riferiva invece a quella detestabile categoria scaligera che è il vedovismo, l'essere vedovi di qualcuno o di qualcosa, sia questo la Callas, la Tebaldi, Abbado o Muti o chi per loro. Francamente mi sarebbe maggiormente piaciuto che invece di queste sterili polemiche tu mi dicessi che cosa pensi di quel mio scrittarello, sempre sulla "Voce del loggione" (che fra l'altro non si identifica assolutamente con i fans di Abbado),sul personaggio di Don Ottavio nell'opera di Mozart; uno scritto che precede di pochi numeri il mio interventino sui fischi alla Scala.
Saluti cordiali
Marco Ninci
caro Ninchi,
grazie per la Tua risposta
Comincio dal sito. La signora, che lo patrocina, sostiene ed alimenta è, a sua volta, sostenuta ed alimentata da un furor Claudiani amoris, che in periodo non carnevalesco e ad una età in cui la mascherata mal si conviene, l'ha condotta ad offrire, con un compare in eguale messa, semi per compiacere il suo prediletto della bacchetta e contribuire al rimboschimento della città.
Perdonami sono spettacoli diseducativi per quei pochi giovani, che vengono ancora in scala!
Quanto agli epiteti, di cui destinatari, basta un accurato scandaglio per verificare il mio assunto e la fondatezza dello stesso.
La tua opinione circa il passato è la tua ed al pari della mia non scalfisce minimimamente organizzatori e critica militante. E non perchè nostre, ma perchè oneste e di buon senso queste opinioni sarebbero le uniche, che servirebbero alla sopravvivenza del teatro d'opera.
Quanto alle tue riflessioni sul personaggio di don Ottavio, di cui nel tuo primo scritto pubblicato non facevi nessun cenno:
a) l'insegnante che più mi ha formato (quella di greco al liceo) mi ha ben chiarito che non devo e posso fare apprezzamenti se un passo di Saffo o Sofocle sia bello o brutto è quello che è ed esprime una certa cultura e mentalità, al massimo posso verificare la qualità della scrittura, della lingua, insomma esaminarli con tutto l'armamentario del filologo e del glottologo;
b) lo stesso mi ha insegnato Rodolfo Celletti, quando a troncare una sterile polemica su maria de rudenz affermò che l'essenziale era eseguirla bene . E siccome era scritta per dei mostri sacri…. lascio a te trarre le conseguenze.
c) arrivati a don ottavio per me conta quanto scritto da mozart e quel che sento eseguito in palcoscenico. Allora mi soddisfano e li ho, d'accordo con tutti del blog, proposti cantanti, pure differenti fra loro, come Schipa o Jadlowker, perchè un cavaliere di rango, non pigola, non lagna e non sculetta.
Chiedo perdono, ma il tempo che ho per l'arte è molto poco ed ho scelto di stare aderente alla realtà. Kierkegaard fa parte delle mie reminiscenze liceali. Anno Domini 1978!!!!
alla prossima
dd