E’ la sintesi, per nulla amletica, della recensione, che, a causa dalla rassegna stampa perfidamente speditami da Tamburini, mi vedo costretta a scrivere, sebbene in ritardo: non si può più lasciar passare il continuo scempio vocale che di Mozart si fa al giorno d’oggi.
Una volta, parecchi anni fa, commentando con una grandissima artista la deriva che il canto mozartiano stava subendo in quel di Salzburg et aliis locis affinibus, mi venne da sbottare: “Ci vorrebbe la censura per Mozart!!”, e mi sentii rispondere “Allora non lo sentiremo proprio più !”.
In effetti è stato così, Mozart non lo abbiamo più sentito, ma non a causa della censura, bensì per assenza di artisti adeguati nel giro di vent’anni è diventato impossibile andare a teatro e non sentirsi intasare le orecchie da strilli, rantoli, sospiretti, gemiti assortiti, gorgoglii et consimilia.
In una settimana prima la devastazione del Don Giovanni di Milano, poi, la sgangherata Clemenza radiofonica napoletana. Troppo per qualunque melomane udente, anche per quelli come noi, resistenti al fuoco del bercio. Le orecchie sono ustionate da simili serate alla radio!
Salviamo il San Carlo, perché è giusto, ma non per questo carbonizziamo Mozart !
La perfezione di Mozart è fragile, e se non sostenuta da altrettanta perfezione esecutiva, non ha luogo la magia del sublime, il suo teatro non prende vita, la sua poetica sbiadisce nell’inteatralità, nella maniera del suo secolo. Per questo ho sempre pensato.
Melomane orgogliosamente incolta e, quindi, poco incline a decantare sempre e comunque il genio di Salzburg anche quando fa ruotine, ritengo che Mozart si addica solo a bacchette di grande senso del teatro e fantasia interpretativa e a cantanti di prim’ordine, che cantino e fraseggino all’italiana ovvero dotati di perfetta emissione e voci omogenee dal basso in alto, egregi virtuosi ed interpreti capaci di incarnare con la voce le mille nuances e sfumature dei personaggi.
Siccome Mozart, salvo rari casi non presenta difficoltà insormontabili in mancanza dei fuoriclasse ci si trova catapultati nel regno dei pesci lessi, degli stoccafissi dalla voce bianca, aperta e morchiosa, delle agilità sgangherate, delle ranocchie da stagno, degli urletti e delle mossette, insomma, nella maniera più deteriore del nostro tempo. I principianti imposti in Mozart non possono reggere le terrificanti difficoltà di Rossini, del belcanto italiano o del Grand-Opéra.
E con questa muta addio sublime. Addio fantasia, addio canto ……addio.
Questo come pensiero generale sullo stato dell’arte del canto mozartiano oggi.
Vediamo ora il dettaglio della Clemenza napoletana.
Ha diretto, noiosamente, Jeffrey Tate, blasonata bacchetta che non è mai riuscita a convincermi ogni volta che mi è capitato di udirla in teatro. Una direzione pesante, priva di tocco e leggerezza, di quel senso della fantasia e della varietà che sono irrinunciabili per il genio di Mozart e il suo capolavoro (che personalmente preferisco anche alle più celebrate opere della trilogia, ma questa è solo una modestissima opinione…..). Gli è mancata la tensione drammatica in alcuni momenti chiave, come il terzetto o il finale primo, preoccupato piuttosto da quei momenti sospesi e magici ove l’azione si ferma ed il clima è rarefatto, come il coro “Ah grazie si rendano”, bellissimo, che precede la grande aria di Tito al secondo atto. Il canto aveva bisogno di essere sorretto, aiutato e governato, laddove gli interpreti mancavano, vuoi per mende tecniche vuoi per mende interpretative, il fraseggio precisato e messo a fuoco, perché Clemenza di Tito è straordinaria fusione di musica e drammaturgia, eccezionale ed analitica esposizione di stati d’animo vari e mutevoli. Il canto è continuamente ed incessantemente sulla parola. Ma accompagnamenti pesanti, con l’orchestra spessa ed talora anche incolore, a volte fiacca, hanno contribuito ad annoiare, facendoci dimenticare le passioni che agitano Sextus soggiogato dalla volitiva Vitellia ed il razionale governo del sentire di Tito.
Dove sono i bei momenti delle riprese mozartiane di un Peter Maag nei teatri di provincia italiana, tanto per non scomodare gli dei dell’Olimpo, quando leggerezza, fantasia, cambi di ritmo continui, ci assicuravano serate di straordinaria suggestione, di esperta saggezza, anche nell’uso sapiente della forbice (eseguire per intero i recitativi con cantanti che non li sanno più eseguire non è filologia o rigore, ma miopia e mancanza di buon senso del teatro), insomma….. serate di vera musica, senza tanti sofismi e accidenti?
Vitellia era Teresa Romano, vincitrice del Concorso Voci Verdiane ultimo scorso. Che posso aggiungere a quanto ho già dovuto rimarcare circa la sua vocalità in occasione del Viaggio a Reims scaligero? Attribuire un premio di voce verdiana ad un soprano incapace di cantare oltre la zona fa – sol, ossia il passaggio di registro superiore, è stato, da parte della giuria, come alzare la bandiera bianca di fronte all’avanzare del dilettantismo nel canto lirico. Per un soprano in queste condizioni non è possibile cantare nemmeno le comode “Tetre immagini” , nessuna parte degli anni di galera men che meno Balli, Trovatori, Forze o Otelli. Dunque eccola prestamente su Mozart, dopo la Fiordiligi dell’accademia milanese.
Abbiamo apprezzato la qualità timbrica nella zona centrale della voce, peculiarità già rilevata in quel di Milano quando era ancora studentessa accademica. Oltre però non si va, con l’aggravante che l’emissione, causa anche lo sforzo che la Romano deve operare per essere incisiva e drammatica nell’accento, è risultata talora sgraziata, talora acida e vetrosa, complessivamente piuttosto verista, come nella grande aria finale “Non più di fiori”. Le discese al registro grave, regolarmente di petto puro e magari anche con qualche pretesa di trillare le note con esiti davvero divertenti ( un trillo su una nota di petto mi pare follia pura !!!!! ), e le salite all’acuto, dure e spinte sino al grido puro hanno completato il quadro di una vocalità dissestata, che merita un serio ripensamento nei suoi fondamentali, data la indubbia qualità del mezzo naturale, che merita di non essere perduto in poco tempo. Non voglio infierire ulteriormente in un’analisi dettagliata della prestazione che sul piano vocale e stilistico ha lasciato davvero molto a desiderare e che ha avuto la sua apoteosi in negativo in una esecuzione spaventosa del terzetto del primo atto, con gli staccati tutti malamente cempennati e berciati, e svarioni palesi di solfeggio.
Tralascio poi l’immagine volgare di Vitellia che ne è derivata per forza di canto……Speriamo che la ragazza voglia sistemarsi, perché, ripeto, il mezzo è di vera qualità. Al momento le condizioni vocali e tecniche non sono tali da affermare neppure: SANTUZZA SUBITO!!!
Tito era un signore anziano per carriera, Gregory Kunde. E’ una vecchia volpe, sa come si bara quando la parte è troppo grande, ma il canto di Tito, l’ampiezza coniugata alla bassezza del canto spianato lo hanno piegato nella grande sala napoletana. Evidentemente stonato in varie occasioni, recitativi e cantabili, è parso anche afonoide a tratti, in tale difficoltà da non riuscire ad eseguire con precisione nemmeno la modesta coloratura scritta da Mozart, che per uno come lui, avvezzo al virtuosismo rossiniano, sarebbe robetta se solo…. fosse scritta un filo più in alto. Giusto il personaggio, giusto l’accento, come sempre per questo esperto tenore, ma il canto, almeno in radio, non girava affatto, tanto che le poche salite in alto gli sono venute davvero male. Kunde può provare a dimenticare la sua natura di contraltino nei vorticosi saliscendi fioriti dei baritenori di Rossini, dove peraltro l’usura del mezzo si sente sempre e comunque….per chi vuol sentire, ma non può essere bypassata allorquando il canto si fa spianato ed ampio, senza possibilità di riscritture o remake di sorta.
Sextus era una cosiddetta specialista, Monica Bacelli. Ne contesto il canto e questa volta anche il presunto stile. La tecnica è assai carente. Il centro della voce non è sfogato, si ha sempre la sensazione, che un tappo ostruisca l’emessione. Salendo non riesce a cantare a voce piena, ma sempre con suoni senza appoggio ed indietro, talora fissi, in certe occasioni pure con aria. I recitativi le muoiono addosso, senza accento, sempre con manierata dizione ed, ahimè, interpretazione. Sono contraria alla maniera deteriorata delle Murray fine carriera, ai Cherubini sospiranti e languorosi trapiantati sui Sextus, Cecilio etc, perché questi sono personaggi veri, variegati, ricchi di sfaccettature, per nulla infantili o istericamente efebi. Sextus non può mugolare o sussurrare con voce sbiancata “Rammenta chi t’adora” a Vitellia, ma lo deve cantare in modo accorato e partecipato, perché il suo è vero timore di perdere la donna che ama; non può non scandire il tragico recitativo, che chiude il primo atto, perché in quel momento ogni parola pronunciata dal personaggio ha il senso e la pregnanza di chi è profondamente scosso da veri e non simulati contrasti interiori per quanto ha commesso; canta con partecipazione e vera intensità le arie, diverse per accento perché diverse per significato; il canto sfumato e in piano deve essere intenso ed espressivo, non loffio e stereotipato; i recitativi sono da far vivere nel loro esatto significato, parola per parola, con varietà, e non buttati lì senza alcuna intenzione, diversamente si tagliano, come quello in compagnia di Vitellia e che precede la prima aria.
Questo non è demerito peculiare della signora Bacelli, ma, al contrario, rappresenta perfettamente ciò che è da tanto tempo è “lo stile” dei cosiddetti specialisti di Mozart. Specialisti di una tradizione che orami consta solo di difetti e stereotipi facili, lontana dalla sapienza delle specialiste, quelle vere come la Berganza, o dall’eccellenza istintiva dei belcantisti occasionalmente prestati a Mozart come le Dupuy, o dalla garbata routine delle Ziegler.
Niente di diverso da questo trend, ma tutto secondo misura dei personaggi, nell’Annio di F. Russo Ermolli ( male! ), nella Servilia di E.Monti e nel Publio di Vito Priante.
Una inclemente Noia di Tito, che ci ha costretto ancora una volta ad aprire i cassetti delle nostre memorie audio per verificare se certi nostri ricordi ed ascolti siano invenzioni della nostra mente o serate inesorabilmente passate.
Gli ascolti
Mozart – La Clemenza di Tito
Atto I
Deh! Se piacer mi vuoi – Carol Vaness (1988)
Vengo! Aspettate! – Virginia Gordoni, Giorgio Marelli & Alfredo Giacomotti (1966)
Oh dei! Che smania è questa!…Deh, conservate, o dei – Martine Dupuy, Mariana Nicolesco, Dano Raffanti, Susanna Anselmi, Adelina Scarabelli, Natale De Carolis (1988)
Atto II
Se al volto mai ti senti – Martine Dupuy, Mariana Nicolesco, Natale De Carolis (1988)
Deh per questo istante solo – Martine Dupuy (1988)
Se all’Impero, amici Dèi – Rockwell Blake (1992)
Ecco il punto, o Vitellia…Non più di fiori – Virginia Gordoni (1966), Christine Weidinger (1990)
Ero in sala. Concordo su tutto… Il "Deh! Se piacer mi vuoi" della Romano è stato terribile (la parte finale è stato un coacervo di coccodè e suoni intubati… Vergogna!!!! Ho dovuto subito risentire la Deutekom al mio rientro a casa!). Mancanza totale di rispetto per gli spettatori paganti… Altro che rinascita del S. Carlo (come si legge in certa critica dalla lingua consumata). Giusto notare che in Kunde qualcosa si è sentito… L'impressione live non solo conferma l'ascolto radiofonico… Credo che abbia, come è ovvio, amplificato la percezione di certi orrori… Ad esempio, sarà anche che la voce della Romano è in natura dotata… ma di questa dote si sente solo il rudere, cosa ancora più sgradevole, dato che grossa (non sonora) è la voce e grosso è il bercio. Vergogna!!!!
CAro Velluti,
grazie.
Potresti illustrarci l'allestimento del nostro Ronconi dato che c'eri?
La tua opionione vale più dei giornali
tks
Premesso che ritengo "La Clemenza di Tito" opera di straordinaria bellezza: contiene alcune delle pagine più alte dell'intero teatro mozartiano; premesso pure che ritengo Mozart non aver mai scritto nulla men che sublime (per cui nell'intero suo catalogo, dal K1 al K626, non trovo mai traccia di routine o svogliateza: anche nei lavori più occasionali è presente un'ispirazione costante e straordinari); premesso ciò, ritengo che non sia del tutto vero l'assenza di grandi difficoltà esecutive nel canto mozartiano. Folle dunque ritenere che siano sufficienti cantanti mediocri! La scrittura vocale Mozartiana richiede tantissimo all'interprete, in termini di tessitura, accento, fraseggio, fiato: gli stessi registri impiegati sono ibridi, ambigui, sempre giocati sulla linea di confine. Per non parlare del carattere dei personaggi (spesso con più aspetti apparentemente in contrasto). E' una scrittura esigente, difficile, certo non per le agilità (anche se talvolta sono presenti e sono assai complesse, poichè non limitate all'esercizio del puro virtuosismo, ma intese come modulo espressivo), ma per tutto il resto. E poi nelle opere serie o nelle arie da concerto il virtuosismo richiesto è tra i più particolari mai stati predisposti (si pensi a "Popoli di Tessaglia", forse l'aria più impervia dell'intera letteratura sopranile, o il rondò di Vitellia, o "Marte aller Arten"). E non parliamo dei pezzi d'insieme, il gioco intrecciato delle linee vocali e dell'orchestra. Oggi Mozart è tra gli autori più maltrattati, proprio per la falsa convinzione della sua abbordabilità: ma semplicità (a volte solo apparente, per la perfezione della scrittura) non significa anche facilità…
Certo che davvero si dovrebbe imporre una moratoria per certi autori…non si può rovinare così un capolavoro come la Clemenz di Tito..
caro duprez,
premesso che ritengo sempre di maggior difficoltà e per le medesime ragioni (non limitarsi a cantare, ma rivelare gli accenti nascosti) cantare Rossini perchè le formule di agilità sono più complesse della corsa ai sovracuti di Mozart devo constatare che il processo coinvolge nella medesiam triste maniera entrambi i musicisti.
saluti dd
Accetto con piacere l'invito, sperando di essere all'altezza della richiesta!
Devo dire che non ho ben capito il senso della messa in scena di Ronconi. La cosa mi ha deluso non poco: conoscendo il regista, di certo non sempre condivisibile, ma comunque capace di suscitare un'emozione, un parere, un interrogativo, mi aspettavo di uscire dal teatro con un'idea sullo spettacolo. E invece nulla… Mi è sembrata una regia buttata via, con delle intuizioni che sono rimaste tali, non approfondite.
Ovviamente Ronconi tratta alcuni passaggi con buona sensibilità, e -nel complesso – l'estetica d'insieme dell'opera ne esce con gusto e in maniera delicata, cosa che non guasta mai. Ma innanzitutto l'ambientazione: credo che Ronconi abbia voluto ambientare l'opera all'epoca di Mozart (esperimento già tentato da Ponnelle nel suo film), non ostante l'orrido fondale giallognolo che è rimasto sempre uguale (con delle aperture non sono a che funzionali! Doveva essere un interno-esterno che, però, non è stato nè l'uno nè l'altro!). Ho notato altresì non poche incongruenze: il "Parto ben mio" l'ho trovata piuttosto statica (certo lì Sesto deve piantarsi sulla famosa x per evitare di sbavare… Poi, con la Bacelli come mezzo c'è poco da tentare per quanto riguarda la recitazione!… Ma con uno come Ronconi mi aspettavo sinceramente qualcosina in più): con le due sedute su delle poltrone in stile "settecentesco" (piuttosto dimesse devo dire… Ben altra era la sontuosità di Ponnelle!), l'aria è stata tirata praticamente via; idem per il "Deh! Se piacer mi vuoi", con una Romano in grossissime difficoltà vocali e, quindi, abbastanza "imbalsamata", per non dire ingessata. Il recitativo di Sesto "Io non credea fosse sì difficile impresa esser malvagio!" vede in scena alcuni personaggi seduti sulle solite poltrone (o poltroncine), con delle fiaccole in mano, ovviamente di spalle al pubblico. L'incendio del Campidoglio è piuttosto dimesso: in realtà a bruciare è un lampadario (la cosa è piuttosto inconcludente nel suo voler essere simbolica), simbolo del campidoglio (sic!!), trovata che ho giudicato piuttosto infelice nel suggerire una realtà sostanzialmente borghese; il trono di Tito era un'orrida poltrona gigante rosa, con dei poggia piedi per gottosi, anch'essi alti, e nell'insieme generale risultavano piuttosto sgradevoli, veri e propri cavoli a merenda, essendo la regia, in generale, improntata all'interiorizzazione del dramma.
In realtà, se posso sintetizzare tutto lo spettacolo in una cifra, questa è facilmente racchiudibile nella definizione di "dramma borghese": l'aspetto rappresentativo del potere, il logoramento connesso alle trame di corte, sono aspetti che vengono sostanzialmente privatizzati, quasi borghesizzati, e quindi snaturalizzati. La clemenza di Tito è un dramma che si sostanzia nel difficile equilibrio (e nell'impossibile congiuntura) tra i sentimenti privati e il potere pubblico (o politico).
La gestualità dei cantanti, tutto sommato misurata e abbastanza stilizzata, cosa in sè lodevole, soprattutto dopo recenti regie "non-sense" (ed esteticamente orride), tende ad avvicinare il Mozart di quest'opera a Ibsen o a Puccini, cosa di per sè non solo incongrua ma che va inevitabilmente ad affossarne il vero senso.
Va benissimo puntare l'attenzione sul dramma dei personaggi, sul loro rovello ineriore, ma non snaturando il senso dell'opera che si va a mettere in scena (nel caso, il dramma del divoramento in seno al massimo potere e al massimo comando). Sui costumi, devo dire che Ungaro ha fatto un ottimo lavoro (abiti eleganti, non particolarmente sontuosi [dimenticate Ponnelle!], forse per non accentuare il lato imperiale dei personaggi, ma comunque di un certo impatto… quelli di Vitellia erano molto belli)… E' stata forse l'unica cosa per cui sia valsa la pena andare al S. Carlo… Ma che tristezza, però… Se l'avessi saputo, sarei andato ad una sfilata, piuttosto che all'opera!
http://www.youtube.com/watch?v=rO5mKuoUG1o
http://www.youtube.com/watch?v=Xm7tlW3yovo
Eh sì..caro Domenico: ed è l'effetto di chi ha imposto le vocine stridenti e sbiancate in entrambi i repertori..con la scusa di astruserie filologiche e prassi autentiche. Confesso che sentire oggi un qualsiasi "tenore mozartiano" mi provoca l'orticaria…già, perchè sotto questa categoria si nascondono cantanti che non sanno cantare… Purtroppo la convinzione per cui Mozart andrebbe cantato da quelle bianchicce e slavate vocettine all'inglese, esili e superficiali (e magari dirette da bacchette del pari slavate, asettiche, compite, come il sopravvalutatissimo Beecham), è risalente nel tempo e ha di fatto impedito ai grandi di cimentarsi regolarmente nel genio di Salisburgo…
Grazie Velluti.
Mooooooooolto meglio dei giornali.
alla prossima
Mi trovo totalmente d'accordo con i precedenti interventi di Duprez.
Inoltre, correggetemi se sbaglio, ma se è vero che Mozart è più "semplice" di Rossini è ancor più necessario avere voci veramente capaci di cantarlo e, se possibile, non snaturarlo. Proprio perché sublime!
saluti a tutti,
MB
Io non trovo Mozart più "semplice" di Rossini o di Handel: sono difficoltà diverse. Tra l'altro ascoltavo giusto ieri i virtuosismi acrobatici nelle arie di Aspasia e Giunia… Pensavo ai mediocri cantanti spacciati per esperti mozartiani…che pena!
caro DUprez, sottoscrivo ogni parola, e sono d'accordo con voi tutti. Del repertorio mozartiano la CLemenza è l'opera che conosco meno. Una registrazione più o meno di riferimento esiste, da cui partire?
saluti e grazie sempre
S.
In realtà nemmeno per me lo è. (Oltretutto semplice sarebbe aggettivo che si addice alla vera arte, ma questa è mia personale opinione). Trovo anch'io più che giusto dire che sono cose diverse -e peraltro tutte sublimi-. Era per esemplificare…
In effetti, pur avendo sempre adorato la musica di Mozart, fu per me una vera scoperta trovarlo cantato nei "polverosi" 78g.
Sentire la Ivogun, De Luca, Schipa, McCormarck, Tauber (…giusto per dire qualcuno, ma anche tanti altri meno datati) alle prese con Mozart fu una vera incommensurabile sorpresa: come ridare un senso concreto ad una pallida, larvata immagine…
Tristemente mi sembra pure di poter dire che il barocchismo "degenere" (contro cui spesso si scaglia) quale categoria della contemporaneità non può fare a meno di informare di sé tutto ciò che gli è a tiro…
Saluti, MB
Te ne consiglio due (e per motivi diversi): due classici.
Innanzitutto quella che ritengo la migliore incisione disponibile: Krenn/Berganza/Casula/Kertész con i Wiener (DECCA).
Poi quella diretta da Bohm per la DGG, ma solo per il Sesto strairdinario della Berganza e la Staatskapelle di Dresda (che è semplicemente miracolosa…altro che i complessini baroccari).
Poi ci sono quelle baroccare…alcune buone altre molto meno (se proprio devo sceglierne una direi quella di Hogwood o di Gardiner…quella di Jacobs è interessante, ma che cantanti…).
Mi terrei ben lontano da Muti che, forse per pruderie filologiche, vuole a tutti i costi farci rivivere le sensazioni che l'opera provocò all'Imperatrice d'Austria la sera della prima…
salve sono una nuova iscritta, non ho potuto assistere dal vivo a questa rappresentazione, ma da ciò che ascolto nei video pubblicati non mi son persa nulla.
concordo assolutamente con duprez sulla miglior incisione Krenn/Berganza/Casula/Kertész con i Wiener (DECCA). la sig.ra Romano farebbe bene a tendere l'orecchio all'esecuzione della sig.ra Maria Casula insuperabile a parer mio nell'interpretazione di vitellia,idem la sig. ra bacelli.
Ottimi consigli! Starò lontano da quelle baroccare, non ho le forze al momento di affrontare una simile prova. Ma la prima registrazione l'ho trovata con facilità e mi è parsa ottima. Qualche critica la muoverei ai recitativi di TIto e di Vitelia, particolarmente nei momenti di "fuorore"…. ed in generale, apparte la Berganza, si ascolta una compagnia di canto più che dignitosa, a dimostrazione che si può non essere dei fuori classe assoluti e nello stesso tempo fare un buon servizio a Mozart e a chi ascolta… tra l'altro l'opera è sublime, e cresce con gli ascolti come poche altre…
grazie ancora!