Benché arcaici e sorpassati siamo muniti di mezzi di comunicazione e ricezioni radiotelevisive moderne e, quindi, abbiamo avuto l’onore di assistere per televisione al Werther di Jonas Kaufmann.
Rappresentazione, che è stata salutata come la rivelazione del personaggio, una epifania assoluta. A partire, forse dall’aspetto fisico del protagonista.
Allora per cominciar da quello non si può negare che Alfredo Kraus fosse davvero un bell’uomo per tacere di un Werther, diciamo occasionale come Jaime Aragall.
Peccato che il protagonista di Werther, come quello di ogni opera, debba anche cantare.
Poi si può anche sciogliere peana alla modernità, al gusto che deve evolvere, all’inutilità del passatismo, ai valori modificati per approdare -guarda caso- alla santificazione degli attuali calcatori di palcoscenico ed alla reizione o damnatio memoriae degli artisti del passato, recente o remoto.
A scanso di equivoci rilevo che il fenomeno non è nuovo né lo sarà. Per il Verdi di una Caballé, ad esempio e per richiamare una recentissima polemica di questo thread, è stato ridimensionato quello di una Tebaldi o di una Rethberg, poi il tempo (la famosa scopa della storia manzoniana) ha ridistribuito secondo una equità che la cogenza negava.
Per cui siamo certi e non perché dotati della preveggenza, ma di orecchie oneste, che analogamente si farà con l’infelice personaggio massenetiano e alcuni suoi interpreti irraggiungibili come Kraus o Vanzo.
Jonas Kaufmann dovrebbe appartenere alla schiera dei Werther drammatici, considerato il repertorio che d’abitudine pratica. Lo furono, per ripetere una usata filastrocca Aureliano Pertile, Fernand Ansseau, Georges Thill e abbiamo scovato una assoluta, ma significativa rarità in Carl (Karel) Burrian, tenore ceco di inizio ‘900, d’abitudine wagneriano, ma splendido Werther nei brani proposti. Fra i Werther di forza dimenticavo Carlo Bergonzi e magari Antonio Cortis.
Però di tutti questi signori nessuno faceva risuonare la voce in zona sub linguale, emetteva rochi falsetti per mezze voci, ululava sugli acuti e stentava a legare le frasi dell’invocazione alla natura piuttosto che dell’arioso del secondo atto. Se come enuncia il cronista il signor Kaufmann è il più grande tenore del mondo pretendo di sentire canto professionale, acuti squillanti, dinamica sfumata, rispetto dello spartito e più in generale del personaggio, non posso farmi piacere la prestazione per il gusto acritico di essere “à la page”. Il che con buona pace dei nostri detrattori, sempre molto operosi, non significa affatto voler sentire a tutti i costi Kraus o Schipa, ma sentire canto professionale.
Poi tanto per essere chiari questa pretesa modernità si porta anche appresso una realizzazione scenica del personaggio che, tenore lirico o tenore di forza che canti Werther, non coglie la lacerazione e la sofferenza di un uomo che non riesce a far comprendere i propri sentimenti, ad esternere la disperazione che lo porta al rifiuto di tutto e di tutti, in primis della vita, perchè Werther è suicida dalla prima scena. Kaufmann è solo aggressivo, rabbioso.
A maggior ragione i suoi sentimenti cozzano contro il gelo, l’indifferenza ed il canto da pseudo tragédienne (suoni fissi e tubati e per giunta di limitato volume) e privo di nuances della signora Koch che sarebbe Carlotta.
Meglio, si fa per dire, Tézier nei panni di Alberto, almeno una parvenza di canto professionale e la facilità della scrittura, che gli evitano le figure dell’Enrico Asthon scaligero o del Renato parigino.
Sempre per quanto riguarda il reparto musicale i grami tempi hanno condotto alla riesumazione di Plasson, che fu la bacchetta del Werther discografico di Kraus. Noioso allora e noioso adesso, pesante e senza nerbo, basta sentire l’intermezzo fra la scena in casa di Carlotta e quella in casa di Werther. Rammentiamo che dovrebbe essere l’accompagnamento, il commento ad un suicidio. Sembrava un idillio campestre.
L’allestimento era semplicisitico e spartano: al primo atto sembrava di essere dietro le cabine (o capanni) dei bagni della Versilia, al secondo sulla terrazza di qualche cadente villa ligure (saremmo a Weimar?). Tralascio, poi, la residenza dei neo sposi Carlotta ed Alberto e la stanza di Werther, contenuta come la Porziuncola, nella casa della “felice” coppia. Niente di grave, se avessimo avuto altro Werther, altra Carlotta e altra bacchetta.
Rappresentazione, che è stata salutata come la rivelazione del personaggio, una epifania assoluta. A partire, forse dall’aspetto fisico del protagonista.
Allora per cominciar da quello non si può negare che Alfredo Kraus fosse davvero un bell’uomo per tacere di un Werther, diciamo occasionale come Jaime Aragall.
Peccato che il protagonista di Werther, come quello di ogni opera, debba anche cantare.
Poi si può anche sciogliere peana alla modernità, al gusto che deve evolvere, all’inutilità del passatismo, ai valori modificati per approdare -guarda caso- alla santificazione degli attuali calcatori di palcoscenico ed alla reizione o damnatio memoriae degli artisti del passato, recente o remoto.
A scanso di equivoci rilevo che il fenomeno non è nuovo né lo sarà. Per il Verdi di una Caballé, ad esempio e per richiamare una recentissima polemica di questo thread, è stato ridimensionato quello di una Tebaldi o di una Rethberg, poi il tempo (la famosa scopa della storia manzoniana) ha ridistribuito secondo una equità che la cogenza negava.
Per cui siamo certi e non perché dotati della preveggenza, ma di orecchie oneste, che analogamente si farà con l’infelice personaggio massenetiano e alcuni suoi interpreti irraggiungibili come Kraus o Vanzo.
Jonas Kaufmann dovrebbe appartenere alla schiera dei Werther drammatici, considerato il repertorio che d’abitudine pratica. Lo furono, per ripetere una usata filastrocca Aureliano Pertile, Fernand Ansseau, Georges Thill e abbiamo scovato una assoluta, ma significativa rarità in Carl (Karel) Burrian, tenore ceco di inizio ‘900, d’abitudine wagneriano, ma splendido Werther nei brani proposti. Fra i Werther di forza dimenticavo Carlo Bergonzi e magari Antonio Cortis.
Però di tutti questi signori nessuno faceva risuonare la voce in zona sub linguale, emetteva rochi falsetti per mezze voci, ululava sugli acuti e stentava a legare le frasi dell’invocazione alla natura piuttosto che dell’arioso del secondo atto. Se come enuncia il cronista il signor Kaufmann è il più grande tenore del mondo pretendo di sentire canto professionale, acuti squillanti, dinamica sfumata, rispetto dello spartito e più in generale del personaggio, non posso farmi piacere la prestazione per il gusto acritico di essere “à la page”. Il che con buona pace dei nostri detrattori, sempre molto operosi, non significa affatto voler sentire a tutti i costi Kraus o Schipa, ma sentire canto professionale.
Poi tanto per essere chiari questa pretesa modernità si porta anche appresso una realizzazione scenica del personaggio che, tenore lirico o tenore di forza che canti Werther, non coglie la lacerazione e la sofferenza di un uomo che non riesce a far comprendere i propri sentimenti, ad esternere la disperazione che lo porta al rifiuto di tutto e di tutti, in primis della vita, perchè Werther è suicida dalla prima scena. Kaufmann è solo aggressivo, rabbioso.
A maggior ragione i suoi sentimenti cozzano contro il gelo, l’indifferenza ed il canto da pseudo tragédienne (suoni fissi e tubati e per giunta di limitato volume) e privo di nuances della signora Koch che sarebbe Carlotta.
Meglio, si fa per dire, Tézier nei panni di Alberto, almeno una parvenza di canto professionale e la facilità della scrittura, che gli evitano le figure dell’Enrico Asthon scaligero o del Renato parigino.
Sempre per quanto riguarda il reparto musicale i grami tempi hanno condotto alla riesumazione di Plasson, che fu la bacchetta del Werther discografico di Kraus. Noioso allora e noioso adesso, pesante e senza nerbo, basta sentire l’intermezzo fra la scena in casa di Carlotta e quella in casa di Werther. Rammentiamo che dovrebbe essere l’accompagnamento, il commento ad un suicidio. Sembrava un idillio campestre.
L’allestimento era semplicisitico e spartano: al primo atto sembrava di essere dietro le cabine (o capanni) dei bagni della Versilia, al secondo sulla terrazza di qualche cadente villa ligure (saremmo a Weimar?). Tralascio, poi, la residenza dei neo sposi Carlotta ed Alberto e la stanza di Werther, contenuta come la Porziuncola, nella casa della “felice” coppia. Niente di grave, se avessimo avuto altro Werther, altra Carlotta e altra bacchetta.
Gli ascolti
Massenet – Werther
Atto I
Alors, c’est bien ici…O Nature, pleine de grâce – Jaime Aragall (1975)
Atto II
Un autre est son époux!…J’aurais sur ma poitrine – Carl Burrian (1906)
Atto III
Pourquoi me réveiller – Carl Burrian (1906), Franco Corelli (1972)
concordo pienamente, ho assistito anche io nella stessa serata, e, nonostante non sia espertissimo di werther, la resa di _kauffman è pesante e noiosa…
Kauffman è molto più "fico" esteticamente sia di Kraus che di Aragall su questo non ci piove, sul resto lo trovai mediocre l'unica volta che lo sentii nel Requiem scaligero. Giusto per ricordare la storicità riguardo ad altro accenno Vi riferisco per quel che vale che in un recentissimo sondaggio tra comppvati appassionati di opera ben tre dischi verdiani della Caballé sono entrati nella top ten dei 10 dischi di opera da salvare nella storia del disco e precisamente Don Carlo EMI Giulini, Aida EMI Muti e Giovanna d'Arco EMI Levine, non vorrei sbagliare ma nessun altro soprano (nè Price, nè Tebaldi, nè altri…) hanno riportato lo stesso risultato, qualcosina in Verdi quindi direi che lo ha fatto anche la da voi vituperata senora, certo mai come le Ligabue o le Tucci o le Cegolee eh…sia chiaro, salutoni
stecca, tu vedi e laudi Montsita sempre e comunque, in cielo in terra e in ogni luogo. ma chi è mai Santa Teresa di Lisieux al tuo confronto?
Veramente parlavo di laudi altrui se leggi bene…
Fra due o tré anni, questo finisce come il Villazón: cantando col stomaco.
Saluti.
Caro stecca aspettiamo il tuo blog intitolato alla sola cantante di cui parli in ogni luogo anche quelli in cui la tua non centra. Per il futuro e per l'amicizia mia nei tuoi confronti omettero pubblicazioni non pertinenti.
era pertinente perchè ne parlavi tu nel tuo pezzo su Werther (dove in teoria si che non era pertinente…)
Cosa diavolo c'azzecca la Caballè con il "Werther et Melisande dans le Chateau du Graal" Pasticcio di Massenet-Bruckner-Debussy-Wagner del trio del sonno Kaufmann-Koch-Plasson?
Interpretava forse la casa di Albert?^_^
In altri siti ho letto aggettivi superlativi e maiuscolo per le impressioni suscitate dalle nuances di Kaufmann.
Io ho visto e sentito un cantante catatonico nel fraseggio e nello sguardo, un canto sbadigliato e monotono, falsettini e gola come nel Vinay decadente o nel Cura odierno.
La Koch-Melisande tremula, insipida e senza vibrazione.
Plasson è riuscito a far sparire l'orchestra e a mortificare fino allo sfinimento la partitura.
Unico che salvo Tezier, che mi è piaciuto per il fraseggio appropriato ed elegante, la voce dal bel timbro e la figura signorile.
Le scene non mi dispiacevano, ma il vuoto della regia e l'aria "intellettual-glaciale" che si respirava rendevano il tutto indigesto e noiosissimo.
Ma gli applausi dov'erano? Dov'erano i toni di trionfo? Dov'era il pubblico in delirio per una performance che come minimo doveva invertire i poli terrestri?
Alla prossima puntata
Ma…Stecca, per caso quel "sondaggio recentissimo tra comprovati appassionati d'opera" è quello che compare su un sito un tempo assai frequentato e che ora – causa epurazioni, normalizzazioni, censure e pseudo moderazioni – contiene, tra pubblicità occulte e marchette – alcune discussioni tanto "esaltanti ed eccitanti" quanto può esserlo vedere la vernice seccare??? No perchè se QUELLO è il sondaggio a cui ti riferisci mi chiedo quale valore possa mai avere l'opinione di una dozzina di appassionati (sui gusti dei quali nulla voglio dire) rispetto all'universo degli ascoltatori e dei conoscitori d'opera! Per spiegarmi meglio: se avessi postato su altro sito (che ben conosci e frequenti e che si è assunto il compito di "spiegarci" come la Sutherland o la Horne siano ormai robaccia superata e che nulla conta la tecnica di canto, rispetto alle doti attoriali e al fatto che l'interprete sia una "bella gnocca") un invito a indicarti una classifica tra i migliori soprani della seconda metà del XX secolo, troveresti ai primi posti il latrati di una Silja (e neppure classificata la Stupenda)…e quindi??? Vorrebbe dire che è davvero così??????????
Visto e sentito anche questo Werther.
Uno schifo ed una vergogna!
Tezier in altra compagnia sarebbe stato forse più gradevole ma la parte non è una di quelle dove si nota l'interprete più di tanto.
Le scene e il palcoscenico vuoto non dava l'idea della sofferenza ed il controllo in pubblico e la sofferenza più straziante e personale in privato. Sembrava tutto freddo e senza la minima tensione pasionale. E sempre 'stu Kaufmann per terra a leccare i pavimenti. PER PIACERE!
Anche Massenet Mahlerizzato, Bruckerizzato e maltrattato!
Ma che bella musica però!
Comunque, se questo era trionfo, allora, gli applausi che ho sentito essendo presente al Met con Corelli/Ludwig, Gedda/Crespin e Kraus/Troyanos forse erano finti e trasmessi tramite altoparlanti strategicamente situati in teatro.
C'è sempre un trucco.
Ed io ci credevo!
Uff…
Gilberto carissimo, grazie di aver citato il sito che io rappresento!
Se oltre a fare la tua sparata ti fossi preoccupato di leggere il contesto del mio post, e il perché l'ho scritto, e il rispetto e l'affetto che esprimo per le Signore che tu citi, probabilmente ti saresti astenuto dal fare questi commenti.
O forse no, ma poco conta.
Leggo sempre con interesse le cose che scrivi nei tuoi post, sei sempre documentatissimo, anche se ho opinioni diametralmente opposte alle tue; queste cose invece non ti fanno onore anche se, mi rendo conto, quando cominciano a mancare gli argomenti…
Un cordiale saluto,
Pietro
I nostri amici "complottari&declamatori" impegnati come sempre a dire che tutto è bello, tutto è rosa tutto è amor, e che noi siamo brutti, cattivi e antichi, non perdono occasione per coprirsi per ridicolo…perchè come ampiamente dimostrato, se noi abbiamo i paraocchi, loro gli occhi non li usano nemmeno per leggere e documentarsi!
Secondo queste curiose creaturine noi non ci saremmo presi la briga di visionare la diretta di questo "Werther et Melisande dans le Chateau du Graal", perchè allergici alla tecnologia e affezionati alle nostre radio anni '30.
Peccato che nella recensione e nei commenti si parla ampiamente dell'allestimento, della recitazione "sublime" di Kaufmann e dei suoi colleghi (a terra e piangi oppure cammina in stato di sonnambulismo) e ci sia stata una seduta di chat simpatica e stimolante durata tutta la diretta con tanto di link al sito che trasmetteva "l'evento"!
Ma si sa, è meglio fingere di saper leggere ed interpretare ciò che si vuole che leggere le cose come stanno pur di spalare letame sugli altri ed elogiare la mediocrità congelata in una teca facendo anche paragoni arditi (Thill).
E si, fa "intellettuale" e "moderno"…
Un applauso…"trionfale" come quelli che hanno accolto questa produzione epifanica di "Werther".
Marianne Brandt
Io l'ho trovato uno spettacolo godibile, molto bello l'allestimento ed i colori che creavano un'atmosfera surreale. E' vero che uno dei problemi di Kauffman sono le mezze voci però la prova mi è sembrata sufficiente.
Mariannina, spero che vorrai perdonarmi se non ho seguito la chat… Ho letto invece – come sempre con interesse – la solita demolizione di DD (ma poteva essere chiunque altro, tanto il prodotto non cambia).
Lo ammetto: mi era un po' sfuggito il dettaglio del video, anche perché, dopo aver visto io lo spettacolo, ho avuto la sensazione che DD avesse solo ascoltato
Faccio ovvia e necessaria ammenda, per quello che può valere, ma la sostanza delle mie argomentazioni non cambia. Per me quel Werther è semplicemente geniale, cantato meravigliosamente, interpretato splendidamente da uno dei più grandi e sensibili interpreti del nostro tempo.
L'ho visto a teatro (non in Werther, ovviamente) e ti posso dire che l'impressione che fa dal palcoscenico è soggiogante, anche e soprattutto dal punto di vista vocale.
Ribadisco che, ogni volta che affronta un ruolo, la sensazione è che lo stia riscrivendo e dà allo spettatore sempre l'idea di sentire quel ruolo per la prima volta. Con qualche eccezione, si capisce: a me, per esempio, non è piaciuta nemmeno un po' la sua registrazione di Pinkerton, ma capisco che non tutte le ciambelle possono riuscire con il buco.
Concludo ringraziandoti per l'attenzione che sempre riservi a quello che scriviamo; attenzione che io contraccambio non negando di aver imparato spesso molto – per esempio – dagli scritti di Gilbert Duprez, a mio personalissimo e discutibilissimo gusto la penna più brillante, corrosiva e simpatica di questo blog.
Mi permetto ovviamente di continuare ad essere distante le mille miglia dal vostro punto di vista, ma sai che rottura se tutti la pensassimo alla stessa maniera!
Cordiali saluti,
Pietro Bagnoli
Cordi
Ecco, Marianne: vo' fare ammenda!
Ho corretto il passaggio che ha suscitato subito la tua reprimenda, riconoscendo così implicitamente che lo spettacolo l'hai visto anche tu, giacché lo dici.
Detto questo, non cambio però di una virgola l'impostazione del resto delle mie personalissime considerazioni, del che spero mi perdonerai
Ti rinnovo i miei cordiali saluti!
Pietro Bagnoli
Cara Marianne e cari amici,
io questo Werther l'ho visto a teatro ieri sera. Inutile davvero parlare del cast in generale e di Kaufmann in particolare. Dico solo che se fino alla fine del terzo atto il divo-tenore ha condito le sue invocazioni alla luna (il chiaro di luna, nella versione rivisitata in terra germanica, del film di Landis: "Un lupo mannaro tedesco a Francoforte"?) con qualche acuto stabile e pulito (ma la nullità tecnica del passaggio di registro, per arrivarci a quegli acuti, è assolutamente amatoriale), tutto il quarto atto ha lasciato basito il sottoscritto e i due amici che gli han fatto compagnia: venti minuti di suoni intubatissimi, davvero mai uditi prima nella storia del canto lirico. Quella sorta di capanna presepiale che fa da ultima alcova alle sorti del poeta e di Carlotta, più che richiamare la vergine Maria e Giuseppe faceva pensare ai lamenti del bue e l'asinello. Ripeto: più di venti minuti di versacci spudorati (l'antitesi della soavità che dovrebbe caratterizzare la voce di un tenore di grazia…) che non solo nulla hanno a che vedere col canto, ma nemmeno con le sue parodie istituzionalizzate dei tempi che corrono. Col Werther di Kaufmann siamo andati oltre. Segna un punto di non ritorno.
Ciò che però mi turba di più è ancora una volta il trionfo della macchina del consenso. Non ho mai visto a teatro una folla plaudente in simil visibilio per un "artista". Luci spente, flash, miniDV alzate al cielo a suon di "Bravòòò" per immortalare l'indimenticabile momento. Per poter dire "io c'ero". Per riesumare, con ignara nouance nostalgica, quell'aura di benjaminiana memoria… Per questo mi sembrano coerenti le critiche che vi rivolgono per non esserci stati FISICAMENTE, o addirittura innescando il dubbio che nemmeno l'abbiate visto questo Werther. Perché anche voi dovevate essere lì. Con noi, a respirare, insieme a Jonas, la stessa aria! Signori, la magia si respira a teatro, dal vivo! Suvvia!
Pietruccio carissimo, ti ringrazio sia per l'attenzione che dedichi al nostro Blog, che tra l'altro è sempre pluricitato nei vostri editoriali e non, sia per l'ammenda, di cui mi fa piacere l'onestà intellettuale.
Sai, una volta scrivesti che evidentemente il nostro parlar male, che io traduco con avere il coraggio di scrivere le cose come stanno sempre e comunque documentando, ci portava diversi dividendi in fatto di ingressi, cosa invece smentita dai vivacissimi interventi degli utenti che passano di qua non attratti solo dal "parlar male", ma anche dagli argomenti, dalla chat e dagli ascolti che proponiamo.
Ti auguro allora che questo stesso metodo che tu applichi così spesso verso il nostro blog, porti a voi gli stessi dividendi!
Anche noi del "Corriere" abbiamo avuto modo di vedere e ascoltare dal vivo Kaufmann e pazienza se i gusti non collimano, se le impressioni sono diverse, e se preferiamo altro, va bene così.
Rinnovo i ringraziamenti e ti auguro buon ascolto, buon week-end e buon lavoro.
Marianne Brandt
Caro Trispi, grazie del tuo intervento, ma il discorso è un altro:
Pietro nel suo editoriale ammetteva di essersi preso la briga di aver visionato il video di questo "Werther", mentre polemizzava con noi accusandoci di esserci soffermati al solo ascolto radiofonico, cosa assolutamente non vera in quanto lo spettacolo grazie ad internet e ad Arté siamo riusciti a vederlo in diretta.
Ovvio che la magia del teatro è altra, ovvio che sarebbe stato bello vedere Kaufmann ululare alla luna dal vivo, ma nell'impossibilità di poter esser li abbiamo fatto di necessità virtù usando la tecnologia.
Da questo è nata la polemica, subito, come vedi, cortesemente chiarita con il diretto interessato.
Buona giornata anche a te
Marianne Brandt
Certo Marianne! La mia chiosa era per forza di cose sarcastica. Gli ululati si sentono benissimo anche in radio e in tv. Intendevo giusto farmi burla, una volta per tutte, della solita polemica per cui i cantanti, per poterli giudicare, si dovrebbero solo sentire dal vivo. La mia esperienza di ascoltatore mi fa forte rispetto alla bontà degli ascolti via radio o youtube. Purtroppo non ho mai percepito grandi differenze, riguardo le mende tecniche dei cantanti, tra un ascolto dal vivo e non. Anzi, Kaufmann è quasi meglio sentirlo sul tubo… Davvero. Con buona pace per Piero Bagnolli.
Caro Pietro, potrei risponderti (invitandoti a considerare anche un po' d'ironia), che "ricambio il favore": spesso infatti il tuo sito non si è risparmiato in considerazioni abbastanza "cruscanti" nei confronti del Corriere. Passatisti, reazionari, trillomani, preconcetti, provinciali, financo "ottusi" etc… Non che la cosa sia percepita come una tragedia: abbiamo punti di vista decisamente contrastanti, non c'è bisogno di nasconderlo… Il senso del mio exemplum era da leggersi nel contesto, ossia riferito all'ennesima laude dedicata da un lettore alla sua divona (esercizio che ultimamente viene ripetuto con frequenza quotidiana e con abnegazione ammirevole..anche laddove non c'entri assolutamente un tubo). Nel merito: comprendo bene quello che tu scrivi sulla Sutherland, ma ovviamente io mi riferisco globalmente a quel che leggo, non specificamente a quel che scrivi solo tu…e, devo dire, che spesso noto un atteggiamento che, secondo me, nasconde un pregiudizio: ossia considerare il passato come sempre superato e improponibile (in nome di altri valori estranei alla pura vocalità) e come una sorta di "missione" il continuo e sistematico lavoro di smitizzazione. Ora, sai bene che, circa la Sutherland, ad esempio, la penso in modo assolutamente diverso: considerando il fatto che in un dato repertorio (ossia il belcanto e il melodramma ottocentesco) è la vocalità ad avere il sopravvento e da essa deriva l'interpretazione e la realizzazione del personaggio. Nella Lucia della Sutherland, lo sai, io non ci vedo solo il trionfo della vocalità perfetta (innegabile), ma anche una resa del personaggio che attraverso la vocalità diviene teatro vero: l'astrattezza lunare, la malinconia romantica…che nulla hanno a che spartire coi versi della Dessay, ad esempio, che fraintende completamente quel dato repertorio, "arricchendolo", si fa per dire, con elementi inutili, esteriori, didascalici e non pertinenti… Circa gli urlacci della Silja…consentimi di esprimere le mie convinzioni: è cantante insopportabile con palesi difficoltà…sarà anche una brava attrice, ma, secondo me, nell'opera non basta…
Con simpatia.
Gilberto, sono cresciuto anch'io a pane e Sutherland in certo repertorio; e anch'io ho nel mio cuore, non meno che nella mia discoteca, quelle meravigliose incisioni di cui ho massacrato gli LP prima di passare al più stabile cd.
Vado oltre, se vuoi, il che mi permette di chiarire un preconcetto: come te, come voi, adoro gli incunaboli del passato. Anch'io mi riempio le orecchie di un cantante come Schlusnus, per me assieme a pochi, pochissimi altri l'epitome del baritono verdiano come dovrebbe sempre essere.
Quello che ci separa interi anni luce è ben altro, come sai: l'idea che esistano tante scuole di canto; l'idea che il declamato non sia un parente povero e scemo del canto all'italiana, ma uno stile con una sua dignità e campioni (la Silja che tu aborrisci ne è un esempio preclaro; la considerazione che il canto non si sia fermato lì.
E questo ci porta al vero punto, quello che ci divide e che ci porta a sbertucciarci dalle pagine dei rispettivi siti (con ironia, su questo sono d'accordo con te e lo sai!): che il canto sia andato avanti.
In meglio? In peggio? Io non sono in grado di dirlo e forse mi interessa poco. Se vedo la Storia del canto, mi accorgo che è "andata avanti"; anche gli anni che voi idolatrati erano "avanti" rispetto ai precedenti.
Esiste il meglio? Mah. Io, come Teilhard du Chardin, penso che "il meglio finisce sempre per accadere e ogni avvenire è migliore di qualunque passato".
La mia sensazione – come ci siamo detti tante volte anche su altri canali – è che il vostro atteggiamento sempre così demolitivo vi disallinei un po' rispetto alla realtà che ci circonda, che non accettate. Un vostro lettore che mi ha preceduto ha detto che non capiva la ragione degli applausi e del tifo da stadio: e se fosse perché è bravo davvero? E magari voi, che rimanete ancorati a stili esecutivi di anni fa, non lo apprezzate per quello?
Non so, la butto lì senza alcun intento polemico ma solo per amore di discussione!
Ti saluto con viva cordialità,
Pietro
Io invece non credo che ogni avvenire sia meglio di qualunque passato (né che il passato sia necessariamente migliore di qualsiasi avvenire…). Io adotto un atteggiamento "laico": ascolto, osservo e traggo conclusioni (che possono essere condivise o non condivise). In ogni caso si danno delle motivazioni, dei ragionamenti. Certo si parte da alcune convinzioni salde: tecnica, fedeltà allo spartito (che non significa esecuzione letterale), stile, rispetto per i segni d'espressione (che sono importantissimi). E', per me, la grammatica irrinunciabile su cui costruire interpretazioni e personaggi, non elementi da cui prescindere (in nome di altre istanze più o meno legittime). Poi ovviamente il gusto cambia e il canto come tutto si evolve e si involve: ma con chiarezza ribadisco l'importanza di una serie di regole, di linguaggio, di grammatica da cui non si può scappare…pena gravi lacune. Quel che trovo inaccettabile – e che onestamente non puoi non aver osservato – è che certi successi, certi trionfi, siano pompati ad arte, attraverso una ben oliata macchina del consenso e grazie alla disattenzione di un pubblico che ormai non si pone più domande e rinuncia a ragionare con proprio gusto e testa, ma si accontenta (e questo per ignoranza, scarsa preparazione, scarsissima attenzione da parte di chi potrebbe e dovrebbe provvedervi). Aggiungiamoci poi la critica ufficiale che ha rinunciato espressamente al proprio ruolo: ti rendi conto come sia più pertinente e vera quella "non togata" che si trova sulla rete??? Ogni volta che leggo critiche a spettacoli (italiani ed esteri) mi chiedo se chi scrive ha davvero visto lo spettacolo (o ha ascoltato il cd o il dvd): errori grossolani, cantonate imbarazzanti…tutto conferma che scrivono per sentito dire fingendo di esserci! Leggo le riviste che sono ormai diventate palestre per genuflessioni interessate, viatici di pubblicità più o meno occulta e covi di isterie senili! Veiamo a Kaufmann (e ad altri divi). Incide per la più importante, forse, casa discografica classica, che vanta illustrissimi artisti; frequenta i più grandi teatri del mondo. Mi aspetto, dunque, qualcosa in più: aspetto un divo vero, una tecnica impeccabile, una grande interpretazione e che mi trovo a sentire?
L'ho ascoltato nel Requiem verdiano e in Carmen… Non ho trovato nessuna delle qualità che leggo sulle riviste… Eppure nessuno ha il coraggio o l'onestà di scriverlo… Ti assicuro, non è preconcetto: è un'amara constatazione. Circa i cantanti di oggi, mi auguro sempre – quando vado a teatro – di trovarne di buoni…a volte si trovano, a volte si prendono cantonate, a volte (spesso) capita l'indecenza…
Il problema non è tanto quello di apprezzare soltanto stili esecutivi di anni fa, piuttosto quello di giudicare, con onestà intellettuale, se certe esecuzioni vocali possano o meno essere definite "belle" e l'artista che le esegue "bravo". Per me una voce gutturale, intubatissima come mai mi è capitato sentire, un cantante che ignora cosa sia il passaggio da un registro all'altro, che produca attacchi stimbrati e che riesca a deliziare le platee con "pianissimi" talmente pianissimi da risultare inudibili (per questo preferisco Kaufmann sul tubo: "almeno" lo riesco a sentire…), le cui "larmes" dell'anima non vengono espresse se non zoppicando (siamo all'oltreuomo che somatizza il dolore in scena?), le cui sfumature vocali, che la parte prevede, non vadano al di là di un'onomatopea fantozziana, etc…. Tutte ciò va davvero al di là del singolo apprezzamento, della mera opinione. La tecnica del canto ha un coté oggettivo, quasi matematico, che è la condizione prima per poter calcare un palcoscenico. Disgrazia per chi come me riesce ad emozionarsi solo con voci ben emesse e timbrate. Mi rifiuto però allo stesso tempo di legittimare i consensi delle platee annoiate. Per questo continuo a evitare di farmi condizionare il giudizio dai soliti commenti all'acqua di rose che inquinano i foyer ("j'adore Kaufmann! Son physique du role… Tu as vu comme il bouge sa bouche? Etonnant!").E' questo il pubblico che avrebbe ragione? Che ha colto, prima di me, chi "è bravo"?
se Kaufmann è il tenore del secolo, che fortuna che siamo appena agli inzi degli anni 10 e possiamo continuare a sperare…uho che sembra che canti con un chewing-gum da un etto in bocca e diventa stridulo non appena alza la voce? ma dai!
Detto bene blueboy48.
"Ma dai!"
Duprez ha espresso un concetto molto calzante si può scrivere un libro un romanzo una lettera se non si è studiato la grammattica la sintassi.. Il canto o quando si canta un opera aldilà dei tempi che cambiano, di volere cercare qualcosa di originale magari cantanti che siano più attori, sceneggiature diverse magari moderne,ma l'esecuzione vocale deve attenersi ai fondamentali del canto cioè la tecnica la fedelta allo spartito o perlomeno alle indicazioni scritte dal compositore
allora si può avere picere nell'ascolto.Certo attualmente si và al teatro e nella maggior parte dei casi bisogna "accontentarsi"
La decadenza della tecnica del canto ha avuto luogo ed è incominciata nel secondo dopo guerra a causa di alcuni cantanti (in un primo tempo maschili, poi hanno seguito anche le donne) che si sono permessi certe emissioni poco ortodosse, il risultato ha avuto successo e di conseguenza le emissioni strampalate sono pian piano divenute la regola. Se ci ritroviamo nello stato attuale, a mio parere, è anche a causa del publico che è cambiato. Se alcuni cantanti hanno potuto per primi permettersi certe emissioni poco ortodosse senza farsi cacciare dai palcoscenici è perchè il risultato ha avuto successo, la formula che ha avuto successo è normale che sia stata ripresa, anche inconsciamente, su vasta scala da tutti gli altri addetti ai lavori e il publico ha apprezzato, non penso che tutti i successi siano organizzati dal battage publicitario e dalle case discografiche. Secondo me l'emissione ortodossa non piace più al grosso publico, la gente vuole sentire lo sforzo nell'emissione del cantante, vuole suoni più realistici, più naturali, piacciono i suoni sbraccati, fissi, vetrosi, stimbrati, aperti e parlanti, sguaiati, sforzati, tubati, bolsi, ingrossati e fibrosi, oggi non sono più una mezzavoce e un filato che mandano il publico in visibilio, per mandare il publico in delirio ci vuole una bella stimbratura, nel gusto odierno la gente che va all'opera scambia le stimbrature per smorzature e i queruli falsettini per filati, oggi la gente che va all'opera (non riesco proprio a qualificarli come melomani!) trova più coinvolgente, emozionante e umanamente impressionante un canto isterico e convulso, l'emissione perfetta di risonanza pura non piace più. Gli adolescenti o i giovani che oggi si avvicinano all'opera lo fanno con dei riferimenti canori e una cultura sonora ambiente che non sono più quella di un epoca in cui tutto quello che veniva cantato e detto in publico era fatto solo ed esclusivamente con una voce impostata, l'orecchio si forma e si educa fin dalla prima infanzia e non a 20 o 30 anni, perchè già a 20 anni è troppo tardi o troppo difficile, e la stessa cosa vale anche per l'educazione del gusto, sì perchè si educa anche quello!!!. Continuando così, e non potrà essere altrimenti, fra una cinquantina d'anni canteranno il repertorio operistico come se fosse rap o hard rock (san remo lo riserviamo all'oscena venexiana) con tanto di microfono però con strumenti antichi (copie conformi). La cultura per il canto (quello ortodosso) è rimasta viva finchè l'opera era viva, guarda caso la decadenza della cultura del canto coincide con la morte degli ultimi grandi operisti. Certo, mi si dirà che anche nella musica contemporanea ci sono opere ecc… ecc…, ma lo spazio che occupava l'opera nella cultura generale e nell'inconscio colletivo ai tempi di Haendel, di Mozart, di Rossini e di Verdi non lo occupa più dopo la scomparsa dei Puccini, Mascagni, Giordano e Cilea. E non mi si tirino in ballo le "opere" di Luigi Nono o di Mannino che non hanno voce in capitolo nella cultura di massa contemporanea. Forse Kaufmann dovrebbe cantare solo opere di Stockhausen oppure dare il via a una Sylvano Bussotti renaissance.
comunque aggiungerei che una vera evoluzione nell'opera ci può essere solo se nei tempi moderni ci siano dei compositori che scrivino una vera opera ( anche se qualcuno lo fà con poco successo) allora forse ci può essere un proseguimento della linea evolutiva dell'opera,forse anche con delle novità nella linea vocale
ma su, signori, loro sono il popolo dell'amore… noi siamo i terroristi del gusto, i talebani della vocalità… non ve ne rendete conto?
DUprez e Semolino hanno inquadrato a dovere il problema…
via, tutti a fare ammenda!!!
Semolino ha ragione: in particolare riguardo al pubblico. Purtroppo la decadenza di cultura musicale (non parlo di istruzione da conservatorio, ma di quel senso di civiltà musicale che fino a poco tempo fa era un sentire comune, un valore condiviso), dipende dalla superficialità dell'ascoltatore, da una volgarizzazione del fenomeno operistico (cosa ben diversa dalla sua massificazione: anzi oggi direttamente proporzionale alla volgarizzazione vi è la trasformazione dell'opera lirica in esperienza d'elite: mentre essa nasce e si sviluppa come fenomeno di massa, popolare), dalla sua trasformazione in show business. Oggi nei teatri la stragrande maggioranza del pubblico percepisce dei valori distorti e da essi si fa condizionare: battage pubblicitario, condizionamenti mediatici, fascino del luogo, influenze del nome…e la musica e la sua esecuzione passano in secondo piano. A ciò si deve aggiungere la costante damnatio memoriae che riviste specializzate, critici interessati, siti internet compiacenti, perpetuano nei confronti del passato (si legga tutto ciò che scrive Giudici sulla "sua" rivista, o si scorra la nuova edizione del suo famigerato librone): oggi chi si accosta a taluni repertori ritiene di non dover confrontare un passato che gli hanno insegnato essere ridicolo, grottesco, filologicamente scorretto… Oggi le "anime belle" dei post-adolescenti che con "virginal pudore" affollano festival e serate dedicate al barocco, non conoscono, non vogliono conoscere, non gli è permesso conoscere l'Alcina della Sutherland…preferiscono convincersi che quella di Curtis (o compagnia bella baroccara) sia quella autentica: si accontentano della loro ignoranza.
E' vero anche come la morte dell'opera coincida con la degenerazione del canto: tempo fa ho letto un bel volume sulla Turandot, definita l'ultimo melodramma. In effetti dopo Puccini (e salvo qualche rara eccezione) l'opera lirica ha perso ogni slancio creativo, ogni vitalità, ogni ragion d'essere! E non si prendano per vere le cantonate di Giudici sull'opera americana contemporanea (per la quale aveva previsto radiosi futuri..e che invece non sopravvive mai alla prima esecuzione) o le pruderie intellettualistiche dell'avanguardia politicizzata. L'ultimo operista, nel senso romantico del termine resta Henze, l'ultimo – a mio giudizio – a possedere il senso del canto, della voce e del teatro. E a sopravvivere alle prime rappresentazioni.
allora Duprez bisogna vedere l'opera come il latino,cioè una lingua morte,incapace di avere ancora una sua evoluzione?o forse la sua evoluzione logica è nella musica leggera?
Credo anche io che il pubblico vada rieducato all'ascolto così si eviterebbero scempi come l'ultima "Carmen" all'amuchina del Met, la "Salome" bolognese, il "Don Carlo" londinese, "Macbeth" a Vienna e Monaco (qui siamo addirittura al grottesco), "Manon Lescaut" veneziana, "Il trovatore" falsamente filologico con la Kermes, il "Werther" autistico e via delirando.
Spettacoli che non aggiungono nulla e che anzi concorrono a fare aumentare i rimpianti e propongono al pubblico opere derivate più dal trash televisivo che da una cultura musicale preparata.
La "Phaedra" di Henze è un'opera a parer mio magnifica ed enigmatica, ricchissima di contaminazioni e stimolante dal punto di vista sionoro, in cui la voce ed il CANTO hanno un ruolo fondamentale nella resa dei caratteri.
Servono VOCI timbrate e salde che sappiano il fatto loro anche a livello di legato e capaci di sostenere alcuni momenti di coloratura.
Marianne Brandt
L'opera, dal punto di vista creativo, E' una lingua morta, come il latino o il greco antico. E' un dato di fatto, una constatazione. Henze è ormai un classico, è repertorio (grande repertorio secondo me), legato più alla grande tradizione del tardo romanticismo (con tutte le evoluzioni e gli sviluppi nell'atonalità o nella dodecafonia: utilizzata però in senso non dogmatico) che allo sperimentalismo più inutile di un Webern o di un Boulez (per tacere dei vari Nono, Shtokhausen etc..). L'opera è una lingua morta e come tale ne andrebbe rispettata la sintassi, la grammatica e la letteratura… Ma questo rimane un falso problema, anche l'impressionismo pittorico è una lingua morta, anche l'affresco rinascimentale… Il problema vero è che l'esecuzione, la rappresentazione, l'interpretazione, son divenuti lingua morta: dai baroccari al teatro di regia… Uno sperimentalismo vuoto che considera la musica come robaccia morta a cui ridare vita con artifizi (e raggiri direi…).
PS: il pubblico non va educato (le rieducazioni lasciamole ai maestrini filologi o ai Lissner di turno)…basterebbe che gli si restituisse un'autonomia di giudizio e l'uso di quella ragione che tanto ci differenzia (quasi sempre) dalle bestie.
PPS: Henze ha scritto tanti capolavori, dai Bassaridi alla Cantata della Fiaba Estrema, da Lo Sdegno del Mare a Undine…lancio un'idea: forse – alla Scala – si guadagnerebbe se al posto di ammorbarci con Janaceck e Britten (autori a mio giudizio insulsi e sopravvalutati enormemente). dedicassero qualche spazio a Henze!
Io ho trovato questo Werther uno spettacolo molto ben fatto, piacevolissimo, commovente, coinvolgente e poetico. Non trovo affatto che Kaufmann fosse aggressivo, ma molto appassionato. Dopo aver sentito il Fraccaro alla Fenice con Manon, Kaufmann mi appare quasi come un Dio…….
l'opera è figlia del suo tempo perchè ancora ci coinvolge e ci commuove come ci commuove ed esalta "infandum regina iubes renovare dolorem", così anche "pura siccome un angelo". ma deve essere cantata, suonata ed agita, vale a dire recitata e sceneggiata con un minimo di rispetto per le indicazioni di chi l'ha composta. d'accordo che le messe in scena e i macchinari di Haendel o i braghettoni di Tamagno ci farebbero sorridere, ma mi viene male quando penso al finale del Ring del centenario arzigogolato da Chereau, quando vedo un salotto biedermeyer con in mezzo un albero con piantata una spada.e trovo penosa la Gruberova_Elisabetta trasformata in una top manager di una company anni 1940 alla Bette Davis (una donna manager in quel periodo? ma vala!) e mi arrabbio quando sento dire quella corbelleria storica che Jacobs permette di gustare il vero Mozart, come se non fossero esisiti lo Sturm und Drang, come se I Dolori del Giovane Werther non fossero stati scritti quando Mozart aveva 12 anni, come se non fosse esistito Rousseau e tutto l'Illuminismo Tedesco, come se l'Illuminismo fosse solo arido razionalismo libertino (vaglielo dire a Goethe e a Kant!), come se Mozart non fosse stato quel leecher pronto a cogliere ogni fronda di vento e a trasformarla come solo lui sapeva…
posso essere d'accordo con Duprez che l'opera dal punto di vista creativo è morta,ma penso anche come il latino ormai una lingua morta,ha dato origine a delle lingue vive(italiano spagnolo ecc.)penso che anche l'opera abbia avuto nei cambiamenti dei tempi e delle mode una sua evoluzione nella musica leggera melodica,o in tante melodie napoletane.
Comunque finchè il pubblico di tutto il mondo(e noi italiani dovremmo essere orgogliosi di questo)và in taatro e si emoziona l'opera sarà sempre viva (penso che "la traviata" o "la boheme" anche tra mille anni emozionerà,e farà commuovere,perche a mio modesto avviso questa è musica immortale,che entra nell'anima,dovesserò passare millenni.
Mi scusi, Sig. Duprez, io ho una grande ammirazione per Hans Werner Henze, ma dire che Janacek e Britten sono autori insulsi è una totale assurdità. "Peter Grimes" e "La piccola volpe astuta", ascoltati a Firenze sotto la sublime bacchetta di Ozawa, sono stati fra le più grandi esperienze della mia vita musicale. Chiunque abbia il coraggio di non enumerare queste opere fra le più grandi della prima metà del Novecento non so veramente come debba essere giudicato.
Marco Ninci
Continuo a ritenere Britten e Janacek autri di cui faccio volentieri a meno, al di là delle emozione che hanno suscitato in lei gli spettacoli fiorentini. Ma come io le lascio le sue emozioni, lei veda di concedermi la piena proprietà delle mie opinioni. Concedo che l'utilizzo del termine "insulso" è stato un po' tranchant…ma comprenda, pure, che stiamo conversando in luoghi privi di seriosità accademica. Ribadisco, comunque, il termine "sopravvalutati". Soprattutto Britten. Ritengo invece Janacek un compositore marginale, appartenente ad una cultura musicale marginale – nulla di spregiativo, semplice constatazione: la musica ceca non ha avuto certo diffusioni e influenze paragonabili a quella italiana, austrotedesca e inglese – che solo la moda degli ultimi anni ha portato sugli altari…anche Smetana o Dvorak hanno scritto opere, anche molto belle, ma nessuno si sognerebbe di definirli capisaldi del teatro dell'opera (non hanno avuto nessuna reale influenza sullo sviluppo dell'opera lirica, se non altro per la loro scarsissima diffusione inelle capitali musicali europee). Ciò non significa che non possa emozionare… Ma se questo è il parametro potrei dirle che a me emoziona Crispino e la Comare, ma non mi sognerei di annoverarlo tra i capolavori assoluti del teatro d'opera. Per Britten il discorso è differente: è innegabile come la critica anglosassone l'abbia considerato assai più di quanto meritasse (ugualmente ha fatto la critica tedesca con Gluck), personalmente trovo estenuante quel continuo declamato/recitativo e quell'impasto orchestrale indefinito e inconcludente (in Peter Grimes salvo giusto gli intermezzi marini)…non ne metto in dubbio l'efficacia teatrale, ma l'opera è anche musica… Comunque non voglio certo fare una classifica di gusti e preferenze, che sono e restano personali (anche se più o meno giustificate).
Non comprendo però in cosa consista il "coraggio" nell'affermare un proprio gusto…coraggio di che? Per cosa? Quanto al giudizio che si è fatto su di me le lascio piena libertà, anche se mi auguro sempre (e sempre vengo smentito) di trovare educazione e civiltà nell'esposizione dei propri gusti e pareri: io NON ho scritto che chi ama la musica di Janacek e Britten è ottuso; lei, invece, si è preso il permesso di mal giudicare (e sott'intenderne l'ovvia ottusità) chi quegli autori non gradisce, spostando il giudizio dall'autore (legittimo) a chi esprime un proprio gusto. Ne prendo atto.
saluti a tutti
non avrei mai immaginato che il werther di kaufmann potesse suscitare tanta varietà e ricchezza di interventi. In effetti più da forum che da blog.
Non posso che essere contento. Si potrà condividere tanto, poco o puto quanto noi scriviamo, ma almeno nel derelitto panorama dei fori operistici diamo la possibilità e l'opportunità di quella bella discussione che un tempo era usa nei foyer, in primis quello del loggione scaligero.
Luogo dove oggi non solo non si discute più, ma talune vecchie dame di entrambi i sessi con glorioso passato di loggionisti apostrafano e tentano intimorire le sparute, ma preparate, giovani leve di ascoltatori che hanno il torto di avere gusto ed orecchie autonome.
Devo anche dire che concordo con Duprez (e ci mancherebbe qualcuno può legittimamente rispondere, trattandosi di mio sodale in questa avventura del blog) che l'opera, come ogni altra arte ha un suo proprio e tipico fondamento tecnico, la cui mancanza da luogo alle storture oggi sempre più diffuse.
Credo che la salvezza dell'opera sia il ritorno all'antico o meglio la tradizione. Tradizione che erroneamente qualcuno esaurisce con le braghe di Tamagno o le tette delle Tetrazzini. Questo è fermarsi men che alla superficie. La lezione di quei signori come di molti altri (leggere che dice scattare su Marcella Sembrich) è lezione di studio continuo e costante di abnegazione al mestiere di rispetto (e paura) del pubblico e del suo giudizio.
Questo dovrebbero imparare, credo, cantanti, bacchette e organizzatori perchè questo è il segreto di Pulcinella del perdurare e persistere dell'arte.
saluti dd
Caro Duprez, intanto mi scuso per quello che ho detto, che comprendo bene possa essere considerato offensivo. Venedo poi alla questione che stiamo dibattendo, Milan Kundera ha scritto delle pagine molto belle sulla marginalità di Janacek. E' vero, viene da una piccola nazione; ma il modo giusto di considerarlo non è quello di vederlo in tale ottica limitata. Anzi, è giusto l'esatto contrario; noi abbiamo il dovere di collocare Janacek nel contesto più generale della musica europea, perché la sua estetica a questa appartiene, a questa appartengono le sue soluzioni, anche se esse non sono quelle di Debussy o della scuola di Vienna e nemmeno quelle del compositore che gli è più vicino, Bartòk. In questa luce si comprende bene la diffusione universale delle sue opere; non c'è teatro al mondo che non le programmi con frequenza, a differenza di quelle composte da Smetana o da Dvorak. La differenza c'è, innegabile. Questo vorrà pur dire qualcosa; e il "qualcosa" è l'universalità di Janacek, non la sua marginalità. Il problema è, non me ne vogliate, che spesso leggo su questo sito giudizi sorprendenti: su Gluck, su Janacek, su Britten, sul mondo del Lied, tutti accomunati da un'accusa di sopravvalutazione. Mi sembra di capire che la molla di questo giudizio sia il fatto che per questo repertorio ne viene trascurato un altro, a voi assai più caro; ma questa molla non può portare a un giudizio negativo sul valore di un repertorio considerato in se stesso. Tant'è che io penso che ci siano diversi modi di analizzare il Lied, Gluck, Janacek o Britten; ma loro importanza fondamentale è un dato storico e musicologico acclarato, direi definitivo, se la vita umana consentisse (il che non è) di dichiarare definitiva una qualsiasi cosa, fosse pure l'opera di Wolfgang Amadeus Mozart.
Saluti
Marco Ninci
volevo solo aggiungere al mio commento precedente,e come ho scritto anche prima è importante perchè l'opera sia tramandata,che sia eseguita e cantata come i compositori l'hanno scritta,con la tecnica che viene dallo studio,da direttori che sappiano dirigere,e portare rispetto dello spartito( naturalmente poi ogni direttore avrà il suo stile) e responsabili artistici che abbiano competenze,e "vedere lontano"
Per le scenografie possono sbizzarirsi (per me)come vogliono se al pubblico non piace si fanno sentire,ma l'importante e lo ripeto che venga rispettata la parte musicale.
Caro Marco, ti rispondo volentieri, in modo – così – da poter chiarire un certo metro di giudizio. Prima di tutto Janacek. autore che non mi piace, l'ho scritto più volte, lo ribadisco con onestà, esprimendo così un mio parere personale. Senza pretese di assolutezza ovviamente. Tuttavia è un parere che ritengo motivato da diversi ragionamenti. Vedi, un conto è il puro piacere, il gusto, la preferenza…altro discorso l'importanza in relazione al "tutto". Di Janacek posso riconoscere – aldilà del mio gusto – un grande senso del teatro, una scelta di soggetti molto originale, o comunque trattati in modo originale e atipica, una vena compositiva capace di prendere spunto dal folklore della sua terra traducendolo però in un linguaggio autonomo… Non posso però nascondere che fu un fenomeno esclusivamente nazionale: la sua diffusione è recente e comunque imparagonabile ad altri autori. Al lato pratico questo significa un'influenza necessariamente ridotta sul teatro musicale novecentesco (rispetto ad altri compositori ovviamente). Kundera, che non è un musicologo, può aver avuto parole di elogio e di ammirazione per Janacek (anche per spirito nazionalistico), ma non ne muta il carattere di fenomeno legato al territorio. Io naturalmente parlo di musica, non di psicologia, drammaturgia etc. (elementi che spesso confondono i livelli). Janacek è più rappresentato di Smetana e Dvorak: verissimo. Perchè? Mi vien da pensare che un ruolo in tale diversa presenza possa essere ravvisato nelle differenti richieste agli interpreti in tema di difficoltà vocale, elaborazione strumentale, dispiego di mezzi. Mi viene anche da pensare al ruolo giocato dalla moda (tanti compositori hanno avuto fortune alterne a seconda del momento storico: un esepio su tutti è la Regina di Saba di Goldmark). Infine potrei pensare che la drammaturgia di Janacek – scarna ed essenziale – sia considerata più attuale rispetto a lavori maggiormente legati alla tradizione ottocentesa (al grand opèra o all'opera romantica). Detto questo credo che non sia un'eresia sostenere come tutta questa influenza risieda più nela mente di chi lo afferma che nei fatti. So che i paragoni sono sempre fuorvianti, ma se metti a confronto l'importanza musicale di uno Janacek rispetto a Puccini o Strauss (per stare in ambito novecentesco) vi è un abisso! Oggi Janacek è à la page, pice ad una certa critica, piace a certi intellettuali, piace a certi direttori artistici…ed è molto meno impegnativo – da rappresentare – di Ugonotti o Semiramide. Non mi sembra di togliere nulla al buon Janacek: del resto troppo spesso ho letto di autori riscoperti come capitali e fondamentali, poi ricadere nella più consueta marginalità (Goldmark, dicevo, ma si pensi a Dallapiccola, a Nono, a Gretry, a Pacini), poi la storia mette le cose a posto (e se pensi che gli Scapigliati lombardi prevedevano la scomparsa di ogni traccia del Manzoni perchè ormai superato…col risultato che Manzoni è approfondito nei programmi di tutte le scuole italiane, gli scapigliati compaiono solo per il nome…).
Ma tu lamenti anche altri giudizi a tuo parere incomprensibili (Gluck e il Lied). Procedendo con ordine: Gluck è stato compositore di moltissime opere serie (dal mediocre al brutto), privo di fantasia e abilità tecnica, incapace di padroneggiare il contrappunto…ma autore di alcuni titoli straordinari, estranei alla maggior parte delle sue composizioni, e che molta fortuna hanno avuto sui palcoscenici. Grandi opere, splendide opere, nessun dubbio. Ebbe poi la fortuna di essere preso – dalla critica tedesca – come precursore di Wagner: la sua Riforma fu interpretata come precorritrice del wort ton drama e, in un atteggiamento che vedeva in Wagner (erroneamente) il vertice del teatro musicale, ovviamente un Gluck veniva ritenuto superiore e più importante di Mozart e di Handel. Eppure a ben vedere costoro hanno gettato le basi per il superamento dell'opera seria, non certo il povero Gluck che di opere serie ne ha scritte decine (tutte immancabilmente defunte poichè prive di qualsiasi originalità e attrattiva), si è rifatto ai sorpassati modelli dell'opèra-ballet francese e ha teorizzato una riforma il cui unico frutto pienamente compiuto (Alceste) è di una noia mortale. Con questo dico che Gluck è da buttare? Fossi matto!!!! Dico solo che la sua figura andrebbe ricollocata e rivista, eliminando le contraffazioni imposteci dalla critica tedesca!
E il lied? Da noi è visto come quint'essenza della cultura musicale: rimedio e cura alla pretesa superficialità del melodramma (e imposizione propinataci dal rieducatore Lissner, che ha scambiato la stagione concertistica scaligera per un Laogai della Cina Popolare). Ma che è il lied? Una canzone. Priva di grandi valori musicali e di esigenze vocali. Schubert, Schumann, Wolff, ne scrissero centinaia: brani d'occasione nella maggior parte dei casi. Certo i testi magari sono di Goethe o Holderlin, ma per questo diventano cultura? O meglio Cultura! Eppure non hanno valore molto differente rispetto alle romanze da salotto del decadentismo italiano, o a quelle di Rossini e Donizetti. Eppure il lied è considerato roba da intenditori, la romanza di Tosti o Leoncavallo, robaccia da dopolavoro di regime. Ecco io penso che non si possano ripetere a pappagallo le stesse cose senza chiedersi il perchè! Non nego la bellezza di certi lied (non tutti però), ma perchè considerarli diversi da qualche chanson di Fauré o da romanze di Tosti: e non valgono di più perchè li ha scritti Beethoven o Schubert, spesso sono pezzi buttati giù di malavoglia con fini di servizio…del resto pure Galileo ha fatto oroscopi, non per questo gli oroscopi di Galileo sono più seri di quelli di qualsiasi ciarlatano che compare in TV.
A mio modesto parere è incredibile come vengano osannati cantanti come jonas kaufmann, salvatore licitra, alagna, la scola, cura…gente con una gran natura, ma davvero mediocri…non sanno nemmeno cosa sia cantare..Per capire cosa significhi cantare bene, basta ascoltare Franco Corelli o Antonio Savastano..legati e fiati pazzeschi, intonazione perfetta, messa in maschera, timbro omogeneo in tutti i registri, voce non nasale nè ingolata..gusto etc