Il programma del disco ci restituisce, dunque, una visione parziale della vocalità del cosiddetto “soprano Colbran”, ossia quella di cui si è tanto parlato in questi anni di penombra della Rossini renaissance, in cui si è giunti a far coincidere inopinatamente la vocalità della mitica cantante con quella del “mezzo acuto”( peraltro regolarmente incarnato da soprani lirici dalla voce indietro… ), dimenticando tutti che la signora, tra il 1811 ed il 1822, oltre alle 10 opere per lei composte da Rossini, diede voce alle protagoniste di Vestale di Spontini, Medea in Corinto di Mayr, Donna Caritea Regina di Spagna di Farinelli, la Donzella di Raab di Garcia, Arianna a Nasso e Alonso e Cora di Mayr, Il Califfo di Bagdad di Garcia; la Morte di Semiramide di Nasolini; Ginevra di Scozia di Mayr; Il Sogno di Partenope di Mayr; Gabriella di Vergy di Carafa; Aganadeca di Saccenti; Paul e Virginie di Guglielmi; Mennone e Zemira di Mayr; Ifigenia in Tauride di Carafa; Boadicea Regina delle Amazzoni di Morlacchi; Solimano II e Adelaide di Baviera di Carlini; Sofonisba di Paer; l’Apoteosi di Ercole di Mercadante ( in compagnia della Pisaroni, David e Nozzari ); Valmiro e Zaida di Zampieri, naturalmente inframezzate da titoli rossiniani anche diversi da quelli per lei notoriamente composti, quali Tancredi ( nel title role, presso teatro del Fondo ); Torvaldo e Dorliska; Gazza Ladra etc..Il tutto ad un ritmo di serate che a cavallo del 1816-1818 era nell’ordine di circa 100-120 serate l’anno presso il solo Teatro di San Carlo di Napoli, palcoscenico principale della sua carriera.
Insomma, sarebbe bastato alla signora Di Donato un pomeriggio napoletano in quel luogo straordinario che è la Biblioteca del Conservatorio di S. Pietro a Majella, ove giace la più parte degli spartiti rappresentati al Teatro San Carlo, oppure sottotitolare più correttamente il disco “The Muse of Rossini” per evitare almeno la topica filologica del titolo del disco.
Detto questo, entriamo nel merito della voce e dell’esecuzione offertaci dalla signora Di Donato, che nessuna ridefinizione del sottotitolo può salvare dalle critiche.
Tralasciando di contestare per la milionesima volta l’equivalenza indimostrata dai guru del ROF Colbran = mezzosoprano acuto, o meglio Colbran = mezzosoprani acuti attuali, alla signora Di Donato fa difetto, nel tentativo di assurgere se stessa al ruolo di moderna Colbran, una tecnica di canto di tradizione italiana ( quella di scuola Horne – Callas – Sutherland tanto per intenderci ) ed un gusto schiettamente rossiniano.
Sul lato tecnico, la signora Di Donato è carente sia sul passaggio grave, ove la voce resta vuota oppure di petto, che su quello alto, caratterizzato da evidenti fissità, mi-fa in particolare. Le note acute ( la nat e si bem.) sono sottili rispetto al centro, mentre i gravi non si prestano ad una emissione stilizzata. Ne soffre anche l’agilità, in particolare l’esecuzione delle quartine, che risulta priva di vigore, sfarfalleggiata e poco fluida, sia nel canto di forza che in quello di grazia.
Per quanto il mezzo naturale si sia impoverito negli armonici come nella pienezza del suono che, al contrario, possedeva nei primi anni di carriera, la Di Donato può convincere soltanto laddove il canto rossiniano non richieda qualità di legato per la presenza di frasi declamate ed aggressive, ossia nel finale di Armida. Anche quando il carattere del personaggio è lirico, come nella preghiera di Desdemona, la signora Di Donato tende a cantare secondo l’odierno modo “baroccaro”, privando Rossini della sua imprescindibile connotazione classica, metaforica ed aulica, che solo l’emissione belcantista di tradizione italiana può restituire. L’accento, infatti, si fa “mignardise”, arrivano puntuali i sospiretti e le pause non previste che tolgono nobiltà alla linea di canto ( si veda la scena di Desdemona di Otello, ad esempio ). Rievocare la Colbran significa implicitamente eccellere sia nello stile tragico sia in quello grazioso grazie all’accento aulico ed allo slancio nel virtuosismo. La Di Donato, invece, ci fa sentire agilità “bartolesche”, insopportabili ed inadeguate allo stile di Rossini ( si vedano l’aria di Armida ed il rondò di Donna del Lago ), segno della barocchizzazione in atto del compositore ed opportunamente abbracciata anche da questa cantante. Dato che nel canto “baroccaro” gli interpreti finiscono per essere tutti uguali per modalità e risorse espressive, tanto che persino i timbri si fanno così smunti da rassomigliarsi l’un con l’altro, i brani finiscono per perdere le loro specificità drammaturgiche, perchè risolti nell’antinomia lento-velocissimo, pianino – forte, con le agilità senza mordente e slancio drammatico, mitragliate nevroticamente “Bartoli style”.
Il genio di Rossini è rispettato limitatamente, perché la diva americana inciampa inaspettatamente in passi come il rondò di Elena e la cavatina di Elisabetta Regina d’Inghilterra, mentre il mito di Isabella Colbran è inspiegabile, poiché nulla di ciò che venne grandiosamente scritto per lei può essere stato concepito per il modo di cantare esibito dalla Di Donato in questo disco.
Tanto per esemplificare sperando di non essere noiosi ripetitivi, atteso che i vizi dell’esecutrice e dell’interprete ricompaiono precisi e puntuali in ogni brano.
“D’amore al dolce impero”; “ Se il mio crudel..”, Armida
Alle prese con la maga Armida, che pare fosse una delle realizzazioni più complete di Isabella Colbran (la di Donato propone sia la famosa aria con variazioni che il grandioso finale), la novella Colbran esibisce voce vuota e fioca nella zona grave, difficoltà a scandire ed accentare le agilità, con particolare riferimento alle quartine vocalizzate, sicchè le agilità di forza divengono agilità di grazie, accennate secondo al miglior scuola del “farfuglio” messa in onda dalle Caballé e Ricciarelli e diventata la peculiarità della attuali cantanti.
Le cose vanno leggermente meglio con il grandioso finale, forse il passo migliore dell’intero recital. Abbastanza facile perché il passo non richiede mai canto legato, come accade nella sezione centrale.
Buono l’attacco del recitativo, sempre in difficoltà nelle quartine di “L’alma tua nudrita” .
L’altro guaio e limite piuttosto evidente sono le note tenute che suonano fisse. E se la sezione centrale, che non richiede canto legato non prevede neppure inutili sospetti, al più consoni a personaggi di mezzo carattere, ma non ai soprani tragici. N più nel canto spianato la cantante suona fissa nella zona, che sarebbe del passaggio, secondo il dettato baroccaro e gli acuti (vedi i si nat scoperto di “vieni” o i si bem estremi delle quartine) suonano piccoli e senza ampiezza. Caratteristiche che sono il risultato del cantare senza adeguato sostegno del fiato.
Una postilla per la direzione bandistica e pesante, che fa assurgere ad direttore di rango persino il vituperato Tullio Serafin, che riscoprì l’opera in compagnia di Maria Callas.
“Tanti affetti”, La Donna del Lago
Quando affronta il finale di donna del lago ossia il famoso “Tanti affetti”, brano brillante, ma non strettamente di genere grande agitato come il finale di Armida la di Donato ricorre prevalentemente ad emissioni flautate ( e, poi, prive di appoggio); la tessitura non propriamente acuta, ma nella zona del passaggio porta a suoni spesso stonati ( vedasi il “tronco accento”) o a patteggiamenti di sonorità ed ampiezza come i suonini di “tu sapessi a me donar”. Non che la circostanza sia una novità, perché alcuni soprani alle prese con Elena d’Angus hanno sfarfalleggiato ed alleggerito, ma in un recital che si proporrebbe di celebrare la grandiosa vocalità di Isabella Colbran, la cantante che Rossini, pur sentite la Pasta, la Malibran, la Sontag e la Grisi, continuò a ritenere la più grande è proprio stridente.
La perla è rappresenta dalle variazioni “neo liberty”, non autografe ( e sì che l’edizione critica del titolo gronda varianti d’autori o coeve) , come gli staccati inseriti nelle ripetizioni. E poi abbiamo scritto dell’antirossinianità di molte esecutrici e del Barbiere e della Semiramide ree di avere interpolato picchettati e staccati.
“Quanto è grata all’alma mia”, Elisabetta Regina d’Inghilterra
Se Armida è il pezzo migliore la cavatina di sortita di Elisabetta, che fu il primo ruolo di Rossini per Isabelita è il peggiore. Non andremo a tirare fuori i difetti vocali, che sono gli usati, ma l’ingresso di una regina che sembra una pastorella dell’Arcadia…o Almirena di Rinaldo!!!!
Rossini non è mai stato slavato; l’insignificante contrasto piano-forte, lento-veloce non è la dinamica ed agogica libera e staccata dal metronomo, che era risaputo essere un punto di forza degli esecutori del bel canto, ma una acritica e noiosa adesione alla moda baroccara. Per altro non potrebbe che essere così, in quanto il canto non di scuola ed immascherato non consente di sfumare e modificare in maniera continua ed impercettibile, ma solo di procedere a strappi e balzelloni, senza autentico legato e dinamica
“Bel raggio lusinghier”, Semiramide
Qui si confronta con il Gotha del belcanto…. e volano i fendenti che le arrivano dal passato prossimo come da quello remoto! Una cosuccia questo Bel raggio di fronte a certe dame dei 78 o alla Sutherland o ad alcune sue dirette ed autentiche eredi…..!
Buono l’accento del tempo d’attacco, ma sempre con gli acuti sottili e le agilità “sorvolate” e senza peso, con le quali non può competere con le grandi esecutrici di questa aria. Arriva poi una interpolazione-non interpolazione (!) tra la prima e la seconda strofa del “Dolce pensiero”, ossia una nota tenuta pergiunta fissa, negazione in termini del significato che queste aggiunte ricoprono da che esiste il belcanto, tanto che l’ascoltatore resta in attesa che arrivi qualcosa….che non si sente.
Prosegue scopiazzando malamente la Horne nella prima sezione del da capo, abortendo completamente la sezione finale dell’aria dove, non potendo interpolare verso l’alto da soprano vero, né inabissarsi nel pentagramma come un mezzo vero, decide di restare sul centro, impantanandosi tra due strilletti e tre coccodè che non dicono nulla. Non trova una soluzione musicale di effetto e slancio idonea alla chiusa di un pezzo che va in crescendo, e non ammosciandosi, senza, peraltro, farci sentire, del soprano centrale o mezzo che dir si voglia, una voce piena e corposa.
Insomma un insoluto perfetto, cui peraltro ormai siamo avvezzi al giorno d’oggi, privo anche della presupposta sensualità del personaggio di Semiramide.
Insomma, questi dischi intitolati alle figure mitiche del belcanto continuano ad essere iniziative di natura commerciale, finalizzate alla pubblicizzazione di eventi teatrali impellenti, e non di natura culturale, come invece si vorrebbe far credere. Le prerogative vocali del cantante ottocentesco, prescelto perché privo di testimonianze audio, quindi, più facilmente mistificabili, non vengono né ricostruite sulla base di indagini accurate sul corpus degli spartiti per questo composte, né riproposte in modo adeguato alle prassi vocali che la tradizione ci ha tramandato. E regolarmente le prerogative che li resero famosi non appartengono ai cantanti che pretendono rievocarli! Salta agli occhi la differenza di stile e contenuti che intercorre tra le brevi note che accompagnano le scelte mirate ed oculatissime di un Bonynge per i due volumi dell’Art of Primadonna di Joan Sutherland o quelli dei recitals rossiniani o dei Souvenirs of a Golden Age di una Horne che, intrisi di conoscenze e riflessioni accurate, mai proponevano la completa assimilazione dell’esecutore moderno ad una figura del passato, non foss’altro perché quelle signore erano certe che avrebbero posto anche il loro, di nome, nella storia del canto. Per loro il canto era un’arte solidamente fondata sulla cultura, la conoscenza del passato, la perizia vocale, l’onestà intellettuale. Per noi è solo ……business!
Gli ascolti
Rossini
Otello
Atto III
Assisa a piè d’un salice – Marilyn Horne (1971)
La donna del lago
Atto II
Tanti affetti – Martine Dupuy (1992)
Ma… L'appoggio? Il passaggio? Lo studio delle parole e il loro significato ecc., ecc.?
Questi di oggi sparano nomi e cognomi del passato senza sapere di che cosa si tratta!
Chi potrà mai dimenticare le prime uscite della Sutherland e della Horne e la classe delle loro presentazioni anche sul piano storico?
Farfugliate le agilità della caballé nell'aria di Armida (disco RCA) ??? Urge pronto riascolto pliis…con effetto Davide
caro davide,
le agilità di forza, ossia l'autentica agilità rossiniana, della senora caballe possono, e tu lo sai bene, averle sentite solo i suoi più autentici devoti.
Tu ben sai che la senora fu con la sua omnipresenza l'inizio della attuale situazione in cui tutti cantano tutto con i raccapriccianti risultati, che sappiamo e viviamo ed anche di questo elemento non si può fare a meno di tenere conto nello scrivere.
Poi ci sono cose che ho avuto la fortuna per la mia giovane frequentazione operistica di sentire e che fanno della tua adorata senora una grande cantante
storica però, mai. questo aggettivo lo meritano dal 1950 in poi la signora Olivero, Maria Callas e Joan Sutherland fra i soprani e, forse, Eleanor Steber (sai da Mozart a Barber e con tutti i grandi numi della bacchetta!)
Scusa Stefano ma che c'entra ? Io mi limitavo a dire che !quelle" agilità in "quella" registrazione di "quell'" aria di Armida datata 1967 del disco RCA NON sono affatto come qui è stato scritto "farfugliate" e se non ti fidi vatti a riprendere il celeberrimo disco di rarità e poi mi dirai dove è il "farfuglio", tutto qui, davide
Caro Stecca,
rispondo io invitandoti al confronto parallelo, che è chiaro.
Sentile in sequenza e dimmi che senti.
Non vè dubbio che la Callas canti di forza.
http://www.youtube.com/watch?v=QlcfOqVN8W8
Non mi pare che la Montserrat accenti la coloratura allo stesso modo. In parecchi punti la spappola pure…e i suoni in alto mica sono perfetti…
http://www.youtube.com/watch?v=yvXznXEfYNs
saluti
Ah vabbè se me la metti seconda dopo la Callas e oltretutto della callas della Armida overosia una delle prove certe della esistenza di Dio mi appago tanto più in un pezzo sulla Di Donato…baci