Un direttore dai tratti geniali come Schippers nel dirigere Carmen purtroppo non risulta, all’ascolto dei documenti audio, all’altezza della propria fama. Non sappiamo se questo sia da imputare ad una scarsa preparazione dell’opera oppure semplicemente ad una visione poco coerente e chiara del direttore stesso. Quel che è sicuro è che la Carmen di Schippers, soprattutto nell’esecuzione live è un’occasione mancata. Bisogna dire che in nessuno dei due casi delle testimonianze sonore Schippers si è trovato ad avere un cast all’altezza della situazione, eccezion fatta per la Verrett del live e la Sutherland/Micaela del disco. Forse un direttore dal grande impatto teatrale come Schippers avrebbe avuto bisogno di cast meglio assortito e composto di cantanti più avvezzi al piegarsi alla creazione di una visione maggiormente teatrale dell’opera.
Già dal preludio l’esecuzione di Schippers si rivela come molto nervosa, tesa ad un tempo veloce, diventa addirittura marziale nel tema del toreador, incisiva in quello cosiddetto del destino che precede l’apertura del sipario, dove gli archi sono tesi fino allo spasimo. Nel primo atto Schippers adotta tempi molto brillanti e veloci, quasi a voler descrivere la vivacità del quadro d’assieme da Opéra Comique, risultando però alterno nella riuscita. Dal vivo, infatti, l’esecuzione è asciutta, il tempo è perennemente veloce, salvo che nell’Habanera, eseguita con un tempo lento e sensualeggiante, che ben favorisce le possibilità timbriche ed espressive della giovane Shirley Verrett, capace di accenti leggeri e ammiccanti anche nella Seguidille. Qui però, complice il direttore, non risulta varia e sensuale come si vorrebbe, ossia come da sparito, e finisce nel finale col divenire pesante. In studio, invece, Schippers riesce ad essere più vario, complice forse l’Orchestra della Suisse Romande, di qualità superiore rispetto all’Orchestra Filarmonica di Trieste, rendendo i colori caldi e vivi nella prima parte, sfumati all’entrata delle sigaraie e insinuanti nella parte finale, salvo dover fare i conti con la senescente organizzazione vocale di Regina Resnik e la stentorea linea vocale di Mario Del Monaco, entrambi in stato di declino avanzato.
Nel secondo atto il tempo staccato per la Chanson bohème dal vivo è veloce sin dall’incipit, perdendo in questo modo il gioco di dinamica che l’orchestra e i cantanti devono avere per rendere l’esecuzione delle ripetizioni della chanson, che dovrebbe, per non essere monotona aumentare progressivamente il proprio ritmo di volta in volta per arrivare allo sfogo finale. A riprova d’una concertazione superficiale o affrettata sia che anche questo numero in studio è meglio riuscito, Schippers trova infatti un tempo più congeniale all’Andantino prescritto in partitura, rendendo di conseguenza la dinamica più varia. All’entrata di Escamillo, poi, Schippers deve fare i conti sia a Spoleto che nel disco Decca con interpreti incapaci di varietà di dinamica, sprovvisti della pur minima attenzione per gli accenti e le sfumature che lo spartito suggerisce per creare un’atmosfera di fascino e mistero attorno ai couplet del toreador (a Spoleto William Chapman ed in disco Krause) enfatico e traboccante maschile prosopopea nella narrazione delle proprie gesta. Ancora in questo numero, nella ripresa del tema all’unisono di tutti i personaggi, Schippers, eccedendo con i volumi orchestrali, diventa pesante.
Le cose migliorano con la scena del fiore, questa volta più dal vivo che in disco, qui complice la presenza dell’anziano Del Monaco, impegnato a sfoggiare il suo canto stentoreo e muscolare, per giunta privo della freschezza degli esordi, ormai in perfetto declino, anche volendo passare sopra la completa travisazione del personaggio di Don José e della pagina in questione, che richiederebbe un canto più a fior di labbra, una dinamica varia e sfumata, capacità di smorzare i suoni a tutte le altezze, insomma capacità di saper cantare creando momenti di magia vocale come un vero tenore di fine ‘800. Il tenore di Spoleto George Shirley non si distingue per alcun merito e Schippers accompagna il suo canto con più trasporto rispetto a quanto sentito nelle scene precedenti, pur rimanendo sempre difficile all’abbandono estatico della reminiscenza del racconto di Don José.
Il finale d’atto è uno dei momenti migliori della direzione di Schippers, dove riesce a trasformare tempi veloci e nervosi in teatralità e drammaticità vorticosa, nella sua visione di Carmen infatti i momenti migliori risultano essere alla fine sempre le scene d’assieme, dove la costruzione di tableaux vivants viene resa tramite tempi brillanti e una concertazione sempre e comunque molto attenta ai dettagli e a non perdere i singoli personaggi che questi assieme vanno a formare.
Arrivati al terzo atto la scena del rifugio dei contrabbandieri suggerisce a Schippers colori cupi. Ed è però una scena riuscita a metà, in quanto:
– dal vivo è bello il recitativo che precede le carte, dove Carmen affronta Don Josè intimandogli di tornare alla vita, che continua a rimpiangere, qui l’orchestra e una bravissima Shirley Verrett donano a Carmen una statura tragica e sensuale allo stesso tempo.
– Subito dopo Schippers accompagna la scena di Mercedes e Frasquita con grande brillantezza, tempo allegro come da spartito ma attenzione a rendere le frasi delle due zingarelle con brio e leggerezza, quasi un momento di gioco e riso delle due, in contrapposizione al momento cupo e drammatico vissuto da Carmen nel leggere le carte. E forse per creare e accentuare questo contrasto i colori all’entrata di Carmen nel brano si fanno cupi, lenti.
– La Verrett è molto brava nel seguire la dinamica dello spartito, facendo di necessità vocale una virtù nell’evitare di gonfiare il registro di petto, mantendendo invece la dinamica sempre tra il piano e il mezzoforte, concedendosi solo quache effetto nel ripetere con enfasi La mort!. Nella chiusa del numero però, nell’unirsi del canto delle tre donne, l’orchestra più che leggera assume un ritmo serrato, perdendo l’effetto drammatico creato poco prima.
– In studio i tempi sono più rilassati, tesi ma non nevrotici. Forse complice la presenza di Regina Resnik gli accenti di Schippers all’entrata di Carmen sono più enfatici, esasperati. La Resnik non può vantare la compostezza e la freschezza vocale della Verrett e, pur avendo buone intenzioni di fraseggio, vanifica il tutto in un’organizzazione vocale senescente e disastrata, con un registro di petto gonfiato a dismisura e note oscillanti dal fa acuto in su.
– Nel duetto tra Escamillo e Don José Schippers è privo di mordente, è letteralmente tirato via, complice anche la modestia degli interpreti maschili. Ritrova un clima teso e drammatico nel finale, migliore in studio rispetto all’esecuzione live, non fosse altro che per gli interventi di Micaela/Joan Sutherland, paradisiaci.
Il IV atto si apre con una festa di colori, che Schippers ancora una volta rende tramite tempi veloci, che rischiano, però, di divenire sempre pesanti ed esasperati. Nel finale dell’opera può venire fuori la propria natura di direttore di grande carica teatrale, costruendo un confronto secco, nervoso negli scambi di battute fra i protagonisti, riuscendo in questo soprattutto dal vivo, dove i colori sono vari e dove la dinamica orchestrale prevista da Bizet è rispettata alla perfezione. Bravissima la Verrett, Carmen dall’accento semplice, ma ferino ed incisivo e dalla linea vocale ancora sicura e scintillante che sovrasta il partner George Shirley. Anche in studio il finale è un momento di tesa e forte drammaticità, ma qui gli accenti orchestrali sono esasperati, dovendo fare i conti con i resti della Resnik e di Del Monaco, a volte addirittura intercambiabili come timbro e per effettacci.
Un’occasione mancata la Carmen di Schippers per quanto riguarda la visione dell’opera nella sua totalità. Manca a questa Carmen un marchio distintivo, una cifra precisa che la distingua dalle altre, tendendo a volte a creare un clima da Opera-Comique, a volte teso ad esasperare la drammaticità presente nella partitura di Bizet.
Nell’affrontare un titolo di tradizione come Carmen, James Levine, direttore avvezzo ai grandi titoli del repertorio operistico come al repertorio sinfonico, non cerca di trovare innovazione alcuna o una lettura particolare, ma si limita ad offrire un’esecuzione dalla spiccata teatralità, classica nel suo cercare di rispecchiarsi nelle grandi esecuzione di tradizione dell’opera. E’ senz’altro una Carmen viva, diretta con piglio sicuro ed energetico, capace di suggerire i colori della Spagna e la tensione drammatica andando magari a soccorrere cantanti incapaci di seguire il dettato dello spartito, arginando, se non altro, i danni.
Nel Preludio, rispetto a Schippers, i tempi sono più moderati e in fondo coerenti; c’è forza ed energia, preparando un primo quadro dell’opera pieno di colori, pieno di vitalità, senz’altro adatto all’allestimento, che accompagna quest’esecuzione, ossia quello di Franco Zeffirelli presentato al Metropolitan nel 1997. Anche Levine da subito si trova a dover fare i conti con un cast mediocre, in primis la Micaela dalla voce piena d’aria della giovane Angela Gheorghiu, Micaela dalla linea vocale poco plausibile. Già dalla prima scena Levine è attento a dosare e cambiare la dinamica e i colori dell’orchestra nello scambio di frasi fra i personaggi, per esempio durante il colloquio fra Micaela e Zuniga, suggerendo di volta in volta colori ed accenti diversi, senza però mai diventare petulante. Anche l’allegro successivo, la scena del cambio della guardia, è staccato con vitalità senza diventare mai stucchevole. L’orchestra di Levine la fa da protagonista per tutto il corso dell’opera infatti, rendendo i colori molto forti, sensuali all’entrata delle sigaraie e di Carmen, che entra come in un vortice di sensualità e vitalità, che non trova, però, corrispondenza nel canto di Waltraud Meier, poco sensuale per timbro e linea vocale, nonostante la bellissima figura e il carisma scenico. Forse per questo il tempo dell’Habanera è privo di abbandono sensualeggiante.
Molto bello è poi la seguente esecuzione del tema del destino, che accompagna il lancio del fiore da parte di Carmen, drammatico e teso senza diventare nevrotico o pesante.
Dovendo fare i conti con la giovane, inesperta ora come allora, Gheorghiu e l’anziano Domingo, entrambi censurabili, nel seguente duetto fra Micaela e Don José, Levine limita l’abbandono, che converrenne al momento scenico, lasciando spazio ad un’esecuzione del duetto poco estatica e più carica di pathos, perlomeno nell’orchestra. Ancora Levine è molto bravo nel finale del primo atto, con una Seguidille che inizia fresca, un sorriso ammiccante, con accenti sensuali e provocatori, e cambi di dinamica orchestrale all’interno dell’aria, che passa dall’allegretto iniziale al moderato per, poi, variare al loro interno con continui crescendo e diminuendo, richiesti dallo spartito in maniera molto chiara. Levine rende queste variazioni dinamiche senza mai perdere l’unità del numero e la sensualità di fondo che anima la scena, suggerendo questi accenti anche alla Meier, purtroppo limitata da un timbro e da un’emissione senescente.
Energia e vitalità sono le parole chiave anche del secondo atto, aperto da una chanson bohemienne segnata da accordi marcati e decisi e prosegue via via sempre più sensuale per diventare orgiastica nel finale, senza incappare in pesantezze di sorta. Stesso dicasi per il tripudio di colori, che accompagnano l’entrata del toreador, vanificati dal canto di Sergej Leiferkus, stentoreo e fibroso. Dovendo accompagnare Domingo nella scena del fiore Levine cerca più che mai di essere un bravo accompagnatore e si limita a seguire l’esigenze dell’ormai anziano Don José. Il direttore ritrova colori e seduzione alle frasi di Carmen sopra un’orchestra che dapprima, insinuante poi via via più sensuale e incanzante, come lo è Carmen nei confronti di Don José.
I momenti estatici Levine può renderli meglio quando è la sola orchestra a farla da padrona, per esempio nell’interludio fra II e III atto, sognante, perfetta descrizione prima della notte fra le montagne, in un atmosfera tranquilla e contemplativa e poi contrastare con l’ingresso dei contrabbandieri intenti ai loro traffici. Nella scena delle carte, rispetto a Schippers, Levine caratterizza meno il canto di Frasquita e Mercedes, limitando quindi il contrasto con la seguente e drammatica entrata di Carmen. Levine non indugia in lentezze, che sarebbero di sicuro impatto drammatico, preoccupato di sostenere il canto della Meier, in difficoltà qui più che altrove, che si produce in uno sgangherato sprechgesang pieno di suoni chiocci da essere, addirittura, persino peggiore della declinante Resnik dell’edizioni in studio di Schippers. Molto vigore ha il duetto tra Don José ed Escamillo, una vera e propria sfida in un clima di grande tensione, resa più dall’orchestra che tramite il canto dei protagonisti (per la cronaca la scrittura di don Josè molto centrale e declamata giova a quelche resta di Domingo), per sfociare nelle grandi frasi drammatiche del finale dove Levine sorregge con la teatralità dell’orchestra l’intera compagine vocale.
La teatralità di Levine esplode nella vivace scena iniziale del quarto atto, dove i colori della Spagna diventano vividi e solari. A dispetto di un coro un pò chiassoso a precedere l’entrata di Escamillo Levine trova colori particolareggiati, caldi, che precedono un finale molto statico, dal colore nettamente fosco e cupo, forse poco nervoso per via dei due interpreti, che sicuramente sarebbero stati sfavoriti da una visione ed esecuzione più accesa della scena, che Levine conduce come un confronto pesante, poco incline allo slancio drammatico.
Che Levine sia un grande direttore, talvolta geniale nessuno lo discute, ma altro ammiriamo in questa recita dal vivo, ossia la capacità oggi unica (ma non lo era ai tempi di Walter, Beecham e Mitropoulos) e rappresentata dal direttore americano di come il grande direttore da opera debba essere in primis un grande accompagnatore capace di far coesistere, in gergo “tenere” palcoscenico e buca orchestrale. In questo l’ultimo e più recente è ancora il più antico. Unico e solitario oggi, come le ultime due “puntate” e il futuro confermano.
Gli ascolti
Dirigere Carmen / 5
Atto I
Preludio – Thomas Schippers (1962), James Levine (1996)
Atto II
Non, tu ne m’aimes pas…Holà! Carmen!…Bel officier…Ami, suis-nous à travers la campagne – Shirley Verrett, George Shirley, Maxine Antiochia Norman, Lelia Bersiani, James Loomis – Thomas Schippers (1962)
Entr’acte – Thomas Schippers (1962)
Atto III
Ecoute, écoute, compagnon, écoute! – Shirley Verrett, Maxine Antiochia Norman, Lelia Bersani, George Shirley – Thomas Schippers (1962)
En vain pour éviter les réponses amères – Shirley Verrett, Maxine Antiochia Norman, Lelia Bersani – Thomas Schippers(1962), Waltraud Meier, Mary Dunleavy, Kristine Jepson – James Levine (1997)
Atto IV
A deux cuartos – James Levine (1997)
C’est toi? C’est moi! – Shirley Verrett & George Shirley – Thomas Schippers (1962), Waltraud Meier & Placido Domingo – James Levine (1997)