Mese verdiano XV – L’accento verdiano, parte quarta: "Eri tu che macchiavi quell’anima"

L’aria di Renato al terzo atto del Ballo in maschera può essere esaminata sotto varie angolazioni: le difficoltà vocali, ad esempio, visto che Verdi dedica al baritono una serie di scomode frasi, che impegnano la zona dal mi acuto al sol; quale più compiuta definzione del baritono verdiano da un lato quale evoluzione dei baritenori di marca rossiniana, ossia dei bassi baritoni alla Tamburini, atteso che Renato nella tessitura, soprattutto dell’aria del terzo atto, ci ricorda e non poco le ultime esperienze del tenore baritonale alla Donzelli.

Ma il problema é ben altro, ossia come cantare l’aria se si vuole essere un interprete ovvero dare senso alla dolorosa lamentazione di un marito, che si crede tradito, anche se il tradimento che lo angustia di più, è quello dell’amico, colpevole di non lecite attenzioni alla propria consorte, che sembra essere molto maschilisticamente l’oggetto del tradimento.
Aulico, ampolloso, nobile, solenne forse anche distaccato, sussiegoso ed altezzoso. Questi sono gli aggettivi per il baritono verdiano, anche in situazioni di grande tensione emotiva, come quella in cui si trova Renato.
Banditi, dunque, per lo status del personaggio, accenti plebei ed espressioni estranee al canto. Renato non è parente dei cornuti veristi quali Canio, Ciaciotto o Compare Alfio, piuttosto di Chalais della Rohan e di don Alfonso d’Este.
Per capire il personaggio Renato e le problematiche vocali ed interpretative, che coincidono con quelle dell’esatta definizione dell’accento verdiano basta leggere Lauri Volpi su Battistini Renato: “Il divino e l’umano si fondevano in quella voce quando egli sussurrava con il più lieve, ma percettibilissimo timbro “oh dolcezze perdute o memorie d’un amplesso che l’essere india!” frase che oggi si falseggia o si grida”.
In buona sostanza Verdi chiede all’ultore marito tradito di essere solenne ed oratorio nel proclamare il tradimento amicale, accorato e profondamente ferito nella rimembranza dell’amore, vindice, in nome dell’amicizia tradita e della infranta purezza d’Amelia, alla sezione conclusiva.
Carlo Galeffi e Mario Ancona rispondono con il canto e la tecnica alle richieste verdiane. Entrambi hanno voce dal colore chiaro tenoreggiante (all’epoca di Rossini sarebbero stati baritenori, Galeffi soprattutto), nella limitata indicazione di segni di espressione di Verdi lungo le sezioni dell’aria, differenziano il mutamento dello stato d’animo di Renato, sono costantemente nobili nel fraseggio. Tutti gli acuti di cui la parte è disseminata precisamente i fa di “che compensi in tal guiSA…”,”che l’esSEre india” e “sul mio seNO brillava d’amor” non mostrano segni di tensione. E lo stesso accade con il sol acuto di “…sul mio seno brilLAva d’amor”, che richiede massima eleganza e dolcezza e nessuna evocazione “rusticana”, visto il momento della vita di coppia, che va a ricordare e con il SOL bem di “…non siede che l’odio, non SIEde che l’odio, che l’odio e la morte”, dove il bercio verista è in agguato.
Per la precisione a partire dal mi acuto per la voce di bariono siamo in zona acuta e solo il baritono, che concluda sul do diesis o al massimo sul re, l’operazione di passaggio di registro potrà emettere i suoni estremi facili e timbrati, smorzati e rinforzati alla bisogna espressiva.
In difetto si canta come Piero Cappuccilli o Thomas Hampson. E, quel che peggio non si è nobili o non si accenta. Si falseggia o si grida, come diceva Giacomo Lauri-Volpi. Con l’attenuante che Cappuccilli era dotatissimo in natura e pertanto non era nobile, non era aulico, anzi era volgare e plebeo, ma almeno emetteva suoni facili, anche se interpretativamente accettabili per l’arrapamento di Tonio. Renato è vendicativo, ma niente bava alla bocca, niente arrapamento nella memoria dell’amore. Sentire cosa accade sulle “dolcezze perdute” o “sul seno brillava d’amor” non tanto per il bercio della nota acuta in sé, ma per la mancanza di qualsiasi nobiltà nel dire la frase e la palese difficoltà nella zona acuta della voce, nonostante la natura generosa.
Quanto a Thomas Hampson le mende sono le stesse, ossia un cattiva esecuzione del passaggi in un baritono tenoreggiante, che compensa il limite tecnico con suoni oscurati artificiosamente e non calibrati dalla respirazione corretta. Hampson si sforza, a differenza di Cappuccilli di essere più elegante e meno trucido, ma il risultato è solo affetazione e maniera.
Affettazione e maniera, che non sono eleganza e nobiltà.
Pare che di affettazione e maniera lo stesso Verdi tacciasse Battistini. In realtà era solo un cantante di gusto ed impianto vocale donizettiano, che reggeva le tessiture acute di Verdi. Non solo Lauri Volpi, ma anche Giuseppe de Luca, nelle interviste americane del 1917, parlano di Battistini in termini agiografici. Nessuno aveva del commendator Battistini la fluidità di emissione, la rotondità e la morbidezza del suono ed un controllo tecnico, che gli consentisse di fare quello che voleva in ogni pagina musicale, anche quelle disseminate di difficoltà come l’aria di Renato. Davanti all’esecuzione di Battistini, Galeffi ed Ancona gli risultano inferiori per eleganza e nobiltà. A differenza dei suoi successori Battistini è accorato ed aulico sin dall’invettiva iniziale, ma il passo rimane invettiva per la straordinaria espansione e squillo, che emergono nonostante la registrazione primordiale ed i quasi trent’anni di carriera del cinquantenne baritono reatino. Quando poi Battistini-Renato rimembra l’amore nessun cantante, ad onta del giudizio di Verdi (che ha un suo inossidabile fondamento), secondo il nostro gusto offre la più esauriente rappresentazione dell’eroe romantico, anzi del cattivo e vindice, nel dramma di cappa e spada.

Gli ascolti

Verdi – Un ballo in maschera

Atto III

Eri tu che macchiavi quell’anima

1906 – Mattia Battistini

1907 – Mario Ancona

1926 – Carlo Galeffi

1978 – Piero Cappuccilli

2005 – Thomas Hampson

16 pensieri su “Mese verdiano XV – L’accento verdiano, parte quarta: "Eri tu che macchiavi quell’anima"

  1. A dire il vero, a me pare che nessuno dei primi tre baritoni concludano il passaggio di registro sul do# o re (più tipico dei bassi, a quanto ne so io), ma Ancona e Battistini sul Mib e Galeffi addirittura sul Mi naturale. Ho notato che De Luca, che purtroppo non avete messo, esegue addirittura il passaggio spesso oltre il mi naturale (si senta la cavatina di figaro). Questo, dal mio punto di vista, dimostra che non è dove si esegua il passaggio ciò che permette dinamica e facilità, ma il puro canto "sul fiato", di cui TUTTI i succitati baritoni sono maestri assoluti. E' questo che li differenzia dalle generazioni successive.

  2. Interessante, come sempre.
    Cappuccilli cerca sempre di fare il suo fraseggio personale eliminado pause per l'effetto di "guarda qaunto fiato ho!". A lui era permesso. Non so perché. Certo la voce era forse più "areniano" che "teatrale" ma dal vivo dava quella sensazione e quel brivido che manca oggi. Basta ascoltare i falsettini. ingolature e forzature di Hampson per capire dove siamo arrivati!
    Battistini, con la sua tecnica perfetta è schiavo dei vizi e virtù della sua epoca ma che linea di canto e, soprattutto, che nobiltà, come tutti gli altri dopo di lui. Avevano questa nobiltà di suono che arrivava fino a L Warren o R Merrill, MacNeil e poi…il nulla. Tutti un pò "veristi" o presunti tali – più presunti che mai!

  3. ne mancano parecchi. mancano ad esempio amato e danise ed anche aldo protti che sapeva cantare molto meglio di cappuccilli.

    quanto al passaggio di registro, caro giorgio, mi limita a consigliarti di provare ad eseguire l'operazione di passaggio su quelle note (diciamo il re nat) sopratutto se cadono sulla i e sulla e. Ne giovano gli acuti. passare oltre significa urlare o falsettare se si pretende di cantare piano. L'incidente capitava anche a Bruson, che eseguiva infatti l'operazione ( anche se io sospetto che fosse uno pseudo passaggio) sul mi. Eseguirlo più oltre poi sarebbe a dire che i soprani passano sul si bem o sul si nat.
    Una simile frasca, assumendo di passare sulla bem, la raccontava di se medesimo lauri volpi per difendere le proprie esecuzioni dopo il 1940 !!!!
    ciao
    dd

  4. penso effettivamente che la questione riguardi il canto sul fiato più che altro… che grandezza Battistini: anche se la voce è innegabilmente donizettiana, quanto c'è ancora da imparare dal suo nobile e raffinato distacco… per ragioni ovvie, trovo indimenticabili anche Ancona e il santo Galeffi… in Cappuccilli c'è molto poco da salvare a mio avviso, almeno in quest'aria che proprio non può suonare così sanguigna e ruvida

  5. eppure, caro silvio, se fra il 1970 ed il 1985 (quando cappuccilli urlava in maniera invereconda) tu osavi dire qualche cosa circa i vizi ed i vezzi del PIERO nel loggione scaligero venivi , a dir poco, sbranato da fosche erinni di tutte e tre i sessi!!!!!!

  6. Caro Donzelli,
    che bella foto!!! Mi mancava. L'aggiungerò presto alle altre…nel salotto di casa. Mi sento un pò imbarazzato questa volta col nome che porto…Ma bando alle amenità. Inutile dire che condivido pienissimamente. E ringraziare grandemente come sempre.

    Tornando alle foto…La grandezza di Interprete di MB esce fuori anche da quelle foto (non solo da cronache, interviste e dalle sue miracolose incisioni): un adesione al personaggio che appare totale. Anche questo dimostra un senso alto dell'Arte di cui si faceva interprete, una serietà assoluta. Ma questo valeva anche per altri Cantanti…(In questo senso proprio sulla strada tracciata…nell'800 dalla magnifica coppia Mario-Grisi: entrambi divini attori.)

    Ora qualche mia modestissima impressione in ordine sparso su accento verdiano, baritoni et cetera.

    Cantare sul fiato…anzi "sulla cima del soffio". Ma se non canti sul fiato strilli, falseggi, sbagli i passaggi…e così via. Cantare sul fiato è conditio sine qua non.
    Senza non puoi modulare niente. Nessuna dinamica sonora. E perciò nessuna (o ben poca) dinamica drammatica.

    Però un conto è cantare sul fiato. Altro è dominarlo in ogni suo rispetto, padroneggiarlo completamente, e saperlo fare con tutta la naturalezza che la vera Arte impone, "come fumando un sigaro" (alla Mario, s'intende…). Questa è un'altra cosa.

    Avere un mezzo che consente di cantare tutto e con infinite sfumature …

    Mettiamoci pure una pienissima adesione drammatica alla parola cantata…
    Tutte queste (e molte altre ancora) fanno di un cantante un fuoriclasse. E nella corda di baritono MB non ha che pochi rivali.

    Personalmente direi…
    Cotogni e Kashmann: infatti, benchè conosca di essi solo una incisione per ciscuno, sono le uniche voci che al mio orecchio gli sono "veramente" affini.

    L'immenso G.De Luca (e non solo per citare il mio "caro" Lauri Volpi nei suoi paralleli) è un fenomeno di musicalità, raffinatezza, essenzialità implacabile di effetti. Io lo adoro semplicemente. E credo sia pure di "più facile ascolto" e dunque, forse, anche preferibile da ascoltatori, per così contemporanei… (In questo è il più grande dei…"moderni" sempre per mio modestissimo parere. E'universale. L'unico cantante che gli paragonerei è di una corda diversa: Tito Schipa. "Diabolici" entrambi nello stupirti sempre per l'effetto misurato e naturale. I loro rispettivi duetti con Amelita Galli Curci sono SUBLIMI)

    E per chiudere…Magini Coletti: grande esempio anch'egli di accento verdiano. Il vero Cantante Nobile.

    Tornando a Eri Tu. Nel catalogo…metterei io anche Amato e Danise. Ma pure la grande prova di Stracciari. E Sammarco, giusto per ricordare un'altro grande dimenticato".

    Saluti a tutti e grazie ancora

  7. caro mattia battistini
    non posso che dirTi grazie per il peana speso.
    Gli assenti sono molti e tutti da far rabbrividire gli attuali divi.
    Ti suggerisco come similare di Battistini Checco Marconi. Non so se lo conosci. Benchè scassato rende l'idea più completa del tenore prima di Caruso; in particolare penso all'incisione di cielo e mar dove, nonostante tutto, fa sembrare squadrato e poco sfumato persin beniamino gigli, che dell'aria di enzo ha dato esecuzioni irripetili.
    ciao ed alla prossima.

    ps credo che poi ci sia il parallelo femminile di Battistini. Oltre all'avanzo della Patti certi soprani middleuropei come la Sembrich e magari MArgarete Siems.

  8. [E' sempre un piacere condividere le impressioni, specie se sono a te "affini"…]
    Infatti sono d'accordissimo! Oltre a Cielo e Mar, il duetto dei Puritani Marconi-Galvany, è una delle incisioni che mi porterei su un isola deserta…
    Nel gioco dei paragoni io avrei detto Sembrich…percio'…A presto e grazie ancora a Lei (ed a Tutti voi) per le belle cose di cui scrivete, MB

  9. per la cronaca durante la carriera russa di battistini spessissimo fece coppia con la sembrich in puritani, lucia e barbiere.
    non invochiamo la macchina del tempo
    però!!!!

    oltre tutto dai cimelie a 78 giri quelli sino al 1920 si percepisce chiaramente che le esecuzioni non fossero affatto mere esibizioni vocali, ma ben concertate e pensate. altrimenti la dannazione di verdi per la preziosilla, l'apprezzamento dello stesso per cotogni, che eseguiva nel don carlos contra le indicazioni dell'autore non avrebbero motivo di esistere ( e non dimentichiamo le estenuanti prove del macbeth).
    mi sembra che il tutto sia espresso da quel che si traode dai mapleson, brani d'assieme in primis.
    ciao dd

  10. Premetto che non voglio fare una difesa partigiana. Detto questo che Cappuccilli pigliasse l'aria come un verista è fuor di dubbio e questo può piacere o meno. Tuttavia dargli del plebeo e volgare mi sembra azzardato oltre che esagerato. Personalmente, ad oggi di Cappuccilli ne vorrei un esercito. Non direi nemmeno che avesse dei difetti tecnici così vistosi. Quelli sono ben altri e basta comprare un qualsiasi biglietto di un qualsiasi teatro dell'universo mondo per rendersi conto cosa voglia dire avere difetti di tecnica. Gigionava.. eh va beh. Aggiungo anche che, nella specie, la registrazione cappuccilliana che avete messo non mi sembra nemmeno una delle migliori esecuzioni del Piero. Della sua generazione – e per voi questa suonerà come una bestemmia – ho amato molto di più Bastianini: con tutti i suoi difetti ma anche tutti i suoi pregi. E anche di Bastianini oggi ne vorrei una vagonata.
    Sulla grandezza di Battistini non v'è dubbio alcuno. E se mi permettete l'arroganza non credo che fosse così "inossidabile" il fondamento dell'opinione del Peppino di Busseto. Battistini era – e questa registrazione il conferma – "migliore" che le opinioni di Verdi.
    Non ho capito in che senso caro Donzelli tu dici che anche Galeffi sarebbe stato un baritenore al tempo di Rossini.
    Per concludere due cose:
    1) e Taddei

    e

    2) …per me comunque il più grande baritono di tutti i tempi fu – qui lo dico e qui NON lo nego – Pavel Lisitsian…

    Buona serata!

  11. rispondo cercando di essere breve ed esauriente:
    a) la scelta dei renato non aveva assolutamente la pretesa di essere esaustiva. Voleva essere soltanto una esemplificazione nel tempo di come sia stata eseguita e sopratutto accentata una pagina verdiana. Se devo, personalmente aggiungere un altro grande assente metterei heinrich Schlusnus.
    b) che un Carlo Galeffi nato nel 1785, sarebbe stato un baritenore mi pare scontato. A quei tempi il baritono non esisteva, o se esisteva era sinonimo di cantante di limitati mezzi come Pacini padre o Zamboni, che nfatti non praticavano il repertorio serio
    c) quanto a Cappuccilli, il mio giudizio è affetto dall'overdose o monopolio di Piero che pubblico e dirigenza scaligera inflissero fra il 1970 ed il 1988. Preciso, però, che benchè nati a breve distanza (1922 Bastianini e 1928 Cappuccilli) di fatto appartengono a due generazioni differenti; quanto Bastianini era già Bastianini 1955 o giù di lì Cappuccilli facevo lo studente e di architettura e di canto con Toffolo a Trieste. Toffolo fu l'autentica fortuna di Cappuccilli perchè gli insegnò a respirare correttamente. Da qui ad essere un grande cantante ne passa, ma almeno sapeva respirare. In difetto di questa elementare dote il nostro non avrebbe potuto darci a pieni polmoni per un ventennio.
    Ma consentitemi grande baritono proprio mai. Meglio Protti, Mac Neil e forse anche Zanasi e Sereni.
    Che poi sull'ara di Cappuccilli la Scala abbia sempre sacrificato quei signori e sopratutto Bruson (lungi anche lui dall'essere pari a un Tagliabue) è uno dei peccati del massimo teatro milanese. Veniale rispetto agli attuali
    ciao dd

  12. Donzelli, ci mancherebbe: l'elenco dei baritoni a volerlo fare esaustivo sarebbe lunghissimo!
    Verissimo quanto dici sul gap generazionale tra Cappuccilli e Bastianini: sì, io intendevo riferirmi grossolanamente (e perché di fretta) ad una generazione che quanto meno sapeva "respirare bene".

    Ne approfitto per andare fuori tema: vi ringrazio per aver messo alcune registrazioni della Poli Randaccio. A me molto cara.

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