Da non molto tempo è disponibile sugli scaffali dei maggiori megastore del disco, l’ultimo album di Cecilia Bartoli. Dal titolo particolarmente evocativo – Sacrificium – e dal packaging patinato e accattivante (il prodotto è confezionato in una sorta di algido volumetto di 152 pagine che comprende una lunga tirata celebrativa dell’artista, un compendio “dalla A alla Z” sul mondo dei castrati, dall’inelegante titolo Evviva il coltellino! e un ricco apparato iconografico – anche se la copertina, ove campeggia il capo della diva montato su un torso mutilo di statua greco-romana dal sesso incerto, non denota certo un gusto sopraffino) il disco è dedicato al repertorio più acrobatico di quegli evirati cantori che resero ancor più grande l’epopea barocca dell’Opera Seria: Porpora, Caldara, Araia, Carl Graun, Vinci, Broschi, Giacomelli e Handel naturalmente. Proprio le celebrazioni del 250° anniversario della morte del Caro Sassone, infatti, sono state l’occasione di una serie di uscite discografiche dedicate al grande compositore naturalizzato inglese e al mondo che lo circondava, con particolare attenzione a quell’universo misterioso ed affascinante che è la tuttora inafferrabile voce dei castrati.
I risultati di queste scoperte e riscoperte – tutte, naturalmente, effettuate sotto l’egida e la benedizione della filologia barocchista – sono stati per lo più interlocutori, nel presentare un repertorio a lungo misconosciuto, ma attraverso performance assai discutibili (si pensi all’ondata di incisioni affidate a falsettisti, che tuttora continua a macinare album su album: è il caso di Jaroussky, appena uscito con la risposta controtenorile alla diva di casa Decca, La Dolce Fiamma, dedicato alle arie per castrato di Johann Christian Bach). Come di consueto, tuttavia, la Bartoli e il suo staff, hanno preparato l’uscita del nuovo album con un’abilissima campagna stampa ed un battage pubblicitario particolarmente aggressivo, al fine di trasformare la presentazione di un prodotto tutto sommato di nicchia, in Evento di carattere internazionale. E dunque si sono succedute interviste, polemiche, concerti esclusivi in location deluxe (la presentazione del disco alla Reggia di Caserta per un selezionatissimo pubblico di critici graditi), fotografie, poster, filmati circolati su Internet, spezzoni di brani. A tutto ciò si è aggiunta, in ossequio alle mode odierne del conformismo intellettuale, una gratuita polemica – che puzza tanto di politically correctness – nei confronti della pratica dell’evirazione: un grido di dolore e una sincera e commossa partecipazione, necessariamente postuma, per le sorti di quelle centinaia (migliaia dice la Bartoli) di fanciulli privati dei genitali, di cui solo una piccolissima parte ascendeva poi all’olimpo delle celebrità. Una mattanza, suggerisce la diva, che non può essere riscattata dalla meraviglia della musica che ha contribuito a produrre e che non può che essere deprecata e stigmatizzata. Polemica sterile – a quando la richiesta di risarcimento danni? O la bollatura di quel repertorio come una entartete Musik e la conseguente proibizione? – che denota la superficialità dell’approccio nell’affrontare un mondo culturale ed un sistema di valori lontani dalla nostra sensibilità. Superficialità e ignoranza: oltre, naturalmente, all’occhio verso il marketing attraverso il maggior appeal che un contorno pruriginoso o truculento può regalare al prodotto messo in vendita. Una grande attesa, dunque, è stata creata per l’avvento di questo album, accompagnata da litigi e discussioni, da elogi preventivi e altrettanto preventive stroncature, da presuntuosi e antipatici attacchi verso i pubblici facinorosi del Bel Paese ove osano criticare la diva (scandalo inconcepibile per chi ritiene essere suo diritto la proskynesis di cui è oggetto nell’Europa più evoluta – o supposta tale) e dall’entusiasmo, un po’ ingenuo, dei suoi pur numerosi fan (o piccoli fan, vista l’età anagrafica della maggior parte degli stessi: ignari che la musica barocca venisse suonata e cantata anche prima della venuta dei baroccari). E alla fine? Much ado about nothing! Molto rumore per nulla, direbbe Shakespeare, giacché il contenitore – dopo un approfondito ascolto – è molto più interessante del contenuto. Innanzitutto la scelta dei brani: tutti, o quasi, sono inediti e prime incisioni mondiali. Ma aldilà del gioco puramente intellettualistico e dello snobismo filologico, è evidente l’intento di sottrarsi a qualsiasi confronto con il passato più o meno prossimo (altrimenti inspiegabile la mancata inclusione della assai più celebre “Qual guerriero in campo armato” dello stesso Broschi, di cui si è preferita la assai meno spettacolare “Son qual nave”, a parte l’unico vantaggio di non aver altre incisioni facilmente reperibili: salvo la Anfuso in un ormai introvabile recital del ’94 e una elaborazione digitale dell’aria predisposta per il Farinelli cinematografico). Operazione, però, non perfettamente riuscita, giacché se è pur vero che non vi è la possibilità di confrontare immediatamente ogni singola interpretazione della Bartoli con analoga di altre cantanti, tuttavia non è affatto inedito il genere e il repertorio in cui i brani che compongono la track list, si inseriscono. A maggior ragione per arie il cui valore principale risiede nell’acrobazia vocale più che nel contenuto musicale: poco importa che nessuno abbia mai inciso “In braccio a mille furie” dalla Semiramide riconosciuta di Leonardo Leo, per giudicare il modo in cui la Bartoli esegue l’aria basta prendere a paragone una qualsiasi aria di furore cantata dalla Horne, ad esempio, per evidenziare le differenze tecniche e interpretative. In secondo luogo emerge in questo ultimo prodotto, più che altrove, un manierismo in cui la diva romana trova comodo sollazzo: un one man show in cui tutto gira intorno ai suoi capricci, e nel quale – aldilà delle dichiarazioni programmatiche – la musica eseguita, la riscoperta, la cura filologica, riveste ben poco interesse. La Bartoli fa la Bartoli: fa quello che il suo devoto pubblico si aspetta e facendolo ne esagera i profili (sussurri, grida, smorfie, ansimi, spasmi, agilità mitragliate etc…). E’, se mi si consente il paragone, il Quentin Tarantino dell’opera barocca. Va sul sicuro, perfettamente consapevole che comunque sarà un successo di critica e pubblico. Cosa resta dunque, dopo l’ascolto? Qual è il valore musicale del prodotto discografico? Nulla! Ripulita dal circo montato sopra di essa, l’intera operazione rivela un vuoto assoluto: un nulla mal eseguito, per giunta. La lettura della Bartoli è superficiale: tesa a far schizzare la voce (piccola) su e giù per il pentagramma in scale velocissime di agilità sgranate in modo rozzo e sostenute a colpi di gola (e spesso è evidente la sensazione di un continuo e fastidioso vavavavava al cui confronto le agilità della Genaux appaiono liquide e astratte come quelle della Sutherland), in note ribattute, in trilli gorgoglianti: alla fine viene il mal di mare, si prenda ad esempio l’assurda “Chi temea Giove regnante” dal Farnace di Vinci, che sembra la caricatura di un’aria di furore. Il legato – già evidentemente compromesso nella precedente Sonnambula – è qui completamente assente. Non riesce a legare due note senza perdere il sostegno del fiato, cosa che rende l’esecuzione delle arie lente un vero strazio: malinconia e sensualità vengono sistematicamente sostituite da sussurri impercettibili, sospiri, tempi slentati. Si ascolti, per farsi un’idea, “Ombra mai fu”, contenuta quale bonus track nel secondo cd, e la si confronti con la stessa aria cantata dalla Podles o dalla Horne (ma direi anche dalla Flagstad e persino da Caruso). E così si potrebbe andare avanti per tutti i brani dell’album, che si susseguono monotoni e identici, in 105 estenuanti minuti che metterebbero a dura prova i nervi di chiunque…e nei quali la Bartoli perpetua se stessa “all’apice del proprio masochismo”. Un’ultima annotazione, però, la merita l’orchestra Il Giardino Armonico diretta da Giovanni Antonini: talmente aguzza, stridente e priva di colore da risultare perfettamente evocativa di quello strumento – il coltellino appunto – artefice immediato, nel bene e nel male, di quelle voci eccezionali che furono, quelle, la vera gloria del canto barocco.
I risultati di queste scoperte e riscoperte – tutte, naturalmente, effettuate sotto l’egida e la benedizione della filologia barocchista – sono stati per lo più interlocutori, nel presentare un repertorio a lungo misconosciuto, ma attraverso performance assai discutibili (si pensi all’ondata di incisioni affidate a falsettisti, che tuttora continua a macinare album su album: è il caso di Jaroussky, appena uscito con la risposta controtenorile alla diva di casa Decca, La Dolce Fiamma, dedicato alle arie per castrato di Johann Christian Bach). Come di consueto, tuttavia, la Bartoli e il suo staff, hanno preparato l’uscita del nuovo album con un’abilissima campagna stampa ed un battage pubblicitario particolarmente aggressivo, al fine di trasformare la presentazione di un prodotto tutto sommato di nicchia, in Evento di carattere internazionale. E dunque si sono succedute interviste, polemiche, concerti esclusivi in location deluxe (la presentazione del disco alla Reggia di Caserta per un selezionatissimo pubblico di critici graditi), fotografie, poster, filmati circolati su Internet, spezzoni di brani. A tutto ciò si è aggiunta, in ossequio alle mode odierne del conformismo intellettuale, una gratuita polemica – che puzza tanto di politically correctness – nei confronti della pratica dell’evirazione: un grido di dolore e una sincera e commossa partecipazione, necessariamente postuma, per le sorti di quelle centinaia (migliaia dice la Bartoli) di fanciulli privati dei genitali, di cui solo una piccolissima parte ascendeva poi all’olimpo delle celebrità. Una mattanza, suggerisce la diva, che non può essere riscattata dalla meraviglia della musica che ha contribuito a produrre e che non può che essere deprecata e stigmatizzata. Polemica sterile – a quando la richiesta di risarcimento danni? O la bollatura di quel repertorio come una entartete Musik e la conseguente proibizione? – che denota la superficialità dell’approccio nell’affrontare un mondo culturale ed un sistema di valori lontani dalla nostra sensibilità. Superficialità e ignoranza: oltre, naturalmente, all’occhio verso il marketing attraverso il maggior appeal che un contorno pruriginoso o truculento può regalare al prodotto messo in vendita. Una grande attesa, dunque, è stata creata per l’avvento di questo album, accompagnata da litigi e discussioni, da elogi preventivi e altrettanto preventive stroncature, da presuntuosi e antipatici attacchi verso i pubblici facinorosi del Bel Paese ove osano criticare la diva (scandalo inconcepibile per chi ritiene essere suo diritto la proskynesis di cui è oggetto nell’Europa più evoluta – o supposta tale) e dall’entusiasmo, un po’ ingenuo, dei suoi pur numerosi fan (o piccoli fan, vista l’età anagrafica della maggior parte degli stessi: ignari che la musica barocca venisse suonata e cantata anche prima della venuta dei baroccari). E alla fine? Much ado about nothing! Molto rumore per nulla, direbbe Shakespeare, giacché il contenitore – dopo un approfondito ascolto – è molto più interessante del contenuto. Innanzitutto la scelta dei brani: tutti, o quasi, sono inediti e prime incisioni mondiali. Ma aldilà del gioco puramente intellettualistico e dello snobismo filologico, è evidente l’intento di sottrarsi a qualsiasi confronto con il passato più o meno prossimo (altrimenti inspiegabile la mancata inclusione della assai più celebre “Qual guerriero in campo armato” dello stesso Broschi, di cui si è preferita la assai meno spettacolare “Son qual nave”, a parte l’unico vantaggio di non aver altre incisioni facilmente reperibili: salvo la Anfuso in un ormai introvabile recital del ’94 e una elaborazione digitale dell’aria predisposta per il Farinelli cinematografico). Operazione, però, non perfettamente riuscita, giacché se è pur vero che non vi è la possibilità di confrontare immediatamente ogni singola interpretazione della Bartoli con analoga di altre cantanti, tuttavia non è affatto inedito il genere e il repertorio in cui i brani che compongono la track list, si inseriscono. A maggior ragione per arie il cui valore principale risiede nell’acrobazia vocale più che nel contenuto musicale: poco importa che nessuno abbia mai inciso “In braccio a mille furie” dalla Semiramide riconosciuta di Leonardo Leo, per giudicare il modo in cui la Bartoli esegue l’aria basta prendere a paragone una qualsiasi aria di furore cantata dalla Horne, ad esempio, per evidenziare le differenze tecniche e interpretative. In secondo luogo emerge in questo ultimo prodotto, più che altrove, un manierismo in cui la diva romana trova comodo sollazzo: un one man show in cui tutto gira intorno ai suoi capricci, e nel quale – aldilà delle dichiarazioni programmatiche – la musica eseguita, la riscoperta, la cura filologica, riveste ben poco interesse. La Bartoli fa la Bartoli: fa quello che il suo devoto pubblico si aspetta e facendolo ne esagera i profili (sussurri, grida, smorfie, ansimi, spasmi, agilità mitragliate etc…). E’, se mi si consente il paragone, il Quentin Tarantino dell’opera barocca. Va sul sicuro, perfettamente consapevole che comunque sarà un successo di critica e pubblico. Cosa resta dunque, dopo l’ascolto? Qual è il valore musicale del prodotto discografico? Nulla! Ripulita dal circo montato sopra di essa, l’intera operazione rivela un vuoto assoluto: un nulla mal eseguito, per giunta. La lettura della Bartoli è superficiale: tesa a far schizzare la voce (piccola) su e giù per il pentagramma in scale velocissime di agilità sgranate in modo rozzo e sostenute a colpi di gola (e spesso è evidente la sensazione di un continuo e fastidioso vavavavava al cui confronto le agilità della Genaux appaiono liquide e astratte come quelle della Sutherland), in note ribattute, in trilli gorgoglianti: alla fine viene il mal di mare, si prenda ad esempio l’assurda “Chi temea Giove regnante” dal Farnace di Vinci, che sembra la caricatura di un’aria di furore. Il legato – già evidentemente compromesso nella precedente Sonnambula – è qui completamente assente. Non riesce a legare due note senza perdere il sostegno del fiato, cosa che rende l’esecuzione delle arie lente un vero strazio: malinconia e sensualità vengono sistematicamente sostituite da sussurri impercettibili, sospiri, tempi slentati. Si ascolti, per farsi un’idea, “Ombra mai fu”, contenuta quale bonus track nel secondo cd, e la si confronti con la stessa aria cantata dalla Podles o dalla Horne (ma direi anche dalla Flagstad e persino da Caruso). E così si potrebbe andare avanti per tutti i brani dell’album, che si susseguono monotoni e identici, in 105 estenuanti minuti che metterebbero a dura prova i nervi di chiunque…e nei quali la Bartoli perpetua se stessa “all’apice del proprio masochismo”. Un’ultima annotazione, però, la merita l’orchestra Il Giardino Armonico diretta da Giovanni Antonini: talmente aguzza, stridente e priva di colore da risultare perfettamente evocativa di quello strumento – il coltellino appunto – artefice immediato, nel bene e nel male, di quelle voci eccezionali che furono, quelle, la vera gloria del canto barocco.
Gli ascolti
Haendel – Serse
Atto I
Frondi tenere…Ombra mai fu – Elisabeth Rethberg (1924)
era sufficiente anche solo sentire quei brevi secondi della pubblicità radiofonica per rabbrividire… raramente ho sentito una voce così brutta, sotto ogni aspetto, e così malmessa tecnicamente, proprio là dove la tecnica è ossatura indispensabile, e nerbo e senso della musica stessa…
Concordo su tutta la linea sulla bella recensione di Duprez.
La Bartoli fa se stessa spinta ormai verso un egocentrismo canoro che ha dell'assurdo.
Credo che non ci si possa aspettare di più da un'artista che possiede due espressioni due; lagnosa per le arie elegiache o tragiche e schizofrenica per le arie di furore e più leggere, stop.
Mentre ascoltavo le colorature mi venivano in mente uno Jodel gelido e meccanico, e le critiche mosse al "gaga" della Deutekom, cantante di ben altra preparazione e fantsia, le quali, dopo quello che propina la Bartoli, paiono ingiuste.
La Bartoli è come Madonna; rifà se stessa all'infinito, cambiando pakaging, per non mutare il contenuto, sempre prevedibile, e per i fans, consolatorio, che tutti si aspettano da lei, tra finti effetti speciali ed i soliti buon timbro e musicalità.
Stesse impressioni che ebbi quando la vidi a Lucerna in uno dei suoi recital dedicati a "Maria".
Intendiamoci, è una grande affabulatrice, conquista il pubblico con la sua mimica eccessiva e la sua grande comunicatività, ergo se ne esce dalla sala divertiti, ma non con la convinzione di aver visto e udito qualcosa di straordinario, ma solo, appunto, divertente.
Marianne Brandt
"Nulla!"
come meglio descrivere questo (insieme a tanti altri) cd?
scusate ma chi vi obbliga a comprarla o ascoltarla? lasciate che la ascoltino e la comprino quelli a cui piace. perchè demonizzare sempre il lavoro altrui? a me la bartoli piace, amo la sua tecnica d'emissione, so che a volte emette dei suoni un po' striduli o ingolati, ma molti meno di una Horne per esempio, ma quando canta legatissimo nel suo registro di testa per esempio è imbattibile quanto a sostegno, legato e precisione.
se queste cose non riuscite a sentirle, non vi sfiora mai l'idea che il limite non sia di lei? questa cattedra invisibile che avete sotto le terga non la abbandonerete mai? una virtà dell'uomo saggio è quella di riuscire a trovare lati positivi anche in quelli in cui sembra sia tutto negativo. se vedete tutto al 100% negativo forse avete qualche preconcetto di troppo.
"nulla" è un commento da persona veramente poco interessante.
come si può soprassedere al fatto che, per esempio, le variazioni di sono qual nave sono belle e di ottimo gusto? se milioni di persone comprano quel disco è solo stupidità o moda? siete davvero così meravigliosamente superiori e noi compratori felici di quel disco così stupidi? meditare.
Gentile Immenso Ftha,
grazie prima di tutto dei tuoi interventi.
Vorrei precisare una cosa:
nessuno ci impedisce o ci obbliga a comprare un cd o una incisione che sulla carta possono risultare curiosi ed interessanti e nessuno ci vieta dopo l'acquisto e dopo averlo ascoltato o visionato di giudicarlo in base alla propria sensibilità e gusto.
Ed è questo quello che si fa qui.
Siamo appassionati d'opera, studiamo con interesse e rispetto sia la musica, sia i compositori, sia le vocalità, sia la storia.
Nessuno vuole salire in cattedra, qui esprimiamo solo il nostro giudizio e credo siamo liberissimi di farlo come tu ed altri fate e state facendo, e la cosa ci fa piacere.
Se non condividi la recensione del collega Duprez, non fa nulla, e nessuno si sognerà mai di darti dell'ignorante ed imbecille solo perchè ti piace la Bartoli e questa considerazione si estende anche ai suoi fans.
Vi piace la Bartoli? Ottimo, nulla in contrario, felici per voi, ma a noi no e non credo ci siano problemi.
Personalmente della Bartoli mi piacciono 3 cose: timbro, musicalità e comunicativa.
Il resto no, vuoi per limite mio, vuoi per limite suo. Tutto qui.
Ti auguro cordialmente buon ascolto
Marianne Brandt
Immenso Ftha, anche io ti ringrazio del contributo, ma voglio farti un'osservazione. Parafrasando quello che hai scritto potrei risponderti: perchè, se non condividi nulla di quanto scritto da noi continui a leggerci ed intervenire? Esattamente come ci hai chiesto riguardo alla Bartoli: perchè ascoltarla se non ci piace? A entrambe le domande rispondo nello stesso modo: per discutere e approfondire. Come vedi qui non si invita nessuno ad andare altrove, anche se non condivide nulla, anche quando è poco gentile, anche quando provoca gratuitamente. Qui, a differenza di altrove, non si banna nessuno e non si impedisce a nessuno di esprimere pareri opposti ai nostri. Tu non condividi le nostre valutazioni, eppure ci leggi e intervieni. E mai mi sognerei di dirti di scrivere altrove: tutt'altro…il dissenso genera discussione (preferibilmente se è giustificato). E così con gli ascolti: a me la Bartoli non piace, ma non per questo non posso recensirla. In caso contrario, se la recensione e l'ascolto fossero solo concessi a chi, quei prodotti, li apprezza a prescindere, non vi sarebbe alcuna critica e tutto rimarrebbe appiattito e omologato da adulatori e fan… Non interessa qui l'agiografia o la fede: non ci interessano le nostaglie callasiane e non cerchiamo prove dell'esistenza di Dio in ogni sospiro emesso dalla Caballè! Sarebbe sterile, inutile e sciocco. Ci piace l'opera e la studiamo seriamente, puoi non condividerci, ma non delegittimare un diritto al dissenso…ormai sempre più raro, nello sconsolante e omologato panorama della critica acritica di oggi…
non ci si è capiti.. liberissimi di criticare chi vi pare quando vi pare.. ma criticare non è dire :"il nulla" fa schifo tutto. non è possibile che non si salvi nulla.. per me è essurdo.. altre recensioni le ho apprezzate non è possibile che io trovi tutto sbagliato quello che dite, sebbene spesso secondo me esagerate per partito preso contro alcuni cantanti che proprio non vi scendono. la bartoli io l'ho sentita dal vivo molte volte e mi ha sempre sorpreso proprio per l'appoggio incredibile e ben gestito e per la tecnica di emissione superlativa , certo che a volte bercia un po' lo ammentto è ovvio, ma dire che nons a cantare è veramente da persone senza nobiltà d'animo nell'ammettere certe cose oppure da persone che minimamente hanno congnizione di quello che criticano. evidentemente chi dice, non ricordo, che la bartoli non ha appoggio non sa cosa l'appoggio sia. io l'ho vista da 5 metri respirare per due ore con un'appoggio diaframmatico costale formidabile solidissimo messo in evidenza dal vestito che indossava che ogni fiato che prendeva si tirava tanto quasi da strapparsi. e restava così tirato per tutta la frase… se volete riesaminiamo dall'abc l'argomento appoggio, ma vi prego, prima di dire che la bartoli non sa respirare, vi invito, prima di parlare, come ho fatto io, ad andare a vederla respirare a 5 mt di distanza.
Caro Fhta, due annotazioni soltanto:
1) chi ha una tecnica di emissione solidissima non bercia. punto. se bercia è perché l'emissione non è a posto.
2) la signora ha l'emissione così facile e l'appoggio così solido che non si sente a pochi metri di distanza. perché a questo serve l'appoggio: a essere udibili. e che la signora non si senta già in ottava fila, l'ha confermato a radiotre, pochi giorni fa, un noto incompetente di canto: Giorgio Gualerzi. non confondiamo il fiatone con l'emissione perfetta…
saluti
AT
lei confonde la voce spoggiata con i limitati mezzi vocali invece. se il mezzo è quello… quello resta.. non è che appoggiando bene una voce piccola diventa grossa… non mettiamo in giro queste falsità.
e la bartoli non ha mai il fiatone. e al lingotto di torino, complice un'acustica meravigliosa, l'hanno sentita anche in fila 30 vicino alle porte.
Gualerzi è un grande!
Fece l'esempio del "Comte Ory" scaligero, quando era in 8 fila in platea e non sentì nulla.
Io a Lucerna l'ho sentita, ma perchè le dimensioni contenute della sala dotata di pannelli semoventi (usati anche da R.Piano) che agevolano l'acustica e diffondono il suono meravigliosamente.
Ma non è questo il punto.
Per me è una questione di gusto e stile. Il suo fraseggio eccessivo e caricato, sembra finto e artificioso.
Sullo stile; i miagolii scambiati per note di passaggio, i gravi che mi ricordano il drago Fafner, la coloratura aspirata, schizofrenica, tesa, gorgogliante come uno Jodel, gli acuti il 50% delle volte senza corpo…ecco per questo non mi piace la Bartoli.
Nella recensione non c'è scritto "Il nulla…fa schifo", la recensione è ben argomentata e affrontata e fa capire quali siano le perpressità che questo album muove.
PS. se un cantante ci stupisce positivamente non abbiamo mai mancato di farlo notare.
Marianne Brandt
la voce piccola, se ben emessa, "corre" meglio che se fosse microfonata. se non si sente nulla in fila 8…. qualcosa "tocca", come si dice. e che la signora Bartoli sia un'appassionata del microfono, lo ricorda la polemica che ebbe a suo tempo con un altro mezzo di poca voce, ma d'arte INFINITAMENTE superiore: Teresa Berganza. per un confronto tra le due, è sufficiente esaminare le esecuzioni della Giovanna d'Arco rossiniana, oggetto del bell'articolo della Grisi pubblicato oggi.
Esatto e lo diceva anche la Gencer in una video-intervista parlando della propria voce e di quella della Sciutti e della Ratti.
Voci "piccole" (spilli li chiama lei), ma ben proiettate che passavano l'orchestra nei grandi teatri ed arrivavano fino all'ultimo sedile del Loggione e non si fermavano, sempre nei grandi teatri, alla fila 7.
MB
il nostro amico era probabilmente troppo occupato a guardare il vestito della sua musa, e ciò che conteneva, per rendersi conto degli evidenti difetti di colei. Tanto che ingiuria e offende, senza portare alcuna valida argomentazione…
per parte mia, lungi da ogni cattedra possibile ed immaginabile, non ho difficoltà a sentire la differenza fra laBartoli e una cantante seria. Il timbro nonbasta, è il problema di Villazon, sempre quello. E la sua coloratura, da amante del barocco, la trovo offensiva.
MA di che voce parlate?
la Bartoli è la mamma di tutti i baroccari e di tutte le baroccherie, di tutte le riletture mstificate di Tosi e Mancini.
La signora bertoli incarna per noi oggi il canto ritenuto di seie B nel mondo barocco, ossia quello dei falsettisti. E' la madre di tutti i falsettisti moderni. Senza offesa.
g
Donna Giulia, credo che il disastro sia iniziato ancora prima con la micidiale Emma Kirkby
Emma Kirkby
http://www.youtube.com/watch?v=dVneIjkZRig&feature=related
http://www.youtube.com/watch?v=iTV6F3lTU7o&feature=related
Anche per me il disastro comincia con Emma Kirkby…La Bartoli per me non è la mamma delle baroccherie…è una che ha trovato, adesso, nelle mode baroccare il terreno più fertile: è semplicemente una cantante che si è costruita addosso una vera e propria mitologia fatta di nulla…uno show da avan spettacolo mascherato da opera lirica…un bluff, una truffa, una "caciottara" direbbero i suoi conterranei…eppure piace, eppure ha seguiti fedeli! La Bartoli però rest un discorso a parte, non assimilabile ai baroccari, non assimilamibile ai tradizionalisti, non assimilabile all'opera direi…ormai fa crossover, musica pop, robaccia da discoteca…manca un bel remix e una base psichedelica e potrebbe far da colonna sonora agli impasticcati del Cocoricò…(se esiste ancora)
molto meglio impasticcarsi senza di lei però, potendo scegliere…
Ho ascoltato tutto il CD e alla fine non ne potevo veramente più! Non lo fatto per masochismo ma per rendermi conto, fino in fondo, di cosa la Bartoli sia capace. Il mezzo vocale è quello di una comprimaria di serie C : troppo corta per essere soprano e deve per questo patteggiare falsettando acuti fantasma ed è troppo corta in basso e deve ricorrere al rutto, è una vociuzza piccola e non c'è bisogno di andare in teatro ad ascoltarla per rendersi conto che se non ci fosse questa moda baroccara per il barocco eseguito da cantanti come già li definiva il Mancini cioè dotati di "vociuzzi infelici" la Bartoli potrebbe a mala pena vocalmente essere credibile come Anna Kennedy nella Maria Stuarda. La Bartoli si rivela in questo prodotto discografico, e per l'ennesima volta, una vera ciarlatana della vocalità: in alto la voce è tirata, diafana senza armonici, smunta, in basso è gutturale fino al rutto, al centro fa di tutto : gridacchia, sospira, miagola, è manierata e certosina sino alla nausea, la sua non è una interpretazione ma ne è la caricatura, spesso sconfina nel parlato, vuole (come insegnano i baroccari) nei momenti più concitati ledere l'emissione e sbraccare i suoni per previlegiare l'espressivita sulla bellezza del suono, ma così procedendo il canto risulta espressionista e non barocco. Nel barocco sono proprio le agilità ad esprimere gli affetti e quindi devono essere eseguite in maniera espressiva, come diveva Rossini "rivelarne" gli acccenti nascosti e cito Rossini essendo a mio parere l'ultimo compositore la cui concezione del canto è ancora impregnata di poetica barocca. Quelle della Bartoli di agilità sono INespressive : perchè invece di essere eseguite legate sul fiato, sono tutte mitragliate col colpo di gola, la Bartoli non le esegue le agilità ma le riduce a un qualcosa che è a metà strada fra il singhiozzo e il colpo di tosse. Nei momenti elegiaci è tutta sussuri e falsetti sospirosi. Qualcuno ha parlato di legato nel canto della Bartoli? Ma la sua linea non è legata, è tutta uno sfilacciamento. Il Giardino (Dis)Armonico è una accozzaglia di suoni fissi, duri, vetrosi e stimbrati e pure stonati.
E' prerogativa dei grandi essere criticati in maniera così esasperata ed eccessiva. Per me la Bartoli è una grande cantante e soprattutto una musicista di livello superiore.
Forse perchè sfugge alle etichette ?
Si può non condividere il suo gusto e il suo stile esecutivo. Ma, Signori miei, dire che non sa cantare sul fiato è veramente troppo!!!!
Stefano: se la Bartoli canta sul fiato, perché il suo canto non presenta una sola delle caratteristiche del canto sul fiato, ossia morbidezza (la voce è tutta intubata), espansione (non si sente a pochi metri di distanza), perfetto controllo delle dinamiche (la Bartoli o farfuglia o grida)? Ce lo sai spiegare? O forse la grandezza di certi fenomeni si esaurisce… nelle etichette (Decca, DGG etc.)?
Caro Stefano,
mi fa piacere che a te piaccia così tanto la Bartoli e la consideri una grande artista.
Personalmente, soprattutto perchè ho avuto modo di ascoltarla dal vivo, la considero un bluff.
Non mi interessa come etichettarla, mi interessa come canta ed il fiato, dai suoi cd e dal vivo, la Bartoli lo usa per smitragliare le "sue agilità" nervose e piene d'aria e per coprire il timbro con rantoli e sospiri.
Un recital della Bartoli è divertentissimo, ma se questo è canto sul fiato…
Purtroppo ci dimentichiamo sempre chi cantava davvero sul fiato ed aveva nomi che suonavano come Horne, Valentini-Terrani, Troyanos, etc.
Marianne Brandt
Ma scusatemi, l'avete ascoltato il brano di Giacomelli?? Come fa a non cantare sul fiato se riesce a sostenere frasi lunghissime e con una morbidezza impressionanti!!!
Io, personalmente l'ho sentita a Napoli in un Così fan tutte e l'ho trovata eccellente sia come cantante che come interprete.
Comunque il discorso della voce piccola sinceramente non lo comprendo.
In fondo non mi pare si sia cimentata in Aide o Trovatori.
Se per voi, il volume è un parametro imprescindibile, allora…pazienza!!!
Caro Stefano se seguissi il blog con attenzione ti sarai accorto che abbiamo parlato bene anche di cantanti che non avendo voci voluminose, piccole appunto, riuscivano tranquillamente a passare l'orchestra.
Mai abbiamo detto che il volume è un parametro imprescindibile, abbiamo detto soltanto che la voce deve arrivare dal proscenio al loggione.
Mi fa piacere che ti abbia entusiasmato nella sua interpretazione del brano di Giacomelli trovandola morbida e sul fiato o nel "Così fan tutte".
A noi non ha fatto lo stesso effetto sia dal vivo che in cd.
Non fa Aide e Trovatori è vero e non se lo potrebbe nemmeno permettere, ma qualcosa mi dice che in fondo in fondo questo repertorio le manca e non poco.
Tanti saluti.
Marianne Brandt